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Mirko Zardini

Inaspettate, o prevedibili e convenzionali? Le crisi ci sorprendono, ma non giungono mai inaspettate. Generalmente non portano con sé nuove idee e soluzioni. Ci costringono tuttavia a stravolgere le nostre priorità e ad accelerare alcuni dei processi in atto.

Guardando a ritroso troviamo sempre, e facilmente, le tracce e le anticipazioni di quanto sarebbe poi accaduto. Nel caso di questa crisi sanitaria basta tornare alle recenti epidemie della Sars (2001) o Mers (2012) per trovare i documenti che anticipavano una nuova epidemia, suggerivano soluzioni, proponevano piani e strategie. Il fallimento che ci troviamo a vivere non può quindi essere imputato alla mancanza di avvertimenti o alla scarsezza delle risorse disponibili. Semplicemente eravamo occupati in altre cose, avevamo “altre priorità”.

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Convenzionali come sanno essere, le crisi non portano con sé nuove idee o paradigmi. Esse però ci costringono a privilegiare alcune delle direzioni già in

atto, a cui non avevamo prestato fino ad allora troppa attenzione. Così è accaduto con la crisi del 1973, quando il problema dell’approvvigionamento delle risorse energetiche diede un breve impulso alle politiche di riduzione del consumo energetico e di sostegno per le energie alternative, già da decenni parte delle sperimentazioni architettoniche, ma che fino ad allora erano state considerate con una certa sufficienza.

Nel caso della crisi terroristica-militare seguita all’attacco al World Trade Center di New York del 2001 e ai successivi attacchi terroristici in tutto il mondo, abbiamo assistito non solo alla militarizzazione camuffata degli spazi pubblici delle nostre città, ma soprattutto all’accelerazione e alla proliferazione dei meccanismi di controllo, esercitato ad un primo livello attraverso l’uso delle telecamere (il riconoscimento visivo) e ad un secondo livello attraverso il controllo dei dati e la manipolazione dei nostri comportamenti.

Lo scoppio della bolla finanziaria del 2008 avrebbe dovuto segnare la fine, in architettura, della stagione contrassegnata dallo star-system. Non più trophy buildings (musei, centri congressi, avveniristiche sedi di corporations), ma case, scuole, parchi, servizi sociali generosi verso le esigenze degli abitanti. Considerando la situazione in cui ci troviamo, non sembra sia veramente accaduto.

Questa crisi (come quelle più recenti generata da virus zoonotici, apparsi negli animali selvatici e trasmessi poi all’uomo) ci costringerà forse ad affrontare il problema dell’ambiente non solo da un punto di vista energetico o climatico, ma attraverso una riflessione più vasta che includa il nostro rapporto con le specie viventi. L’idea di cura dovrebbe informare non solo la pratica medica, ma la società (l’economia della cura), e anche il nostro rapporto con l’ambiente (prenderci cura di). Tuttavia questa nuova considerazione per l’ambiente può nascere solo attraverso nuovi sguardi, idee, parole, narrazioni. Questo dovrebbe essere il compito delle istituzioni che pretendono di avere a cuore il nostro futuro (e presente, e passato).

Mirko Zardini, architetto, autore e curatore, insegna all’università di Princeton ed è membro del Board of Trustees del Canadian Centre for Architecture, di cui è stato direttore dal 2005 al 2019.

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