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MERCATO/PLAYER Amazon, se la conosci
MERCATO/PLAYER
AMAZON, SE LA CONOSCI…
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È DA TEMPO CHE IN ITALIA SI VOCIFERA DI UN INTERESSE DELLA MULTINAZIONALE USA PER IL COMPARTO DELL’INGROSSO FOOD & BEVERAGE. UN MOTIVO PER APPROFONDIRE I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA (EBBENE SÌ, ESISTONO ANCHE QUELLI) DI UN’AZIENDA CHE HA RISCRITTO LA STORIA DEL COMMERCIO MONDIALE
DI ALDO GALEONE
Achi fa paura Amazon? La risposta più scontata potrebbe essere: a tutti coloro che si trovano sul suo cammino. Perché la grande multinazionale americana negli ultimi 15 anni ha scosso il commercio mondiale come nessun’altra società e prosegue con il suo passo, cercando sempre di esplorare nuovi ambiti dove poter espandere le attività, seppur in un contesto macroeconomico e di mercato meno favorevole per i giganti dell’hi-tech.
L’ingrosso food & beverage potrebbe essere uno dei prossimi terreni di conquista in Italia? Il solo pensiero di doversi confrontare con la creatura di Jeff Bezos fa venire i brividi a molti operatori del canale, ma l’unica contromisura per ora possibile è conoscere Amazon, i suoi punti di
forza strategici e finanziari. Scoprendo, ad esempio, che l’indiscusso re della logistica i veri soldi li fa quando vende servizi e non certo quando consegna oggetti acquistati
Parlare di ristrutturazione sembra eccessivo, mentre è probabilmente più corretto ricondurla a una posizione attendista assunta da Amazon in una fase complicata
per le aziende tecnologiche (vedi Apple e Facebook, per non parlare di Twitter). È indubbio che la crescita dei costi, in particolar modo di quelli legati alla tecnologia e all’acquisizione di contenuti per Prime Video, incide negativamente sul risultato operativo di Amazon, ma anche circostanze come la maxi-svalutazione
della partecipazione nella controllata Rivian, che produce veicoli elettrici, tradottasi in una consistente perdita netta nel primo semestre 2022, non devono far pensare a un ridimensionamento della capacità di innovazione
del gruppo, che finora è stata il vero carburante del suo sviluppo. Non a caso, lo accennavamo prima, già da tempo la vendita di servizi supera quella di beni.
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dal suo sconfinato catalogo. Come a dire che, anche per Amazon, la distribuzione fisica non è tutta rosa e fiori.
L’ONDATA DI LICENZIAMENTI
In poche ore ha fatto il giro del mondo: l’indiscrezione lanciata a metà dello scorso novembre dal quotidiano New York Times su un’ondata di 10.000 licenziamenti decisa da Amazon è stata ripresa da tutti i media internazionali. Al momento di mandare in stampa questo numero di GBI non ci sono conferme su una cifra che fa oggettivamente impressione, ma va pur sempre contestualizzata alla luce delle dimensioni ciclopiche dell’azienda, che tra tempo pieno e part-time conta circa 1,5 milioni di collaboratori nel mondo. Come inter-
pretare questa mossa?
PIÙ SERVIZI, MENO PRODOTTI
Da venditore puro di prodotti, Amazon sta gradualmente cambiando pelle e predilige la commercializzazione di servizi, sia legati alle aziende terze che utilizzano la sua piattaforma logistica per vendere i propri beni e che spendono in pubblicità e visibilità sui suoi portali e-commerce, sia di tipo informatico come il cloud. Un dato su tutti rende l’idea: a
livello mondiale Amazon ha incassato nei primi nove mesi del 2022 oltre 26 miliardi di dollari di pubblicità,
in crescita a doppia cifra sull’anno precedente. Una cifra enorme per qualsiasi gruppo editoriale e comparabile solo a colossi come Google e Facebook. Tanto per dare un termine di paragone, l’intera catena distributiva Whole Foods Market – acquisita nel 2017 – e gli altri punti vendita fisici nello stesso lasso di tempo hanno portato ricavi pari a 14 miliardi di dollari. L’andamento del fatturato, però, non è identico in tutti i luoghi del mondo. I risultati dei primi nove mesi del 2022 – gli ultimi disponibili al
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IL COLOSSO AMERICANO VA MONITORATO MA NEL SETTORE CI SONO MINACCE PIÙ CONCRETE DA TENERE SOTTO OSSERVAZIONE
momento di chiudere questo numero di GBI – svelano molte differenze.
Le attività americane sono salite nel terzo trimestre del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo un totale di 222 miliardi
di dollari nei nove mesi; nello stesso periodo le attività internazionali, dov’è inserita anche l’Italia ovviamente, sono scese del 5% a poco più di 83 miliardi di dollari. Un calo dovuto però all’effetto cambio molto sfavorevole per la società, alla luce del rafforzamento del dollaro rispetto alle altre principali monete.
IL CLOUD CRESCE A DOPPIA CIFRA
La gallina dalle uova d’oro resta Amazon Web Services (Aws), protagonista nei servizi cloud a livello mondiale che mette a segno un aumento del 27% con ricavi per
oltre 58 miliardi di dollari e soprattutto un risultato
operativo di oltre 17 miliardi di dollari. Va detto che la pubblicazione della trimestrale, lo scorso ottobre, è stata seguita da un autentico crollo del titolo, per via dei ricavi inferiori alle attese e di un utile netto diminuito a 2,9 miliardi di dollari, in flessione di circa il 9% rispetto all’anno precedente. Ma prescindendo dalla stretta attualità e dai mutevoli umori dei mercati finanziari, è possibile formulare qualche considerazione più strategica. Primo: gli enormi investimenti che
Amazon continua a mettere in campo, unitamente ai costi per l’acquisto di beni, servizi e contenuti audio e video, sono compatibili solo con tassi di incremento dei ricavi sem-
pre elevati. Quando la crescita si raffredda, la marginalità diventa negativa. Secondo: a prescindere dall’andamento in Borsa del titolo, Amazon è (giustamente) lo spauracchio maggiore per chi opera nel retail, per la sua potenza di fuoco e per la capacità di sviluppare sempre nuovi servizi. Tra questi ce n’è uno che attira curiosità e timore nel mondo del commercio all’ingrosso italiano: si tratta di Amazon Business.
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L’E-COMMERCE B2B
Nato nel 2015 ed esteso subito a livello internazionale, questo servizio si rivolge non al consumatore finale, ma alle aziende.
Lo si può definire e-commerce B2B ed è disponibile con prodotti rivenduti sia direttamente da Amazon sia da aziende terze (dove cioè la società mette a disposizione solo la sua infrastruttura logistica e i suoi siti e-commerce) anche nel food & beverage, con l’esclusione dei
prodotti freschi. Il gruppo Usa non fornisce dati puntuali su quanto valga Amazon Business in termini di ricavi, ma a fine settembre ha pubblicato una ricerca proprio incentrata su questo servizio, che mette a fuoco tutti i vantaggi per le aziende nell’acquistare online prodotti e servizi. Tra
i benefici più importanti si segnala la grande varietà di scelta e l’efficienza nelle consegne anche a lungo rag-
gio, in un mercato – quello americano – dove il B2B online
rappresenta già una buona fetta di vendite in alcuni settori, in particolare nelle amministrazioni pubbliche e nel settore ospedaliero. Amazon Business può quindi rappresentare una minaccia per il comparto dell’ingrosso alimentare italiano. Ma non in questo momento probabilmente. Ecco perché.
IL TALLONE D’ACHILLE? LA GESTIONE DEL CREDITO
I grossisti tradizionali hanno ancora dei profili di vantaggio comparato che li tengono al riparo. A iniziare dalla gestione del credito con la clientela. Importantissima soprattutto quando ci sono fasi di turbolenza dell’economia o situazioni al limite come la pandemia da Covid-19.
In questo momento Amazon non ha nessun tipo di gestione del credito. Il canale Business funziona esattamente come quello dei consumatori privati: bisogna pagare
necessariamente in anticipo per ricevere la merce. Una limitazione importante, che però – va precisato con chiarezza – potrebbe essere destinata a sparire. Nel mondo ci sono ormai tante applicazioni che consentono di posticipare il pagamento di acquisti online (“buy now pay later” si chiamano in gergo) ed è solo questione di tempo perché sbarchino su Amazon. Peraltro, il tema del saldo anticipato già oggi potrebbe
non essere un ostacolo per quei gestori di pubblici eser-
cizi che non hanno problemi di liquidità e che possono quindi trarre vantaggio dal livello di servizio di Amazon. Se si porta all’eccesso questo ragionamento si può arrivare a pensare che la formula Business selezioni la clientela, lasciando ai grossisti tradizionali quella con minore merito di credito.
ATTENTI ANCHE A ESSELUNGA
“Il colosso americano va monitorato – sostiene Febo Leondini, Presidente di AFDB – ma vorrei evidenziare che nell’ingrosso food & beverage c’è un’altra minaccia che io considero forse ancora più concreta. In pochi se ne sono
accorti, ma qualche mese fa Esselunga ha iniziato una sperimentazione come grossista. Il servizio si appoggia, per il momento, al format di prossimità a insegna LaEsse, arrivato a quota undici punti vendita, ed è pensato so-
lo per gli alimentari e non per le bevande. Esselunga, tramite la sua rete di bar Atlantic, ha già una approfondita conoscenza del settore e potrebbe estenderla a un nuovo canale che si affianca a quello della grande distribuzione. Se poi altri operatori della Gdo dovessero imitarla, grazie alla loro capacità finanziaria e logistica si potrebbe assistere a stravolgimenti del mercato”. Quali sono i punti di forza dei grossisti tradizionali? “Sicuramente la gestione del credito – risponde Leondini – e poi il beverage. Il servizio di Esselunga non prevede
le bevande perché hanno una logistica costosa e poco remunerativa, tranne i prodotti premium. I nuovi entranti ben difficilmente verranno ad attaccare questo segmento di mercato, che per la stessa Amazon non
rappresenta sicuramente un affare”. La medaglia, come sempre, ha però anche un rovescio: “Il rischio è che l’e-commerce possa sottrarre all’ingrosso la parte più remunerativa del beverage – avverte Leondini – facendo leva sul prezzo. In pratica, i grossisti perderebbero l’area più interessante dell’assortimento attualmente distribuito, che va a compensare i bassi margini di acqua, birra e soft drinks”.
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