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Michael Maltzan
È possibile che i sobborghi tornino a prenderci? La gran parte dello sviluppo storico della città in cui vivo e lavoro è stata definita dalla costruzione incessante di un tappeto apparentemente infinito di case unifamiliari, che si estendono orizzontalmente e senza sosta in tutte le direzioni. Inserite poco per volta in quel tessuto urbano sorgono una casa e un’altra e un’altra ancora… ognuna con il suo “cordone sanitario” costituito da un cortile anteriore, posteriore e laterale, che separa i vicini l’uno dall’altro a volte con una striscia di spazio vuoto, anche se altrettanto spesso quello spazio è colmato da un’orticoltura variegata che può mettervi radici. Quello spazio, e l’occasionale giardino, sono un lusso che ha finito per rappresentare l’immaginario di questa regione, benché nasconda le più inquietanti e insidiose divisioni e disparità sociali che affliggono Los Angeles, con la sua aspirazione di città “multiculturale”.
Nel decennio scorso la traiettoria di questo genere
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di sprawl alla piccola scala ha cambiato direzione, con uno spostamento verso forme di maggiore densità urbana. Questo è il risultato dell’esigenza pratica di un maggior numero di abitazioni, dovuta principalmente all’aumento costante della popolazione, ma anche l’effetto di anni di lavoro per incrementare le reti del trasporto di massa, creare centri sociali più forti e pianificare una gestione delle risorse più efficiente. Dove non sono però mancate le battaglie…
Torniamo indietro a qualche anno fa. Siamo nel pieno del lavoro finalizzato a ottenere il permesso per il progetto di un complesso di cinque piani con settanta abitazioni a costo accessibile nel bel mezzo della San Fernando Valley, il tipico paesaggio costruito del dopoguerra nella California del sud. L’edificio è destinato a reduci di guerra senza casa. Si tratta di un terreno abbandonato, con una pianta lunga e sottile, un tipico lotto edificabile che costeggia una tipica strip principale, il cui fronte stradale è scandito da esercizi commerciali per lo più a un piano… un negozio di alimentari, una società di garanzia, un rivenditore di bevande alcoliche… l’altra estremità del terreno si trova accanto a una strada senza uscita di case unifamiliari. La nostra proposta consiste in un edificio che “galleggerà” in un nuovo paesaggio cercando di inserire il nuovo giardino nei giardini privati sparsi del quartiere
circostante e di incoraggiare la percezione di un paesaggio collettivo e connesso.
Il quartiere si solleva in massa per protestare contro il nuovo edificio. Gli argomenti non sono nuovi ma il dibattito è acceso. “Questo progetto rovinerà il carattere della comunità”, “È sproporzionato”, “Stiamo costruendo con troppa densità nella Città”. Pur sapendo che i nuovi appartamenti serviranno una parte della popolazione che “vive” già nella comunità, e che aiuteranno a stabilizzare una minaccia crescente per la comunità derivante dall’inaccessibilità delle case e dai senzatetto, il timore di cosa e chi la densità potrebbe portare lascia pochi spiragli nell’argomentazione. Dopo mesi di riunioni e di dibattito pubblico finalmente l’edificio ottiene i permessi per andare avanti, ma l’approvazione sembra fragile e incerta.
La possibilità di risolvere i reali problemi sociali, economici e di parità in questa regione dipende in larga misura da forme di maggiore densità, ma questa nuova forma emergente della città è ancora ben lontana dall’essere sostenuta.
Durante questa pandemia la California è stata vista come un esempio positivo. È stato sottolineato come la nostra “curva” sia stata tenuta ragionevolmente sotto controllo principalmente grazie agli interventi tempestivi dello Stato e del governo locale… ma è
percepibile come sullo sfondo inizi a prendere forma il pensiero collettivo che la bassa densità e la separazione fisica abbiano avuto un ruolo altrettanto importante. È inevitabile che questo argomento venga sollevato sempre più spesso nei dibattiti pubblici contro un futuro a maggiore densità.
Sarà un argomento potente, specialmente quando alimentato dalle paure e dalle ansie sommerse, cicatrici croniche che rimarranno a lungo anche dopo che la fase acuta dei traumi subiti dalla nostra psiche collettiva inizierà a scemare. Lo slancio verso una città evoluta, che rappresenti più fedelmente i cambiamenti dinamici con cui la regione continua a doversi confrontare, deve vedersela ancora una volta con un nuovo argomento a favore di una vecchia forma.
Michael Maltzan è titolare dello studio di architettura e progettazione urbana Michael Maltzan Architecture, con sede a Los Angeles.