Bollettino

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N° 23 Maggio Agosto 2010

Camminiamo insieme Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato


Camminiamo insieme

Periodico della Comunità dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato Numero 23 - Maggio Agosto 2010

In copertina

Collaboratori di questo numero: Mons. Mario Stoppani, Don Claudio Chiecca, Mons. Vittorio Formenti, p. Lorenzo Agosti, prof.ssa Cinzia De Lotto, Il Liturgista, Severino Dianich, Ettore Galloni; Contributi di: Benedetto XVI, Lucetta Scaraffia, Aurelio Molè, Dario E. Viganò, Sergio Nicolli, COSP, La Voce del Popolo, Organismi Diocesani Pastorali Segreteria: Agostina Cavalli Fotografie di: Erika Zani Impaginazione Giuseppe Sisinni Stampa G.A.R. di Ruffini s.r.l. - Castrezzato (BS)

L’icona del sec. XIX raffigurata in copertina, come lasciano supporre le notevoli dimensioni, proviene con ogni probabilità da una chiesa, forse consacrata al culto dei due santi. Le figure sono dipinte con tratti sicuri e marcati; destinate ad essere osservate da lontano, esse dovevano colpire i fedeli con la loro forte espressività. La raffigurazione è fedele al canone iconografico, che stabilisce le vesti, la foggia della barba e gli attributi che contraddistinguono i due apostoli. Paolo regge il Vangelo; Pietro tiene nella mano sinistra le chiavi, suo attributo simbolico anche nella pittura occidentale. Domina la composizione l’immagine del Cristo Pantocrator, emergente da un semicerchio di nubi, con il Vangelo chiuso nella sinistra e la destra benedicente. Il capo di Cristo è circondato dall’aureola, che porta inscritta la croce e le tradizionali lettere greche, espressione della definizione scritturale “Colui che è”. Il Pantocrator è circondato da una “mandorla”, attraversata da raggi luminosi, segno di gloria. Ai bordi sono dipinti quattro santi devozionali. S. Niceforo patriarca e confessore. (A sinistra in alto) S. Giovanni “il Nuovo”, originario dell’Epiro. (A sinistra in basso) S. Anatolio, Patriarca di Costantinopoli nel V sec. (A destra in alto) S. Giaconte, originario di Cesarea di Cappadocia, martire nel 108. (A destra in basso.)

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Sommario 3 7 11 16 17 22 28 31 35 40 45 50

Lettera del Parroco L’umanità del prete

Formazione liturgica I nostri patroni Pietro e Paolo

Consiglio pastorale parrocchiale Comunione e corresponsabilità nella parrocchia

Vita Cristiana La libertà del Papa

Vita Cristiana Bufera mediatica sulla Chiesa

Vita cristiana Chi difende in questo momento i preti?

Famiglia Paura della definitività

Spazio oratorio Un’estate sottosopra cola di colori

Cresime 2010 Elenco e foto cresimati

Prima confessione Elenco e foto dei bambini della prima confessione

Vita parrocchiale Il nuovo fonte battesimale

Arte e fede Caravaggio, un uomo in fuga


Lettera del Parroco Il sacerdote è scelto tra gli uomini

L’umanità del prete

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arissimi, giugno è il mese del Corpus Domini, della Solennità del S. Corpo e Sangue di Cristo, come oggi la liturgia denomina questa bellissima festa. È anche il mese delle Ordinazioni sacerdotali e delle Prime S. Messe (se il buon Dio fa ancora dono di qualche novello sacerdote in questi tempi di aridità e di crisi). Quello che sta avvenendo nella Chiesa in questi mesi, è sotto gli occhi di tutti, amplificato a dismisura dagli organi di stampa e dai mass-media internazionali. Si è come scoperchiato il “vaso di Pandora”, facendo emergere - accanto a casi attuali di abuso tremendamente veri e deprecabili da parte di religiosi- anche casi di corruzione e di abuso vecchi di decenni, facendone pesare solo sull’attuale autorità ecclesiastica la responsabilità. La Chiesa sta vivendo - non si può negarlo - una fase di difficoltà e di tribolazione. Il rischio – purtroppo possibile

– è di esprimere giudizi sommari e generalizzati, accomunando preti virtuosi e onesti (che sono la stragrande maggioranza) a pochissi-

mi altri che hanno profanato per miseria morale, irresponsabilità e immaturità psicologica il sacro ministero con una condotta indegna, creando danni alle vittime; dolore e vergogna incancellabile alla Chiesa in nome della quale operavano. Certo la percentuale degli scandali è minima rispetto alla totalità dei preti ed è sempre preceduta da uno zero: ma anche un solo caso criminoso in questo campo, è di troppo. Il Papa, cui va il nostro rispetto per il coraggio e la chiarezza che sta dimostrando nell’incidere questa piaga puru-

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Lettera del Parroco lenta con il bisturi della verità, della giustizia e della tutela delle vittime, ha dato ai Confratelli Vescovi delle linee decise per estirpare il male, difendere le vittime innocenti degli abusi e tutelare altresì la buona fama dei preti che fanno il loro dovere. Certo fa più rumore - tutti lo sappiamo - un albero che cade che una foresta che cresce silenziosamente. Comunque anche prescindendo dalla presente congiuntura dolorosa, la festa del S. Corpo e Sangue di Cristo e quella del S. Cuore mi sollecita a fare una riflessione ad alta voce sull’umanità del prete. Intendo dire del prete ordinario, feriale, quello delle nostre parrocchie e dei nostri oratori: del prete “soldato-semplice” che, rispondendo con gioia alla chiamata di Cristo, ha messo anche tutta la sua umanità a servizio del regno. Ci chiediamo perciò: “Che cos’è un sacerdote? (o un presbitero come si preferisce esprimersi oggi) Tutto e niente! Grandezza e debolezza. Il prete è “un assetato” che disseta. È un pover’uomo che dona ricchezze non sue. Nella Lettera agli Ebrei l’autore sacro afferma per prima cosa - che il sacerdote è scelto tra gli uomini. Anche Gesù Cristo, Sommo ed eterno Sacerdote, nato da donna, soggetto alla Legge, pellegrino attraverso la valle del pianto della realtà terrena, volle essere il Figlio dell’Uomo, cioè Uomo vero in tutto simile a noi fuorché nel peccato. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti noi siamo fatti: è nostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell’uomo anche dopo che la mano di Dio, attraverso la mano del Vescovo, si è posata su di lui. La sorte dei deboli, la sorte di chi si sente stanco, scoraggiato, inadeguato, peccatore, è pure sua. Gli uomini però se l’hanno a male se uno si presenta nel nome di Dio pur essendo soltanto un uomo:

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vogliono messaggeri più splendidi, araldi più convincenti, cuori più ardenti, persone impeccabili. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio a tutto. Terribile illusione! (Anche se va pur detto che un prete superbo e presuntuoso non facilita certo l’accostamento alla gente). Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch’essi pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! I ministri di Cristo devono anch’essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia che trasforma i peccatori e i perduti in santi redenti. Sono uomini quelli che vengono: ambasciatori di Dio sì, ma uomini. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Come messaggeri umani dell’Eterno Dio, dicono: non scandalizzatevi di noi, non pretendete che vi siano inviati degli angeli. Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posto il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Anche voi un giorno avrete paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l’uomo, che cosa c’è nell’uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell’uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può

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essere concessa all’uomo, al pover’uomo così com’è. Recitiamo nel Credo “Per noi uomini e per la nostra salvezza Gesù Cristo discese dal cielo e si fece uomo”. Egli – il Cristo – ebbe cuore divino, ma pure un cuore realmente umano! Giugno, mese del S. Cuore, mese del Corpus Domini, mese delle Ordinazioni sacerdotali ci tenga viva questa certezza: che mediante il sacerdozio ministeriale Gesù Cristo entra in contatto con gli uomini fratelli e li redime dal di dentro della pasta della loro debolezza. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta ai lati della strada dove scorre da secoli il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, diretti non si sa bene - se verso la morte o verso la vita, offrendo il suo dono: dono unico e non suo. Chi si ferma da lui, chi accetta l’offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio; per lui si realizza nel tempo l’eternità; dalla morte alla vita; dalle tenebre alla luce. E si manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di far penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell’efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della Santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete. A conclusione ormai dell’Anno Sacerdotale, che ha riservato gioie ineffabili, ma pure dolori lancinanti alla Madre Chiesa e al Papa, riconosciamo questo immenso dono che Cristo ha voluto fare alla Sua Sposa, la Chiesa, affidando ad un uomo debole e peccatore, l’offerta sacrificale della Sua Cena di salvezza: mistero che costituisce l’aspetto più intimo e supremo dell’esistenza sacerdotale. Grazie, o Signore per il dono del Sacerdozio ministeriale. Vostro don Mario.


In copertina Icona russa in copertina

SS. Pietro e Paolo Le figure dei santi apostoli Pietro e Paolo sono universalmente note; il loro ruolo nella storia della diffusione del messaggio cristiano è centrale per tutto il periodo cosiddetto “apostolico”.

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imone è il povero pescatore della Galilea a cui Cristo ordinò “Pasci le mie pecorelle” (Giovanni, 21. 17). Egli diventa Pietro, che in aramaico vuoi dire “pietra” (cefa): “E Gesù gli rispose: ‘Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli” (Matteo, 16. 17-19). Su queste parole è fondata la dottrina del primato di Pietro sugli altri apostoli e, di conseguenza, dei papi sui vescovi. Pietro è ancorara il prescelto per assistere alla trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Anche in altri momenti importanti della vita di Gesù egli è presente: nell’entrata in Gerusalemme, nel Cenacolo, nell’Orto degli Olivi. Dopo l’apostolato in Giudea, Siria ed Egitto, Pietro divenne primo vescovo di Roma, fondando l’istituto del papato. Subì il martirio all’epoca di Nerone (68 circa); condannato alla crocifissione, pregò i carnefici di crocifiggerlo a testa in giù, non ritenendosi degno di subire la stessa morte di Cristo. Notizie sulla

vita di Paolo ci sono fornite, oltre che dagli Atti degli Apostoli, anche dalle sue Lettere. Nato da una famiglia della diaspora a Tarso, in Cilicia, centro commerciale e culturale importante, studiò a Gerusalemme alla scuola di Gamaliele; perseguitò dapprima i cristiani, ma poi, com’è noto, sulla strada di Damasco avvenne la sua conversione miracolosa (Atti, 9. 1-7). La sua intensa predicazione in Grecia e in Asia Minore gli guadagnò il nome di “apostolo delle genti”. Ma la sfera d’azione di Paolo fu soprattutto l’Occidente. Nei suoi numerosi viaggi apostolici subì persecuzIoni di ogni genere, che si conclusero, pare, a Roma; qui secondo alcuni storici Paolo fu arrestato e ucciso all’epoca di Nerone, nel 64. Altre fonti invece sostengono che egli fu decapitato fuori le mura nel 67, nel podere “alle tre fontane”, dove i monaci trappisti hanno oggi una suggestiva abbazia. Mentre Pietro restò sempre legato alle pratiche religiose giudaiche che cercò di imporre ai cristiani, Paolo gli oppose la tesi universalistica, che svincola i cristiani da ogni residuo di giudaismo per renderli liberi di operare nello spirito della nuova religione. Una parte delle storiografia tende a vedere nel paolinismo una vera e propria svolta nella visione cristiana se non addirittura una deformazione

del primitivo messaggio evangelico. Vero è che gli scritti paolini, giuntici in una forma frammentaria, sono ricchi di spunti passibili di diverse interpretazioni, e ad essi hanno attinto in egual modo tanto i teologi cattolici che quelli protestanti. I due apostoli sono commemorati insieme sia dalla Chiesa Cattolica che da quella Ortodossa il 29 giugno, festività che però nella tradizione russa popolare è nota solo come Giorno di Pietro (Petrov Den). Assai più diffuso è infatti in Russia il culto di Pietro, mentre il messaggio paolino non vi ha trovato un terreno molto fertile. Pietro è onorato come protettore dei pescatori e del commercio del pesce, e in questa ricorrenza era usanza tenere fiere e mercati nei villaggi. Il 29 giugno si concludeva inoltre un periodo di astinenza con la tradizionale offerta del pane e del formaggio nelle chiese. Nei festeggiamenti riservati al Giorno di Pietro permangono numerose reminiscenze pagane; nell’antichità infatti era questo il “Giorno del Sole”, consacrato al gioco, al riposo e al compimento di particolari rituali in onore dell’astro. Il contadino russo credeva che in questo giorno il sole stesso, al mattino presto, compisse dei giochi nel cielo. Un viaggiatore straniero così descrive i festeggiamenti del 29

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In copertina giugno: “Tutti i russi e i moscoviti verso il Giorno di Pietro rinnovano uno spettacolo antichissimo. Sebbene essi siano assai severi e tengano le loro donne sempre in casa, permettendo loro di uscire solo raramente per recarsi in chiesa o da conoscenti, in alcune ricorrenze permettono alle mogli e alle figlie di andare nei prati; qui esse si dondolano su altalene, cantano certe canzoni, si tengono per mano, fanno dei cerchi e ballano battendo il tempo con le mani e coi piedi”. Ma la festività rivestiva anche un importante significato giuridico. Era infatti questo il termine ultimo per il versamento dei tributi e dei dazi, come ricordano molti documenti ufficiali del XVI e XVII secolo. Tali versamenti erano chiamati spesso “tributi di Pietro” (Petrovskaja dan ‘). A questa data inoltre era usanza risolvere le pendenze processuali e concludere i contratti commerciali. L’icona in esame, come lasciano supporre le notevoli dimensioni, proviene con ogni probabilità da una chiesa, forse consacrata al culto dei due santi. L’immagine è contraddistinta da equilibrio compositivo: i santi sono

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ritratti rivolti uno verso l’altro, intenti quasi in un colloquio ideale; le pose, pur solenni, sono animate da un dinamismo interiore, suggerito dal leggero avanzamento di una gamba e dal ricco panneggio delle vesti. Le figure sono dipinte con tratti sicuri e marcati; destinate ad essere osservate da lontano, esse dovevano colpire i fedeli con la loro forte espressività. La raffigurazione è fedele al canone iconografico, che stabilisce le vesti, la foggia della barba e gli attributi che contraddistinguono i due apostoli. Paolo regge il Vangelo; Pietro tiene nella mano sinistra le chiavi, suo attributo simbolico anche nella pittura occidentale. Domina la composizione l’immagine del Cristo Pantocrator, emergente da un semicerchio di nubi, con il Vangelo chiuso nella sinistra e la destra benedicente. Il capo di Cristo è circondato dall’aureola, che porta inscritta la croce e le tradizionali lettere greche, espressione della definizione scritturale “Colui che è”. Il Pantocrator è circondato una “mandorla”, attraversata da raggi luminosi, segno di gloria. Interessante è lo sfondo paesaggistico dell’icona, realizzato in una

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maniera realistica di chiaro influsso occidentale, che si associa per contrasto alla severa stilizzazione delle figure. La superficie del lago, con il digradare delle sfumature di azzurro, e la vegetazione sono dipinti con una visione prospettica che crea un effetto di profondità, sospingendo in primo piano le figure dei due apostoli. Ai bordi sono dipinti quattro santi devozionali. S. Niceforo patriarca e confessore. 11 santo fu patriarca di Costantinopoli nel IX secolo e condusse una strenua lotta in difersa del culto delle immagini sacre nell’ambito delle lotte iconoclaste. È commemorato il 2 giugno. (A sinistra in alto.) S. Giovanni “il Nuovo”, originario dell’Epiro, morì martire a Costantinopoli per mano dei mussulmani nel 1526. È commemorato il 18 aprile. (A sinistra in basso.) S. Anatolio, Patriarca di Costantinopoli nel V sec., commemorato il 3 luglio. (A destra in alto) S. Giaconte, originario di Cesarea di Cappadocia, martire nel 108, commemorato il 3 luglio. (A destra in basso.) Prof.ssa Cinzia De Lotto


Formazione liturgica 29 giugno Santi Pietro e Paolo Apostoli

I nostri patroni Pietro e Paolo Nota storico-liturgica

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a solennità degli apostoli romani è già celebrata dalla Depositio martyrum del 354 a questa data del 29 giugno, quando si festeggiava san Paolo sulla sua tomba sulla via Ostiense e san Pietro alla catacomba della via Appia (perché la Basilica vaticana era in costruzione). Nel secolo VII la solennità, che al tempo di Ambrogio era ripartita nelle tre stazioni con una Messa vigiliare, si divise a Roma in due giorni perché la commemorazione di san Paolo si spostò al giorno seguente (30 giugno), pur rimanendo sempre inclusa anche nelle Messe del 29 giugno; e tale duplice festa si diffuse sia in Oriente che in Occidente. Oggi la Messa vespertina nella vigilia prepara l’unica celebrazione che riunisce i due apostoli. Secondo la testimonianza più antica di Tertulliano (secolo II), Pietro di Betsaida (sul lago di Genezaret), il cui nome giudaico era Simeone (Simone) poi chiamato Kefa (pietra), morì crocifisso; e secondo Origene, con la testa all’ingiù (secondo l’uso romano di crocifiggere gli schiavi). I recenti scavi confermano che il martirio del capo degli apostoli (verso il 67) è avvenuto sul colle Vaticano, dove è stata costruita la basilica costantiniana. Paolo di Tarso (nella Cilicia), il cui nome era Saulo, fariseo di fede poi convertito (31/32), dopo la secon-

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Formazione liturgica da prigionia a Roma fu decapitato verso il 67 (come attesta pure Tertulliano secondo una tradizione costante), presso la via Ostiense (Ad Aquas Salvias, a cinque km da Roma), non molto lontano dalla grande basilica costruita sul luogo della prima traslazione (e affidata ai monaci già nel secolo VI). Messaggio e attualità Dall’eucologia della Messa si può delineare il principale significato ecclesiologico dei due apostoli, sempre collegati nella venerazione del popolo cristiano, «condividendo la stessa corona di gloria» (prefazio), anche se non è provato che ambedue siano stati imprigionati nello stesso carcere Mamertino. a) Nella nuova colletta della Messa vigiliare si enuncia, con una frase derivata dal sacramentario Veronense (n. 1219), che «Dio ha dato alla sua Chiesa i primi inizi (“rudimenta”) del dono celeste (della fede)»; e tali inizi, nell’ orazione dopo la comunione, sono qualificati come un’illuminazione attraverso la dottrina degli apostoli. Lo stesso tema ricorre nell’orazione della Messa del giorno, evidenziando che, per mezzo degli apostoli, la «Chiesa ha assunto l’esordio della sua religione» (colletta); e che questa fede apostolica si manifesta in quelle note che hanno caratterizzato l’ideale della Chiesa gerosolimitana: perseveranza nella frazione del pane, nella dottrina degli apostoli, per formare nel vincolo della carità un cuor solo e un’anima sola, e nella preghiera degli stessi apostoli (cfr. orazione sulle offerte). b) Una sintesi di questa teologia dell’apostolicità è espressa nel nuovo prefazio, dove sono enumerati con parallelismo integrativo i tratti dei due

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apostoli, che con diversi doni hanno edificato l’unica Chiesa: «Pietro, come primo confessore della fede e fondatore della prima comunità con i giusti di Israele; Paolo, come l’illuminatore delle profondità del mistero e il maestro e dottore che annunciò la salvezza a tutte le genti». Oggi, nella città dei due apostoli, il monumento del Palatino da cui è stato decretato l’editto civile dell’incarnazione e della redenzione — attraverso il noto censimento di Quirino governatore della Siria per ordine di Cesare Augusto (Lc 2,1-2) e il mandato del procuratore romano Pilato (Lc 23,25) di crocifiggere Gesù — è ridotto a un rudere archeologico; mentre la sede apostolica, «che presiede alla carità di tutte le Chiese (Ignazio, Ai Rom.), è giustamente celebrata come «Roma felice che è stata imporporata dal prezioso sangue di così grandi capi» (nell’inno carolingio dell’ufficio di lettura e dei II vespri). Essa raggiunge il vertice eccelso della devozione, perché «è fondata da tale sangue ed è

tanto nobile per tale vate» (inno alle lodi, di sant’Ambrogio, quinta strofa). In questa città, dove da duemila anni governano la Chiesa i successori di Pietro e Paolo (di cui quattro sono stati certamente martiri, otto sono scomparsi per morte violenta, undici sono morti in esilio o in prigione, e cinquantuno sono stati canonizzati), si fa memoria dei due apostoli che danno senso all’avventura tumultuosa ma anche così luminosa dei papi. Infatti il loro martirio è segno di unità della Chiesa, come dice Agostino nel discorso dell’ufficio di lettura: «Un solo giorno della passione per i due apostoli; ma quei due erano una cosa sola; benché abbiano sofferto in giorni diversi, erano una cosa sola. Ha preceduto Pietro, lo ha seguito Paolo. Celebriamo il giorno festivo degli apostoli consacrato per noi dal loro sangue. Amiamo la fede, la vita, le fatiche, le passioni, le confessioni, le predicazioni». Tale è l’attualità permanente di questa festa così ecumenica.

Prefazio (Proprio dei Barnabiti, 34)

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, lodarti, Signore, con tutto il cuore nel glorioso trionfo dell’apostolo Paolo: egli esultò come prode, percorrendo le strade del mondo intero, per predicare Cristo crocifisso a tutti i popoli; e colui che diceva: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me», concluse la sua vita con l’effusione del sangue, completando in se stesso ciò che mancava ai patimenti di Cristo.

Camminiamo insieme

il liturgista


Consiglio pastorale parrocchiale Consiglio pastorale

Comunione e corresponsabilità nella parrocchia Il tema della comunione e della corresponsabilità si colloca sullo sfondo della rinnovata coscienza ecclesiologica conciliare e delle scelte che la Chiesa è andata compiendo nel suo recente cammino.

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a Chiesa è totalmente orientata alla comunione. Essa è e dev’essere sempre, come ricorda Giovanni Paolo Il, «casa e scuola di comunione». La Chiesa è casa, edificio, dimora ospitale che va costruita mediante l’educazione a una spiritualità di comunione. Questo significa far spazio costantemente al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Ma ciò è possibile solo se, consapevoli di essere peccatori perdonati, guardiamo a tutta la comunità come alla comunione di coloro che il Signore santifica ogni giorno. L’altro non sarà più un nemico, né un peccatore da cui separarmi, bensì «uno che mi appartiene». Con lui potrò rallegrarmi della comune misericordia, potrò condividere gioie e dolori, contraddizioni e speranze. Insieme, saremo a poco a poco spinti ad allargare il cerchio di questa condivisione, a farci annunciatori della gioia e delle speranza che insieme abbiamo scoperto nelle nostre vite grazie al Verbo della vita. Soltanto se sarà davvero «casa di comunione», resa salda dal Signore e dalla Parola della sua grazia, che ha il potere di edificare (cfr. At 20,32), la Chiesa potrà diventare anche «scuola di comunione». E’ importante che ciò avvenga: in ogni luogo le nostre comunità sono chiamate ad essere segni di unità, promotori di comunione, per additare

umilmente ma con convinzione a tutti gli uomini la Gerusalemme celeste, che è al tempo stesso la loro «madre» (Gal 4,26) e la patria verso la quale sono incamminati. [...] Ma non dimentichiamo l’avvertimento di Giovanni Paolo II: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita». ( CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia 65) Accanto al tema della comunione-corresponsabilità va considerato anche quello della parrocchia, come il luogo privilegiato per l’esercizio di tale dimensione peculiare dell’esperienza cristiana oggi. La parrocchia è definita giustamente come «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». La parrocchia è una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa, una ripartizione meramente funzionale della diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare. Con altre forme la Chiesa risponde a molte esigenze dell’evangelizzazione e della testimonianza: con la vita consacrata, con le attività di pastorale d’am-

biente, con le aggregazioni ecclesiali. Ma è la parrocchia a rendere visibile la Chiesa come segno efficace dell’annuncio del Vangelo per la vita dell’uomo nella sua quotidianità e dei frutti di comunione che ne scaturiscono per tutta la società. Scrive Giovanni Paolo II: la parrocchia è il «nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi». La parrocchia è una comunità di fedeli nella Chiesa particolare, di cui è «come una cellula», a cui appartengono i battezzati nella Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio, senza esclusione di nessuno, senza possibilità di elitarismo. In essa si vivono rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, e si accede ai doni sacramentali, al cui centro c’è l’Eucaristia; ma ci si fa anche carico degli abitanti di tutto il territorio, sentendosi mandati a tutti. (CEI II volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia 3). Possono essere tre le direttrici su cui è chiamata a viaggiare la parrocchia nel realizzare il suo peculiare servizio all’annuncio del Vangelo: Una comunità che annuncia e celebra La prima linea del cammino della pastorale parrocchiale va indivi-

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Consiglio pastorale parrocchiale duata nel suo essere una comunità che arriva e parte dall’Eucaristia. La comunione tra i credenti trova nell’Eucaristia la sua sorgente e la sua meta verso cui tutti sono invitati a tendere. La fraternità che si sviluppa nella costruzione delle relazioni sociali, favorite dal vivere sullo stesso territorio, viene vissuta in una maniera del tutto singolare da una comunità che si stringe attorno allo stesso altare.

Una comunità di credenti responsabili Vissuta così, la comunità di altare permetterà di far crescere carismi e ministeri al servizio dell’unico annuncio del Vangelo. La maturazione della responsabilità ecclesiale, come si è già detto, è segno di una fede adulta e matura, che sa farsi carico del bonum Ecclesiae come valore da costruire con pazienza e tenacia.

Una comunità di missione La circolarità tra comunione e missione è la grande legge della Chiesa e, dunque, anche della parrocchia. Questa è, in fondo, la scommessa della parrocchia del futuro: che essa realizzi meno un cristianesimo per sé e di più un cristianesimo che, proprio perché si fa carico degli altri, finisce per ritrovare la sua giusta dimensione. Organismi diocesani pastorali

PARROCCHIA S.S. PIETRO E PAOLO - APOSTOLI

Consiglio Pastorale Parrocchiale 2010-2015 CASTREZZATO( DIOCESI DI BRESCIA) CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE 2010-2015 LISTA GIOVANI ELETTI DAI FEDELI 1 - Ramera Monica 2 - Serotti Luca 3 - Lancini Elisa 4 - Berardi Angelo 5 - Zotti Milena 6 - Lupatini Giulia 7 - Cavalli Andrea NOMINATI DAL PARROCO 8 - Casali Sergio 9 - Ungaro Paola LISTA ADULTI ELETTI DAI FEDELI 10 - Butti Luisa 11 - Mambretti Francesco 12 - Piscioli Marco 13 - Manenti Felice 14 - Putignano Itala 15 - Marini Cristina 16 - Pontoglio Cristina 17 - Mombelli Sonia 18 - Bordonali Donatella 19 - Gaspari Claudio NOMINATI DAL PARROCO 20 - Buzzoni Rinaldo 21 - Guerrini Bruna 22 -Rodella Domenico 23 - Casali Adriano 24 - Bissolotti Tiziano LISTA ADULTI MATURI ELETTI DAI FEDELI 25 - Marinelli Giuseppe 26 - Brianza Silvana 27 - Maifredi Agnese 28 - Palini Rina NOMINATI DAL PARROCO 29 - Genocchio Mariangela MEMBRI DI DIRITTO Parroco - Vicario Parr.le - Suora - Presidente A.C. TOTALE 33 membri

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Spiritualità Per la maturità della fede: la cura degli adulti e della famiglia

Cosa significa fare pastorale oggi

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na parrocchia dal volto missionario deve assumere la scelta coraggiosa di servire la fede delle persone in tutti i momenti e i luoghi in cui si esprime. Ciò significa tener conto di come la fede oggi viene percepita e va educata. La cultura post-moderna apprezza la fede, ma la restringe al bisogno religioso; in pratica la fede è stimata e valorizzata se aiuta a dare unità e senso alla vita d’oggi frammentata e dispersa. Più difficile risulta invece introdurre alla fede come apertura al trascendente e alle scelte stabili di vita nella sequela di Cristo, superando il vissuto immediato, coltivando anche un esito pubblico della propria esperienza cristiana. Ogni sacerdote sa bene quanta fatica costa far passare dalla domanda che invoca guarigione, serenità e fiducia alla forma di esistenza che arrischia l’avventura cristiana. Questo vale non solo per il servizio agli altri, ma prima ancora per la scelta vocazionale, la vita della famiglia, l’onestà nella professione, la testimonianza nella società. La parrocchia missionaria, per non scadere in sterile retorica, deve servire la vita concreta delle persone, soprattutto la crescita dei ragazzi e dei giovani, la dignità della donna e la sua vocazione - tra realizzazione di sé nel lavoro e nella società e dono di sé nella generazione - e la difficile tenuta delle famiglie, ricordando che il mistero santo di Dio raggiunge tutte le persone in

ogni risvolto della loro esistenza. A questo punto, però, non si può non rileggere con coraggio l’intera azione pastorale, perché, come tutti avvertono e sollecitano, sia più attenta e aperta alla questione dell’adulto. L’adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione e in un cambiamento di vita

soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo. Dagli affetti la persona viene generata nella sua identità e attraverso le relazioni costruisce l’ambiente sociale; con il lavoro esprime ;a propria capacità creativa e assume responsabili-

tà verso il mondo; nel riposo trova spazio per la ricerca dell’equilibrio e dell’approfondimento del significato della vita. Gli adulti di oggi risponderanno alle proposte formative della parrocchia solo se si sentiranno interpellati su questi tre fronti con intelligenza e originalità. L’esperienza degli affetti è soprattutto quella dell’amore tra uomo e donna e tra genitori e figli. La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di famiglie, e considera la famiglia non solo come destinataria della sua attenzione, ma come vera e propria risorsa dei cammini e delle proposte pastorali. Tra le molte occasioni che la pastorale parrocchiale propone, ne indichiamo alcune particolarmente significative. Anzitutto la preparazione al matrimonio e alla famiglia, per molti occasione di contatto con la comunità cristiana dopo anni di lontananza. Deve diventare un percorso di ripresa della fede, per far conoscere Dio, sorgente e garanzia dell’amore umano, la rivelazione del suo Figlio, misura d’ogni vero amore, la comunità dei suoi discepoli, in cui Parola e Sacramenti sostengono il cammino spesso precario dell’amore. Grande attenzione va dedicata a contenuti e metodo, per favorire accoglienza, relazioni, confronto, accompagnamento.

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Spiritualità

Il cammino di preparazione deve trovare continuità, con forme diverse, almeno nei primi anni di matrimonio. Un secondo momento da curare è l’attesa e la nascita dei figli, soprattutto del primo. Sono ancora molti i genitori che chiedono il Battesimo per i loro bambini: vanno orientati, con l’aiuto di catechisti, non solo a preparare il rito, ma a riscoprire il senso della vita cristiana e il compito educativo. C’è, poi, la richiesta di catechesi e di sacramenti per i figli divenuti fanciulli. Ne abbiamo già accennato, sottolineando che non è possibile accettare un’”assenza” dei genitori nel cammino dei figli. È bene valorizzare esperienze che si vanno diffondendo di “catechesi familiare”, con varie forme di coinvolgimento, tra cui percorsi integrati tra il cammino dei fanciulli e quello degli adulti. Occorre sostenere la responsabilità educativa primaria dei genitori, dando continuità ai percorsi formativi della parrocchia e delle altre agenzie educative del territorio. Qui si inserisce anche il dialogo della parrocchia con tutta la scuola e in particolare con la scuola cattolica - spesso presente nelle parrocchie come scuola dell’infanzia - e con gli insegnanti di religione cattolica. Infine, non vanno dimenticati i momenti di difficoltà delle famiglie, soprattutto a causa di malattie o di altre sofferenze, in cui persone anche ai margini della vita di fede sentono il bisogno di una parola e di un gesto che esprimano condivisione umana e si radichino nel mistero di Dio. Qui resta decisivo il ruolo del sacerdote, come pure dei diaconi, ma anche quello di coppie di sposi che siano espressione di una comunità che accoglie, toglie dall’isolamento, offre un senso ulteriore; un ruolo importante può essere

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svolto dai consultori familiari e dai centri di aiuto alla vita. La comunità esprima vicinanza e si prenda cura anche dei matrimoni in difficoltà e delle situazioni irregolari, aiutando a trovare percorsi di chiarificazione e sostegno per il cammino di fede. Nessuno si senta escluso dalla vita della parrocchia: spazi di attiva partecipazione possono essere individuati tra le varie forme del servizio della carità anche per coloro che, in ragione della loro condizione familiare, non possono accedere all’Eucaristia o assumere ruoli connessi con la vita sacramentale e con il servizio della Parola. Se la famiglia oggi è in crisi, soprattutto nella sua identità e progettualità cristiana, resta ancora un “desiderio di famiglia” tra i giovani, da alimentare correttamente: non possiamo lasciarli soli; il loro orientamento andrebbe curato fin dall’adolescenza. Ma è l’intero rapporto tra la comunità cristiana e i giovani che va ripensato e, per così dire, capovolto: da problema a risorsa. Il dialogo tra le generazioni è sempre più difficile, ma le parrocchie devono avere il coraggio di Giovanni Paolo II, che ai giovani affida il compito impegnativo di “sentinelle del mattino”. Missionarietà verso i giovani vuol dire entrare nei loro mondi, frequentando i loro linguaggi, rendendo missionari gli stessi giovani, con la fermezza della verità e il coraggio dell’integralità della proposta evangelica. L’esperienza del lavoro percorre oggi strade sempre più complesse, a causa di molteplici fattori, tra i primi quelli riconducibili alle innovazioni tecnologiche e ai processi di globalizzazione. Ci vogliono competenze che possono essere assicurate solo da livelli più integrati, diocesani o almeno zonali, e da dedizioni più specifiche, come quelle promosse dalla pastorale d’ambiente e dalle esperienze as-

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sociative. Lo stesso vale per l’ambito della responsabilità sociale e della partecipazione alla vita politica. La parrocchia però deve saper indirizzare, ospitare, lanciare ponti di collegamento. Più al fondo, deve offrire una visione antropologica di base, indispensabile per orientare il discernimento, e un’educazione alle virtù, che costituiscono l’ancoraggio sicuro capace di sostenere i comportamenti da assumere nei luoghi del lavoro e del sociale e di dare coerenza alle scelte che, nella legittima autonomia, i laici devono operare per edificare un mondo impregnato di Vangelo. Infine, l’esperienza del riposo. Su di essa sembra che la Chiesa e la parrocchia si trovino ancora meno pronte. Eppure non mancano risorse nella loro storia. Il fatto è che il riposo si è tramutato in tempo “libero”, quindi dequalificato di significato rispetto al tempo “occupato” del lavoro e degli impegni familiari e sociali; e il “tempo libero” è scaduto a tempo di consumo; soprattutto i giovani ne sono protagonisti e vittime. La parrocchia, incentrata sul giorno del Signore, mantiene la preziosa opportunità di trasformare il tempo libero in tempo della festa, qualificando, come si è detto, l’Eucaristia domenicale quale luogo a cui approda e da cui si diparte la vita feriale in tutte le sue espressioni. La comunità cristiana deve saper offrire spazi ed esperienze che restituiscano significato al riposo come tempo della contemplazione, della preghiera, dell’interiorità, della gratuità, dell’esperienza liberante dell’incontro con gli altri e con le manifestazioni del bello, nelle sue varie forme naturali ed artistiche, del gioco e dell’attività sportiva. Tutte queste attenzioni richiedono che le parrocchie rimodellino, per quanto possibile, i loro ritmi di vita, per renderli realmente accessibili a tutti gli adulti e alle


Spiritualità famiglie, come pure ai giovani, e curino uno stile pastorale caratterizzato da rapporti umani profondi e coltivati, senza concitazione e senza massificazione. Occorre quindi anche moltiplicare le offerte e personalizzare i percorsi. Al fondo dell’attenzione pastorale alla vita adulta del cristiano sta la riscoperta del Battesimo. A Nicodemo, che lo riconosce come Maestro e a lui si affida, Gesù dà una precisa indicazione: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Concentrare l’azione della parrocchia sul Battesimo è il modo concreto con cui si affer-

ma il primato dell’essere sul fare, la radice rispetto ai frutti, il dato permanente dell’esistenza cristiana rispetto ai fatti storici mutevoli della vita umana. Il Battesimo comporta esigente adesione al Vangelo, è via alla santità, sorgente di ogni vocazione. I cammini di educazione alla fede che la parrocchia offre devono essere indirizzati, fin dall’adolescenza e dall’età giovanile, alla scoperta della vocazione di ciascuno, aprendo le prospettive della chiamata non solo sulla via del matrimonio, ma anche sul ministero sacerdotale e sulla vita consacrata. La pastorale vocazionale non può essere episodica

o marginale: parte da una vita comunitaria attenta alle dimensioni profonde della fede e alla destinazione di servizio di ogni vita cristiana, e si sviluppa favorendo spazi di preghiera e di dialogo spirituale. La parrocchia è sempre stata il grembo per le vocazioni sacerdotali e religiose, in stretto rapporto con il seminario. Se oggi deve ripensarsi come comunità che favorisce tutte le vocazioni, potrà trarre dalla sapienza educativa dei centri vocazionali e del seminario nuovi stimoli anche per promuovere le vocazioni laicali. il parroco

Un disegno d’amore per ogni uomo D io Amore — lo sappiamo — è una verità della nostra fede ed ha tutta la sua attualità. Perché in tempi come questi, in cui Dio si sente lontano, in cui addirittura si pensa alla morte di Dio, che cosa può esserci di più salutare, di più atteso per questa umanità che ci circonda, compresa quella che si dice “cristiana”, ma non lo è del tutto, di aprirla con l’aiuto dello Spirito a questa rivelazione: Dio è vicino col suo amore a tutti e ama appassionatamente ciascuno? Di dire a questa umanità che ogni circostanza parla di questo amore? Di farle comprendere che occorre sentirsi circondati da questo amore, anche quando tutto farebbe sentire l’opposto? Di annunciarle che nulla sfugge a lui, che conta persino i capelli del nostro capo?(...) Il nostro mondo ha bisogno di questo annuncio, ed è da tanto che io dico che il nostro mondo attuale ha bisogno di questo annuncio: che Dio è Amore, che Dio ti ama, Dio ti ama immensamente! E l’hanno fatto proprio migliaia

di persone ormai, e l’hanno annunciato, l’hanno detto in treno, a scuola, a casa, nelle botteghe. Quando ne avevano l’occasione dicevano: «Guarda, ricordati che Dio ti ama...». E gli effetti sonostati straordinari, le persone hanno preso uno shock, proprio come quando gli apostoli annunziavano: «Cristo è risorto». Dire a queste persone: «Dio è Amore e Dio ti ama immensamente», e dirlo con la convinzione che abbiamo, provoca una rivoluzione. Ci verrà forse obiettato: «Ma come possiamo pensare oggi a Dio come Amore se molti, anche bambini innocenti, vengono colpiti da ogni violenza?». Noi conosciamo la risposta: se c’era un innocente che Dio amava più di ogni altro, questi era il suo Figlio, Gesù. Ma eccolo in croce — Dio ha permesso questo —, a soffrire terribilmente; eccolo gridare persino l’abbandono del Padre. Dov’era allora l’amore del Padre a cui aveva sempre creduto? Come riuscire a scoprirlo? Il fatto è che su Gesù vi era un meraviglioso disegno che andava oltre la vita ter-

rena: egli avrebbe dovuto patire così per la salvezza dell’umanità e per essere poi glorificato, anche come uomo, in quel Cielo aperto, ormai, a tutti quelli che l’avrebbero seguito. Questo è il significato del dolore. Ma c’è un disegno d’amore per ogni uomo, per tutti noi, e bisogna dirlo quando troviamo delle persone che soffrono: «Tu non vedi, tu non sai, noi non sappiamo, però bisogna crederlo». Qualsiasi sia la disgrazia o l’immane calamità, anche naturale, che possa ferire questi nostri fratelli o noi stessi; dobbiamo dirci e ridirci, predicarci e ripredicarci che Dio è Amore. Certo, per pensare in questo modo bisogna credere nell’Aldilà. Il fatto è che l’Aldilà esiste e non è permesso di tacerlo. Dobbiamo dunque credere all’amore di Dio e vivere in conformità. Credere. Benedetto XVI (Da: “La spiritualità collettiva e la Chiesa-comunione”. discorso al Congresso internazionale del Movimento parrocchiale e diocesano. Castelgandolfo, 11 maggio 1996).

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Vita pastorale Giovani d’oggi: la brevità del rapporto

Paura della definitività I giovani di oggi, quando si innamorano, non sono per nulla diversi di giovani di 50 o 100 anni fa: vivono un’esperienza forte che li proietta verso il futuro e li fa sognare. Ma perché il loro sogno si arena nel giro di pochi anni o di stagioni ancora più brevi?

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iamo ormai abituati a sentir parlare male dei giovani: che nuotano in una società “liquida”, che respirano una cultura post-cristiana, che hanno progetti di breve corso, che attribuiscono molto valore ai sentimenti e non

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riconoscono il valore della volontà e delle scelte... e molte altre cose ancora. Di certo possiamo dire che sono molto cambiati rispetto ai giovani di 50 anni fa. Eppure questi giovani, quando si innamorano, non sono per nulla diversi dai gio-

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vani di 50 o di 100 anni fa: vivono un’esperienza forte che li proietta verso il futuro e li fa sognare. La vita diventa a colori, provano sensazioni e si riscoprono energie mai sperimentate prima. Mi ha fatto pensare l’episodio, affiorato alla cronaca più volte qualche anno fa, dei lucchetti del Ponte Milvio a Roma. La tradizione dei romani suggerisce agli innamorati di acquistare un lucchetto con due piccole chiavi, di andare sul Ponte Milvio dove attorno a un lampadario è avvolta una lunga catena; aprono il lucchetto, lo agganciano a un anello della catena e lo chiudono, poi, girando le spalle al Tevere, si baciano affettuosamente e gettano dietro di sé le due chiavi nel fiume. E un gesto altamente simbolico che esprime la convinzione che quell’amore sarà eterno, che nulla e nessuno potrà comprometterlo o spezzarlo. Anche oggi, come avviene in qualunque momento della storia, l’amore non nasce “vecchio” ma carico di novità e di futuro, ed è percepito come “indissolubile”, non in forza di una legge ecclesiastica, ma per una energia intrinseca rl,0 e narte in Legante dell’amor .;. Se poi aggiungiamo che anche le più recenti inchieste tra gli adolescenti rivelano che di essi oltre il 90% pongono la famiglia al primo posto tra i valori importanti per la lo-ro vita – anche coloro che han-


Vita pastorale no sofferto carenze affettive nei confronti dei loro genitori o che hanno avuto grandi sofferenze per il fallimento del legame coniugale – allora possiamo davvero affermare che anche oggi, come ieri, i giovani si innamorano e sognano un amore eterno. Il diffondersi della convivenza Ma allora ci viene spontanea una domanda: perché, se anche oggi l’amore nasce integro e carico di speranza, il sogno dei giovani così spesso si arena nel giro di pochi anni o di stagioni ancora più brevi? Perché gli adolescenti e i giovani, che pure sognano di farsi una bella famiglia, vivono amori brevi, intensi, tante volte carichi di problemi e dì sofferenza? E perché tra i giovani innamorati che guardano con simpatia al matrimonio si sta diffondendo sempre più la prassi di una convivenza più o meno lunga prima di decidere il “per sempre”? Uno studio recente condotto dal Centro internazionale studi famiglia di Milano e sfociato in una pubblicazione (Convivenze all’italiana. Motivazioni, caratteristiche e vita quotidiana delle coppie di fatto, Paoline, 2008), mette in luce che la motivazione di fondo della scelta di “provare” a stare insieme è per lo più la paura del futuro, l’incertezza suscitata in molti giovani dalla constatazione dei tanti fallimenti coniugali precoci. Pur prendendo atto dell’ampio diffondersi della convivenza e ritenendo giusto accogliere con gioia le coppie e accompagnarle nella maturazione di una scelta consapevole del matrimonio cristiano, ritengo che non possiamo accettare acriticamente il progressivo assuefarsi a questo fenomeno. Da un lato dobbiamo avere molta comprensione nei confronti dei giovani che oggi faticano ad affidarsi alla scelta definitiva del matrimonio; spesso la scelta di

convivere è favorita da ostacoli di natura economica e sociale, ma non c’è dubbio che è soprattutto un fattore culturale che induce a interporre, tra il desiderio di vivere insieme e la scelta delle nozze, un “tempo di sperimentazione”, che negli intenti dei fidanzati dovrebbe conferire maggiore coraggio e serenità al grande passo. In realtà l’esperienza - confermata dalla stessa ricerca sopra accennata - induce a ritenere che la convivenza di prova sia generalmente inefficace a prevenire rotture, sofferenze e fragilità della coppia. D’altro canto però non possiamo così facilmente rassegnarci di fronte a una prassi che è fonte di instabilità, di incertezze e di grandi sofferenze per gli stessi conviventi, anche quando essi ostentano sicurezza e serenità. Se la scelta della convivenza è dovuta alla paura del futuro e all’incertezza di fronte alla sfida del “per sempre”, dobbiamo cercare le cause di questa paura e scoprire da quale radice si sviluppa questa incertezza. Questa analisi ci consentirà forse una prevenzione efficace rispetto a una situazione che non esito a definire patologica. Per trovare le cause non possiamo non fare qualche considerazione sul percorso che gli innamorati (quelli che si avvicinano al matri-

monio o si orientano alla convivenza temporanea) hanno fatto nel periodo - ormai sempre più prolungato -che parte dall’adolescenza e arriva fino alle soglie del matrimonio. Chi li ha accompagnati a comprendere le inaudite novità che hanno caratterizzano il risveglio della sessualità e della affettività nell’adolescenza? Da chi hanno avuto qualche aiuto per comprendere il senso e il valore dei primi innamoramenti? Chi ha comunicato loro il “lieto annuncio” di Dio sull’amore umano? Purtroppo dobbiamo confessare la generalizzata assenza del mondo degli adulti dalla esplorazione del “pianeta amore”, che i ragazzi e le ragazze sono costretti a fare in solitudine, appoggiandosi soltanto alle confidenze dei pari, spesso distorte ed enfatizzate da una stampa erotizzata e priva di valori umani e spirituali, o curiosando nel mondo della pornografia e nella rete informatica. Gli adolescenti sono così sottoposti a una tempesta di informazioni, difficilmente collocabili in un quadro di insieme. L’esperienza diretta dell’approccio sessuale, ormai sempre più diffuso già nei primi anni dell’adolescenza, risulta totalmente sganciata da una relazione affettiva e “consumata” in un contesto di delusione e di fatica esistenziale. L’assenza degli adulti fa mancare la bussola che potrebbe indicare la direzione di un cammino affascinante e ricco di futuro. L’assenza del mondo degli adulti Questa situazione deve far riflettere tutti: i genitori, gli educatori, i responsabili della vita sociale e le comunità cristiane. Il vuoto di formazione che per lo più segna gli anni che vanno dalla cresima fino al matrimonio impedisce agli adolescenti di scoprire l’immensa ricchezza che Dio ha posto nella sessualità e nell’affettività e le possibilità di realizzare la propria vita

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Vita pastorale

nelle relazioni umane e nel dono di se stessi agli altri, in particolare - per la maggior parte delle persone - in quella forma primordiale di donazione reciproca che è il matrimonio. Un sereno accompagnamento nella scoperta dell’amore fin dall’età dell’adolescenza, con la gradualità che è propria delle sue varie tappe, potrebbe far crescere nei giovani la gioia di sentirsi chiamati a grandi ideali: nella vita coniugale e familiare come, sempre nell’ottica dell’amore, nel dono della propria vita a Dio e ai fratelli nella consacrazione sacerdotale, religiosa o missionaria. Il cammino che la Chiesa ha compiuto in questi decenni dopo il Concilio consente ormai di contrastare con motivazioni e contenuti affascinanti quel pregiudizio che da troppo tempo, e spesso con ragione, ha imputato alla Chiesa il ruolo di severa castigatrice delle persone nella loro dimensione sessuale e affettiva. Il papa Benedetto XVI invita ad affrontare con serena consapevolezza un pregiudizio che oggi tiene lontani molti giovani dalla Chiesa e che si configura così: «La Chiesa con i suoi co-

mandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?» (Deus caritas est, n. 3). Allora è urgente mettersi all’opera e affrontare con coraggio e competenza il problema dell’accompagnamento degli adolescenti e dei giovani nella scoperta della sessualità e della affettività, valorizzando l’ormai ricco patrimonio teologico e spirituale che ci consente di proporre loro una visione positiva, ma non ingenua, dell’amore umano. Così si esprimevano qualche anno fa i direttori di tre Uffici nazionali della Cei (Famiglia, Giovani, Vocazioni) in un interessante convegno unitario dal tema “Accompagnare nel cammino dell’amore”: «La Chiesa, partendo dal “lieto annuncio di Dio sull’amore umano”, ha un messaggio affascinante e liberante da offrire ai giovani e agli innamorati... un tesoro carico di futuro, capace di fondare splendide storie ricche di umanità e di santità per singole

persone e per coppie. È necessario che i cristiani – soprattutto coloro che accompagnano nella crescita adolescenti e giovani – siano convinti di avere una proposta interessante e innovativa che rivela una Chiesa non bigotta e limitante rispetto all’esperienza dell’amore, ma coraggiosa nell’esaltare e nel difendere la qualità di un amore capace di liberare le migliori risorse umane e di realizzare le attese profonde di ogni uomo e di ogni donna». Purtroppo, dobbiamo ammettere che nel campo della sessualità e dell’affettività la maggioranza degli adulti cristiani, anche quelli che hanno avuto una formazione teologica e pastorale in vista di vari servizi ecclesiali, si sentono fragili e preferiscono non dover affrontare questi discorsi con gli adolescenti e i giovani. Gli stessi animatori dei gruppi della pastorale giovanile sono capaci di affrontare con discreta disinvoltura qualsiasi altro argomento di natura spirituale, sociale ed ecclesiale, ma sono titubanti e carenti di argomentazioni quando si trovano ad accompagnare il cammino di adolescenti che vivono le prime esperienze affettive e sessuali. Occorre allora costruire con coraggio una grande alleanza educativa tra le varie componenti della pastorale, tra le associazioni e i movimenti, tra le realtà laiche che operano con spirito cristiano o almeno convergono su alcuni valori fondamentali della persona umana e sulle esigenze della sua crescita. Occorre formare, nei contenuti e nel metodo, persone adulte che sappiano portare con competenza ed entusiasmo il “lieto annuncio di Dio sull’amore umano” agli adolescenti e accompagnare, con una comunicazione efficace e con la testimonianza, i giovani nell’avventura dell’amore. Sergio Nicolli

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Vita ecclesiale Il messaggio del Papa

I nuovi media a servizio della Parola

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itornare all’esortazione di san Paolo nell’esplorare i territori digitali: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16): è l’urgenza delle parole dell’Apostolo a guidare il messaggio di Benedetto XVI per la 44a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”. L’azione della Chiesa e il ministero del prete sono anzitutto azione di evangelizzazione ovvero opera di ri-significazione della comunità umana in Cristo. L’azione della Chiesa, che è per natura umano-divina, pone in essere la salvezza che avviene in essa e per essa, nel qui e nell’ora della storia. Ecco, dunque, la necessità di affrontare il contesto e lo scenario culturale contemporaneo dei digital media. Infatti, se «compito primario del sacerdote è quello di annunciare Cristo, la Parola di Dio fatta carne, e comunicare la multiforme grazia divina

apportatrice di salvezza mediante i sacramenti», è necessaria la consapevolezza del riferimento alla contestualità nella quale individuare le forme attestabili per l’esperienza credente. L’azione della Chiesa e la figura del ministero non sopportano opere di maquillage, ma un deciso rinnovamento che non cede mai alla tentazione dell’auto-

referenzialità. La portata di novità dell’epoca in cui viviamo è consegnata nella forma della responsabilità al prete di oggi: «Il mondo digitale ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualiz-

zazioni all’esortazione paolina [...]. Con la loro diffusione, pertanto, la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace. Al riguardo, il Sacerdote viene a trovarsi come all’inizio di una “storia nuova”, perché, quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola». I dispersivi e affollati sentieri dei media, del cyberspazio, che mutano e si rinnovano continuamente, sono oggi luogo e occasione di annuncio del messaggio evangelico, sono i territori del mondo digitale, che il Papa invita ad abitare con sapienza e conoscenza. Non si tratta di migrare da spazi tradizionali, come il sagrato, la chiesa e l’oratorio, a spazi digitali e social

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Vita ecclesiale network, ma significa anzitutto comprendere che quanto più la società diviene commista e interconnessa con i media, tanto più cambiano al suo interno le modalità di partecipazione, di interazione dell’uomo e tra gli uomini. Pensiamo, ad esempio, al salto qualitativo-partecipativo rappresentato dal passaggio dalla dimensione del web 1.0, con un livello di interazione elementare, costituito dalla navigazione Internet e principalmente dallo strumento delle e-mail, a quella del web 2.0, maggiormente coinvolgente, segnato soprattutto dall’avvento dei social network, come gli ormai celebri Facebook e Twitter. Le nuove modalità di partecipazione costituiscono anche rinnovate modalità di socializzazione, quelle che Federico Casalegno chiama cybersocialità, relazioni mediate dalla tecnologia. Forme di socialità non si contrappongo né si sovrappongono a quelle face to face; si tratta, bensì, di modi relazionali che convivono, si affiancano e si integrano, offrendo ulteriori occasioni di contatto, di confronto. Todd Gitlin, nell’osservare l’influenza dei media nella vita quotidiana, rileva come il processo di immersione nei media non riguardi solamente le relazioni tra gli individui, i loro comportamenti, i

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loro approcci alla conoscenza, l’affettività e i sentimenti, ma ponga dinanzi a una nuova riflessione, verso un nuovo scenario disciplinare di ricerca. lDagli studi di antropologia, di sociologia o di psicologia, che hanno affrontato sinora l’incidenza dei media sui comportamenti individuali e sociali, emerge sempre più l’ambito delle neuroscienze, constatando come le tecnologie digitali arrivino, nelle nuove generazioni, a modificare addirittura i circuiti neurali nel cervello umano, innescando un processo evolutivo del tutto nuovo e, per certi versi, sconosciuto. Nativi digitali Il processo riguarda i cosiddetti digital natives, i “nativi digitali”, come sostiene Mark Prensky, ovvero una generazione nata e cresciuta con la presenza dei digital media, costituiti da Internet e dalle infinite applicazioni delle tastiere multifunzione. Un cambiamento evidente e importante da analizzare, non privo anche di aspetti problematici o, perlomeno, di interrogativi su cui riflettere come comunità ecclesiale. Anzitutto il profilo antropologico che vede, nell’attuale contesto mondiale, il mondo fatto di incontri tra persone, coscienze, che rischia di essere sostituito da

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una sommatoria di corpi sintetici, mettendo a rischio il concetto stesso di persona, la sua privacy e la sua libertà. Altro problema, che potremmo definire ontologico, ci colloca al centro della questione circa il reale che, nella continua reduplicazione di referenti inesistenti, rischia di dissolversi in un processo di derealizzazione, al limite della patologia, in cui non sarebbe neppure possibile procedere al riconoscimento di cosa sia vero o meno, nel mondo sinteticamente costruito. Sempre legato a tale questione riscontriamo un problema epistemologico, relativo a quale conoscenza sia possibile realizzare in tale contesto proprio per il rarefatto (inesistente) legame con il vero, per cui il neo mondo può facilmente divenire luogo dell’in ganno, simulazione, imbroglio e violazione. La popolazione dei giovani, anche se non avvertiti della portata delle questioni evocate, vivono iperconnessi, percependo naturale l’immersione nei media. Infatti, afferma il Papa, «all’interno dei grandi cambiamenti culturali particolarmente avvertiti dal mondo giovanile, le vie della comunicazione aperte dalle conquiste tecnologiche sono ormai uno strumento indispensabile». Ai preti Benedetto XVI non chiede semplicemente un utilizzo di strumenti nuovi; non è interessato a un mero accesso e alla conquista di uno spazio digitale, da cui peraltro non si può prescindere oggi. Il Papa chiede uno sforzo partecipativo di qualità differente: «La diffusa multimedialità e la variegata “tastiera di funzioni” della medesima comunicazione possono comportare il rischio di un’utilizzazione dettata principalmente dalla mera esigenza di rendersi presente, e di considerare erroneamente il web solo come uno spazio da occupare. Ai presbiteri, invece, è richiesta


Vita ecclesiale la capacità di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il loro ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante “voci” scaturite dal mondo digitale, ed annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi». Riguardo ai blog, è bene chiarire che non si tratta di una forma diaristica on-line; piuttosto si avvicinano, come direbbe Derrick De Kerckhove, a una nuova tecnopsicologia. Infatti, la blogosfera, per De Kerckhove, è una rete di interpretazioni intellettuali, è il risultato dell’apporto di conoscenza di una molteplicità di persone su temi di interesse generale e in tempo quasi reale. I web-log funzionano e si basano su tali connessioni e, al pari dell’intelligenza, si sviluppano e crescono grazie all’uso, divenendo uno spazio per la riflessione condivisa. “Pescatori di anime digitali” Afferma il Papa: «Più che la mano dell’operatore dei media, il presbitero nell’impatto con il mondo digitale deve far trasparire il suo cuore di consacrato, per dare un’anima non solo al proprio impegno pastorale, ma anche all’ininterrotto flusso comunicativo della rete». Un impegno anzitutto testimoniale che ricorda le parole di Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Testimoni e annunciatori del cuore di Dio negli spazi mobili e incerti della Rete, luogo abitato da domande cruciali dell’esistenza e an che dal moltiplicarsi di mani-

festazioni delle più svariate patologie della società. Si tratta, come ricorda ancora Benedetto XVI, di una sorta di “cortile del gentili”, frequentato da curiosi e devoti, ferventi ortodossi e commercianti, fedeli osservatori dell’alleanza e uomini interessati più semplicemente della vita della propria bancarella; un luogo nel quale ciascuno poteva sentirsi a casa. La grande Rete permette incontri con chi il Signore lo ha già incontrato e anche con chi non lo conosce ancora oppure con chi non è interessato: «Una pastorale nel mondo digitale, infatti, è chiamata a tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credenti di ogni religione, con non credenti e persone di ogni cultura. Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghiera per tutti i popoli (cf Is 56,7)». I sacerdoti devono, pertanto, imparare a vivere sempre di più lo spazio dei media e nei media, con lo spirito di una testimonianza attiva, attraverso una pastorale sia tradizionale che virtuale. I preti, vivendo l’intimità con il Maestro, vivono con responsabilità il compito di andare per il mondo come pescatori di uomini; per questo devono sapersi adeguare e preparare di-

nanzi al fatto che il mondo di oggi ha ampliato le sue vie, i suoi territoi i. Ormai lo spazio pubblico, la nuova agorà, si sta spostando, si è già spostata nel “villaggio digitale”. L’amato predecessore, come Benedetto XVI è solito ricordare Giovanni Paolo II, sempre a proposito di san Paolo, affermava: «Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all’areopago, dove annunzia il Vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell’ambiente (At 17,22). L’areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il Vangelo. Il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l’umanità rendendola – come si suol dire – “un villaggio globale”. I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali». L’impegno nei digital media è anzitutto, come ricorda il Papa, impegno pastorale ovvero un modo, uno stile di essere Chiesa oggi. Non triste sopportazione di un mondo di cui non conosciamo ancora bene i tratti socioculturali, neppure sopportata necessità pastorale, ma modalità propria di espressione per la passione al Vangelo e al cuore dell’uomo. Un’azione ecclesiale, dunque, che come tale offre l’occasione alla comunità di ripensare, rileggere la propria storia e soprattutto comprendere il cammino ancora da compiere. «Il Signore vi renda annunciatori», conclude Benedetto XVI, «appassionati della buona novella anche nella nuova “agorà” posta in essere dagli attuali mezzi di comunicazione». Dario E. Viganò

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Vita ecclesiale Si conclude l’Anno sacerdotale

Tempo di purificazione e di grazia

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on era certo nelle intenzioni di Benedetto XVI che l’Anno sacerdotale rappresentasse una proposta di esaltazione dei 409.000 sacerdoti, tra diocesani e religiosi, impegnati in ogni angolo della terra, talvolta fino all’eroismo, nell’edificazione del Regno di Dio. Dolorose circostanze -o la Provvidenza?- hanno voluto che proprio in tale Anno venisse a galla anche nel clero un problema reale, quello esecrando della pedofilia. Il tornare sull’argomento non significa rimestare il bisturi nella piaga. Ne hanno scritto e parlato, a proposito e a sproposito, tutti i mass-media nel mondo intero. Scrivo queste note alla vigilia della conclusione dell’Anno suddetto. Saremo migliaia di presbiteri in Piazza San Pietro a pregare con il Papa nella solennità del Sacro Cuore. Si, a pregare innanzi tutto e a batterci il petto come il pubblicano del Vangelo. Ma anche a cantare il magnificat per il dono tanto prezioso di cui il Signore ci ha gratificato chiamandoci ad essere pastori ed operai nella sua vigna. E poi a dire grazie a questo coraggioso Pontefice che non ha lasciato nulla di intentato perché il problema dei preti pedofili riceva un’adeguata valutazione e soluzioni concrete e durature. Basti citarne una per tutte: la “Lettera ai cattolici irlandesi”. Ma anche

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l’accettazione delle dimissioni di numerosi Vescovi. E la richiesta accorata e sincera di perdono e risarcimento alle vittime, alcune delle quali il Papa ha anche ricevuto durante i suoi viaggi pastorali. Ma urta la demagogia con la quale alcuni, con gli operatori dell’informazione in prima persona, hanno affrontato il tema, quasi che per risolvere il problema dell’educa-

zione dei nostri ragazzi, per esempio, basti non mandarli più negli oratori parrocchiali. S’accomodino pure! Cari amici: non fate mai sconti a noi sacerdoti! Ciò che fa scandalo sarebbe infatti proprio la figura di un prete che si adegua alla medio-

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crità corrente, di un compagno di strada come tanti altri, di un peccatore, anche se lo siamo tutti, del quale si dia per scontato qualunque peccato, di un uomo che giochi la partita della sua vita rapportandola unicamente alle vicende umane o ai parametri dominanti dell’economia, e non nell’ottica di una missione da compiere! Le cifre della pedofilia nel mondo, è risaputo, più che numeri sono macigni. Ma, per usare la metafora usata in una recente intervista del Dott. Navarro Valls, già portavoce di Papa Giovanni Paolo II, il problema dei preti pedofili è solo la punta emergente di un iceberg. La pedofilia è una malattia aberrante, ma è notoriamente diffusa in tutte le categorie sociali, genitori compresi, pur se, contagiando un prete, tale aberrazione porta a parlare non di una sconfitta, ma di un’autentica rovina. Per noi preti -lo scrivo con la nostalgia grande dei primi anni del mio sacerdozioresta la parrocchia il vero banco di prova della nostra missione. Dalle celebrazioni liturgiche all’impegno della catechesi e della presenza in oratorio, dalle pratiche da sbrigare agli appuntamenti con i fedeli, dalla cura dei malati ai registri da tenere in ordine, dalle chiese da restaurare ai poveri e agli extracomunitari da soccorrere, l’impegno primario


Vita ecclesiale deve essere ricondotto all’amministrazione che tutto deve sovrastare: quella dei Misteri di Dio. Al Curato d’Ars o a Padre Pio bastava lo spazio di un confessionale per sentirsi in onda con il mondo intero. Il tempo del prete deve essere speso tutto per gli altri: in tale modo non gli restano lacerti di tempo per percorrere strade sbagliate. E voi laici non abbiate mai paura di chiederci troppo. Scriveva Igino Giordani, cristiano di grande spessore umano e culturale: “I laici esigono dal sacerdote che sia santo, che sia sempre in chiesa a pregare e stia sempre in strada ad

aiutare, che istruisca i piccoli e faccia convenevoli ai grandi; che dia e non chieda; che non si occupi di politica (nella fattispecie ve ne sono già troppi che fanno disastri! n.d.r.); che sia povero come San Francesco ma elargisca generosamente i suoi averi come un Rockfeller; che sia insomma fornito di tutte le qualità e di tutte le virtù, inclusa quella di lasciarsi dire ogni sorta di male”. Lo scempio della figura del prete di questi tempi non mi impedisce, mi stimola anzi, ad aggiungere che i parrocchiani di Castrezzato possono guardare con fierezza ai

sacerdoti di ieri, i quali hanno creato nei secoli il tessuto connettivo della nostra comunità cristiana. Ma mi sento altresì in dovere e in diritto di farmi garante della certa e rinnovata fiducia per quelli di oggi. L’Anno sacerdotale termina, ma come credenti ci rimane il compito di continuarne lo spirito, pregando il Signore perché le nostre guide spirituali non provochino giammai il rumore assordante dell’albero che cade, ma sappiano sempre e solo alimentare la linfa della foresta del Popolo di Dio che cresce. Don Vittorio

Zona Pastorale VIII — S. Filastrio

CORSI FIDANZATI 2010 CHIARI - Parrocchia Santi Faustino e Giovita Sede: CG 2000, ore 20.30 Ottobre: Giovedì 7 - 14 - 21 - 28 Novembre: Giovedì 4 - 11 - 18 - 25 Ritiro: Domenica 28 Novembre Per informazioni: Don Giovanni Amighetti (cell. 328.1416742) Sede: S. BERNARDINO, ore 20.45 Ottobre: Sabato 2 - 9 -16 - 23 - 30 Novembre: Sabato 6 - 13 - 20 Ritiro: Sabato 27 Novembre Per informazioni: Don Gianni Pozzi (cell. 333.3367973 - tel. 030.712356) CASTELCOVATI Parrocchia S. Antonio Sede: ORATORIO Settembre: Sabato 4 - 11 - 18 - 25, ore 20.30 Domenica 5 - 12 - 19 - 26 ore 16.00 Per informazioni: Don Agostino Plebani (tel. 030.718131) CASTREZZATO Parrocchia SS. Pietro e Paolo Sede: ORATORIO, ore 20.30 Ottobre: Sabato 2 - 9 -16 - 23 Novembre: Sabato 6 - 13 - 20 - 27 S. Messa conclusiva: Domenica 28 Novembre Per informazioni: Don Mario Stoppani (tel. 030.714289)

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Vita parrocchiale Grande partecipazione alla cerimonia

Dedicata ad Ignazio Zammarchi la Casa dell’alpino

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o scorso 2 giugno, con toccante e partecipatissima cerimonia è stata dedicata al caro alpino Ignazio Zammarchi la sede degli Alpini del nostro paese. Per ben 33 anni ha guidato con passione e impegno le Penne nere di Castrezzato. La sua scomparsa lo scorso 4 gennaio ha lasciato un cordoglio struggente in tutti. Uomo positivo e determinato, ha manifestato granda capacità di coordinamento e di altruismo ad ogni buoba causa. Anche la Parrocchia gli è riconoscente. Indimenticabile rimarrà nella memoria di tutti la cerimonia di inaugurazione della Santella della Madonna degli Alpini di qualche anno fa e la suggestiva processione che dall’Oratorio ha portato alla Casa dell’Alpino la bella statua in terracotta (opera dello scultore Bertoli di Nave) della Madonna degli alpini. FESTA UNITALSI Sabato sera 5 giugno,gli amici dell’UNITALSI hanno animato la messa vigiliare del Corpus Domini ,presieduta dal Parroco e concelebrata dall’Assistente diocesano don Claudio Zanardini. Un folto gruppo di ammalati ha affollato la messa di orario, aiutato dai barellieriu ed animatori dei gruppi parrocchiali degli ammalati. Alla cerimonia è seguita la cena negli spazi all’aperto della Casa dell’Alpino di Via Valenca, dove in simpatica compagnia e serviti con amore da cuochi e cameriere i cari amici disabili hanno passato tre ore di vera amicizia e fraternità. Un grazie sincero vada a chi tiene viva l’amicizia e il servizio a questi nostri amici, offrendo il suo tempo e le sue energie con sincera dedizione.

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La giornata splendida, la Corale Don Arturo Moladori, la presenza massiccia di cittadini, di amici e di autorità, ha reaso ancor più solenne quersto gesto di gratitudine e di memoria. Ai famigliari, particolarmente alla cara sposa Gabriella, ai figli ed all’anziano padre, giungano la nostra vicinanza e la nostra collaborazione per continuare a vivere i medesimi ideali.


Spazio oratorio Estate 2010

Un’estate “sottosopra” colma di colori!

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ari adolescenti e giovani, un’altra estate sta per cominciare e sono ormai alle porte nuove esperienze per tutti, dai bambini, ai ragazzi, agli adolescenti, ai giovani, alle famiglie della nostra comunità parrocchiale. L’estate deve essere per il nostro Oratorio un tempo forte di crescita nella fede, di formazione educativa e di servizio, per quanti decideranno di mettere le loro energie e le loro forze a servizio dei più piccoli, nelle esperienze proposte. Mi auguro che il tempo d’estate riesca a coinvolgere tutta la nostra comunità attraverso le molteplici iniziative messe in cantiere, e che esse siano momenti belli per vivere e far crescere in noi le dimensioni della comunione, della condivisione, della gratuità, dell’amicizia, della condivisione e della fraternità, così come ci ha insegnato Gesù. Il tema del Grest 2010, proposto

dal Centro Oratori Bresciani della nostra diocesi è “Sottosopra... come in cielo così in terra!”. Dopo lo sguardo “con il naso all’insù” dell’anno scorso, quest’anno atterreremo sulla terra, per scoprire, dopo aver sbirciato su nel cielo, che il sogno di Dio Padre è quello di portare il mondo di lassù sulla terra. Lui l’ha già fatto, soprattutto quando ha mandato Gesù per farci conoscere il suo cuore di Padre. Ma non lo fa a nostro posto: gli uomini sono chiamati a costruire la storia così come Dio cerca di

indicarcela. Per questo la terra è l’unica possibilità: non abbiamo altro per svolgere la nostra storia e per realizzare il sogno di Dio, una vita spesa bene, piena di amore e riconoscenza. “Come in cielo, così in terra”: possiamo gioiosamente mettere “sottosopra” la nostra Comunità e il nostro stare insieme porti un po’ di cielo in questo mondo a volte un po’ stanco e senza colori! Facciamo in modo che nel periodo estivo il nostro Oratorio sia una Casa (come indica il nostro progetto formativo) aperta sul mondo, che accoglie, coinvolge, propone ed accompagna, affinché la grazia di Dio possa sempre dimorare tra noi. Buona estate a tutti: con affetto vi ricordo e vi accompagno! vostro don Claudio (oratorio.castrezzato@libero.it)

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Cresime 2010


Elenco cresimati Antonini Chiara Archetti Claudia Baldi Elena Barbieri Matteo Bariselli DesireĂŠ Barucco Alessandra Bazzardi Mattia Bergamaschi Andrea Bevilacqua Dario Bianchi Arianna Bianchi Barbara Bianchi Walter Blasi Veronica Borgatello Alex Briola Giada Buzzoni Elisabetta Casali Sara Cicala Alessandra Cornali Lorenzo Di Fazio Leandro Di Natale Anna Facchetti Veronica

Formenti Simone Gottardi Cristian Gozzini Elisabetta Greco Chiara Guerrini Chiara Iore Giorgio Lamberti Giada Lapini Matteo Locatelli Arianna Lupatini Andrea Lupatini Laura Lupatini Roberto Lupatini Sara Manenti Alessandra Margarita Annalisa Mombelli Elisa Mombelli Federica Nona Marika Olmi Davide Olmi Jessica Paesano Andrea Paganotti Gloria

Piccinelli Lisa Pinelli Roberta Platto Gloria Pulici Mattia Rao Alessandra Rasoli Elisa Renzotti Jessica Rocchi Gabriele Saviano Luigi Speziari Maurizio Taverniti Rocco Testa Elena Tundis Denny Valtulini Giulia Vezzoli Emilio Vicini Michela Zanca Mariavittoria Zanetti Cristian Zani Davide Zotti Denise


Sacramento della Confermazione


Sacramento della Confermazione


Sacramento della Confermazione



Prima Confessione


Baffelli Gaia Belloli Giulia Belloli Thomas Benedetto Martina Bergamaschi Stefano Bianchi Diego Bianchi Lucrezia Bianchi Martina Briola Gian Luca Briola Giulia Briola Marco Buffa Giordano Catalano Irene Cazzago Damiano Cominardi Gloria Danesi Sabrina De Felice Brenda Di Benedetto Anastasia Faletti Andrea Fettolini Francesca Fogliata Federico Fogliata Sabrina

Fogliata Stefano Galli Diego Gaspari Andrea Gaspari Mirko Gaspari Riccardo Genocchio Davide Grazioli Francesco Lo Sardo Giada Loda Elide Lupatini Andrea Manenti Samuele Marciante Giulia Marini Alessandro Marrix Evelin

Nardo Mara Noli Michela Nona Christian Oneda Giulia Osei Gloria Palmeri Fabiana Perali Simone Pezzotti Flavio Rampinelli Federico Recaldini Luca Sagrini Lorenzo Scalvini Fabiano Tasca Francesca Taverniti Angelica Troncana Matilda Uccelli Martina Vescovi Mattia Zammarchi Alessio Zani Alice Zani Simone Zanini Fabio Zini Giulia




Spazio oratorio Spunti educativi dalla figura del beato Lodovico Pavoni

Ed eccoli al naufragio

“E

d eccoli al naufragio”: è un’altra efficace espressione del beato Lodovico Pavoni, che si riferisce alla situazione di tanti giovani del suo tempo. Siamo a Brescia, nella prima metà del 1800. Si tratta di un’immagine di forte plasticismo, che ben rappresenta la condizione di quei giovani che, senza un adeguato aiuto familiare e sociale, rischiano di annegare, rischiano cioè il fallimento della vita, rischiano di rovinarsi il futuro, di diventare un problema per sé e per la società. La condizione di questi giovani preoccupa Lodovico Pavoni; questi giovani in difficoltà gli stanno a cuore; per loro, per il loro riscatto, per garantire loro un futuro, egli dedicherà tutta la sua vita di educatore e di prete. Furono per lui “le dolci attrattive”. E non si è scoraggiato di fronte alle difficoltà; ha consumato tutto se stesso; ha voluto bene ai ragazzi e ai giovani, soprattutto a chi aveva più bisogno. Ha dato una famiglia a quanti non l’avevano o l’avevano perduta; li ha aiutati ad affrontare la vita, li ha preparati a livello umano e cristiano, professionale e sociale. Ha sempre concepito su di loro le più belle speranze. Lodovico Pavoni è stato un prete e un consacrato esemplare, un educatore appassionato, un operatore sociale geniale e innovativo, un pioniere in Italia del metodo preventivo e della formazione professionale. E il valore della sua opera

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di prete e di educatore, continuata dalla Congregazione religiosa da lui fondata, è arrivato fino a noi e ha varcato i confini della chiesa e della società di Brescia. Mi è data l’opportunità in questi anni di constatare direttamente l’ammirazione di tante persone verso padre Lodovico Pavoni, in quelle città e nazioni in cui la nostra Congregazione è presente. Queste testimonianze di ammirazione e di affetto spesso mi commuovono profondamente. Anche soltanto questi pochi riferimenti al nucleo centrale dell’esperienza di Lodovico Pavoni, delle sue intuizioni e attuazioni in campo educativo a livello ecclesiale e sociale, ci fanno comprendere l’attualità e l’importanza della sua figura. Lodovico Pavoni non è un personaggio lontano, lontano nel tempo, lontano dalla nostra realtà; è un personaggio vicino, che può dire molto a noi oggi; è un personaggio che merita di non rimanere sconosciuto.

Camminiamo insieme

Anche oggi molti nostri ragazzi e giovani rischiano il “naufragio”. A differenza di tanti loro coetanei del 1800, hanno tutto, ma corrono il rischio di essere privi del necessario. Avere tutto del superfluo non basta per la vita. Occorre poter dare un senso pieno all’esistenza; occorre vivere per un ideale. Mettere al centro se stessi, dare importanza prioritaria ai propri interessi e comfort fa rischiare di rincorrere falsi ideali, di rovinare la vita, di perdersi e di creare gravi conseguenze all’esistenza degli altri. Risulta fondamentale, oggi come non mai, il compito educativo. È necessario aiutare i giovani, con l’esempio e con molteplici interventi, a capire che occorre vivere per qualcosa che vale, che occorre saper amare in modo vero, che occorre radicare la propria vita in una profonda fede in Dio. Questa impostazione rende bella la vita, piena di gioia e di significato, la rende veramente utile per sé e per gli altri. Per questa causa educativa Lodovico Pavoni ha speso tutta la sua vita. Il compito educativo è la sfida più grande che siamo chiamati ad affrontare oggi nella società e nella chiesa. Anche qui, tra di noi. La figura del beato Lodovico Pavoni costituisce per i genitori, per gli educatori e per quanti ricoprono responsabilità a diversi livelli, uno stimolo, un esempio, una presenza, un incoraggiamento, un sostegno. E per i nostri ragazzi e giovani rappresenta un padre che li ama, un maestro che li incoraggia, un prete amico che li sostiene ed è loro vicino, un santo a cui possono affidarsi. La presenza e l’intercessione del beato Lodovico Pavoni è per tutti un motivo di speranza e per i nostri giovani un valido baluardo per evitare il naufragio della vita. padre Lorenzo Agosti


Vita parrocchiale A forma di calice, simboleggia i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia

Il nuovo fonte battesimale in marmi policromi

Q

ui vicino all’altare rivolto verso il popolo, vedete il nuovo fonte battesimale in marmi policromi che una persona della nostra Parrocchia ha donato per una degna celebrazione del sacramento del Battesimo. Ora procederemo alla sua benedizione, in modo che nella solenne Veglia pasquale potremo inaugurarlo con il battesimo di sei bambini della nostra comunità. Il nuovo fonte battesimale si ispira al testo biblico del Vangelo di Giovanni, il quale afferma che, constata la morte di Gesù, un soldato gli aprì il fianco con un colpo di lancia e ne uscirono “Sangue e acqua”(Gv.19,34). L’evangelista intende alludere al Battesimo (acqua) e all’Eucaristia (sangue), come dono e frutto della Pasqua di Cristo. Il battesimo e l’eucaristia sono il dono specifico della morte redentrice di Gesù. L’artista ha voluto accorpare nella vasca battesimale che vedete, il duplice dono sacramentale del battesimo e dell’eucaristia: il fonte battesimale che ci apprestiamo a benedire ha infatti la forma di un calice che raccoglie l’acqua e il sangue. C’ è qui una chiara allusione alla preghiera che il sacerdote dice quando all’offertorio infonde nel vino alcune gocce d’acqua“ L’acqua, unita al vino, sia segno della vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Con il battesimo e l’eucaristia entriamo nell’area della salvezza pasquale e siamo fatti

partecipi della vita divina (divinae consortes naturae). Un richiamo eucaristico si nota anche nel bordo circolare del battistero , che ha una forma a raggiera, come fosse un ostensorio. La vasca ha forma decagonale(=pienezza, perfezione) e richiama il Decalogo (La Legge di Dio); è decorata con intarsi marmorei di vari colori che richiamano l’universalità dell’annuncio della fede ( i rombi quadrati) e lo specifico dell’annuncio cristiano (la Croce). Lo stelo che regge il fonte è robusto ed evoca la Santa Trinità in nome della quale è celebrato il battesimo ed è garantito

nella sua efficacia oggettiva. Vari sono i tipi di marmo impiegati: il nero del Belgio, il rosso di Francia, il giallo di Siena, il Breccia e il nostro Botticino. Si intonano perfettamente con i colori dei marmi presenti del presbiterio nella nostra chiesa. Il fonte è ricavato dalla parte centrale di un’antica fontana storica. La Parrocchia ringrazia di cuore chi ha donato questo manufatto prezioso per la celebrazione degna del sacramento del Battesimo. Il privilegio di essere battezzati per primi, toccherà a dieci neonati della nostra Parrocchia, nel corso della Solenne Veglia pasquale.

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Vita parrocchiale Un’antica tradizione orale

La devozione di Castrezzato a Sant’Antonio di Padova

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’ostensione dei resti mortali di S.Antonio di Padova, avvenuta a Padova nello scorso febbraio, ha richiamato ai Castrezzatesi un’antica tradizione orale relativa a S.Antonio che è degna di essere custodita nel vissuto del nostro popoloso centro urbano. Anticamente, quando Castrezzato era ancora configurato come castello, in fondo a via Cesare Battisti c’era una delle tre porte d’accesso, denominata Campolungo. Una tradizione orale cara ai Castrezzatesi, sia pur non confortata da documenti storici in nostro possesso o irrimediabilmente andati perduti, vuole che intorno al 1378 il nobile Giovanni Oldofredi di Iseo con 800 fanti e 500 cavalli si presentasse alla porta di Campo-

lungo per ottenere le chiavi e per conseguenza la resa e il saccheggio di Castrezzato. gli abitanti in preda al terrore si rifugiarono in chiesa a pregare. Contemporaneamente all’Oldofredi appariva sulle mura una moltitudine di armati, per cui rivolgendosi ai suoi soldati disse: “Retrocediamo; si combatte con i fati, ma non con i Santi”. Il miracolo fu attribuito a S.Antonio di Padova e a ricordo dell’evento vi è un dipinto sull’altare dedicato al Santo, il primo a destra entrando in chiesa. Ai Castrezzatesi sta a cuore non disperdere queste antiche tradizioni, avvalorate dall’antico culto che la Comunità riserva a S.Antonio. In sagrestia è conservato un pregevole ritratto su tela di S.Antonio del Nuvolone. Pertanto,

perché non intitolare la piazzetta adiacente la sagrestia al Santo di Padova? un parrocchiano

Il Coro don Arturo Moladori al Teatro Grande di Brescia

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l concerto di sabato 17 aprile 2010 in occasione del Bicentenario dell’Indipendenza argentina è stato un evento straordinario per il nostro coro. In una cornice splendida come quella del teatro massimo cittadino, abbiamo avuto il privilegio di cantare un’opera che è espressione della più autentica tradizione musicale argentina: la Misa Criolla di Ariel Ramirez. I pensieri, le emozioni, le sensazioni vissute tra le quinte e sul palco sono state molteplici e per ciascuno di noi indimenticabili. Entrare in sintonia con chi ascolta non è sempre facile, ma sin dall’inizio dell’esecuzione abbiamo sentito, fisicamente, salire verso di noi l’emozione sincera di una platea attenta, commossa, tesa a cogliere ogni sfumatura del canto, della musica, quasi sospesa essa stessa al gesto del Direttore, ai ritmi, ora travolgenti, ora struggenti. Quei ritmi colmi dei colori, dei sapori dell’Argentina, delle sue città, dei suoi paesaggi, le cui immagini scorrevano alle nostre spalle, ma che avvertivamo quasi a commento della nostra esecuzione.In questa atmosfera è stato facile o meglio naturale liberare nel canto la nostra stessa emozione, dimenticare i timori legati alla tecnica esecutiva per comunicare, semplicemente, un ideale, una nostalgia, un pensiero d’amore, una preghiera. A questo proposito crediamo che il momento più toccante e significativo si sia realizzato quando il tenore ha intonato Cordero de Dios: amiamo pensare che a quel punto tutto il teatro abbia avvertito distintamente la partecipazione emotiva di ciascun corista a questo evento, che non si riduce a semplice celebrazione, ma assume significati ben più profondi, che rimandano alla fratellanza tra i popoli, alla condivisione di ideali di pace. Per tutto questo ringraziamo chi ci ha dato l’opportunità di esserci, di vivere questa esperienza, di celebrare insieme alla comunità argentina la sua festa e anche di ricordare due grandi della musica argentina recentemente scomparsi: Ariel Ramirez e Mercedes Sosa, di cui, al termine del concerto, è stata proposta la celebre Todo cambia, che il pubblico presente ha accompagnato con entusiasmo.

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Vita parrocchiale Dopo la recente e quasi contemporanea scomparsa

Ricordando Concordia e Zia Paola

“Q

uant’è grande, Signore, il confine tra le certezze della nostra fede ed i mille rimpianti per non averne compreso i segni?”. Concordia e Zia Paola erano due di questi segni. Ora che ci hanno lasciato, quasi contemporaneamente, quasi tenendosi per mano, ci rimane nel cuore non solo il rimpianto del distacco, ma anche il preciso impegno della loro eredità evangelica. Un’eredità impastata di tanto impegno, ma anche di umiltà, di mitezza, di semplice testimonianza. Tutto da raccogliere e da fare nostro! Le persone miti ed umili come loro non hanno bisogno di interrogarsi molto per trovare la via del Paradiso, a cui tutti noi, in un modo o nell’altro, aspiriamo. Loro le risposte giuste le trovano sfogliando senza fine il Vangelo, i loro libri di preghiera, sino a consumarli, mettendo tra le pagine le immagini consunte dei loro santi preferiti, prima fra tutti la Madonna. Le trovano anche nel continuo impegno e nella solerte testimonianza di servizio ai fratelli. Mentre noi, invece, io per primo, brancoliamo ancora nel buio dei nostri limiti, con le nostre supponenze, con le nostre certezze, con le nostre cadute e resurrezioni. Di Zia Paola ricordo soprattutto, dagli anni della mia infanzia all’età adulta, un impegno costante, deciso, preciso in ogni settore della nostra Comunità Parrocchiale: dall’Oratorio, dove amava distri-

buire dolci leccornie (e non solo) ai bimbi nei settori loro riservati, alla Parrocchia, dove candide piccole vesti, sempre perfettamente ordinate e pulite, ammantavano momenti indimenticabili che ci avrebbero accompagnato e segnato per tutta la nostra vita. Ancora oggi mi rivedo vestito da paggio, orgoglioso della mia fede, grazie a Zia Paola. Poi, eccola disponibile nelle mille attività di sostegno alla Comunità: ACLI, pensioni, assistenza e, perché no, partiti politici in cui credere, a sostegno dei propri valori. Il suo amico Adriano, mio fratello prematuramente scomparso, era un suo testimone e quasi discepolo. Li univa un affetto sincero, tra di loro e ai fratelli, ed una onestà di intenti quasi rara oggi. Grande e indispensabile era stato

anche il suo impegno in famiglia, dove poi ha trovato l’affetto profondo dei suoi ultimi anni. Concordia ho avuto la gioia di conoscerle bene solo in età adulta. Quante lezioni di “catechismo” ho imparato da lei, quante pagine di Vangelo ho riscoperto solo conoscendola! Cara Concordia, di te ho una tenera immagine di quando, incespicando tra i banchi della chiesa, passavi a raccogliere le nostre povere offerte, donandoci in cambio il tuo mite sorriso. E quale ammirazione per te, quando ti ritrovavo in ogni parte del paese alla ricerca di qualche fratello nel bisogno da visitare e condividere, proprio come ci suggeriva Gesù: con umiltà e mitezza. So che un sacerdote amico ti aveva definita, per la tua umiltà, “Donna del Vangelo”. Condivido piena-

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Vita parrocchiale mente! E che dire dell’amore che nutrivi per il Presepio? Tu eri la prima a posizionarlo al centro della tua cucina salotto. Dopo le festività dei Santi eri la prima a costruirlo con tanto amore. Ed io ero il primo a spronarti a farlo per poterlo visitare per primo. La mia famiglia, in particolare, cara Concordia, ti deve gratitudine e ammirazione. Mi ricordo quando, allo squillo del

campanello di entrata di casa, ci veniva consegnata la prima Stella di Natale... Era da parte di Concordia; o la prima azalea di Primavera... Era da parte di Concordia. Tu eri e sarai sempre per noi l’annuncio di queste splendide stagioni. Cara Concordia, sei salita al Cielo proprio nel giorno del battesimo di Marco, mio primo nipote, di cui tu chiedevi sempre notizie, anche negli ultimi giorni della tua malat-

tia. Potenza della tua umiltà e della tua generosità! Arrivederci Zia Paola, arrivederci Concordia; impegno ed umiltà erano e saranno sempre le vostre doti, le vostre eredità. Continuate ancora, da Lassù, a starci vicino, a volerci bene: il vostro impegno, umili “Formichine di Dio”, non è terminato.

Aderisci al COSP

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COSP, Centro Operativo di Soccorso Pubblico, opera a Castrezzato dai primi anni del 1980 ed ha sempre svolto la sua attività al servizio della popolazione, sia collaborando con il 118 per il primo soccorso sia con i servizi trasporto malati verso le strutture di cura. I volontari che, nel corso degli anni, hanno prestato servizio nel COSP lo hanno sempre fatto con impegno e dedizione, mettendo a disposizione tempo ed energie per alimentare quella “rete di volontariato” che caratterizza una società civile, in cui ci si aiuta a vicenda. Purtroppo, da qualche anno, sono sempre meno le persone disposte a “mettersi in gioco” e a diventare parte attiva della comunità in cui vivono; la nostra è diventata la società dell’individuo e non più della collettività: ciò che conta è solamente il benessere personale e il prossimo è diventata ormai una realtà sconosciuta. Così, lentamente, lentamente, anche il COSP sta morendo! A Castrezzato, negli ultimi anni, è molto rallentato il flusso di nuovi volontari e l’associazione non riesce a garantire la presenza dei turni del 118 di tutti i fine settimana. Per questa mancanza di continuità la centrale operativa del 118 di Brescia, ha comunicato di non volersi più avva-

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lere del servizio di Castrezzato, finché non verrà garantita la regolare continuità dei turni. Con questa lettera abbiamo voluto presentare la dura realtà dei fatti alla popolazione, nella speranza che qualcuno trovi il “coraggio” di voler provare questa esperienza di volontariato e aiutare a salvare questa associazione il cui contributo alla popolazione è veramente prezioso. Spesso si scarta qualsiasi idea o proposta con uno sbrigativo “non ho tempo”! In realtà, se si vuole fare qualcosa il tempo lo si trova; si tratta solo di fare il primo passo e di mettersi nei panni di chi ha bisogno, perché del COSP, potremmo avere bisogno tutti. L’amministrazione comunale stessa, crede fermamente nel valore e nell’utilità della nostra associazione per il benessere della comunità e ci ha mostrato solidarietà e appoggio in questo momento difficile. Ma per continuare ad avere tale appoggio l’associazione deve innanzi tutto esistere! Aiutaci a mantenere vivo il COSP e diventa anche tu un volontario!

Ettore


Con la diocesi Ordinazione sacerdotale 2010

Sei nuovi sacerdoti in diocesi Don Enrico Bignotti è della parrocchia di Montichiari. È entrato in Seminario nella scuola media nel 1995. A partire dal 2003 ha prestato servizio pastorale a Castenedolo, Esenta di Lonato e San Gervasio Bresciano. Nel 2006 è stato per un anno prefetto nella Cvg (Comunità vocazioni giovanili); l’anno successivo ha fatto esperienza lavorativa e servizio pastorale a Bedizzole; nel 2008-2009 si è dedicato all’animazione vocazionale; quast’anno, come diacono, presta servizio a Brescia (Quartiere I maggio, Fornaci, San Benedetto). Don Giorgio Comincioli è della parrocchia di Prandaglio di Villanuova sul Clisi. È entrato in Seminario in Cvg nel 2003. Ha prestato servizio pastorale a Leno e Buffalora; nel 20072008 è prefetto nella comunità del liceo, l’anno successivo è passato all’animazione vocazionale; quest’anno è diacono a Serle.

Don Gabriele Fada è della parrocchia di Gardone Val Trompia. È entrato in Seminario nelle superiori nel 1998. Ha prestato servizio pastorale a Padergnone, presso l’Ufficio missionario, a Lumezzane S. Apollonio; nel 2006-2007 è stato prefetto nelle medie, poi è passato all’animazione vocazionale. Dopo un anno di servizio pastorale a Bienno, 2009/10: diacono a Verolavecchia e Verolanuova.

Don Roberto Ferrari è della parrocchia di Vobarno. È entrato in Seminario in Cvg nel 2003. Ha prestato servizio pastorale a Nave, poi presso il Centro Volontari della Sofferenza, nella unità pastorale dell’Oltremella (Brescia); prefetto nella comunità delle medie nel 20072008, l’anno successivo ha fatto animazione vocazionale; quest’anno è diacono a Berzo Inferiore.

Don Andrea Giovita è della parrocchia di Ospitaletto. È entrato in Seminario nella Cvg nel 2002. Ha prestato servizio pastorale a Buffalora, nell’animazione vocazionale, poi a Castelfranco di Rogno e Rondinera, quindi a Castenedolo. Nel 2007-2008 ha fatto esperienza lavorativa e servizio pastorale a Polaveno e solo servizio pastorale l’anno seguente. Quest’anno è diacono a Brescia (S. Spirito).

Don Omar Zanetti è della parrocchia di S. Antonio (Brescia). È entrato in Seminario in Cvg nel 2002. Ha prestato servizio pastorale a Borgo S. Giacomo e presso il Pro Familia, poi a Padergnone. Dal 2006 al 2008 è stato prefetto nella comunità del biennio. Nel 2008-2009 è stato insegnante di religione e servizio pastorale a Salò, dove ha continuato come diacono nell’anno in corso.

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Arte e fede Il IV centenario della morte di Caravaggio

Caravaggio, l’uomo in fuga

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ato a Milano nel 1571 e morto a Porto Ercole nel 1610 Michelangelo Merisi detto il Caravaggio fu definito il pittore scellerato, il genio assassino, l’uomo in fuga. In realtà un artista con tutte le contraddizioni e le passioni della sua epoca, quel Seicento che fu un secolo di scoperte scientifiche, sublimi risultati artistici ed efferatezze. Nella sua breve vita Caravaggio non dipinse molto. Si stima che non raggiungano il centinaio le opere da lui prodotte nell’arco di venti anni scarsi di attività artistica. Caravaggio, o l’uomo in fuga, per la sua vita tormentata, violenta e raminga. Era nato da una famiglia di piccola borghesia, suo padre Fermo era architetto dei marchesi SforzaColonna di Caravaggio. A venti anni, valendosi della raccomandazione della marchesa Costanza, si trasferisce a Roma. È il 1592. Nella grande metropoli papale molte sono le occasioni, le rivalità e i fervori artistici. L’urbe è infatti un cantiere, un mercato, una fucina, il palcoscenico artistico e culturale dell’Europa. Entrato nella bottega del Cavalier d’Arpino, assieme ad altri giovani apprendisti si impratichisce nell’arte della natura morta. La svolta della sua vita si ha con l’incontro del ricco e coltissimo cardinal Francesco Maria Del Monte. L’eminenza è amante della pittura e della musica. Sotto la sua ala protettiva dipingerà varie nature morte.

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Una produzione copiosa Le sue opere fresche e di stile nuovo, realistico e al tempo stesso pervaso da una forza dinamica, ricevono l’apprezzamento del suo mecenate ed esteta raffinato. Tra queste Il ragazzo col canestro di frutta, Il suonatore di liuto e I musici. Quest’ultimo è un concerto di

giovani, uno dei quali sullo sfondo è lui stesso in uno dei suoi primi autoritratti. Caravaggio in questo momento è giovane e predilige la rappresentazione di giovani dediti ai piaceri dell’arte e della vita. Ma già si delineano il dramma e la frattura. Ne I bari mostra la doppiezza e l’inganno che covano sotto la realtà, e ne il Bacco giovane l’arte si fa interrogativo struggente: la giovinezza e la bellezza passano inesorabili, insidiati dal tempo sono

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sempre sul punto di cedere, il tutto simboleggiato dalla coppa il cui vino sta per debordare dall’orlo e perdersi. Stesso richiamo nella famosa Canestra di frutta che gli fu commissionata dal cardinal Federico Borromeo (proprio quello dei Promessi Sposi!): mele, pere, fichi, uva, la natura fermata per quello che è veramente: splendida e piena di bellezza, ma precaria e minacciata dal disfacimento. Più serena e quasi idilliaca risulterà la scena del Riposo nella fuga in Egitto, dove la natura, nei fiori e nelle erbe, viene studiata in dettaglio alla maniera leonardesca, l’angelo musicante suona un madrigale e san Giuseppe gli regge lo spartito. I furori della passione e la frattura nell’armonia della realtà vengono accentuate nelle nuove tele commissionate da nobili come il Contarelli e il marchese Vincenzo Giustiniani. Il ciclo delle Storie di San Matteo e la drammatica e livida Conversione di San Paolo detta Pala Odescalchi, dalla famiglia nobile che ne è ancora in possesso. Qui in uno spazio ristretto e compresso la divinità e gli esseri umani agiscono in un angustioso contatto. È il momento della fama per il giovane pittore lombardo, che tramite il cardinal Del Monte è entrato nelle grazie dell’ambasciatore di Francia. Per la cappella Contarelli, a San Luigi dei Francesi dipingerà


Arte e fede il ciclo delle Storie di San Matteo, un capolavoro di arditezza compositiva, di studio di luci e ombre. Si afferma insomma la sua maniera: realistica e simbolica, il vero ritratto nelle strade e nelle osterie e la verità nascosta sotto: macerazione di amore e odio, peccato e anelito verso la salvezza, sui quali la luce che scende da un altrove porta un messaggio combattuto di speranza. Roma, la grande città papalina, mostra un indispettito e profetico interesse verso questo giovane artista calato dal nord. Incuriosisce e inquieta questa nuova maniera di dipingere tra sciabolate di luce e ombra, attirano quasi in modo morboso il sovvertimento della mitologia e della iconologia dei santi in macerazione e asprezza plebea. Una vita drammatica resa in presa diretta nei bassifondi e nelle osterie di Roma, in un’epoca di violenza e scelleratezza, di scienza e sublimi dogmi, nel momento della nascita del barocco, quel movimento dinamico e trionfale della Chiesa della Controriforma. Ecco allora la Giuditta ed Oloferne (il ritratto della sua amante la prostituta Fillide, ma anche memoria della scena a cui assistette di persona: la decapitazione di Beatrice Cenci). Ecco la prima Cena di Emmaus, o la Deposizione dei Musei Vaticani, terrea come la pietra tombale in primo piano, drammi colti nei momenti più significativi dell’azione dove luce e ombra sono più protagonisti dei corpi e lo spettatore viene irretito e quasi risucchiato nella scena. Questo approfondimento di una maniera nuova rende a Caravaggio fama e soldi, ma anche invidia. Una vita torbida e forsennata Dai lini sacri degli altari al vomito dei bassifondi della città papale, dalla meditazione sulle grandi simbologie religiose allo scatenamento della carne, dalle grandi

idee universali agli scatti d’ira, alle risse, agli accoltellamenti. Una vita contro, torbida e forsennata, irretita secondo alcuni studiosi nel turbine di una lucida schizofrenia. Nascono ancora grandi opere come Il sacrificio d’Isacco (Abramo, diranno i detrattori, impugna in maniera assai convincente il coltello da macellaio), o l’Incoronazione di spine di Vienna, e la Cattura di Cristo di Dublino, dove c’è il suo autoritratto in persona dello sbirro che illumina con la lanterna la scena, oppure l’Amor Vincitore di Berlino (l’efebo che rappresenta l’Eros che calpesta i simboli dell’arte, della scienza e del potere è una figura di ambigua omosessualità specchio del vizio. Nel 1605 dipinge La morte della Vergine, opera di intensa religiosità (oggi al Louvre) che gli sarà rifiutata per il crudo realismo. Al culmine della fama avviene la caduta. Il 25 maggio del 1606, durante una rissa nel gioco della pallacorda uccide a coltellate il caporione Ranuccio Tomassoni. Roma perdona tutto, ma non l’omicidio. Il bando capitale, ossia la condanna a morte, lo colpisce inesorabile e Caravaggio diventa un uomo in fuga. Si rifugia nei possedimenti dei suoi protettori, i Colonna. Prima a Palestrina e Zagarolo, poi a Napoli. La seconda Cena di Emmaus (del museo di Brera), dipinta per Marzio Colonna, mostra nella sua grande ombra il rammarico e la tristezza del ribelle inseguito, di colui che non ha più speranza. I giochi di luce e ombra suggeriscono il tono malinconico dell’episodio evangelico, ma le figure umane sono attonite di fronte al mistero del Redentore risorto, e come schiantate dal peso della vita. Il Cristo benedice il pane, ma è come il gesto di addio che apre alla discesa agli inferi. Tale discorso vale per tutte le opere che seguiranno, segnate da un realismo esplicito e furente. È il momento in cui il pittore ingagliar-

disce gli scuri, ossia le sue tele si faranno plumbee e drammatiche, con le tenebre che erodono la luce e scarnificano le figure. Un nero di tenebra ottenuto dall’artista con l’uso di colori a base di ferro, rame e manganese. È il suo stato d’animo, la sua disperazione di esule e ramingo, di braccato. È la sua stravaganza e pazzia diranno i detrattori, in realtà è una modernissima inquietudine, l’ansia da nevrosi la sua lotta contro il male, l’ambiguità del reale, l’angoscia esistenziale di fronte al mistero che sovrasta ogni vita umana. Pazzia e stravaganza A Napoli dipinge la sanguinosa Flagellazione di Cristo, a Malta la terribile e cruenta Decollazione del Battista, e L’amore dormiente il realistico ritratto del cadavere di un neonato, a Siracusa il Seppellimento di Santa Lucia. Poi a Napoli per la seconda volta, da dove prima di fuggire ancora subisce un attentato da parte dei sicari degli stessi cavalieri di Malta. Nel viaggio porterà con sé sulla feluca, arrotolata, la tela di Davide con la testa di Golia (da regalare al cardinale Scipione Borghese che ha chiesto per lui la grazia papale che gli giungerà troppo tardi). E in quest’ultima tela Golia è il suo estremo autoritratto in sembianze ossesse e disperate, addirittura con le cicatrici delle coltellate ricevute dai sicari a Napoli. La disperazione lo accompagnerà fino all’ultimo. Buttato fuori dalla barca sul litorale laziale, inizierà l’ultima fuga a piedi in cerca di scampo presso il Granduca di Toscana. E la morte per malaria, riacutizzarsi della sifilide, e sfinimento lo coglierà su una spiaggia di Porto Ercole. È il 18 luglio del 1610. Si chiude così, a soli trentanove anni, e in modo drammatico e disperato la vita di luce e tenebra di uno dei più grandi pittori di tutti i tempi. Luca Desiato

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Alla scoperta del nostro passato La maestra buona e autoritaria

La maestra Sala Santina

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n paese tutti la chiamavano col suo nome, ed io la ricordo ormai vecchia con, fattezze immobili nella mia memoria quasi non potesse essere stata diversa mai: capelli argento, lievi rughe sul volto, espressione buona ma insieme autoritaria, un vestito sempre decoroso lungo fin sotto le ginocchia e quando faceva freddo un “paltò“ color cammelo e intorno al collo un “boa “ cioè la pelliccia di non so quale animaletto che con due residui dentini aguzzi diceva la ‘sua rabbia feroce d’esser finito così...’ Quando insegnava o leggeva por-

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tava gli occhiali ; anche per questo non ricordo i suoi occhi; e come avrei osato guardarla negli occhi? Il volto diceva già tutto quello che occorreva per tenerci attenti e farci rigar dritto. Non mi riesce di immaginarla senza il giardinetto che sta dirimpetto al monumento dei Caduti ; in paese non ce n’era uno così fiorito e là si stava tanto noi ragazzi quando si andava per il doposcuola o per le adunanze dei “fanciulli cattolici“ come allora si diceva; a questa associazione la maestra Sala aveva dato la sua anima e la sua passione

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di donna non sposata. Non so perché non si fosse sposata; forse perché la scuola non le aveva lasciato il tempo per pensarci. Era nata l’11 ottobre 1874 da Angelo, benemerito maestro di banda e fondatore credo della banda musicale di Castrezzato; il padre le trasmise la passione per le cose belle; Angelo Sala quando incontrava i ragazzi del paese si metteva a sognare per ognuno di loro uno strumento musicale: li squadrava brevemente in cera e poi sentenziava il suo invito : «Tu, cornetta! Tu tromba! Tu clarinetto! Tu trombone!» La figlia Santina nel 1892, a 18 anni, conseguì a Brescia la “patente“ per l’insegnamento elementare; insegnò un anno a Castelcovati, due anni a Lograto, un anno a Dello e poi a Castrezzato dal 1896, fino al 31 dicembre del 1937 quando venne collocata in pensione; e fino alla morte continuò il doposcuola. Quaranta e più anni di insegnamento nello stesso paese, vuol


Alla scoperta del nostro passato dire aver visto passare sotto il proprio sguardo e sotto la propria mano quasi tutta una intera popolazione...; così si esprime il cav. Antonio Cassago (da poco defunto) il 9 gennaio 1938 nel porgere alla Maestra il grazie a nome della Associazione Combattenti della quale era Madrina. Infatti durante la guerra 1915-18 Santina aveva svolto una intensa attività in favore dei soldati al fronte: in paese aiutava mogli e madri a scrivere al marito o al figlio perché varie donne erano più o meno analfabete; scriveva anche direttamente a tutti i soldati al fronte o in prigionia; curò l’invio di un centinaio di pacchi; e in paese le donne correvano da lei quando arrivavano notizie perché le interpretasse

e desse consigli; e dopo la guerra seguì l’Associazione Combattenti e l’aiutò di propria tasca. Amava la sua gente, i suoi ragazzi e a loro comunicava i suoi due amori: Dio e la patria; questi due ideali erano saldamente fusi in lei e a noi ragazzi li comunicava così come anche lei li aveva appresi. Ricordo quando ci faceva pregare per la vittoria delle truppe italiane in Etiopia: sembrava convinta che Dio dovesse scendere a combattere con i nostri soldati che andavano a portare la religione e la civiltà! Così voleva la propaganda ufficiale e lei era una maestra; non poteva essere un profeta che leggesse le vicende future della patria e della politica. Era maestra e a questa missione si donò senza risparmio.

Morì il 20 agosto 1949. Vive nel ricordo dei suoi alunni. Restano il suo esempio di dedizione e di laboriosità, il suo amore per noi ragazzi, il suo doposcuola, i libri che ci dava a leggere per farci prendere gusto allo studio, le merende che ci procurava, le gite a Iseo e sul monte di Coccaglio, le preghiere che ci faceva recitare prima e dopo la messa su quelle panchine all’altare del Sacro Cuore e perché no? anche il ricordo dei colpi di bacchetta sui polpacci teneri; colpetti in verità e proporzionati al numero degli errori... Altri tempi che sono andati coi nostri anni migliori. mons Lucio Cuneo

Pellegrinaggio al Santuario di Oropa G iovedì 27 maggio ha avuto luogo il pellegrinaggio parrocchiale alla Madonna di Oropa(Biella). Anche se il tempo è stato variabile, abbiamo passato una bella giornata di preghiera e di fervore nel celebre Santuario. Sono

veramente imponenti le strutture del complesso sacro: sia la chiesa antica con il celebre simulacro della Madonna Nera, sia la nuova costruzione della fine del sec. XIX, con una imponente cupola. Un gruppo di pellegrini ha usufruito

per il pranzo, di piatti tipici locali, di cucina popolare; un altro gruppo ha preferito il pranzo al sacco nell’antica foresteria del Santuario. La celebrazione della Messa nella chiesa antica, presieduta dal nostro parroco, ha suggellato questa bella giornata di fraternità e di preghiera. Posto alla fine del mese di maggio, questo pellegrinaggio ci impegna a custodire, come Maria, la parola del Signore ed a camminare nelle sue vie. una partecipante

Daniele Norton si è laureato in “Scienze e tecnologie della comunicazione musicale” il 21 aprile 2010. I nostri migliori auguri con la speranza che possa essere lo splendido inizio di una brillante carriera.

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Anagrafe parrocchiale

Anagrafe parrocchiale

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Rinati in Cristo (battesimi)

Nella luce di Cristo (defunti)

Bianchi Martina di Amos e Platto Laura Bissolotti Anna Maria di Tiziano e Timea Judit Szecskò Dodaj Andrea di Mirjan e Kukli Suela Raccagni Elisa di Gabriele e Roncali Emanuela Paganotti Lucrezia di Stefano e Colombi Elena Mucci Nicole di Emanuele e Carrozzo Ilaria Lo Sardo Evelyn di Roberto e Laurendino Australiana Ramera Marco Natale di Fabio e Minelli Michela Cavalli Federico di Simone e Danesi Claudia Campanella Aurora Nicole di Daniele e Corsini MariaLuisa Mazza Marco di Silvio e Galloni Sara Recaldini Gloria di Roberto e Zotti Elena Barbareschi Benedetta di Damiano e Bertassi Paola Scarsetti Ezio Francesco di Maximiliano e Masserdotti Cesira Briola Annalisa di Alberto e Redona Francesca Goffi Elisa Viola di Stefano e Baresi Silvia Iuliano Samuel di Maurizio e Gasparetto Chiara Massimo Cristian di Mauro e Machina Sabrina Piscioli Lorenzo di Marco e Biloni Elena Testa Pietro Elia di Paolo e Terlenghi Annalisa

Panza Fortunato di anni 84

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Turra Sergio di anni 74 Vassallo Mario di anni 73 Pisciali Giuseppe di anni 71 Gennari Maria di anni 91 Benedini Agnese di anni 80 Platto Giuseppina di anni 103 Patelli Giuseppe di anni 85 Breda Concordia di anni 82 Danesi Cecilia di anni 95 Festa Barbara di anni 82 Borsella Angela di anni 81 Dotti Arturo di anni 81

Uniti per sempre (matrimoni) Lo Sardo Roberto con Laurendino Australiana Ginex Simone con Milizia Giovanna Aiazzi Francesco con Michetti Umberta Lagonigro Alessandro con Venturini Pierangela Ventre Nicandro con Caputo Sara Foglia Vincenzo con Torriani Genni Caputo Gaetano con Lo Polito Simona N.B. A riguardo dei matrimoni è fatto divieto assoluto di spargere con i mortaretti strisce di carta colorata nella piazza a causa della impossibilità di raccoglierle da parte dei volontari della chiesa e degli addetti alla pulizia delle strade. Si raccomanda agli sposi di far rispettare questa norma. Grazie.


Calendario liturgico

Calendario liturgico pastorale GIUGNO 2010 06 Solennità del Corpo e Sangue di Cristo. 12 Sabato. Ore 16 In cattedrale di Brescia: Ordinazioni presbiterali. 13 Domenica XI del Tempo ordinario.Festa di S.Antonio di Padova. Battesimi comunitari. 16 Mercoledì Ore 20,30 : S. Messa al cimitero. 20 Domenica XII del Tempo ordinario. 21 S. Luigi Gonzaga. Ore 21 Inaugurazione della nuova santella delle Monticelle dedicata alla Madonna e a S. Luigi Gonzaga. N.B. Settimana dei Patroni Pietro e Paolo. 25 Venerdì: Ore 21,00 S. Messa rionale e preghiera ai santi Patroni nella Via a loro dedicata e alle vie limitrofe (Zona Castrezzato per Chiari) 26 Sabato. Ore 21,00 Concerto dei Patroni 27 Domenica Festa parrocchiale dei santi Patroni Pietro e Paolo. S.Messe con orario festivo. Alle ore 18,30 S Messa solenne concelebrata dai sacerdoti nativi, o che hanno operato a vario titolo a Castrezzato, aperta anche alla partecipazione del Presbiterio della Zona VIII di S. Filastrio. 29 Solennità liturgica dei Patroni. S. Messe ore 8,00 10,00 (con la partecipazione di tutti i Ragazzi del Grest). Conferimento del mandato agli educatori del Grest. Ore 20,00: S. Messa vespertina. Ore 20,30: Celebrazione in onore dei Patroni - Breve processione in Piazza Zammarchi e S. Maria degli Angeli. Solenne benedizione con la Reliquia dei Patroni. LUGLIO 2010 01 Giovedì. Ore 21,00 S. Messa e benedizione della Campagna. Rogazioni. (Alla chiesa dei Morti di Campagna). 02 Primo Venerdì del mese (S. Cuore). 04 Domenica XIV Tempo ordinario. 06 S. Maria Goretti, Vergine e Martire. 11 Domenica XV Tempo ordinario (Battesimi) 15 S. Bonventura Vescovo. 16 Beata Vergine Maria del Monte Carmelo. 18 Domenica XVI Tempo ordinario. 22 S. Maria Maddalena. 23 S. Brigida di Svezia, religiosa. 25 Domenica XVII Tempo ordinario. Memoria di S. Giacomo apostolo.

26 S.S. Gioachino e Anna, genitori della B. Vergine Maria 29 S. Marta. 31 S. Ignazio di Loyola, sacerdote. AGOSTO 2010 01 Domenica XVIII Tempo ordinario N.B. Da sabato 31 luglio pomeriggio a domenica 1 agosto è possibile ottenere l’indulgenza plenaria, alle solite condizioni stabilite dall’Autorità della Chiesa. 02 Festa di S. Maria degli Angeli, titolare dell’Altare di Maria e della Piazza della Chiesa. 05 Festa della Madonna della Neve di Adro. 06 Festa della Trasfigurazione e primo Venerdì del mese. 08 Domenica XIX° Tempo ordinario. 09 Inizio del Triduo dell’Assunta e di S. Rocco. S. Messa al Cimitero alle ore 15 e alle ore 20. 10 Festa di S. Lorenzo diacono e martire. S. Messa solenne nella chiesa a Lui Dedicata (Ore 10) 11 S. Chiara vergine. 14 S. Massimiliano Maria Kolbe, martire. Vigilia dell’Assunta. 15 SOLENNITA’ DELL’ASSUNZIONE della B. Vergine Maria. Ore 18,30: Processione dal Cimitero alla Chiesa con la statua di S. Rocco. S. Messa. 16 Festa di S. Rocco. S. Messe ore 8,00 - 9,30 - 18,30. Processione serale dalla chiesa parrocchiale al Cimitero. 20 S. Bernardo Abate. 21 S. Pio X Papa. 22 Domenica XXI tempo ordinario. 24 Festa di S. Bartolomeo Apostolo. 25 Mercoledì. Ore 20: ultima S. Messa estiva al Cimitero. 27 Memoria di S. Monica. 28 Memoria di S.Agostino, vescovo e dottore della Chiesa. 29 Domenica XXII Tempo ordinario. N.B. Con mercoledì 1 settembre, riprende la S.Messa delle ore 9,30, con la catechesi delle donne in chiesa parrocchiale.

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Settembre 1973


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