Bollettino Settembre

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N° 24 Settembre Novembre 2010

amminiamo insieme C Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato


Camminiamo insieme

Periodico della Comunità dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato Numero 24 - Settembre Novembre 2010

In copertina

Collaboratori di questo numero: Diocesi di Brescia, Mons. Mario Stoppani, Don Claudio Chiecca, Guido Bossa, Mons. Osvaldo Mingotti, Mons. Vittorio Formenti, Mons. Luciano Capelli, p. Lorenzo Agosti, Suore delle Poverelle di Bergamo, arch. V. Volta, Piergiuseppe Accornero, Giordano Muraro, A.C. di Castrezzato, Oratorio Segreteria Agostina Cavalli Fotografie di Erika Zani Impaginazione Giuseppe Sisinni Stampa G.A.R. di Ruffini s.r.l. - Castrezzato (BS)

Ecco come si presenta la facciata della nostra bella chiesa dopo il restauro di questi mesi. L’intervento si era reso necessario perché nell’ultimo inverno erano caduti dei pezzi di coppo e parti di intonaco ammalorato da infiltrazioni di acqua piovana. Si è dovuto intervenire con apposito impianto al grave problema dell’allontanamento dei piccioni che erano una vera calamità. Infatti, le mensole, le cornici, i tettucci di protezione della facciata e il tetto contiguo alla contro-facciata erano letteralmente invasi dagli escrementi dei volatili, intasando pluviali e causando infiltrazioni d’acqua e di umidità. Le ditte consultate per l’impianto di allontanamento hanno richiesto preventivamente il risanamento radicale della parte muraria, della copertura e degli intonaci, prima di collocare il dispositivo elettrico di allontanamento. Ora il lavoro è stato ultimato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La Soprintendenza ha seguito accuratamente ogni fase dei lavori, dando disposizioni e consigli. È apparsa in alto una scritta latina che dice “O quam metuendus est locus iste!”, ossia “Oh quanto è da venerare questo luogo!”. Il lavoro fatto ha dato risultati molto apprezzabili e, lo speriamo, duraturi. Allo Studio Volta che ha seguito i lavori e al nostro Consiglio Amministrativo parrocchiale (CPAE) che li ha promossi e impostati, va il nostro grazie sincero. I lavori di restauro della facciata saranno inaugurati dal nostro caro concittadino P. Lorenzo Agosti Superiore generale dei Pavoniani, domenica 21 novembre 2010, Solennità di Cristo Re; domenica nella quale ricorderemo il Suo XXXV° anniversario di Ordinazione sacerdotale. Il “volto” rinnovato della nostra spendida chiesa ci stimoli ad essere come Popolo di Dio, volto luminoso di Cristo.

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Sommario 3 5 7 9 11 12 15 19 21 26 33 38

Lettera del Parroco Cristo al centro

Nuovo anno pastorale Diventare cristiani maturi e responsabili

Riflessioni L’anno sacerdotale, un invito alla purificazione

Uomini della Chiesa In memoria di don Stefano Costa

Lettera pastorale Tutti siano una cosa sola

La nostra parrocchiale Uno scrigno d’architettura e di arti applicate

Ottobre missionario Dagli estremi confini della terra

Famiglia L’educazione

Famiglia Istituzione superata?

Spazio oratorio E... state in oratorio

Spazio oratorio Il Papa ha incontrato i chierichetti

Vita in parrocchia Inaugurazione della nuova Santella delle Monticelle


Lettera del Parroco Riflessioni all’avvio del nuovo anno pastorale

Cristo al centro

C

arissimi, l’avvio di un nuovo anno pastorale ci stimola a mettere a fuoco alcuni obiettivi fondamentali della nostra esistenza cristiana e a perseguirli con perseveranza. Essi sono: la centralità di Gesù Cristo e il cammino di tutti (nessuno escluso) verso la maturità cristiana. Ci accompagnerà quest’anno uno dei libri del Nuovo Testamento, chiamato Lettera agli Ebrei, che risulta molto attuale anche ai nostri tempi. Tutti sappiamo che la Parola di Dio deve essere la regola di vita dei credenti. Non c’è fede autentica senza il radicamento nella Parola di Dio. Ebbene, questo testo ispirato risulta quanto mai adatto ad affrontare la crisi di fede del nostro tempo, dentro e fuori la Chiesa. L’autore di questo testo (una volta ritenuto di S. Paolo Apostolo, ma poi nei successivi approfondimenti si è appurato che non è suo ma di un altro valido autore sacro) scrive ai cristiani della seconda generazione cristiana che dovevano confrontarsi con un clima di indifferenza e quindi erano tentati di abbandonarsi alla ricerca di surrogati rassicuranti e di cedere a mode pseudo-religiose di tipo entusiastico e spettacolare. A queste tendenze che alimentavano la nostalgia per una ritualità esteriore e una serie di precetti che confinavano l’esperienza religiosa nel privato e nell’ambito sacrale, l’autore ispirato (forse Barnaba, o Apollo o Timoteo, o comunque uno che

conosceva bene sia il cristianesimo che l’ebraismo) ripresenta la centralità di Gesù Cristo e del suo sacerdozio e stimola i cristiani a mantenere senza vacillare la loro speranza in lui, in pienezza di fede e disposti ad ogni buona

opera. Èquesto l’obiettivo “eterno” del discepoli di Cristo e vale anche per noi. In questa direzione ci spinge anche il nostro Vescovo, il quale ha dato alla Diocesi un orientamento annuale fondato sull’Eucaristia: “Un unico Pane; un solo Corpo”. Che cosa significa che Gesù è l’Unico, Sommo Sacerdote? Significa che Gesù, attraverso il dono della sua vita, realizzato nella condivisione massima del destino storico dell’uomo, apre la via nuova e inaugura il culto o liturgia definitiva dell’incontro con il Dio Vivente. Per questo solo Gesù può essere chiamato a pieno titolo “sacerdote”, perché

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Lettera del Parroco ha offerto se stesso una volta per sempre. Pertanto il vero culto cristiano è la nostra relazione personale con Dio e il servizio prossimo. E dal momento che il Padre si è manifestato nel Figlio crocifisso, solidale con l’umanità, non è possibile incontrare Dio se non in un legame di vero servizio ai fratelli: qui sta l’essenza dell’essere cristiani! Amore di Dio, amore del prossimo, “non a parole, ma nei fatti e nella verità”( ci richiama S. Giovanni). Il problema principale quindi, non è principalmente di offrire templi a Dio o di celebrare riti fine in sé stessi, ma di vivere intensamente questa relazione

con Dio e con il prossimo. Il nuovo anno pastorale guidato dal vescovo diocesano sarà caratterizzato dall’impegno di edificare una Comunità cristiana unita, sul modello eucaristico. “Se è un unico Corpo quello che si raduna per l’Eucaristia, un Corpo unito e ben compaginato dev’essere la Comunità (Chiesa appunto) che si modella sull’Eucaristia.” Dall’Eucaristia nasce e si sviluppa uno stile e un modello di Chiesa. Se vi ricordate era il programma spirituale e teologico dei Festoni del 2007. Perciò ricominciamo con entusiasmo. Concludo facendo riferimento ad un pensiero del Servo di Dio Papa

Paolo VI, il quale nel pieno della contestazione ecclesiale, dopo una disanima realistica della situazione che era molto problematica anche all’interno della Chiesa, esortava i cattolici al coraggio e alla speranza, facendo notare che “non molle e vile è il cristiano, ma forte e fedele”. Ricominciamo quindi con entusiasmo. A tutti i collaboratori del Regno di Dio, vecchi e nuovi, ai nuovi membri del Consiglio pastorale parrocchiale ( C.P.P.) e del Consiglio amministrativo parrocchiale (CPAE), ai Collaboratori dell’Oratorio, ai Catechisti, ai Ministri straordinari della S. Comunione, ai Lettori, a quanti servono e amano Gesù Cristo nella vita di ogni giorno, e fanno il loro dovere assistendo i malati o facendo crescere bene i loro bambini, a quanti si impegnano nel volontariato e nel sociale a tutti quanti cercano un significato più vero e autentico alla loro vita il mio saluto cordiale ed il mio incoraggiamento sincero. Buon Anno pastorale. il vostro don Mario

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e il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” Gesù 4

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Nuovo anno pastorale agosto – l’incontro del Papa con oltre cinquantamila chierichetti in Piazza San Pietro (incontro ignorato dalla grande stampa che trova più redditizio far conoscere solo gli scandali della Chiesa!). La Chiesa è molto più viva di quanto la si voglia presentare: non è ancora “moribonda”! Essa ha superato tante prove, dentro e fuori la sua compagine visibile e supererà anche quelle presenti. È il Signore Gesù che la guida con il suo Spirito!

In vista del nuovo anno pastorale 2010- 2011

Diventare cristiani maturi e responsabili Alcune linee di approfondimento

È

un luogo comune sentir dire che la Chiesa oggi sta attraversando una grave crisi. Ma tale affermazione va esaminata attentamente. Ci sono settori della cultura e della società che non sono mai stati teneri con la Chiesa non perché volevano riformarla o guarirla, ma perchè non l’hanno mai amata; e, se ne hanno puntigliosamente sottolineate i peccati e i limiti, era solo per combatterla e osteggiarla. Ma è anche vero che le principali difficoltà possono annidarsi all’interno della Chiesa (Il Papa lo ha ribadito più volte in questi mesi) qualora preti, vescovi e laici battezzati non vivessero in pienezza la loro stupenda chiamata alla fede e alla grazia, dessero cattivo esempio e mostrassero incoerenza, sempre possibili fin che viviamo quaggiù; quando insomma si dà spazio al peccato. Anche la grave questione degli abusi da parte di alcuni uomini di Chiesa (infinitamente limitata rispetto alle proporzioni reali della piaga che ha ben altri sviluppi nella famiglie e nella società e sulla quale spesso si tace colpevolmente), può diventare un pretesto per scartare in tronco la Chiesa. Insomma, anche la pedofilia, da obiettivo da sradicare (e giustamente, ci mancherebbe!) può diventare un pretesto per dare una spallata alla Chiesa. Ma la realtà della Chiesa è ben più grande dei suoi limiti. È davvero - come dice Gesù come una rete

gettata in mare che raccoglie ogni genere di pesci, buoni e cattivi. La selezione definitiva avverrà alla fine, nel giudizio. Intanto, per tutti è tempo di conversione. La ricchezza della comunità ecclesiale è costituita dalla molteplicità delle culture, dei carismi e dei doni diversi che vivono nella Chiesa, che è e resta unica. Il primato del Papa (primato petrino) ha il mandato di rendere visibile e concreta questa unità, nella molteplicità storica. Proprio recentemente (giovedì 29 luglio scorso) Benedetto XVI osservava in un pubblico discorso: “La Chiesa anche oggi, benché soffra tanto, tuttavia è una Chiesa gioiosa, non è una Chiesa invecchiata, ma una Chiesa giovane, perché la fede crea gioia”. Quanto è stato bello e festoso – ai primi di

E veniamo ad illustrare l’obbiettivo primario del nostro anno pastorale: diventare cristiani maturi e responsabili. Primarietà quindi della formazione degli adulti. In che modo? Le tappe da percorrere mi sembrano queste: 1- La prima sta nel concepire la vita cristiana come itinerario di crescita, partendo dal battesimo e giungendo all’eucaristia, per sfociare nella carità, intesa nel senso ampio di una vita donata. In questo percorso non partiamo da zero. Il catechismo che abbiamo frequentato da bambini e da adolescenti ci ha fornito i primi rudimenti della fede, indicandoci chi è Gesù, che cosa è la Chiesa, in che cosa consista l’esperienza sacramentale e avviandoci al primo contatto con la Sacra Scrittura

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Nuovo anno pastorale (Antica e Nuova Alleanza). Questo è stato solo il primo approccio alla fede, condiviso all’interno delle nostre famiglie (e come ci tenevano ad educarci cristianamente!), in parrocchia ed in oratorio. Occorre poi, nell’età giovanile e adulta portare avanti l’approfondimento teologico, che nutra la fede e ci porti a fare di Gesù Cristo il centro della nostra vita e il punto di riferimento delle nostre scelte concrete. È infatti con la vita concreta di ogni giorno che noi testimoniamo o rinneghiamo la fede: Gesù ci direbbe: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio”. 2- La seconda consiste nell’irradiare l’amicizia con Cristo e lo stile evangelico nei vari ambiti della vita:quello personale e quello comunitario (famiglia – lavoro – parrocchia - società). Un cristiano adulto non può arenarsi nel privato egoistico, nel vivere un perbenismo di facciata, senza far del male certo, ma neppure del bene. Una fede matura e cosciente si esprime nello stile di una vita impiegata e donata goccia a goccia, giorno per giorno nel servizio del Regno di Dio; in una carità attiva e saggia, a seconda degli impegni e delle situazioni personali, familiari, professionali ed ecclesiali, con generosità e fiducia. L’amore al prossimo non si ferma al solo rapporto di “buon vicinato”, di buona educazione o di coesistenza pacifica, ma deve essere creativo, concreto, portando le persone alla maturità e alla competenza (= far bene il bene). Il campo, come si vede, è vastissimo,nasce dal rinnovamento personale per allargarsi alla famiglia, alla società e al mondo. 3- La terza tappa sta nel perseverare. Lo dice esplicitamente Gesù: “Chi persevererà sino alla fine sarà salvato”. Per vedere i risultati occorre insistere nell’impegno, perché la nostra natura umana è incline alla pigrizia e all’appiatti-

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mento. Perseverare per il cristiano è un modo di vivere, giorno dopo giorno, la speranza cristiana, mantenendosi saldamente ancorato a Cristo Risorto, fonte viva della nostra speranza. Quando non ci si impegna a portare fino in fondo l’itinerario cristiano, il rischio non è soltanto quello di un cristianesimo mediocre, in cui la fede, la speranza e la carità si dissolvono in una presenza passiva all’eucaristia domenicale (= si va a messa per “forza”, quasi obbligati da un precetto, ma senza amore a Cristo): il rischio è l’apostasia (= il rinnegamento pratico della fede), in quello che potremmo chiamare oggi “ateismo di ritorno” o meglio “paganesimo di ritorno”. C’è una diffusione, oggi, di sostituti o surrogati dell’esperienza religiosa o di una fede “su misura”. Pensiamo alla non-conoscenza dell’immenso tesoro delle Scritture e dei contenuti della fede cristiana. Pensiamo all’idolatria del consumi, alla assunzione di stili di vita e modi di organizzare il tempo libero e il divertimento con caratteristiche sostanzialmente atee o pagane. Pensiamo al delirio di un divertimento che non rigenera le forze, ma abbruttisce ed aliena; all’esercizio di una sessualità disordinata; all’esaltazione di tutto ciò che fa uscire da sé (alcool o droga che siano). Pensiamo a certe feste cristiane che hanno per qualcuno lasciato solo una “vernice” superficiale di sacro e di cristiano, ma non incidono sulla vita. Fare delle belle esperienze di spiritualità, (dove magari si prega tutti con entusiasmo) partecipare a dei pellegrinaggi, deve produrre un reale cambiamento anche nella vita. Tornati a casa si deve continuare a pregare, frequentare la messa la domenica e comportarsi da cristiani, dare buon esempio ed aiutare la Parrocchia nell’apostolato e nel rinnovamento spirituale. Ben vengano allora i pellegrinaggi, se “producono” una vera con-

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versione ed un reale e duraturo cambiamento nella vita. Il Signore e la Madonna non ci sono soltanto nei Santuari, ma anche nelle nostre parrocchie che ci danno ogni giorno la Parola di Cristo, l’insegnamento di Cristo, il Corpo di Cristo, la dimensione comunitaria della fede. Dicendo questo, non si vuole limitare la giusta libertà dei credenti, ma guardare in faccia la realtà delle nostre Comunità e individuare dei percorsi per vivere fino in fondo la fede in Gesù Cristo (come del resto la Madonna ha sempre insegnato, fin dall’evangelico “Fate quello che Lui – Gesù - vi dirà” alle nozze di Cana). La vera devozione alla Madonna consiste nell’ascoltare Gesù suo Figlio! I primi cristiani hanno vissuto la stessa sfida della fedeltà e della perseveranza nella loro condizione di gruppo minoritario che rischiava di essere assorbito dalla maggioranza pagana. Di fronte ad un’alternativa che non è semplicemente la mediocrità, ma l’apostasia (magari soltanto a livello pratico, senza grandi dichiarazioni di principio, però concretizzata in una gestione pagana della propria esistenza), mi sembra che la via di uscita sia ancora quella indicata dalla lettera agli Ebrei: passare dalla fede iniziale ad una fede adulta, percorrere e proporre un itinerario di maturità cristiana che trova nell’eucaristia il suo modello supremo. Come parroco ritengo che questa sia una soluzione pastoralmente valida, se per pastorale si intende l’impegno di cristiani adulti che intendono ravvivare la fede ad altri cristiani adulti e in chi non manifesta più alcun interesse alla fede ricevuta. Con vera buona volontà iniziamo quindi un nuovo anno pastorale: un anno di grazia che ancora il Signore ci dona. Don Mario Stoppani


Riflessioni Chiesa e sacerdoti

L’anno sacerdotale: un invito alla purificazione “Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che - come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr Alt 10,16-33) - non sono mai mancate per i cristiani le prove. che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti. essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità. intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto”. (dall’Omelia di Papa Benedetto XVI, 29 giugno 2010)

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Anno Sacerdotale che si è concluso l’undici giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, ha coinciso con il periodo della più lacerante bufera che ha scosso il clero cattolico e, più in generale, la Chiesa. Non sono mancati né malizia né accanimento contro la Chiesa, e spesso direttamente contro il Pontefice, nella vera e propria battaglia ingaggiata in America e in Europa - dagli Stati Uniti all’Irlanda, dal Belgio alla Germania, solo per ricordare alcuni dei casi più clamorosi -, in cui la posta in gioco è sembrata a tratti trascendere il retto e condivisibile obiettivo di rendere giustizia alle vittime e punire con la necessaria fermezza i colpevoli di crimini nefandi, per trasformarsi in una nuova tappa della lotta senza quartiere contro i cristiani che ha percorso l’intero secolo scorso. E innegabile, purtroppo, che le prime reazioni di coloro che si sono sentiti oggetto delle accuse - relative magari a fatti avvenuti in anni remoti - siano state lente, confuse, disordinate. Si è tardato a prendere consapevolezza della gravità dei fatti - quando dimostrati - e in qualche caso si è tentata una imbarazzata e imbarazzante difesa aprioristica. Non è stata questa, fin dall’inizio,

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Riflessioni la linea seguita da Benedetto XVI, che del resto aveva lanciato la sua denuncia profetica contro la “sporcizia” della Chiesa ancor prima di salire al Soglio di Pietro. Ma è il caso di ricordare che anche fra i più stretti collaboratori del Papa tali sono i Cardinali anche quando non occupano posti di responsabilità in Curia - c’è stato qualche iniziale cedimento su una linea di difesa ad oltranza e di negazione dei fatti contestati. Ora, la chiusura dell’Anno Sacerdotale, e le parole che il Papa ha pronunciato nelle cerimonie liturgiche, offrono l’occasione per una riflessione più approfondita sui fatti e sui reali valori chiamati in causa dal “tradimento” di alcuni sacerdoti. Il sacerdozio, ha ricordato Benedetto XVI nell’omelia dell’ l l giugno, non è semplicemente “ufficio”, ma “sacramento”, in quanto “Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire a loro favore”. Emerge, dunque, il legame strettissimo fra il sacerdozio e la Chiesa, sacramento della presenza di Dio nel mondo; e si chiarisce la gravità del peccato commesso contro gli uomini - contro i più piccoli e indifesi - e contro la Chiesa stessa:

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peccato di infedeltà alla missione ricevuta, attraverso il quale si è corso il rischio - questo l’allarme lanciato dal Papa - che “Dio fosse spinto fuori dal mondo”. L’attacco alla Chiesa, afferma Benedetto XVI, non è terminato: il dovere della purificazione - “un compito che ci accompagna verso il futuro” - incombe su tutti i cristiani; e al dovere della purificazione è chiamato per primo ogni sacerdote, cui il Papa chiede di riflettere sulla propria vocazione: “Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde `in vasi di creta’ e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore”. Dunque, l’Anno Sacerdotale si risolve in un invito all’umiltà che deve coinvolgere la Chiesa intera. Consapevole che, quali che siano le prove e le persecuzioni cui essa è sottoposta, il pericolo più grave, il “danno maggiore” non le proviene dall’esterno, ma “lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cri-

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stiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto” (Omelia nella solennità dei santi Pietro e Paolo, 29 giugno). Il vero rischio della Chiesa, la più temibile delle persecuzioni, è. dunque il peccato che ne mina dall’interno la santità e la fedeltà a Cristo e al Vangelo. E, per tornare al “sacramento” sacerdotale, esso non può mai “rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistare una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero”, perchè “chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica” (Omelia del 29 giugno per l’ordinazione presbiterale dei diaconi della diocesi di Roma). C’è, dunque, da riflettere, al di là di quanto suggerito da una cronaca a volte spietata, sul compito e sui doveri del sacerdozio, anche oltre l’Anno Sacerdotale. Guido Bossa


Uomini della Chiesa Parroco a Castrezzato dal 1975 al 1986

In memoria di don Stefano Costa

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on Stefano avrebbe compiuto 80 anni fra poche settimane, dopo aver svolto con passione la missione di sacerdote per 57 anni. Ha un fratello sacerdote don Pietro, più giovane di due anni e questo fatto ci dice il clima che aleggiava nella sua famiglia: dai frutti si conoscono gli alberi. A Orzinuovi, nella fanciullezza di don Stefano e di don Pietro, coltivavano il regno di Dio due sacerdoti eccellenti che avevano seminato la evangelizzazione prima a Castrezzato: Monsignor Pietro Santi, parroco dal 1926 al 1941 e poi a Orzinuovi per 21 anni e don Pierino Rizzini, curato dal 1939 al 1947 e poi a Orzinuovi fino al 2001. Due maestri con l’impronta dello straordinario carisma di educatori. Così don Stefano e don Pietro godettero e fruttificarono della operosità di due cari sacerdoti a noi indimenticabili, per la ricchezza sacerdotale fatta di serenità, umanità e grazia. Don Stefano l’ho conosciuto in seminario a Brescia essendo Lui avanti a me di un anno. Era sereno, educato, bravo a scuola e molto devoto. Ci lasciammo nel 1953 e ci rincontrammo sacerdoti a Castrezzato nel 1975, quando il Vescovo lo nominò nostro parroco. Succedeva a don Agostino Bonfadini, nostro parroco, nato a Clusane l’11 novembre 1898 e divenuto parroco di Castrezzato dopo Monsignor Pietro Santi nel 1941. Era una successione difficile e la documenta il nostro Monsignor Angelo Zammarchi, allora rettore

Tappe essenziali Nato a Orzinuovi il 29.09.1930 Ordinato a Brescia il 14.06.1953 Vicario parrocchiale a Palosco dal 1953 al 1963 Vicario parrocchiale a Corti dal 1963 al 1970 Vicario parrocchiale a Chiari dal 1970 al 1975 Parroco a Castrezzato dal 1975 al 1986 Parroco a Adro dal 1986 al 1994 Vicario parrocchiale a Cologne dal 1994 Morto a Cologne il 28.06.2010 Funerali e sepoltura a Cologne il 30.06.2010 del seminario di Brescia che così scrive nel 1941: “Con grande gioia ringrazio il Signore del dono prezioso fatto dalla Provvidenza a Castrezzato per opera di S. E. Monsignor Vescovo. Esprimo direttamente a Lei, caro don Bonfadini, la mia grande gioia e prego dal Signore le più larghe benedizioni al suo prossimo ministero pastorale

a Castrezzato: ministero che non potrà non essere fecondissimo di frutti”. Fu parroco zelante per 34 anni e morirà il 3 maggio 1985. Don Stefano, successore, non farà molto rumore nei suoi 11 anni di parroco a Castrezzato, ma lascerà un’ impronta di religiosità e di pacatezza che sono patrimonio degli spiriti eletti. Era uomo di pre-

Don Costa in una cerimonia pubblica dei Festoni 1985

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Uomini della Chiesa ghiera, di vita semplice e dimessa, non amava apparenze né onori e credeva veramente che “gli ultimi saranno i primi nel regno di Dio”. La sua azione pastorale é sempre stata puntuale e mirata, il suo parlare era sempre chiaro e sintetico. Schietto nelle relazioni, sapeva apprezzare l’operato altrui e valorizzare i collaboratori. Aveva una spiritualità essenziale, ma ben radicata, tipica del clero bresciano. Leggeva molto e approfondiva con competenza e precisione le questioni che doveva via via affrontare. Lascia un ricordo di prete genuino che ha messo sempre al primo posto il bene della Chiesa, della comunità e mai se stesso. Il suo spessore culturale e la sua indole intellettuale, per un radicato spirito evangelico, non gli ha mai impedito di essere profondamente umano, in simpatia con la gente umile e semplice. Pur con stile sobrio, riservato, signorile, don Stefano è stato capace di amicizia, di rapporti cordiali e sinceri, di serena e gustosa visione della vita. Ha offerto i suoi ultimi anni di sacerdozio nel silenzio della parola e della memoria, ospite della casa di riposo di Cologne: pure questo è un modo con cui il pastore offre la vita per le sue pecore. I suoi funerali si sono svolti il 30 giugno 2010 nella parrocchiale di Cologne, con la concelebrazione di 50 sacerdoti e ora riposa nel cimitero di Cologne, in attesa della risurrezione. don Osvaldo Mingotti

Don Stefano Costa Un uomo semplice e un sacerdote mite Raccontare compiutamente in poche righe la figura di un Sacerdote che è stato nostro Parroco per 11 anni, non è certo una cosa semplice, ma vorrei tentare almeno di ricordare i punti più caratteristici del suo apostolato fra di noi e che sono rimasti nel mio cuore. Anzitutto un sincero ringraziamento a Dio per quest’ uomo che ha accettato la sua chiamata al Sacerdozio e che ha voluto donare 11 anni della sua vita per la nostra Comunità nell’ annuncio della Parola di Dio e nel quotidiano intenso servizio pastorale. Un profondo ringraziamento anche a te Don Stefano perchè con la tua presenza ed il tuo insegnamento (come era bello ascoltare la domenica le tue omelie...) ci hai fatto comprendere che la Fede, in un contesto sempre più in via di secolarizzazione, è un dono immenso di Dio e che vale la pena di viverla nella quotidianità del nostro duro lavoro e nelle nostre non sempre serene relazioni familiari. La tua semplicità e la tua mitezza ti hanno fatto accettare la nomina a Parroco di Castrezzato. Tu sapevi tutte le difficoltà parrocchiali di quel periodo, in particolar modo la mancanza di una canonica, una situazione economicofinanziaria non florida ed un oratorio ormai obsoleto. Ma hai accettato con amore e per amore hai vissuto 11 anni con noi cercando di sistemare con priorità i vari problemi: non certo per primo la tua casa, ma, come fosse per te una scaletta di valori, tu hai voluto sistemare prima il tetto della bellissima nostra Chiesa Parrocchiale e poi le 8 aule interne dell’oratorio. Quando ci hai lasciato per ricoprire il nuovo incarico di Parroco di Adro, nella tua messa di addio, hai voluto scolpire nuovamente nei nostri cuori il tuo profondo amore verso il Signore e verso di noi tuoi parrocchiani, dicendoci: “Ringrazio Dio perchè siete qui presenti, ringrazio Dio per la vostra fede in Lui e per la pazienza dimostrata nei miei confronti“ Mai una frase auto-elogiativa, mai una parola negativa o pessimista. Solo una lode a Dio ed espressioni di amore per i tuoi parrocchiani con vera semplicità e profonda mitezza. “Beati i miti, poichè essi erediteranno la terra “; tu don Stefano hai voluto nella tua vita accettare anche con grande mitezza la malattia che per molti anni ti ha tormentato e portando spesso anche in ospedale. Ti ho incontrato diverse volte e sempre un sorriso, un pensiero positivo ed una grande fiducia nei Medici ma soprattutto nella volontà del tuo Signore. A lui hai voluto don* tutto te stesso e sono certo che ora lo stai godendo “faccia a faccia”. Tu sei Sacerdote in eterno e dal Paradiso continua a pregare per noi e per l’intera tua comunità parrocchiale di Castrezzato. Con profonda stima e con sincera riconoscenza Un tuo parrocchiano

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Lettera pastorale La struttura e i contenuti della nuova Lettera pastorale

Tutti siano una cosa sola La comunità cristiana, nata a Gerusalemme, vive anche a Brescia

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utti siano una cosa sola”, la nuova lettera pastorale si compone di una introduzione, di tre capitoli e di una conclusione. Nell’ampia introduzione il Vescovo awia la riflessione a partire dalla nascita della comunità cristiana, “a Gerusalemme, nel cenacolo dell’ultima cena”. Da lì, come da una sorgente, scaturisce la comunità cristiana. È lì che è stata stabilita la regola che deve legare i membri di quel primo nucleo di Chiesa: la regola del servizio, dello spendere la propria vita, la regola della vita donata per amore, perché questo è in sostanza il testamento di Gesù. In questo amore reciproco Gesù continuerà nella storia a fare quello che ha sempre fatto: amare e dare la vita. Il suo amore, in questo modo, raggiungerà i discepoli per trasmettere loro l’amore infinito del Padre. Questo amore li renderà creature nuove, uomini e donne capaci di fare della propria vita un dono d’amore per gli altri. Viene, poi, la prima parte della Lettera che propone una riflessione approfondita sul dono dell’amore. È molto interessante ciò che il Vescovo afferma in proposito. Mons. Monari ricorda che l’umanità tutta è attraversata da una corrente inesauribile d’amore che proviene da Dio e che sostiene il mondo. Tutti gli uomini sono amati da Dio, ma, come sottolinea ancora il Vescovo, solo i credenti ne sono consapevoli e tentano di corrispondere a questo amore. Il loro amore si fa storia, prende concretezza nelle pieghe della vita e della quotidianità. Da qui discendono alcune conseguenze pratiche che costituiscono la seconda parte della Lettera, intitolata “Noi siamo il corpo di Cristo”. Nella logica dell’essere corpo di

Cristo, Gesù sceglie e manda alcuni perché operino in obbedienza al suo mandato. Sono i sacerdoti che, come presbiterio, costituiscono quello che mons. Monari definisce “un unico sacramento”. Attraverso i sacerdoti chiamati a vivere al meglio la comunione, Cristo, oggi, si rende presente anche a Brescia. La nuova Lettera tocca poi la legge dei rapporti nella Chiesa: molte membra, unite a formare un solo corpo. I ministri ordinati, le persone consacrate e i laici esprimono doni e vocazioni diverse che trovano sintesi nello stesso e unico amore. La meta comune è quella di portare il mondo a Cristo, dandogli la sua forma. E ciò awiene attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione dei sacramenti, la testimonianza della carità. L’edificazione della comunità è dunque compito di tutta la Chiesa. La terza parte della lettera (“Diventare una cosa sola”) pone in evidenza il mistero di Dio Trinità, pienezza e perfezione della comunione. Proprio perché i cristiani credono in un Dio uno e trino, l’ideale della loro vita deve essere quello della “pluralità unita nell’amore”: un solo corpo e molte membra, una sola famiglia umana e molte culture, lingue, esperienze, persone. La comunione è la legge fondamentale della Chiesa e, secondo questa legge, devono prendere forma e crescere tutte le realizzazioni di Chiesa: la famiglia, la parrocchia, famiglia di famiglie, che raccoglie tutti intorno alla medesima eucaristia. Il Vescovo mette l’accento, poi, su una terza realizzazione di Chiesa molto interessante e per certi versi originale: quella della “piccola comunità territoriale” che consente, dentro la parrocchia, di intessere legami concreti tra

gruppi di famiglie a partire dalla fede condivisa. Mons. Monari mette particolarmente in evidenza il tema delle unità pastorali, che uniscono più parrocchie attraverso un progetto pastorale condiviso che si traduce in un programma attuato nella collaborazione e nella corresponsabilità. Il Vescovo ricorda poi la diocesi, la Chiesa locale in senso proprio, vive in comunione con le altre diocesi e, in particolare, con quella di Roma e con il suo Vescovo, che costituiscono, insieme, la Chiesa cattolica universale. Lo stile della comunione è dato dalla sinodalità, dal camminare insieme, che si traduce nella valorizzazione degli organismi di partecipazione e nella disponibilità a lasciarsi illuminare e condurre dalla Parola di Dio. Nella conclusione il Vescovo sollecita i consigli pastorali parrocchiali ad avvalersi della sua Lettera come di uno strumento di riflessione, di approfondimento e di verifica per giungere a una forma di pastorale integrata, frutto di discernimento comunitario alla quale partecipino responsabilmente tutte le componenti della vita ecclesiale. Mons. Monari chiude la Lettera indicando nella pratica della comunione un itinerario educativo capace di ricadute importanti e preziose anche per la società, oltre che per la Chiesa.

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La nostra parrocchiale

Da Santa Maria degli Angeli alla nuova Parrocchiale di San Pietro

Uno scrigno d’architettura e di arti applicate

L

a prima importante novità sulla storia della chiesa dei Santi Pietro e Paolo Apostoli riguarda ciò che esisteva prima dell’edificazione di questo tempio,

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in questo stesso luogo. La letteratura storica infatti, dal Guerrini in poi, riporta la fondazione dell’attuale Chiesa dei Santi Pietro e Paolo sul sedime dell’antica chiesetta

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medievale di S. Pietro, che sarebbe stata ubicata extra moenia. Come ho già avuto modo di relazionare diffusamente pochi giorni orsono, tale informazione fu fondata su un’errata traduzione ed interpretazione della lapide del rettore Maggi apposta attualmente nell’antisagrestia. L’antica chiesa di S. Pietro infatti, dal riscontro crociato di una serie di testimonianze documentali, era in realtà ubicata all’interno del recinto del castrum, posta dove attualmente si trova la casa canonica sino alla fiancata occidentale della chiesetta di S. Lorenzo, (ciò è visibile dalla planimetria inviata in Curia nel 1768 dal Parroco Leali per la licenza di costruzione della chiesa della Concezione ora detta di S. Lorenzo). Al di fuori della cinta era collocata altresì la chiesa tardo-quattrocentesca dedicata a S. Maria degli Angeli, da cui deriva il toponimo dell’attuale piazza, più grande e comoda, descritta da S. Carlo e nelle visite successive, con una navata lunga almeno 15 metri oltre al presbiterio con tre arconi laterali per fiancata. Fatta luce sugli antefatti, la storia di questa chiesa inizia il 29 giugno 1750, 260 anni fa, quando avviene la cerimonia della posa della prima pietra, in seguito al decreto episcopale 29 maggio 1750, alla presenza di Gio Antonio Martinengo quondam Venceslao, patrizio di questo comune e patrono della


La nostra parrocchiale chiesa edificanda, Domino Tomaso de Madis, Rev. D. Carlo Gritti, D. Ludovico di Giovanni Magoni, D. Maffeo di Gio Maria Zambelli, Domino Giuseppe Rantini Fisico, D. Marco Sbardolino, D. Giulio Barucco, tutti deputati eletti e con il consenso di Giovanni Platto, Paolo Lupatini e Paolo Bonfili, sindaci del predetto Comune. Il padrino della nuova parrocchiale di Castrezzato è Giannantonio Martinengo Colleoni, nato nel 1709 e morto celibe il 25 novembre 1779. Il personaggio chiave della vicenda è tuttavia don Gian Battista Leali, nominato parroco di Castrezzato il 23 gennaio 1749. Nato a Carcina e proveniente dalla Parrocchia di S. Apollonio di Lumezzane, Leali era prete saggio e dinamico. Era già stato parroco di Paderno Franciacorta e nel 1730 era passato in Val-

gobbia, dove aveva avuto modo di conoscere le vicende artistiche della decorazione e dell’arredo di quella importante parrocchiale. Giunto a Castrezzato all’età di sessant’anni, era sempre stato legato alla sua parrocchia d’origine, S. Giacomo di Carcina, una delle più eleganti chiese valtrumpine, progettata nell’agosto del 1739 da Antonio Corbellini, il capostipite della celebre famiglia bottega di architetti-capomastri, residente a Rovato, ma proveniente dalla Valle Intelvi. Nel 1747, alla morte di mastro Antonio, la chiesa di Carcina era già quasi compiuta, ed il cantiere era passato interamente nelle mani del figlio Domenico Corbellini, come nei casi già conosciuti delle chiese di Coccaglio, Azzano Mella e Capriano del Colle per la torre.

Nel maggio del 1750, sotto la direzione di Domenico Corbellini, il bel tempio di S. Giacomo, accoglieva l’opera dello stuccatore intelvese Benedetto Porta, in preparazione delle grandi cornici delle medaglie nella volta di Pietro Scalvini, che lasciò la sua firma sulla pala di S. Gaetano nel 1756, nel tempo in cui era in pieno svolgimento il cantiere di Castrezzato. Non sappiamo molto della dotazione marmorea, ma è certo che sia le opere lapidee del bel portale e soprattutto del campanile di Carcina vennero affidati nel 1763 ai rezzatesi Francesco Lepreni e Gio Batta Gamba. Inoltre tra i fabbricieri di Carcina si ritrovano congiunti del Leali, cui si unisce addirittura un sacerdote, anch’esso d. Gio Batta, forse un cugino... La divagazione sugli autori e gli

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La nostra parrocchiale artisti operanti nella chiesa di Carcina non è ovviamente fine a se stessa, ritroviamo infatti sotto la reggenza del Leali ripresentarsi sul cantiere di Castrezzato gli stessi personaggi della chiesa di S. Giacomo. Andando per ordine, nel 1753, dopo 3 anni dalla posa della prima pietra, risulta già eretto il coro della nuova Parrocchiale, come da scritta sull’estradosso dell’abside. Nel 1767, Pietro Scalvini firma e data il grande affresco della volta della sagrestia (cronologicamente il primo degli autori di cui abbiamo memoria che il Leali conosce e chiama dal cantiere di Carcina). Nel 1769 il parroco Leali viene sepolto “in ecclesia nova S.ti Petri”. L’anno precedente aveva chiamato Domenico Corbellini per la progettazione della chiesetta della Concezione, detta anche di S. Lorenzo costruita sul sedime dell’antichissima chiesa di S. Pietro. Alla fine degli anni sessanta la struttura dunque è ormai conclusa, ma manca ancora l’architettura della fronte anteriore. Di fatto, i pagamenti del libro della fabbrica riprendono nel 1772 proprio per la facciata con il portale in marmo per cui vengono inacaricati Angelo Lepreni figlio del Gio Batta di Carcina, e Carlo Cristino di Rezzato lapicidi. Del 10 aprile 1773 sono i pagamenti a Gio Batta Rusca, impresario capomastro della facciata della chiesa parrocchiale. Nello stesso anno compare il nome di Domenico Corbellini liquidato per il disegno del portale maggiore in botticino. E sempre nel settembre e ottobre 1773 risulta la presenza del Corbellini sul cantiere a supervisionare i lavori alla facciata. È verosimile supporre che un artista noto come Domenico Corbellini non andasse a risolvere la facciata di un altro, dopo ventitre anni dalla posa della prima pietra! È chiaro quindi che don Leali,

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quando si prese carico di risolvere il problema della chiesa parrocchiale di Castrezzato, sapeva bene a chi rivolgersi per ottenere risultati di alta qualità architettonica ed artistica. La cronologia del settecento procede con note relative al completamento della facciata e all’allestimento degli arredi sacri. 1774, 20 giugno conti a Carlo Cristini tagliapietre per conto delle lasette della facciata (lastre dello zoccolo) versamento di denari per terra rossa romana per colorire la facciata della chiesa 1775, 2 febbraio pagati al Sig. Carboni Bernardino per il disegno dell’Altare Maggiore 1775, 10 luglio conti al Sig. Bernardino Carboni per “essere venuto qui a fare varie notazioni per li disegni del banco della Sagrestia e sedie del Coro” 1778 pala dell’Altare Maggiore di Ludovico Gallina Livio Marino pittura la porta maggiore e relativa bussola 1779 Altare Maggiore del Lepreni

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1781 soasa in marmo di Angelo Lepreni per il telero del Gallina 1782 Bernardino Carboni disegna il nuovo pulpito 1788 Gerolamo Romani ritocca la pala del Gallina per adattarla alla soasa di Angelo Lepreni 1792 Commissione della pala della Deposizione dalla Croce di Giuseppe Teosa (ora in sagrestia) 1796 Giuseppe Teosa di Chiari dipinge la pala dell’altare del SS. Sacramento 1797 Angelo Lepreni esegue le porte laterali della chiesa (portali in marmo) 1801 ritratto dell’arciprete Lucchini di Giuseppe Teosa Nel XIX secolo: il Parroco Regosa è committente dei due grandi altari laterali, disegnati dal Comotti ed eseguiti dal Galletti. Pavimentazione dell’abside più capocielo dell’Altare Majus (1850). Mastro Antonio Pagani scolpisce le due statue del SS. Sacramento. L’arch. Comotti disegna l’altare del SS. Sacramento (1851). Nel 1858 Antonio Guadagnini dipinge la pala del S. Rosario, nel 1864 Fraccaroli di Milano scolpisce le due statue del Rosario e Bondioli dipinge il quadro di S. Antonio con il paesaggio della porta da Basso. Nel 1867 Fraccaroli esegue i busti dell’altare maggiore, e nel 1869 Bondioli dipinge la Pala dell’Angelo Custode. V. Volta


Ottobre missionario Esperienze e riflessioni

Dagli estremi confini della terra Ci vuole tanta fede e coraggio per gestire una diocesi all’altro capo del mondo, letteralmente. Il salesiano mons. Luciano ci sta provando; molti amici, anche in Italia, lo appoggiano. E il suo grido va ascoltato.

L’

unica evidenza di vita è la crescita: la Chiesa missionaria è viva perché cresce. Dalla Cina i pionieri salesiani arrivaroro nelle Filippine nel 1953, due anni dopo la loro espulsione dovuta alla rivoluzione. Dalle Filippine, unica nazione cattolica in Oriente, la Chiesa missionaria salesiana si aprì verso la Papua Nuova Guinea, Timor, Indonesia, Pakistan, oggi fiorenti missioni. Dal Giappone ci fu un timido tentativo di raggiungere le Isole Solomons cedute più tardi alla delegazione della Papua Nuova Guinea. Dopo 34 anni di attività missionaria nelle isole Filippine alla fine del secolo (1999) mi è giunto tramite il consigliere per le missioni l’invito di Giovanni Paolo II del duc in altum e mi sono trovato così alla frontiera in una nuova sfida della congregazione salesiana nella 123a nazione al mondo: le Isole Solomons.

dell’isola di Guadalcanal, parte di una parrocchia che cura la missio ad gentes dove sono sorte e fioriscono varie comunità di base nel diversi villaggi; c) un ospedale gestito da un secondo gruppo di suore (Figlie della pietà di Asti) che cura le mamme e i bambini nella zona con più alta mortalità infantile, e le mamme che non hanno assistenza prima, durante e dopo il parto. Tutte e quattro le opere sono sorte in risposta a un bisogno di servizi per la dignità della persona, di sviluppo umano e cristiano, in un clima di prima evangelizzazione e di collaborazione ecumenica. Tutte e

quattro le opere sono sorte grazie alla collaborazione ecclesiale in risposta agli appelli accorati del missionario che ha coinvolto la Chiesa, le congregazioni, i sacerdoti e una lunga lista di laici volontari impegnati. La realtà dei sacerdoti missionari in questi estremi confini della terra Molti missionari sono morti per malaria e stenti, non esclusi diversi martiri e vittime del cannibalismo agli inizi della missione. Ho incontrato molti missionari della prima ora rimpatriati o morti: molti di loro (ma non tutti) senza rancore

La vitalità della missione nei miei dieci anni di attività Esistono oggi tre realtà fiorenti generate dall’attività missionaria salesiana nelle Isole Solomons: a) una scuola tecnica nella capitale Honiara per giovani rifiutati dal sistema educativo nazionale, altamente selettivo; una comunità di suore Figlie di Maria Ausiliatrice appoggia l’opera curando le ragazze sia in scuola che in ostello; b) una scuola agricola nel centro

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Ottobre missionario né incolpando nessuno hanno lamentato, con amarezza, il fatto di essere stati mandati, lasciati a se stessi, e non più sostenuti. I missionari hanno impiantato la Chiesa, formato i catechisti, visitato e costruito comunità ecclesiali in tutto il territorio, suddiviso “fraternamente” le varie denominazioni cristiane dai colonizzatori inglesi. Non è esagerato dire che i catechisti hanno tenuto viva la fede in mol moltissime comunità che il sacerdote poteva sì e no visitare una volta all’anno. I sacerdoti missionari hanno pure apprezzato molto (con un po’ di santa invidia) la novità ecclesiale del coinvolgimento di volontari laici a fianco del missionario. Ho visto e sperimentato personalmente ciò che per più di un secolo hanno sperimentato i primi missionari: l’isolamento della nazione dalle altre e, all’interno, tra le varie e lontane isole e tribù, la mancanza di comunicazione, le innumerevoli lingue e dialetti tra le varie isole, le tre lingue presenti nella stessa parrocchia ad gentes da me gestita per 5 anni, la difficoltà dei bambini nel frequentare le scuole primarie dovuta sempre alla distanza, al clima tropicale, alle zanzare, alla malaria, alla mancanza di

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assistenza sanitaria nelle comunità isolate. Da tre anni e mezzo sono pastore di 12.500 anime sperdute in innumerevoli isole e villaggi sulla costa e all’interno della Western Province delle Isole Solomons: sei parrocchie con un centinaio di piccolissime comunità disperse e isolate. Proprio quest’anno celebriamo i 50 anni della diocesi, gestita da un ordine religioso con una decina di sacerdoti locali nelle loro file, in tre case di formazione. In 50 anni abbiamo avuto 5 sacerdoti diocesani: due sono morti, due hanno lasciato il sacerdozio, uno è ancora sacerdote da tre anni e mezzo... La diocesi ha un sacerdote e un vescovo tutti e due presenti in diocesi da 3 anni e mezzo. Qualcuno si meraviglia? Uno sfogo Quanti preti occorrerebbero per gestire una diocesi come questa di Gizo? Nel numero 64 della Redemptoris missio leggiamo: «Ogni Chiesa particolare deve aprirsi ge nerosamente alle necessità delle altre. La collaborazione fra le Chiese, in una reale reciprocità che le rende pronte a dare ed a ricevere, è anche fonte di arricchimento per tutte ed interessa i vari settori del-

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la vita ecclesiale. Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo, attenti ai più lontani» Al numero 51 la Redemptoris missio ci ricorda che ogni comunità, per essere cristiana, deve: a) fondarsi e vivere in Cristo, nell’ascolto della parola di Dio, nella preghiera; b) incentrata sull’eucaristia, nella comunione espressa in unità di cuore e di anima; c) nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri. Andiamo bene per il primo e il terzo punto, ma per il secondo, l’eu caristia, in una situazione di isolamento totale e nella carenza di sacerdoti non è possibile. Mancando l’eucaristia, i catechisti e operatori pastorali fanno del loro meglio e suppliscono con i programmi pastorali ben preparati. Li formiamo meglio che possiamo, li sosteniamo, li incoraggiamo, siamo loro vicini... Ma le comunità chiedono l’eucaristia e il sacerdote, che agli estremi confini della terra sono “un lusso” o, come diceva un missionario, una “spiritual gluttony”. Il mio compito principale da vescovo è stato quello di “cercare sacerdoti”, chiederli, implorarli, coinvolgerli... Ma tutto questo si può fare solo attraverso i vescovi. Ho avvicinato 4 diocesi e una congregazione missionaria nelle Filippine, due in Birmania, due in Italia, 5 congregazioni religiose: 14 in tutto insistentemente per tre anni e mezzo. Siamo ora a quota 7 sacerdoti (4 religiosi, due diocesani, più il nostro). Il sacerdote che è rimasto più a lungo in una parrocchia da quando sono vescovo è durato 14 mesi. Su 8 sacerdoti nel presbiterio di quest’anno 4 sono nuovi e 3 non ci saranno più l’anno prossimo perché “imprestati” (a pagamento) per soli due anni. Non nascondo l’amarezza nell’ammettere che tre anni di insistenza


Ottobre missionario con il numero 64 del documento alla mano hanno portato troppo pochi frutti. Capisco le difficoltà di tante diocesi abituate ad avere un grande numero di ordinazioni an nuali e ora in crisi; non so però se le nostre situazioni nelle missioni agli estremi confini della terra siano prese in considerazione... Non solamente come “sforzo caritativo di solidarietà”, ma come obbligo stesso della Chiesa universale... È vero che molte Chiese hanno già dei territori dove operano con i loro Fidei donum e fanno fatica a sostenerne la vitalità; è anche però vero che una Chiesa cresce nella proporzione in cui è missionaria. Certamente l’obbligo della Chiesa missionaria è di darsi da fare per le vocazioni locali: ne abbiamo uno che sarà ordinato quest’anno e porterà il numero dei sacerdoti incardinati nella diocesi da uno a due: un incremento record del 100% che non tutte le diocesi possono vantare! Altri 8

sono in formazione in seminario, ci stiamo dando da fare (la fragilità vocazionale miete vittime purtroppo anche agli estremi confini della terra). La formazione missionaria, ci dice la RM 83, è opera della Chiesa locale con l’aiuto dei missionari e dei loro istituti, nonché del personale delle giovani Chiese. Questo lavoro deve essere inteso non come marginale, ma come centrale nella vita cristiana. Sono venuti più di un centinaio di laici impegnati in forza del battesimo e altri “laici” impegnati per motivi umanitari... Ancora non sono riuscito a coinvolgere i miei fratelli vescovi e sacerdoti, e non per mia indolenza. Come missionario agli estremi confini della terra potrei dare il mio contributo nella formazione... mi autoinvito. Prospettive di futuro «Dio prepara una nuova primavera del Vangelo», dice la RM 86. «Se

si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è, questo, un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. Inprossimità del terzo millennio della redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana». O Guai a chi si scoraggia... peccherebbe contro la speranza. Gli “estremi confini della terra” sono stati per troppo tempo, se non dimenticati del tutto, messi all’ultimo posto. Non senza loro responsabilità. Si può però e si deve intervenire. Prendiamoci le nostre responsabilità, tutti siamo responsabili: laici, sacerdoti, vescovi, Chiesa universale. Formiamo i nostri sacerdoti e i laici allo spirito missionario. Promuoviamo la solidarietà delle Chiese, curiamo una più equa distribuzione di sacerdoti e risorse. Sosteniamo i missionari agli estre

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Ottobre missionario mi confini del mondo nel loro sforzo di presenza personale, di promozione umana con la vicinanza e la solidarietà di mezzi e personale adeguati che dimezzino le distanze e facilitino la comunicazione e la sua presenza tra le comunità isolate (ho appena ottenuto con grande sacrificio, il brevetto di pilota per ultraleggero, manca solo il mezzo). 3 Lasciamoci condurre dallo Spirito nelle nuove prospettive di futuro: – Lo sviluppo della persona: servizio alla dignità, educazione, sanità. – Nel documento Ecclesia in Oceania la Chiesa chiede scusa per il messaggio cristiano a volte dato in modo non rilevante ai veribiso-

gni urgenti della gente, richiama l’importanza dello sviluppo della dignità mediante servizi di base come la sanità e l’educazione. – Le Isole Solomons e la Papua Nuova Guinea sono un chiaro esempio di come la Chiesa cattolica attraverso i missionari e le comunità cristiane ha promosso sia l’educazione che la sanità, là dove il governo è incapace di arrivare... – Impegniamoci a fondo con la preghiera e il lavoro incessante perché i sacerdoti, lavoratori della messe, siano aumentati e formati nello zelo missionario. – Promuoviamo la santità missionaria nei nostri seminari e movimenti giovanili. Nota essenziale della spiritualità missionaria è la comunione intima con Cristo:

non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall’opera dello Spirito; non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l’inviato a evangelizzare. – Impegniamoci a vivere il mistero di Cristo “inviato”. – Amiamo la Chiesa e gli uomini come li ha amati Gesù. Con Maria e come Maria, madre e modello: è lei, Maria, il model lo di quell’amore materno dal quale devono essere animati tutti quelli che, nella missione apostolica della Chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini. monsignor Luciano Capelli

C... come Costa d’Avorio Le Suore delle Poverelle operano in Costa d’Avorio in 6 missioni (Abidjan, Adiakè, Mafferè, Aiamè, Aboisso e Agnibilekrou. Si occupano di malati, denutriti, bambini, orfani, disabili, ragazze, famiglie, carcerati delle prigioni di stato. Svolgono servizio nelle parrocchie, nei centri di accoglienza e di formazione della donna, nelle scuole materne, nei centri nutrizionali, nei centri di alfabetizzazione, nei centri di salute, nelle carceri. Questo “avvolgersi tra i poveri” le rende attente ai loro bisogni fondamentali e capaci di farsi voce presso chi può aiutare a rendere più dignitosa la vita degli ultimi. Le Suore delle Poverelle ad Agnibilekrou, a nord di Abidjan, gestiscono un centro di oculistica; in questo centro è stata attrezzata una sala operatoria e sono stati sviluppati alcuni ambulatori con diverse attrezzature diagnostiche, uno dei quali per il confezionamento di occhiali da vista. I pazienti arrivano anche da molti chilometri di distanza, essendo l’unico centro in tutta la regione ad est della Costa d’Avorio nel raggio di 500 km. Grazie alla collaborazione della equipe della Unità Operativa di Oculistica della Casa di Cura Palazzolo di Bergamo, i medici si recano periodicamente in Costa d’Avorio per effettuare le visite oculistiche più complesse ed operare i pazienti che attendono da mesi di poter riacquistare la vista.

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Famiglia La recente Assemblea della Cei ha affrontato il tema della formazione

L’educazione Il tema dell’educazione è in continuità con il Concilio e con i piani pastorali dei decenni passati: andare alle radici, per trovare risposte adeguate. La formazione delle nuove generazioni deve stare a cuore a tutti.

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n Occidente e in Italia c’è un’emergenza educativa. E sarà l’educazione il tema prioritario che impegnerà la Chiesa italiana nel decennio 2011-2020. Lo ha deciso la 61a assemblea della Cei che si è svolta in Vaticano dal 24 al 28 maggio, che ha dibattuto e approvato a larga maggioranza il testo degli Orientamenti pastorali, demandando al gruppo redazionale di integrarli con gli emendamenti votati in assemblea. Il testo definitivo sarà presentato in settembre al Consiglio episcopale permanente che ne autorizzerà la pubblicazione. Benedetto XVI — che per primo dal 2006 ha parlato di “emergenza educativa” — appoggia senza riserve la scelta fatta dall’episcopato italiano perché l’educazione è una missione che la Chiesa affronta «senza complessi e senza menomazioni» e perché — dice ai vescovi — «la presente stagione è marcata da un’incertezza sui valori, evidente nella fatica di tanti adulti a tener fede agli impegni assunti: ciò è indice di una crisi culturale e spirituale, altrettanto seria di quella economica». Il testo degli Orientamenti pastorali è costituito dalla lettera di consegna; da quattro capitoli sui fondamenti biblici, teologici, ecclesiali, sui riferimenti socio-culturali dell’educazione e sui percorsi pedagogici e pastorali; da un’agenda pastorale per il decennio. Per

il Papa emergenza economica-occupazionale ed emergenza eticaeducativa si intrecciano: «Mentre rinnovo l’appello ai responsabili della cosa pubblica e agli imprenditori a fare quanto è nelle loro possibilità per attutire gli effetti della crisi occupazionale, esorto

tutti a riflettere sui presupposti di una vita buona e significativa che fondano quell’autorevolezza che sola educa e ritorna alle vere fonti dei valori. Alla Chiesa sta a cuore il bene comune che impegna a condividere risorse economiche e intellettuali, morali e spirituali, e ad

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Famiglia affrontare insieme i problemi e le sfide del Paese. La Chiesa offrirà il suo contributo alla crescita sociale e morale dell’Italia». È necessario andare alle radici Il tema dell’educazione è in continuità con il concilio Vaticano II e con i piani pastorali dei decenni passati, ma è necessario andare alle radici per trovare le risposte adeguate. Per il Papa la prima radice «consiste in un falso concetto di autonomia dell’uomo, che dovrebbe svilupparsi da se stesso, senza imposizioni da parte di altri. Ma la persona è creata per il dialogo, la comunione, l’incontro. Perciò bisogna superare questa falsa idea di autonomia». L’altra radice «è lo scetticismo e il relativismo», per cui «la natura è considerata come una cosa puramente meccanica senza imperativi morali né orientamenti valoriali. Bisogna ritrovare il concetto della natura come creazione di Dio decifrata dalla Rivelazione». Le difficoltà sono grandi «ma non possiamo cedere alla sfiducia e alla rassegnazione». Educare non è mai stato facile, «ma non dobbiamo arrenderci perché verremmo meno al mandato che il Signore ci ha affidato. Risvegliamo nelle nostre comunità la passione educativa, che non si risolve in una didattica, in un insieme di tecniche o nella trasmissione di principi aridi. Educare è formare le nuove generazioni perché sappiano entrare in rapporto con il mondo. I giovani portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani autentici che li aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita e la nostra risposta è l’annuncio del Dio amico dell’uomo, che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno. La trasmissione della fede è parte irrinunciabile della formazione integrale della persona». L’educazione necessita di luoghi

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credibili che il Pontefice individua nella famiglia che ha «un ruolo peculiare e irrinunciabile»; nella scuola, «orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche»; nella parrocchia, che Ratzinger definisce come papa Giovanni “fontana del villaggio”, luogo ed esperienza di fede. «Siamo chiamati ad affiancarci a ciascuno con disponibilità sempre nuova, accompagnandolo nel cammino di scoperta e assimilazione personale della verità. Non perdete la fiducia nei giovani, andate loro incontro, frequentate i loro ambienti di vita, comprese le nuove tecnologie di comunicazione. «Non si tratta di adeguare il Vangelo al .mondo, ma di attingere dal Vangelo una perenne novità. Proponiamo ai giovani la misura alta e trascendente della vita. La formazione delle nuove generazioni deve stare a cuore a tutti gli

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uomini di buona volontà». Concetti tradotti nella realtà italiana dal presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco che indica «due realtà fondanti e strategiche»: la famiglia e il lavoro. Due risorse da preservare La famiglia è fondata «su quel bene inalterabile che è il matrimonio tra un uomo e una donna, che va difeso, come bene ha fatto la Corte Costituzionale con l’importante sentenza del 14 aprile, e che va preservato quale crogiuolo di energia morale. Ma l’Italia va verso un lento suicidio demografico»: oltre il 50% delle famiglie è senza figli; tra quelle che ne hanno, la metà ne ha uno, il resto due, solo il 5% ha tre o più figli. «Urge una politica orientata ai figli che si faccia carico di un equilibrato ricambio generazionale con iniziative urgenti e incisive». E il momento giusto «perché bisogna uscire dalle pesanti difficoltà economiche attraverso parametri sociali nuovi. Il quoziente familiare è l’innovazione che può liberare l’avvenire della società. Nella pastorale familiare e in preparazione al matrimonio si operi per radicare sempre più la coscienza dei figli come doni». Il lavoro è «l’altro perno essenziale» perché è la risorsa e il capitale che la società deve fornire a ciascun cittadino, in particolare ai giovani. In contrasto con le infondate affermazioni ottimistiche di Berlusconi e del Governo «è il lavoro che oggi latita, con pesante disagio delle famiglie e indici allarmanti nel Sud. La mancanza del lavoro angoscia tutti. La Chiesa fa ciò che può, ma è troppo poco. Serve un supplemento di sforzo e un passo avanti della classe dirigente: politici, imprenditori, banchieri, sindacalisti. In questo critico scenario occorre un responsabile coinvolgimento di tutti». Pier Giuseppe Accornero


Famiglia Il valore della famiglia

Istituzione superata? fatti delittuosi avvenuti nel mese di maggio venivano riportati dai quotidiani con dovizia di particolari. A Torino un uomo massacra la moglie davanti alla psicologa con 50 coltellate. A Gela si consuma un drammatico episodio di gelosia che porta un giovane marito a uccidere la moglie davanti alla figlioletta di due anni. Sempre a Torino: un giovane uccide la nonna e poi tenta il suicidio. Alcuni giornali si sono subito premurati di far sapere che le statistiche dicono che l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di omicidi in famiglia: un omicidio ogni due giorni. Senza contare le perversioni, le violenze, le angherie che si consumano quotidianamente tra le pareti domestiche.

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coppie unite sono la minoranza». Molti rifiutano di sposarsi «perché l’esperienza dimostra che il matrimonio fallisce e lascia solo strascichi di sofferenza e di amarezza». Meglio una convivenza oppure una affettuosa amicizia a distanza, senza la preoccupazione dei figli. C’è di più. Si giunge a pensare che la famiglia sia dannosa non solo alle persone, ma anche alla società. Sarebbe all’origine dell’attuale sfascio morale. È quanto il regista David Ferrario scriveva su La Stampa, il giorno di san Valentino, in un articolo quanto mai significativo: “L’Italia senza valori non si cura in famiglia”. E il sottotitolo rincarava: “Lo sfascio morale che molti denunciano è una logica evoluzione del costume familistico”.

La famiglia, un disastro per i singoli e la società Come è possibile sostenere ancora che la famiglia è il luogo dell’amore, della crescita umana e cristiana? Non si sta forse avverando la profezia della morte della famiglia, che era iniziata nella seconda metà dell’ottocento, è continuata nel secolo scorso e sembra confermata nel primo decennio del nuovo secolo? Come può essere presa sul serio la grande affermazione di Giovanni Paolo II: «Il futuro dell’umanità passa attraverso la famiglia»? Su cosa si basa questo ottimismo quando assistiamo ogni giorno al progressivo sfacelo della famiglia? «Nella mia classe», diceva un ragazzo di seconda media, «i figli di

L’altra faccia della medaglia Si potrebbe controbattere questa tesi con una serie di fatti ancora più numerosi e convincenti, in cui si dimostra come la famiglia sia il

luogo dell’amore, anzi dell’amore nella sua forma più eroica, quella di dare la vita per la persona amata. È di questi giorni la notizia della mamma che si butta in mare per salvare il figlio e lo salva ma a prezzo della sua vita; del papà che con il suo corpo fa scudo al veicolo che sta investendo il figlio nel passeggino; delle mamme o delle spose che per lunghi anni assistono i propri cari in stato di completa inabilità, di figli e figlie che diventano gli infermieri permanenti dei propri genitori colpiti dall’Alzhaimer, dell’esercito di uomini e donne che nel silenzio impegnano la propria vita giorno per giorno per il bene dei propri familiari, e di mille e mille altri casi che dimostrano come la famiglia sia il luogo di un amore che resta fedele anche di fronte alle situazioni più drammatiche e faticose. Il festival dei diversamente abili di Carpi non è forse la dimostrazione di un amore straordinario che uomini e

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Famiglia

donne hanno avuto per i loro figli nonostante le deformazioni fisiche? Di questi fatti i giornali non danno notizia, mentre riempiono le pagine dei mostruosi delitti in famiglia. Però non è questa la via da seguire per controbattere i detrattori di questa istituzione che è stata proposta da Dio stesso e confermata dal Cristo come esperienza di crescita umana e cristiana. Un’esperienza indispensabile Per difendere e dimostrare la bontà della famiglia non si parte dalla

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famiglia, ma dalla persona. Perché? Per il semplice motivo che la famiglia come tutte le realtà create dall’uomo hanno il loro fondamento e la loro finalità nell’uomo stesso. Per questo la vera domanda da fare per capire e valutare la famiglia è la seguente: «Nella persona esiste il bisogno di famiglia e di quale famiglia?». La risposta per noi è affermativa. E cercheremo di dimostrarlo in tre tappe: l’uomo è un essere relazionale; l’uomo ha bisogno di rapporti affettivi; l’uomo ha bisogno di rapporti affettivi totalizzanti. 1 L’uomo è un essere relazionale. Oggi si insiste molto sulla natura relazionale della persona. Questa necessità di relazione non si limita al rapporto col Trascendente, ma si prolunga nel bisogno di creare relazioni con gli altri uomini con i quali la persona stabilisce diversi tipi di rapporti, che possono essere raccolti in tre filoni principali: i rapporti di giustizia con i quali si regolano i diritti-doveri delle persone nella convivenza sociale; i rapporti di solidarietà con i quali

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si risponde a quei bisogni che non possono essere rivendicati dalla persona come diritti, ma di cui ha necessità; e i rapporti di amore con i quali si prende in carico tutta la persona, e si risponde a tutti i suoi bisogni. L’uomo esiste e cresce perché vive in questa molteplice rete di relazioni, diverse e complementari. Solo così può sviluppare tutte le sue potenzialità umane. 2 Il bisogno di relazioni amorose. Quando si parla di relazioni umane, si pensa quasi sempre alle relazioni di giustizia, cioè quelle che garantiscono all’uomo il rispetto dei suoi diritti: il diritto alla vita, alla libertà di pensiero, di parola, di religione; il diritto alla scuola, al lavoro, alla casa, all’assistenza, ecc. In realtà l’uomo non vive solo di diritti. Il diritto tutela molti aspetti della vita, ma non raggiunge i livelli più profondi della persona, quelli in cui l’uomo è uomo, si scopre uomo e fonda la sua fiducia radicale nella vita. Questi livelli sono raggiunti e soddisfatti solo da un altro tipo di rapporto, quello che più assomiglia al rapporto che


Famiglia Dio stabilisce con la sua creatura: il rapporto di amore. C’è una differenza notevole tra la relazione di giustizia e quella di amore. La relazione di giustizia suppone due persone distinte: l’”io” e il “tu” che raggiungono la parità attraverso il “giusto”, cioè quello che l’io ha il diritto di ricevere e il tu ha il dovere di dare. Se una persona ha un debito di cento euro, deve restituire cento euro e l’equilibrio viene così ristabilito. Non interessa ciò che la persona è e cosa la persona sta vivendo; cento euro restano tali in tutte le condizioni e circostanze di vita della persona, sia che stia bene o che stia male, che sia in condizioni di assolvere il debito o non lo sia. La giustizia ribadisce il principio dell’identità del debito, prescindendo dalle condizioni del debitore. La relazione d’amore invece è una relazione d’interpersonalità, cioè si porta sulla persona e sui suoi bisogni. Non richiede la distinzione tra l’io e il tu, anzi tende a unire le due persone in una unità di vita: l’altro non è più “altro”, ma diven-

ta “uno” con la persona amata. Da questa comunione nascono due fatti che sono entrambi essenziali per la formazione e per la vita della persona. • Anzitutto la persona si sente accolta e amata, e questo genera un profondo senso di sicurezza e di fiducia nella vita. La solitudine è angosciante proprio perché la persona non basta a se stessa; e quando si viene a trovare nel vuoto di affetti, s’indebolisce la stessa voglia di vivere. • In secondo luogo, perché l’amore accoglie la persona con tutto il suo bisogno di vita. Ogni persona sente di essere un incompiuto; e si sente rassicurato quando sa di poter confidare non solo in se stesso, ma si sente portato nell’attenzione, nella cura, nell’amore di un altro. Essere amato significa sentire che l’altro è attento alla mia vita non con la misura della giustizia che dà il “dovuto”, ma mi avvolge con la sua vita donandosi senza misura, dando tutto, fino a rispondere – per quanto è possibile – a ogni mio bisogno e desiderio. Di qui nasce anche un nuovo

modo di percepirsi. Infatti quando l’uomo è amato si scopre ricco e positivo, perché sente di destare attenzione e interesse in un altro; e quando ama, percepisce se stesso come capace di accogliere la vita dell’altro e di avere la forza di rispondere ai suoi bisogni di vita. L’amore ha sull’uomo questi due benefici effetti: crea nella persona una grande fiducia in se stessa e la apre alla vita con fiducia. 3 Il bisogno di relazioni amorose totalizzanti. Si vive di cibo, di bevanda, di casa,

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Famiglia di vestiti, di assistenza, di cultura, di lavoro, di divertimento, ecc.; ma tutto questo suppone che sia stato soddisfatto un livello di vita più profondo, che è come l’humus umano da cui emergono tutti gli aspetti del vivere. Questo livello, il più profondo dell’uomo, è raggiunto e mantenuto in vita dal respiro dell’amore. Non basta un qualunque amore, ma si richiede un amore personalizzato e totalizzante, cioè un amore che sa accogliere la persona nella sua totalità intensiva (la persona tutta) ed estensiva (la persona per sempre). Possiamo portare come esemplificazione il tempo in cui la persona è “figlio”; ma questo ragionamento vale in modo proporzionale anche per il tempo in cui il figlio – divenuto adulto – vive la vita di sposo e di genitore. Il figlio per vivere e diventare persona umana ha bisogno di sentirsi amato tutto (cioè in tutto il suo essere), sempre (in ogni circostanza e situazione di vita), per sempre (non solo nel presente, ma anche nel futuro) da due persone – il papà e la mamma – che sono protese su di lui con tutto se stesse. Con questa dedizione amorosa che si prolunga nel tempo, i genitori poco alla volta “tirano fuori” (il termine “educazione” viene da “edurre”) quello che il figlio all’inizio possiede solo potenzialmente e virtualmente:

come il seme che, pur possedendo dentro di sé il programma genetico di diventare albero, lo diventa poco alla volta sotto l’influsso di agenti che mettono in movimento il suo potenziale di vita. La stessa cosa vale proporzionalmente per tutto il tempo della vita. Si vive perché si ama e si è amati: da fidanzati, da sposi, da genitori. La persona umana ha sempre bisogno di sentirsi avvolto dall’attenzione amorosa e continua di un’altra persona, che lo accoglie e lo ama come è, e per quello che è. È una presenza amorosa che non può venir assicurata da una successione di persone che entrano ed escono dalla vita, prendendo l’una il posto lasciato libero da un’altra; ma da una presenza costante delle stesse persone nella vita, per tutta la vita. Risposta al bisogno di amore totalizzante Se questo è vero, ci chiediamo allora quale sia il modo migliore di rispondere a questa esigenza profonda dell’uomo. La risposta che l’umanità finora ha dato è stata il matrimonio e la famiglia. È stata considerata sempre come il luogo della vita, perché luogo dell’amore, anzi, di quattro amori diversi: l’amore coniugale, l’amore genitoriale, l’amore fraterno e quello filiale. Quattro amori che si inte-

grano e rendono ognuno attento alla vita dell’altro, dando non solo quello cui l’altro ha diritto, ma quello di cui ha bisogno. L’esempio che abbiamo già riportato, quello della madre verso il figlio, si ripete con modalità diverse in tutti i membri della famiglia, in ogni situazione. Per esempio: al congiunto che è ammalato, in sofferenza, in crisi, non si assicura un’assistenza fatta solo di professionalità e di coscienziosità, ma si aggiunge quello che nessun codice dei diritti può prevedere: la dedizione e l’attenzione amorosa. Nessun altro luogo può proporsi come alternativo (o addirittura sostitutivo) della famiglia: né il mondo del lavoro, della cultura, della politica, dell’economia, dell’assistenza, dello sport, ecc. La riprova è data dalla palese inadeguatezza o dal fallimento di tutte quelle forme che sono state proposte come alternative alla famiglia, dalla comune familiare, al kibbutz, alle comuni cinesi, alle comunità alloggio. Se l’uomo trovasse qualcosa di meglio per soddisfare la sua necessità di amore, dovrebbe lasciare il posto a queste nuove forme, abbandonando il matrimonio e la famiglia. Ma finora tutte le esperienze fatte sembrano dimostrare l’impossibilità di proporre qualcosa di più efficace. Sembra che non esista scarto tra la domanda della natura e la risposta elaborata dall’uomo, come non esiste scarto tra il cibo e l’esigenza di mangiare. Si potrebbe addirittura sostenere che se la famiglia e il matrimonio non esistessero, bisognerebbe inventarli per il bene delle persone e della società. Per questo continua a essere valida l’affermazione con cui Giovanni Paolo ll concludeva la sua esortazione apostolica sulla famiglia: «Il futuro dell’umanità passa attraverso la famiglia». Giordano Muraro

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Famiglia Spunti educativi dalla figura del beato Lodovico Pavoni

Qual riparo a tanta sciagura?

“Q

ual riparo a tanta sciagura?”. È stato l’interrogativo che padre Lodovico Pavoni si è posto di fronte al “naufragio” di molti giovani del suo tempo, di fronte cioè al rischio di fallimento a cui era destinata la loro vita. Nei due brevi articoli precedenti ho già messo in luce alcuni aspetti delle intuizioni e dell’opera educativa del Fondatore della Congregazione religiosa a cui appartengo, un santo sacerdote vissuto a Brescia nella prima metà dell’Ottocento (1784-1849). Animato da passione educativa, non è rimasto insensibile di fronte alle difficoltà e ai rischi in cui si trovavano nella nostra città tanti giovani, soprattutto quelli orfani e in condizione di povertà. La loro situazione lo ha interpellato personalmente, lo ha coinvolto direttamente. Padre Pavoni non è rimasto spettatore del naufragio. Il cardinale Martini, in una sua lettera pastorale alla diocesi di Milano, Ritorno al Padre di tutti, riferendosi alla realtà di oggi, legata alla caduta delle ideologie, aveva citato un autore, H. Blumenberg, che aveva affermato: questa è una condizione di “naufragio con spettatore”. Molti si trovano come spettatori del naufragio. Il Pavoni invece non si è limitato a constatare, non è rimasto soltanto spettatore, ma si è sentito interpellato, si è fatto carico della situazione. La realtà lo ha spinto ad agire. Egli si è sentito profondamente preoccupato per questi giovani naufraghi; si è sentito spinto da un ardente desiderio di andare loro

incontro, di fare qualcosa per loro, di aiutarli nella costruzione del loro futuro. Alla domanda: “Qual riparo a tanta sciagura?”, ha risposto con la dedizione di tutta la sua vita attraverso l’impegno nell’oratorio e la fondazione di un istituto, che è diventato famiglia, scuola, luogo di formazione al lavoro e alla vita per i giovani in maggiore stato di necessità. L’Istituto di san Barnaba in Brescia è stata la sua risposta all’intuizione del suo cuore, suggeritagli dal Signore, per porre “riparo a tanta sciagura”. Così confida il Pavoni in un suo scritto: “Mi si presentò davanti il disegno con tanta chiarezza che mi parve dettato dal cielo”. Questa scelta è nata dalla riflessione, è stata dunque una scelta della mente, ma soprattutto è stata una scelta venuta dal cuore, perché il Signore tocca non solo la mente, ma anche il cuore. La sua è stata una risposta di mente e di cuore. Padre Pavoni si è sentito ferire il

cuore: un cuore sensibile al disagio dei giovani, un cuore che si è sentito ferire dai loro fallimenti, dalla loro rovina. Questi elementi si sono collegati tra loro: c’è stata un’ispirazione di Dio, attraverso la quale ha letto la realtà con una sensibilità che lo ha coinvolto profondamente, così da non poter rimanere spettatore del naufragio. Mi sembra un riferimento all’esperienza di S. Francesco d’Assisi. A Francesco il Crocifisso di S. Damiano aveva detto: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa”. Lodovico Pavoni ha sentito il Cristo ripetergli: “Lodovico, va’ e metti riparo alla situazione di tanti giovani rovinati e sfruttati. Lo sai che mi sono molto cari. Quello che tu fai per loro lo fai a me”. L’esempio di san Francesco per l’amore alla Chiesa e l’esempio del beato Lodovico Pavoni per l’amore ai giovani ci sollecita a non rimanere spettatori del loro disorientamento. Ci sollecita a valorizzare le loro risorse positive e ad aiutarli ad orientare al bene la loro vita. Sta a tutti noi, con il nostro esempio e con la nostra vicinanza, con valide iniziative e proposte e con un atteggiamento di vero amore e di fermezza, accompagnarli nella loro crescita umana e cristiana, perché l’emergenza educativa in cui ci troviamo si trasformi in opportunità educativa. L’esempio e l’intercessione del beato Lodovico Pavoni ci sono di stimolo e di sostegno. Padre Lorenzo Agosti Religioso pavoniano

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Spazio oratorio Il 4 agosto l’incontro dei ministranti con il Pontefice

Il Papa ha incontrato i chierichetti

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a grande stampa, così sollecita nello scoprire i nei sul volto indefettibile della Chiesa, e di amplificarne a dismisura le proporzioni, hanno generalmente ignorato una kermesse che, il 4 agosto scorso, ha portato a Roma circa sessantamila chierichetti, in prevalenza di lingua tedesca, i quali hanno incontrato Papa Benedetto XVI in una festosa udienza che ha evocato l’incontro di Giovanni Paolo II nel memorabile giubileo dei giovani a Tor Vergata nell’anno Duemila. Se l’iniziativa fosse stata allargata ai chierichetti di lingua italiana e spagnola non sarebbe certo bastata Piazza San Pietro a contenerli tutti, a conferma che il volto della Chiesa rima-

ne eternamente giovane. Dovrei usare il termine più corretto di ministranti, ma mi va di usare quello più tradizionale di chierichetti. Mi richiama alla memoria il vissuto della mia infanzia, quando mi alzavo ogni mattina di buon’ora per servire all’altare l’Ufficio quotidiano dei Defunti celebrato dal Parroco don Bonfadini. Bisognava arrivare con un congruo anticipo al già antelucano orario, in quanto era necessario prima recarci con un contenitore nella casa dei coniugi Lucio e Maria Ruffini, in quella che veniva denominata la “cuntrada dei mόrcc”, reminiscenza toponomastica dell’antica ubicazione cimiteriale prima delle leggi napoleoniche. Là, sul camino della

vecchia cucina, ardeva già il fuoco scoppiettante, dal quale la veneranda mamma toglieva, quasi con gesti di sapore sacrale, alcune brace ardenti che, messe nel turibolo, avrebbero favorito le profumate volute dell’incenso. Dopo i maitì (mattutini) ed il parce mihi Domine cantato dal fedele Gioàn Gualina, provetto ciabattino del Railì, al termine della cerimonia veniva infatti asperso e turificato il catafalco. Eravamo in gran numero allora noi chierichetti, spronati da famiglie di convinta tradizione religiosa a “servir messa”, continuando una tradizione liturgica, ma anche culturale, che risale ai primordi della Chiesa. Fare il chierichetto, indossare la talare nera e la bian-

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Spazio oratorio ca cotta era un onore, e costituiva un modo unico e responsabile di vivere la nostra identità cristiana, una libera scelta che si aggiungeva all’obbligo della frequentazione del catechismo parrocchiale. Significava assistere da vicino, anzi collaborare direttamente al mistero centrale della nostra fede, protagonisti del miracolo costante rappresentato dalla Celebrazione eucaristica, nonostante il sacrificio di dover imparare a memoria le formule in lingua latina. Mi piace sottolineare un dato di fatto incontrovertibile. Non tutti i chierichetti, naturalmente, si sono fatti preti ma, la pressoché totale compagine dei sacerdoti nel mondo intero sono stati chierichetti. Anche Papa Benedetto XVI ci ha tenuto a rammentare di esserlo stato da ragazzo nell’incontro citato che, pur non ideato e organizzato come risposta agli attacchi dei media sulla pedofilia, ha mostrato anche scenograficamente una risposta eloquente, dimostrando come tantissimi ragazzi e adolescenti con i loro genitori

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hanno ancora stima e fiducia nei loro preti. Quelle migliaia di volti festosi, sorridenti, entusiasti, fieri del loro ruolo di ministranti, hanno costituito di fatto una risposta alle accuse, vere e false, e comunque sovente strumentali, lanciate alla Chiesa in questi tempi. Nella nostra parrocchia non sono mai mancati generosi e numerosi chierichetti. Merito di zelanti parroci e curati di ieri e di oggi. Ma ci torna d’obbligo pure del fare doverosa memoria di Paola Platto, zia per antonomasia anche di tanti di loro. Fu per decenni custode amorevole delle loro divise liturgiche, in buona parte da lei donate e confezionate dalle sorelle Lina e Antonietta Galli. Che il Signore ne rimeriti l’impegno! E’ altresì bello ricordare che alcuni chierichetti castrezzatesi, oggi ormai adulti, negli anni ottanta hanno avuto l’onore di servire nella Basilica di San Pietro in Vaticano, e di incontrare personalmente Papa Giovanni Paolo II. E mentre scrivo penso al volto di uno dei nostri chierichetti di oggi: Diego, il più piccolo. Capel-

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li ricci biondi, occhi azzurri, gli ho detto di controllare bene se sulle sue spalle non spuntino anche le alucce. Il pittore Vittorio Trainini lo avrebbe sicuramente preso a modello per i celesti cherubini che ha ritratto in tante chiese bresciane. Allora mi si permetta una conclusione. L’ho scritto e detto a voce in varie circostanze. La compagine così bella e numerosa dei nostri chierichetti deve rappresentare un terreno fecondo per la nascita di qualche vocazione al sacerdozio. Castrezzato, che ha consegnato alla storia tante figure di preti nativi, diocesani e religiosi, di grande caratura umana e sacerdotale, non deve, non può continuare nel lungo digiuno di una mancanza totale di vocazioni, a conferma che il ruolo antico dei chierichetti, collaboratori del sacerdote nella liturgia, può costituire ancora un’esperienza decisiva per l’educazione alla fede, ma anche per scelte coraggiose di vita. Don Vittorio


Spazio oratorio Con l’inizio del nuovo Anno pastorale, riparte l’attività di Azione Cattolica

Voi siete la luce del mondo Auguriamo a tutte le famiglie un buon cammino, e vi invitiamo ad unirvi con noi in preghiera per tutte le vostre e le nostre intenzioni, sofferenze, gioie e preoccupazioni, affidandole alla divina provvidenza. Nessuno deve sentirsi solo nel difficile ma entusiasmante cannino che è la vita, grande dono di Dio.

“V

oi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, ne si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.” Queste parole del Vangelo di Matteo, che concludono il discorso delle Beatitudini, sono la guida e la traccia del percorso che l’Azione Cattolica si propone di percorrere nel prossimo anno pastorale. Come è sottolineato all’interno del testo evangelico, Gesù dice “voi siete” e non “voi siate”; non è un invito o una sollecitazione ma il riconoscimento di una identità di cui tutti siamo chiamati a prendere consapevolezza, invitati ad essere fedeli alla chiamata del Signore. Giovanni Paolo II ai giovani della Gmg di Toronto: “Quello che voi ereditate è un mondo che ha un disperato bisogno di un rinnovato senso di fratellanza e di solidarietà umana. È un mondo che necessita di essere toccato e guarito dalla bellezza e dalla ricchezza dell’amore di Dio. Il mondo odierno ha bisogno di testimoni di quell’amore. Ha bisogno che voi siate il sale della terra e la luce del mondo”. Facciamo in modo che la lucerna non sia nascosta sotto un secchio o che la fiamma sia spenta da un soffio. Sempre Giovanni Paolo II ai giovani di Toronto:”Approfondite lo studio della Parola di Dio e lasciate che essa illumini la vostra mente ed il vostro cuore. Traete forza dalla

grazia Sacramentale della Riconciliazione e dell’Eucarestia. Frequentate il Signore in quel “cuore a cuore” che è l’Adorazione Eucaristica.

Giorno dopo giorno, riceverete nuovo slancio che vi consentirà di confortare coloro che soffrono e di portare la pace nel mondo.” Come ogni anno l’Azione Cattolica propone agli associati un percorso differenziato per fasce di età. In ogni caso il soggetto di questo percorso è sempre la persona (ragazzo, adolescente o adulto che sia) colta nella sua relazione con se stessa, con Dio , con l’altra persona e con il creato con l’obiettivo di impegnarsi alla lettura attenta delle fragilità del sistema sociale,

con particolare riferimento ai temi dell’educazione, della famiglia, del lavoro, della legalità, della coscienza civica, della solidarietà e dell’accoglienza, dell’integrazione delle diversità sociali e religiose. Il Signore aveva chiamato i suoi discepoli perché illuminati da Lui, vera ed eterna luce, divenissero anch’essi luce nelle tenebre. Oggi i chiamati siamo noi tutti. Tenere la “luce” accesa è quindi un invito a qualificare la propria persona come cristiano testimone del Cristo nella vita quotidiana. La Presidente

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Vita in Parrocchia Lettera agli Ebrei, il mercoledì alla S. Messa delle ore 9,30

Programma della catechesi annuale delle donne 2010/2011 Settembre 2010 1. La lettera agli Ebrei: Notizie generali A. Autore e origine dello scritto B. Data, genere letterario, struttura e destinatari Ottobre 2010 2. Gesù figlio di Dio, fratello degli uomini A. L’esordio della lettera (1,1-4) B. Il Figlio è superiore agli angeli (1,5-14) C. La redenzione realizzata dal Cristo (2,5-18) D. Conclusioni per l’oggi Novembre 2010 3. Invito alla perseveranza A. L’esortazione (2,1-4) B. l problema della perseveranza (cc.3 e 4) C. Conclusioni per l’oggi Dicembre 2010 4. Cristo unico e definitivo sacerdote A. Problemi di carattere generale Gennaio 2011 B. Gesù sommo sacerdote (4,14-16;5,1-14) C. La superiorità del Cristo sui sacerdoti levitici (c7) D. Conclusioni per l’oggi Febbraio 2011 5. Invito alla maturità cristiana, fede e speranza A. L’esperienza cristiana come maturità (5,11-14; 6,1-8) B. L’esperienza cristiana come speranza (6,9-20) C. Conclusioni per l’oggi

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Marzo 2011 6. Il sacrificio della nuova alleanza A. Problemi di carattere generale B. Il Cristiano mediatore di un’alleanza migliore (8,3-13) C. Il Cristo penetra nel santuario celeste (9,1-14) D. Il significato del sacrificio del Cristo (9,15-28; 10,1-18) E. Conclusioni per l’oggi Aprile 2011 7. Nuovo invito alla perseveranza A. La fede perseverante (10,19-25) B. Pericolo dell’apostasia e motivi di perseveranza (10,26-39) C. Conclusioni per l’oggi Maggio 2011 8. L’esempio dei padri A. La fede esemplare dei padri (11,1-39) B. L’esempio di Gesù Cristo (12,1-13) C. Conclusioni per l’oggi Giugno 2011 9. Perseveranza e carità attiva A. Il cammino dei cristiani (12,14-29) B. Ultime raccomandazioni (c.13) C. Conclusioni per l’oggi


Vita in Parrocchia Presentazione sintetica del libro ispirato

Nel complesso è un discorso dottrinale ed esortativo, che soltanto al termine assume l’aspetto di una lettera (13,20-25).

Lettera agli Ebrei I contenuti Questo scritto si presenta come un’esortazione rivolta a cristiani in difficoltà (10,32-36; 12,34). Alcuni di essi ripensano con nostalgia alle esperienze religiose ebraiche (4,14-16; 12,9-10); altri, sfiduciati, rischiano di abbandonare la fede cristiana (3,7-14; 10,24-25). L’autore espone, in forma di omelia, il tema della mediazione unica e definitiva di Gesù Cristo, Figlio di Dio (4,14-5,10). Gesù è il sommo sacerdote della nuova alleanza promessa dai profeti (8,6-13). La sua morte, liberamente accettata, è il vero sacrificio che libera dal peccato e unisce i credenti a Dio (10,1-18). La seconda parte dello scritto contiene un’esortazione alla fiducia e

alla perseveranza, sviluppata attraverso molti esempi tratti dall’AT (11,1-12,29). Lo schema della lettera è il seguente: Prologo (1,1-4) In Cristo si compie la salvezza (1,54,13) Cristo sommo sacerdote (4,1410,18) Il cammino della fede (10,1913,19) Epilogo (13,20-25). Le caratteristiche La lettera agli Ebrei è intessuta di riferimenti e confronti con i temi biblici della tradizione giudaica; rispetto alle altre lettere paoline, è uno scritto diverso per argomento e stile, non certo per importanza.

Aspetti un bambino e hai bisogno di aiuto?

L’origine Un maestro e capo di una comunità cristiana scrisse questa lettera. Egli dimostra un’eccezionale familiarità con la tradizione biblica e giudaica, congiunta con una conoscenza raffinata della lingua greca. La menzione di Timòteo e della comunità dei cristiani dell’Italia (13,23-24), sono indizi troppo vaghi per definire l’origine del nostro scritto. Riguardo all’autore, tra le varie ipotesi, gode di un certo credito quella che lo identifica nell’alessandrino Apollo, un giudeo-cristiano esperto di Sacra Scrittura e collaboratore di Paolo (At 18,24-28; 1Cor 1,12; 3,4-9; 16,12). Circa la data di composizione alcuni indicano la fine del I sec.; altri pensano invece a un periodo di poco anteriore all’anno 70. I continui richiami alla religione giudaica fanno pensare che la lettera sia stata indirizzata a cristiani di origine ebraica.

Ricorrenze

NON SEI SOLA! Una maternità inattesa può comportare momenti di grave sofferenza. Spesso la madre è in angoscia e solitudine. Una decisione irreparabile può avere già compromesso la pace del cuore. In forma riservata potrai incontrare la persona adatta a comprenderti ed aiutarti.

Centro di Aiuto alla Vita - Onlus Vicolo San Clemente, 25 BRESCIA Tel. e Fax 030 44512

A Padre Lorenzo Agosti, che ricorda quest’anno il 35° di Ordinazione presbiterale i nostri sinceri auguri.

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Vita in Parrocchia 21 giugno 2010

Inaugurazione della nuova Santella delle Monticelle

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a sera del 21 giugno scorso è stata benedetta e inaugurata la nuova santella delle Monticelle dedicata alla Madonna, a S. Luigi e a S. Antonio Abate. La santella era stata donata due anni orsono alla Parrocchia dai proprietari del complesso immobiliare delle Monticelle recentemente costruito. Non è certo paragonabile alla precedente chiesetta storica con relativo campanile, che è stata abbattuta. Pur tuttavia è un segno decoroso del sacro e della devozione di quella frazione. Tante persone si sono generosamente attivate per completarla ed abbellirla. Un grazie particolare dobbiamo ai geometri Gabriele Manenti e Loredana Pisciali per aver seguito le pratiche e i relativi permessi, come pure a tutte le generose famiglie delle Monticelle ad altre gentili Ditte che hanno collaborato per il tetto, il legname e i pannelli in policarbonato messi a protezione della santella. Al nostro pittore Giorgio Manenti dobbiamo la bella Madonna con Bambino dipinta su legno. Grande folla ha partecipato alla sua inaugurazione la sera della festa di S. Luigi Gonzaga. È stata celebrata la santa messa per tutti i defunti delle Monticelle e poi , nella cascina Maifredi è stato offerto un simpatico rinfresco. A tutte le buone famiglie della frazione il nostro vivo ringraziamento, mentre affidiamo alla loro cura la custodia di questo nuovo, piccolo ma grazioso, luogo sacro. Il parroco

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Camminiamo insieme


Vita in Parrocchia

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Vita in Parrocchia In occasione della commemorazione di tutti i fedeli defunti

Novembre, mese dei morti Il rito delle esequie 210. «La liturgia cristiana dei funerali è una celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore. Nelle Esequie la Chiesa prega perché i suoi figli, incorporati per il Battesimo a Cristo morto e risorto, passino con lui dalla morte alla vita. È per questo che la Chiesa, madre pietosa, offre per i defunti il Sacrificio eucaristico, memoriale della Pasqua di Cristo, innalza preghiere e compie suffragi; e poiché tutti i fedeli sono uniti in Cristo, tutti ne risentano vantaggio: aiuto spirituale i defunti, consolazione e speranza quanti ne piangono la scomparsa» (Rituale Romano, Rito delle Esequie (1974), RE Introduzione 1). Indicazioni generali 211. Un posto di rilievo assume la veglia di preghiera nella casa del defunto. Qualora il sacerdote non possa essere presente si deputino laici che, attraverso appositi sussidi, animino la veglia. Essa non sia mai tralasciata: è un momento forte di comunione e di evangelizzazione (cfr. RE, introduzione 3.19). 212. L’Ordinario diocesano può concedere il permesso di celebrare le Esequie anche di un piccolo, morto prima che i genitori potessero battezzarlo, com’era loro intenzione (cfr. CIC, can. 1183 § 2); come pure di un battezzato non cattolico, qualora manchi il proprio ministro e non consti la sua volontà contraria (cfr. CIC, can. 1183 § 3). 213. Sarà necessaria un’opera di

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saggia persuasione perché i familiari evitino spese eccessive per le onoranze funebri. Si potranno suggerire autentici gesti di solidarietà a vantaggio di necessità reali e bisogni presenti. 214. Quand’anche gli accordi vengano presi tramite organizzazioni apposite, il pastore non trascurerà mai il contatto personale con i familiari del defunto. 215. Per la celebrazione delle Esequie di una persona proveniente da altra parrocchia, è necessario avvisare il parroco della parrocchia di provenienza e informarsi del defunto. Per la celebrazione 216. La liturgia funebre è espressione della comunione dei santi, perciò la celebrazione sia sostenuta dalla luce della fede cristiana. 217. La celebrazione completa delle Esequie si struttura attorno a questi elementi: preghiera nella casa del defunto, processione alla chiesa, celebrazione eucaristica in chiesa, ultima raccomandazione e commiato, processione al cimitero, preghiere al sepolcro (cfr. RE, Introduzione 3). 218. Particolare attenzione va riservata alle orazioni, ai testi biblici e alle monizioni nella loro vasta possibilità di scelta (cfr. RE, Introduzione 11-13), tenendo presente che la Messa esequiale non può essere celebrata nel Triduo sacro, nelle solennità di precetto, nelle Domeniche di Avvento, di Quaresima e di Pasqua (cfr. RE, Introduzione 6).

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219. Nella celebrazione si curi particolarmente l’omelia, la quale non deve avere il carattere di elogio funebre, ma deve essere un aiuto alla comprensione e un approfondimento del mistero della morte alla luce del Signore Gesù crocifisso e risorto. I testi biblici in tal senso offrono ampie prospettive. È sempre possibile, e la domenica vincolante, utilizzare le letture bibliche della liturgia del giorno. 220. Nella Messa esequiale non si tralasci mai la “preghiera dei fedeli” (che sia preparata e sia preghiera) e si richiami il valore della Comunione eucaristica durante la Messa (cfr. RE 64. 66). 221. Prima della celebrazione occorre manifestare con molta fermezza l’assoluta inopportunità, nel rito liturgico, dei vari interventi commemorativi, i quali possono invece trovare migliore collocazione presso il cimitero. 222. Attenzione particolare va riservata anche ai segni: la collocazione del defunto rivolto verso l’altare (ma, se ministro ordinato, rivolto verso l’assemblea); il testo dell’Evangelo o della Bibbia sul feretro, la presenza del cero pasquale (cfr. RE 59). 223. L’abbondante proposta che il Rituale offre circa la preghiera dei Salmi, soprattutto nel contesto delle due processioni (dalla casa alla chiesa; dalla chiesa al cimitero), permette una scelta di testi adatti alle varie circostanze (cfr. RE, Introduzione 24). Nella casa del defunto e durante il funerale vi sia l’invito alla preghiera comune.


Vita in Parrocchia Durante il trasporto della salma in chiesa si inviti alla partecipazione orante attraverso la forma litanica. Andando al cimitero si preghi con il S. Rosario o con altre forme di supplica (cfr. RE 80. 82), e al camposanto la celebrazione sia sobria, come dal Rituale, senza ulteriori aggiunte da parte del celebrante. Celebrazione del rito delle esequie seguito o preceduto dalla cremazione 224. Il Rito delle Esequie (1974), recependo quanto è stabilito dall’Istruzione della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio “De cadaverum crematione” dell’8 maggio 1963, afferma al n. 15 dell’Introduzione: «A coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle Esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana. ... Le Esequie siano celebrate secondo il tipo in uso nella regione, in modo che non ne resti offuscata la preferenza della Chiesa per la sepoltura dei corpi, come il Signore stesso volle essere sepolto». 225. Il primo problema pastorale che emerge è il rapporto tra la celebrazione dell’Eucaristia e la cremazione. La Presidenza CEI ha deciso con voto unanime che in linea di principio le Esequie precedano la cremazione. Ne consegue che nella prassi ordinaria l’Eucaristia viene celebrata prima della cremazione, presente la salma. 226. Alcune volte si pone però il problema della richiesta di funerale religioso dopo la cremazione. Tale eventualità si verifica normalmente solo per motivi pratici nel caso di decesso all’estero. La richiesta da parte dei fedeli di celebrare la Messa esequiale, anche quando si è compiuta la cremazione o arrivano dall’estero le urne cinerarie di emigrati che intendono trovare riposo nella terra di origine, non

può essere negata, ben consci che la S. Messa resta il cuore di tutto il rito. 227. Il Rito delle Esequie ricorda anche che «i riti previsti nella cappella del cimitero o presso la tomba si possono fare nella stessa sala crematoria, cercando di evitare con la debita prudenza ogni pericolo di scandalo o di indifferentismo religioso » (RE, Introduzione 15). Celebrazione delle esequie in situazioni matrimoniali irregolari 228. Come principio generale vale quanto è detto nei “praenotanda” al Rito delle Esequie: «Nel predisporre e nell’ordinare la celebrazione delle Esequie, i sacerdoti tengano conto non solo della persona del defunto e delle circostanze della sua morte, ma anche del dolore dei familiari, senza dimenticare il dovere di sostenerli, con delicata carità, nelle necessità della loro vita di cristiani. ...l sacerdoti sono ministri del Vangelo di Cristo, e lo sono per tutti» (RE, Introduzione 18). 229. Più specificamente sul problema delle Esequie di chi si trova in situazione matrimoniale irregolare ci si attenga a quanto indicato nel Direttorio di Pastorale familiare per la Chiesa italiana (1993) al n. 234: «Poiché il senso del funerale cristiano consiste propriamente nel ringraziare il Signore per il dono del Battesimo concesso al defunto, nell’implorazione della misericordia di Dio su di lui, nella professione di fede nella risurrezione e nella vita eterna, nell’invocazione per tutti, e in particolare per i familiari, della consolazione e della speranza cristiane, la celebrazione del

rito delle Esequie non è vietata per questi fedeli, purché non ci sia stata una loro esplicita opposizione...». Celebrazione delle esequie in caso di suicidio 230. Per la celebrazione delle Esequie dei cristiani suicidi: riconoscendo che in questi casi è difficile escludere il turbamento mentale del soggetto, di norma si proceda alle Esequie complete, a meno che la persona suicida, prima della morte, abbia fatto percepire in forma manifesta, o con le parole o con gli scritti, di non volere le Esequie cristiane. 231. Nella circostanza dei funerali dei suicidi il buon senso sconsiglia con fermezza tutte quelle iniziative che potrebbero creare equivoci e non lasciare intuire la contrarietà della comunità cristiana al suicidio. In tal modo la fede nella misericordia di Dio è accompagnata dal senso del rispetto della sacralità ed inviolabilità della vita. (Dal Direttorio per la celebrazione e la pastorale dei Sacramenti della diocesi di Brescia)

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Anagrafe parrocchiale

Anagrafe parrocchiale Rinati in Cristo (battesimi)

Nella luce di Cristo (defunti)

Dotti Allegra di G.Luca e Laura Baresi

Garbellini Cesira (Agostina) di anni 85

Fanelli Davide di Damiano e Vezzoli Nicoletta

Briola Marta Maria di anni 93

Piora Alissa di Alessandro e Cariola Neva

Loda Lucio di anni 83 Arrighini Tranquilla di anni 92 Marinelli Bruna di anni 67 Berardi Carlo di anni 82

Bonardi Matteo di Giorgio e Galli Paola Manchi Davide di Alessandro e Ziglioli Claudia Noci Gabriele di G.Battista e Costa Nikka

Facondo Emanuele con Ramera Elena

Pontoglio Andrea di Davide e Gaspari Cristina Marta

Falappi Alessio con Gaspari Cristina

Metelli Vittoria di Giovanni e Testa Elena

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Uniti per sempre (matrimoni)

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Camminiamo insieme

Festa Alessandro con Miani Emanuela Arciani Marcello con Rubagotti Gloria Panza Luca con Legrenzi Francesca Metelli Giovanni con Testa Elena


Calendario liturgico

Calendario liturgico pastorale SETTEMBRE 2010 05 Domenica XXIII T. O. Domenica battesimale - Festa dell’Anziano 08 Natività della Beata Vergine Maria. Ore 9,30 S. Messa per le donne. 12 Domenica XXIV T.O. Festa dell’AVIS (40° di Fondazione) 15 Beata Vergine Addolorata. Ore 9,30 S. Messa per mamme e spose. Ore 20,30, presso il Centro giovanile di Chiari, inizio del Corso Catechisti degli adulti. 17-18-19 Feste di San Luigi 19 Domenica XXV T. O. Ore 9,30 S Messa solenne in oratorio con inizio dell’anno catechistico ed associativo. 26 Domenica XXVI T.O. 29 Santi Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele. N.B. Con il 1° di ottobre entra in vigore l’orario invernale delle sante messe. OTTOBRE 2010 Mese missionario - Mese del Rosario 01 S. Teresa di Gesù Bambino. 02 Santi Angeli Custodi. 03 Domenica XXVII T.O. Inizio della Settimana Mariana in preparazione alla Festa della Madonna del Rosario. Le iniziative pastorali sono comunicate sul foglio settimanale. 10 Domenica XXVIII T.O. Festa della Madonna del S. Rosario. Ore 18,00: Santa Messa e processione con la statua della Madonna del S. Rosario. 15 S. Teresa D’Avila, vergine e dottore della Chiesa. 17 Domenica XXIX T.O. Giornata missionaria mondiale. 18 S. Luca evangelista. 24 Domenica XXX T.O. 28 Santi Simone e Giuda, apostoli. 31 Solennità della Dedicazione della Chiesa. Inaururazione e benedizione della Piazza S. Antonio di Padova (a fianco della chiesa parrocchiale, lato est.)

NOVEMBRE 2008 Mese dedicato alla Memoria dei Morti e alla Speranza della Risurrezione. 01 Solennità di Tutti i Santi (orario festivo delle sante messe). Ore 14,30: Processione dalla chiesa al cimitero. Ore 15,00 S. Messa al cimitero per tutti i nostri Defunti. 02 Commemorazione di Tutti i Fedeli defunti. Sante messe: Ore 8- 9,30- 17 in chiesa; Ore 15,00 e 20,00 al cimitero. Indulgenza plenaria per i Defunti. 03 Da mercoledì 3 novembre a venerdì 12 novembre: Ottavario dei Defunti. Il programma liturgico-pastorale è pubblicato sulla carta settimanale della chiesa. (Ogni giorno, alle ore 15,00 e 20,00: Santa Messa al cimitero, esclusa la domenica) 07 Domenica XXXII T.O. Commemorazione del IV Novembre. Battesimi comunitari alle ore 16,00. 10 S. Leone Magno. 11 S. Martino di Tours 14 Domenica XXXIII T.O. Giornata annuale del Ringraziamento. 15 S. Alberto Magno. 18 Dedicazione delle Basiliche dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. 21 Solennità di Cristo Re. Ore 11,00 XXXV° di Ordinazione di P.Lorenzo Agosti. Inaugurazione dei restauri della facciata della Chiesa parrocchiale. Conclusione dell’Anno liturgico. 22 S. Cecilia patrona degli Organisti e della Musica sacra. 28 Domenica I° di Avvento. Giornata del Pane (Caritas). 30 S. Andrea apostolo.

Corso dei fidanzati in preparazione al matrimonio Anno Pastorale 2010-2011 Sede: Oratorio Pio XI Via Gatti, 38 Castrezzato alle ore 20,30 Date: Ottobre - Sabato 2, 9, 16, 23 Novembre - Sabato 6, 13, 20, 27 Conclusione: Domenica 28 Novembre S. Messa ore 18,00 e consegna dell’attestato

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Uno sguardo al passato 4 novembre 1972 L’arciprete don Agostino Bonfandini prega davanti al monumento dei caduti


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