Bollettino Parrocchiale giugno agosto 2011

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n° 27 giugno - agosto 2011

amminiamo insieme C Periodico della ComunitĂ dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato

Camminiamo insieme

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Sommario

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Periodico della Comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato N.27 giugno - agosto 2011

Hanno collaborato a questo numero: mons. Mario Stoppani, don Claudio Chiecca, p. Matteo Fogliata, Lucia Zanetti, Gruppo Missionario di Castrezzato, A.C. e A.C.R. di Castrezzato, Catechisti dei ragazzi e degli adulti, Tiziano Bissolotti, C.P.P. e Membri delle Commissioni, Sergio Danieli, dott. A. Pirlik, p. Alberto e p. Renato Modonesi, Silvana Brianza, Mirta Festa. Testi magisteriali: Papa Benedetto XVI, Mons. Luciano Monari vescovo di Brescia Contributi di: Rivista Battaglie sociali, Shahbaz Bhatti, Credere (Ed. San Paolo) Fotografie Erika Zani Segreteria Agostina Cavalli Impaginazione Giuseppe Sisinni

In copertina I nove Cori angelici - Paternità. Trinità del Nuovo Testamento Russia centro-settentrionale, I metà del XIX sec. (Tela, gesso, tempera su foglia oro). Quest’anno la Solennità della S.S. Trinità cade in giugno. Ecco perché proponiamo come frontespizio del nostro Bollettino questa pregevole icona della Trinità del nuovo Testamento, posta al centro dei nove Cori angelici. “È un soggetto alquanto raro, così com’è descritto nella presente icona. L’immagine della Trinità del Nuovo Testamento costituisce uno dei due moduli iconografici con cui l’antica arte russa illustrava la santa Trinità. Il modulo più antico e diffuso è quello della Trinità dell’Antico Testamento, che illustra il modello biblico del dogma trinitario, la trinità angelica apparsa ad Abramo e Sara sotto le parvenze di tre misteriosi angeli (il modello più celebre è il capolavoro di Andrej Rublev). Nell’icona qui riprodotta, al centro, troviamo una solenne raffigurazione Dio Padre, Creatore, severo vegliardo, che regge davanti a Sé il Figlio, sul quale è disceso lo Spirito sotto forma di colomba. La Trinità è inclusa in una “mandorla” di gloria circolare, sul cui fondo d’oro spiccano fiammeggianti cherubini, dalle caratteristiche sei ali. I cherubini sono disposti a formare l’immaginario trono su cui sono assisi i due personaggi. Il grande cerchio è circondato da una fascia blu scuro, simboleggiante la sfera celeste e contenente le raffigurazioni degli arcangeli e dell’Angelo Custode. Quest’ultimo si trova in basso, sotto ai piedi di Dio Padre. In alto, sopra il suo capo, vi è invece l’arcangelo Michele, il principe degli angeli, l’arcistratega che guida le schiere celesti nella lotta contro satana. Sulla sinistra lo affianca Ga briele, il messaggero che portò a Maria l’annuncio della divina concezione. Dal grande cerchio che contiene la Paternità si dipartono, in basso, quattro raggi rossi, contenenti le raffigurazioni simboliche degli Evangelisti: (da sinistra) l’angelo per Giovanni, il leone per Marco, il toro per Luca e l’aquila per Matteo. Attorno al grande cerchio contenente la Trinità, sono disposte le schiere angeliche, presentate nel solenne dispiegamento di tutti i cori che le compongono. Sono contraddistinte dalle diverse vesti e sono così distribuiti : a sinistra in alto le Dominazioni, sotto i Troni; in basso, da sinistra, gli Arcangeli, i Principati, gli Angeli; salendo, a destra, le Virtù e infine le Potenze. I due cori più alti nella gerarchia angelica, i Cherubini e i Serafini, si librano in alto, e sono presentati nella loro tradizionale raffigurazione iconografica: creature con il capo circondato dall’aureola e sei ali, rosse per i Cherubini e nere per i Serafini. Il ricco contenuto dell’icona si realizza in una composizione di grande effetto e particolarmente consona al soggetto, che vuole trovare una soluzione visiva al concetto di consustanzialità e uguaglianza delle tre persone trinitarie e al trionfo della divinità nella gloria dei cieli. Particolarmente suggestivo è l’effetto di espansione del nucleo centrale dell’icona, di apertura verso gli spazi sconfinati, popolati dalla folla degli angeli. I due cerchi concentrici creano una forte illusione di dilatazione progressiva. Il risultato è un insieme che, mosso da una forza centrifuga, si apre all’infinito, evocando una dimensione cosmica. La sontuosa policromia completa la notevole suggestione estetica dell’immagine, in cui il contrasto fra le intense tonalità di rosso e blu-nero è illuminato dalla generosa presenza dell’oro, il colore per eccellenza della divinità”. Dott. Andrej Pirlik

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Lettera del Parroco “Attirate i nostri cuori in cielo”

Con la Chiesa Così la Chiesa e i cattolici hanno costruito l’identità italiana

Formazione biblica Cristo unico ed eterno Sacerdote (II)

Formazione biblica Fondamento biblico del primato petrino

Formazione spirituale Sulla Lectio Divina

Con la Diocesi Il vescovo indice il Sinodo diocesano sulle Unità Pastorali

Vita in parrocchia Dialoghi di pace

Spazio famiglia Il mio matrimonio va male

Spazio missioni Mons. Lorenzo Voltolini, arcivescovo di Portoviejo

Spazio oratorio Un percorso da continuare

Spazio oratorio Prime confessioni e Cresime

Spiritualità Il cammino francese che porta a Santiago di Compostela


Lettera del Parroco

Celebrare e vivere la Festa dei Patroni

“Attirate i nostri cuori in cielo”

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arissimi, la Festa dei Patroni è festa di tutta la famiglia parrocchiale che riconosce nei propri Patroni la pietra di fondazione della propria storia religiosa, ma anche sociale e culturale. L’indagine storica ci rivela che per alcuni secoli qui a Castrezzato fu venerato come patrono solo S.Pietro apostolo. La primitiva chiesa parrocchiale, piuttosto angusta, sorgeva all’interno dell’area delle mura del castello; aveva l’abside volta ad oriente ed occupava parte dell’attuale canonica (lato ovest) e della chiesetta di S. Lorenzo (denominata anche dell’Immacolata Concezione). Il campanile, abbattuto per far posto alla chiesetta di S. Lorenzo, era posizionato sul lato ovest dell’attuale facciata della chiesetta. Nel Seicento si edificò anche una chiesa dedicata al domenicano S. Pietro Martire (ancora oggi esistente ad ovest), come sede della Confraternita dei Disciplini. Infine si pensò di edificare l’imponente chiesa parrocchiale attuale (siamo nel 1750) e la si dedicò a tutti e due gli Apostoli, considerati da sempre “come le colonne della Chiesa”. Bellissima nel suo significato è la scritta che campeggia sulla facciata “ NOSTRA IN CAELUM PRINCIPES PECTORA TRAHITE” ( O Principi degli Apostoli, attirate i nostri cuori in cielo”). Queste sono le notizie storiche sicure e documentate, confermate anche dalla ricerca storica recentemente effettuata dal prof. V. Volta . Dal punto di vista liturgico, la solennità degli Apostoli di Roma

(Gloriosi Principes Apostolorum), è già celebrata dalla Depositio Martyrum del 354, alla data del 29 giugno, quando si festeggiava san Paolo sulla sua tomba sulla via Ostiense e san Pietro alla catacomba della Via Appia (perché la basilica vaticana costantiniana era in costruzione). Secondo la testimonianza più antica di Tertulliano (sec. II), Pietro di Betsaida (sul lago di Galilea), il cui nome giudaico era Simone, poi chiamato Kefa ( che significa roccia), morì crocifisso a Roma nel 67; e secondo Origene, con la testa all’in giù (secondo l’uso romano di crocifiggere gli schiavi; anche nella nostra chiesa, in un pregevole affresco dello Scalvini, è raffigurato così). I recenti scavi hanno confermato che il martirio del capo degli apostoli, è avvenuto sul colle vaticano, dove oggi, sopra una stupenda

necropoli romana, sorge l’imponente basilica di San Pietro. Paolo di Tarso (in Cilicia, attuale Turchia), il cui nome era Saulo, fariseo di fede poi convertito (anni 31/32), dopo la seconda prigionia a Roma fu decapitato verso il 67, come attesta pure Tertulliano secondo una tradizione costante, presso la via Ostiense (Ad Aquas Salvias, a cinque chilometri da Roma), non molto lontano dalla grande basilica di San Paolo costruita sul luogo della prima traslazione e affidata ai monaci già nel VI secolo. Queste le notizie storiche. La festa del 29 giugno li celebra insieme per l’eloquente testimonianza del martirio e per la fraterna comunione apostolica che essi rappresentano. Gli antichi inni liturgici celebravano la sede apostolica di Roma perché “presiede alla carità di tutte le chiese” (S. Ignazio); per-

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Lettera del Parroco

ché è “stata imporporata dal prezioso sangue di così grandi capi” (Inno carolingio); perché – come dice ancora S. Ambrogio – “è fondata su tale sangue”. La sede apostolica di Roma è stata onorata dalla santità di grandi figure di Pontefici (anche se qualcuno conosce solo i Papi nepotisti o la figura moralmente miseranda di Papa Borgia…). In duemila anni di storia, tra i successori di S. Pietro si contano almeno quattro papi morti martiri; otto scomparsi per morte violenta; undici morti in esilio o in prigione, e cinquantuno (anzi , ora cinquantadue con Giovanni Paolo II) canonizzati. La santità è stata di casa anche sul Colle Vaticano! S. Agostino, in un famoso sermone tenuto nella festa degli Apostoli, così si esprimeva: “Un solo giorno della passione per i due apostoli, ma questi due erano una cosa sola; benchè abbiano sofferto in giorni diversi, erano una cosa sola. Ha preceduto Pietro, lo ha seguito Paolo. Celebriamo il giorno festivo degli apostoli consacrato per noi dal loro sangue. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, la passione, la predicazione”. Tale è l’attualità permanente di questa festa ecumenica. Cosa significa per noi onorare i nostri Patroni? Possiamo fermarci solo alla celebrazione liturgica? Certamente no. E’ doveroso interrogarci se la fede degli Apostoli trova ancora spazio nella formazione delle nostre coscienze, nella elaborazione degli stili di vita, nella mentalità concreta del quotidiano, nel tempo dato alla formazione religiosa, nella celebrazione liturgica, all’esercizio dell’amore e della carità verso il prossimo. Il sangue dei martiri diventa per noi fedeltà al Vangelo di Gesù, sequela di un Dio crocifisso “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (come diceva san Paolo). I nostri Patroni sapevano che era la croce

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la vera linea discriminante dell’appartenenza a Gesù. “Chi vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce e mi segua”(Gesù). Quanto sono ancora vere ed attuali le parole dette dalla Ginzburg, ebrea, negli anni ’80: “Il crocifisso non genera discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei o di altre religioni. Perché mai? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, neri e bianchi”. Nessuna cultura può comparire e svilupparsi senza una religione e la cultura di un popolo è l’incarnazione della sua religione (Eliot). Ci vergogneremo di essere discepoli di Cristo? “Non arrossisco del Vangelo”- ci risponderebbe san Paolo con vigore. Non sarà allora forse il caso di recuperare un po’ più di entusiasmo e di coerenza guardando ai nostri Patroni? Perché tante bocche”cucite” in chiesa, quando ci si va per ascoltare/pregare/cantare? Perché così poco entusiasmo nel professare una fede che è per sua natura fonte di gioia e di entusiasmo? Perché non trarre dal Vangelo proposte pubbliche e sociali per una società più fraterna e rispettosa di tutti i diritti umani e religiosi? Ci aiutino i nostri Patroni a riscoprire una virtù piuttosto trascurata oggi: quella della fierezza; la fierezza di essere seguaci di Cristo; di essere amici di un Redentore così buono

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e coraggioso che interpella ancora l’uomo “così potente e così fragile” del nostro tempo. Se gli Apostoli Pietro e Paolo tornassero a peregrinare come ai loro tempi e con i mezzi poverissimi di cui disponevano, parlerebbero ancora di Gesù e direbbero a tutti che Egli è ancora necessario, che la vita buona del Vangelo non è roba da museo. Nonostante tante contraddizioni, l’interesse per Gesù si fa sempre più esuberante. E’ in atto una vera inquietudine “cristologica”: Gesù di Nazareth interpella ancora l’uomo contemporaneo. Nonostante il diffondersi di vaste sacche di indifferenza e di diffidenza verso l’istituzione ecclesiale (anche a motivo della controtestimonianza di alcuni suoi membri), unite alla paura generata dal clima difficile tra culture e religioni così radicalmente diverse per dottrina e comportamenti, la persona e il messaggio di Gesù stanno tornando ad interessare e a provocare molti. Gesù “resta il nervo scoperto” delle stesse Chiese cristiane: E’ su di Lui che si gioca l’essenziale, lo specifico,la partita decisiva, sia per capire il cristianesimo nella sua storia, quanto per cercare di viverlo. I due apostoli direbbero anche a noi, oggi: “Di null’altro mai ci gloriamo se non della Croce del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale c’è salvezza, vita e risurrezione!”. Sia grande e sentita per davvero la nostra Festa patronale sopprattutto dal punto di vista religioso e ci aiuti a rapportarci con gli insegnamenti e gli esempi di questi nostri “grandi amici e modelli di vita”. Con questo spirito e con questo entusiasmo viviamo la Solennità dei nostri Patroni, accogliendo di buon grado le iniziative religiose e culturali che ci vengono proposte. Buona festa patronale a tutti. Il vostro Parroco don Mario


Con la Chiesa

I 150 anni dell’Unità d’Italia: “Mai in conflitto fede e cittadinanza”

Così la Chiesa e i cattolici hanno costruito l’identità italiana Il messaggio di Benedetto XVI, consegnato dal cardinale Bertone al Presidente della Repubblica, sottolinea le radici profondamente cristiane del Paese e ne ripercorre la storia alla luce dell’unità di un popolo prima che di un territorio

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l 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre la felice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, la cui Capitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto la Sede del Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e all’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di parteciparLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazione che legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni. Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la

pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione

del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico. San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto della

GLI ARTISTI Il grande canone culturale Nel suo messaggio, il Papa cita alcuni nomi che hanno segnato con la loro arte la cultura del Belpaese, diventando l’humus di quella «identità» che si radica in una sorta di canone culturale che Benedetto XVI traccia — «solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti» — con polso sicuro. Vale la pena di citarli tutti: Dante, Petrarca, Raffaello, Michelangelo, Pierluigi da Palestrina, Bernini e Borromini, Domenico Scarlatti, Manzoni. Scrittori, poeti, pittori, scultori, architetti, compositori e musicisti. Il pantheon dell’arte italiana, la cui arcata si estende dal Medioevo alla soglia dell’Unificazione. Il Papa stesso sottolinea questa coralità del genio italiano. E non sorprende, per esempio, la citazione di. Palestrina e Scarlatti, poiché è ben nota la raffinata cultura musicale del Pontefice. Il primo, vissuto tra il 1525 e il 1594, fu un compositore dal complesso linguaggio polifonico e maestro dell’arte contrappu_ ntistica; il secondo, vissuto tra il 1685 e i11757, fu esponente della musiea barocca, ma continuatore dello stile classico. Va notato, infine, che questo «canone» sintetico evoca una identità italiana non solo religiosa e spirituale, ma anche culturale e politica.

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Con la Chiesa

Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana potè continuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussitente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale.

Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero — e talora di azione — dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a “fare gli italiani”, cioè a dare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva

I SANTI Figure esemplari per il Paese. Anche per i laici Nel Messaggio di toccante bellezza e calore inviato da Benedetto XVI, un ruolo significativo è riservato a tre santi: Francesco d’Assisi, Caterina da Siena e Giovanni Bosco. Per farsi intendere da tutti i suoi frati, il santo di Assisi scriveva in latino. Nell’ultimo periodo della sua vita, tuttavia, nell’entusiasmo del «Cantico delle creature» avvertiva l’esigenza di rivolgersi agli italiani, con i quali aveva iniziato la sua straordinaria avventura, nel linguaggio del cuore, in quella lingua italiana che egli contribuiva cosi a plasmare. Nel ritorno dei Pontefici a Roma Caterina vedeva la via che portava congiuntamente alla riforma della Chiesa e alla pacificazione dell’Italia, quasi che le due realtà procedano di pari asso.Ai due santi patroni d’Italia il Papa accosta san Giovanni Bosco. È un invito al Paese a prestare attenzione a quei giovani cui il santo dell’oratorio dedicò il suo genio educativo e la sua congregazione, i salesiani. Nell’accenno del Pontefice a Francesco e al suo Cantico, infine, vi è anche il ricordo della bellezza del paesaggio che cattolici e laici, credenti e non credenti, no chiamati insieme a custodire. (E. Guer.)

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plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l’appartenenza all’istituto da lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione liberale: «cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa». La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ecclesiale dall’altro. Ma si deve riconoscere che se fu il processo di unificazione politico-istituzionale a produrre que conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di «Questione Romana», suscitando di conseguenza l’aspettativa di una formale “Conciliazione”, nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquista-


Con la Chiesa

ta unità politica. In definitiva, la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano i conflitto. Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese. L’astensione dalla vita politica, seguente il «non expedit», rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa. Si trattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della «Questione Romana» attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, 1’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione del problema. A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: “Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e

nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai”. L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costituzionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra diverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un preciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un progetto maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare della Fuci e del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice di Camaldoli del 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello stesso anno, dedicata al tema «Costituzione e Costituente». Da lì prese l’avvio un impegno molto significativo dei cattolici italiani alla politica, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nelle realtà economiche, nelle espressioni della società civile,

offrendo così un contributo assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostrazione di assoluta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune e collocando l’Italia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscuri del terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. Aldo Moro e del Prof. Vittorio Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazie anche alla larga libertà assicuratale dal Concordato lateranense del 1929, ha continuato, con le proprie istituzioni ed attività, a fornire un fattivo contributo al bene comune, intervenendo in particolare a sostegno delle persone più emarginate e sofferenti, e soprattutto proseguendo ad alimentare il corpo sociale di quei valori morali che sono essenziali per la vita di una società democratica, giusta, ordinata. Il bene del Paese, integralmente inteso, è stato sempre perseguito e particolarmente espresso in momenti di alto significato, come nella «grande preghiera per l’Italia» indetta dal Venerabile Giovanni

I POLITICI Impegno fedele e anche sacrificio per valori e Stato C’è a livello storiografico un grande dibattito ancora irrisolto sull’influenza politica dei cattolici liberali post-unitari-neoguelfi, o comunque “transigenti” rispetto al Regno d’Italia, nel determinare le successive fasi dell’evoluzione del movimento cattolico fino al Ppi di Luigi Sturzo e alla Dc di Alcide De Gasped. Nel suo messaggio. Benedetto XVI sembra indicare nelle figure di Massimo D’Azeglio, Cesare Balbo e Raffaele Lambruschini i precursori di cattolici al servizio dello Stato e della istituzioni. I tre, a diverso titolo e con opinioni non sempre perfettamente convergenti, parteciparono culturalmente e con il diretto impegno parlamentare o ministeriale alla costruzione dello Stato unitario. Il segno della testimonianza cristiana vissuta fino all’estremo sacrificio, accomuna invece Aldo Moro e Vittorio Bacheiet, assassinati dalle Brigate Rosse rispettivamente nel 1978 e nel 1980:16 due vittime più famose di una lunga scia di sangue lasciata da esponenti cattolici democratici. Moro e Bachelet avevano in comune anche la formazione nell’Azione Cattolica e l’amicizia con Paolo VI. Ma mentre il primo si era dedicato a tempo pieno nell’attività di governo e di partito nella Dc. secondo era diventato presidente nazionale cleU’Ac dal 1964 fino al 1973. (G. Gra.)

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Paolo II il 10 gennaio 1994. L a conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fu chiaramente avvertito dal mio predecessore, il quale, nel discorso pronunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, notava che, come «strumento di concordia e collaborazione il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di promozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria». Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia per l’uomo «la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomia dell’ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla costruzione di un mondo degno dell’uomo, che

solo nella libertà può ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi motivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al bene comune». L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazione di quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazione motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vaticano II entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, «anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane» (Cost. Gaudium et spes, 76). L’esperienza maturata negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha visto, ancora una volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario modo a favore di quella «promozione dell’uomo e del bene del Paese» che, nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità, costituisce principio ispiratore ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). La Chiesa è consapevole

GLI INTELLETTUALI Leader coerenti tra lettere evita pubblica Intellettuali e letterati che non disdegnarono il coinvolgimento nella vita pubblica del nascente Stato, con fede coerente e forte amore di patria. Questo accomuna alcune delle figure evocate dal Papa. Vincenzo Gioberti (Torino, 1801 -Parigi, 1852), sacerdote e filosofo, fu l’alfiere del movimento neoguelfo («Primato civile e morale degli italiani»), che vedeva nel Papa il fulcro della rinascita nazionale italiana in chiave federalista. Fu anche ministro del Regno di Sardegna, prima di andare in esilio. Ardente patriota fu il poeta Silvio Pellico (Saluzzo, 1789 -Torino, 1854), affiliato alla Carboneria. Fu arrestato dagli austriaci nel 1820 e condannato a morte, sentenza poi commutata in 15 anni di carcere allo Spielberg. Il racconto della detenzione (fu graziato nel 1830), nel celebre libro «Le mie prigioni», «danneggiò l’Austria - disse Metternich - pin di una battaglia perduta». Così famoso da non aver bisogno di presentazioni è infine Alessandro Manzoni (Milano, 1785- Milano, 1873), l’autore dell’immortale oI promessi sposi» e anche senatore del Regno.

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non solo del contributo che essa offre alla società civile per il bene comune, ma anche di ciò che riceve dalla società civile, come afferma il Concilio Vaticano II: «chiunque promuove la comunità umana nel campo della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche un non piccolo aiuto, secondo la volontà di Dio, alla comunità ecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fattori esterni» (Cost. Gaudium et spes, 44). Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscere che la nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stesso il singolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la quale è in Italia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il centro della cattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto a questa consapevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede Apostolica per la sua libertà e per assecondare la realizzazione delle condizioni favorevoli all’esercizio del ministero spirituale nel mondo da parte el successore di Pietro, che è Vescovo di Roma e Primate d’Italia. Passate le turbolenze causate dalla «questione romana», giunti all’auspicata Conciliazione anche Io Stato Italiano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione reziosa, di cui la Santa Sede uisce e di cui è consapevolmente grata. Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invoco di cuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di perseverante impegno per la libertà, la giustizia e la pace. Dal Vaticano, 17 marzo 2011 Benedetto XVI


Formazione biblica

Lettera agli Ebrei, seconda parte

Cristo unico ed eterno Sacerdote (II)

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ino a qualche tempo fa si leggeva nel lezionario della S. Messa: Lettera di S. Paolo Apostolo agli Ebrei. Oggi il nome di Paolo non compare più. Di fatto fin dai primi secoli del cristianesimo si erano notate forti differenze di contenuto e di stile rispetto alle lettere di S. Paolo. In sintesi si può dire che «l’autore della Lettera agli Ebrei è un cristiano, probabilmente della seconda generazione, biblicamente preparato, a conoscenza dei metodi esegetici del

suo tempo, aperto all’ambiente culturale del giudaismo ellenistico; teologicamente originale, ma nello stesso tempo saldamente agganciato alla tradizione teologica e catechistica cristiana che fa capo a San Paolo» (Rinaldo Fabris). «Forse, continua Fabris, è un maestro, responsabile di comunità (cfr. Eb 13,7.17). La data di composizione della lettera può essere tra gli anni 80 e 90 d.C. L’originalità tematica della Lette-

ra agli Ebrei è quella di «leggere» la figura di Gesù, specialmente il suo Mistero Pasquale, di morte e risurrezione, in chiave liturgica. Da sempre la liturgia è via all’incontro con Dio e l’atto liturgico comprende, secondo la tradizione, tre segni: il sacerdozio, il sacrificio, il santuario. Ebbene, tutto ciò si realizza in Gesù in marnerà nuova ed esclusiva, tale da segnare ogni liturgia per sempre: quindi ogni incontro con Dio, ogni alleanza passa attraverso di Lui.

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Formazione biblica

Sacerdozio vuol dire fedeltà alla missione data da Dio e solidarietà con il popolo. Gesù lo è in maniera originale, «secondo l’ordine di Melchisedek», ossia senza paragoni e di valore trascendente, come è questo personaggio biblico, quasi strano nella sua solitudine dentro la Bibbia. Ma le qualità del sacerdozio di Cristo si rivelano pienamente nel sacrificio. In ogni religione infatti, e in quella biblica in particolare, l’incontro con Dio o alleanza avveniva mediante il sacrificio, dimostrazione suprema del dono di sé a Dio a favore degli uomini. Gesù pone la sua stessa morte come sacrificio, quale prova di assoluta fedeltà a Dio e di amore per noi, sacrificio che vale quindi una volta per tutte. Infatti, prima di lui Israele sacrificava un numero infinito di animali, ora ciò non è più necessario, perché il sacrificio di Cristo garantisce un incontro sicuro e permanente con Dio, una «Alleanza Nuova ed Eterna». Sacerdozio e sacrificio vogliono il santuario, ossia il luogo dell’incontro: per Cristo, non più un tempio di pietra, ma il suo stesso Corpo di Risorto; non più un santuario terrestre limitato e fragile, ma «Egli è entrato proprio nel cielo, e ora si

presenta davanti a Dio a intercedere per noi» (cfr. Eb 9,24).

di Dio, che hanno i nomi scritti nel cielo» (cfr. Eb 12,22-23).

«Un popolo in cammino»: sono le parole di un canto molto bello delle nostre comunità. I cristiani sono il popolo di Dio verso la terra promessa, di fronte alle tante tribolazioni. Tale cammino ha un precursore, una guida: Gesù (cfr. Eb 2,9.10; 6,20; 12,2; 13,13), che in qualità di sacerdote introduce al mondo di Dio con sicurezza e con senso di profondo amore e compassione nei confronti di ciascuno (cfr. Eb 4,14-16; 10,19-20). Cammino vuol dire lotta e liberazione dagli impedimenti del peccato, coraggio nelle prove e crescita responsabile e coerente alla piena maturità della fede (cfr. Eb 5,116,3). Cammino non da eroi solitari, ma insieme, dentro un popolo più grande, che parte da Abele, attraversa tutto l’Antico Testamento e giunge fino agli anonimi, ma eroici testimoni della fede di oggi. Il terminal è la «città futura» (cfr. Eb 13,14), in certo modo anticipata nella nuova liturgia cristiana: lì, sotto la povertà e semplicità dei segni, è la stessa «Gerusalemme celeste», «la città del Dio vivente», «l’assemblea dei figli primogeniti

Ricordiamo le famose parole che il celebrante pronuncia sul cero pasquale la notte di Pasqua: «Cristo, ieri, oggi, nei secoli». Sono tratte da questa Lettera (cfr. Eb 13,8) e fissano in maniera indelebile la centralità di Gesù nella storia della salvezza (cfr. il prologo in Eb 1,1-3). Tale storia della salvezza, guidata dalla Parola di Dio, proprio dalla Lettera agli Ebri viene caratterizzata come storia di due alleanze: quella prima di Cristo e quella che parte da Lui. Gesù ne è l’insuperabile «mediatore». Chiunque vuole incontrare Dio e lasciarsi incontrare da Dio deve fare sosta e strada «in Gesù» (cfr. Eb 8,6; 9,15; 12,24). Da questo punto di vista l’autore della Lettera agli Ebrei ha la capacità di darci, assieme a S. Paolo e a S. Giovanni, una profonda lettura cristiana della Bibbia, confrontando personaggi e avvenimenti dell’Antico Testamento (=profezia) con Gesù (=compimento delle promesse antiche). Il cristiano sa che quando va alla S. Messa partecipa al sacrificio di Gesù. Ma forse dimentica che Gesù è il sacerdote di ogni Messa, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, per cui il prete e l’assemblea dei fedeli sono, ciascuno a suo modo, segno dell’azione dell’Unico ed Eterno Sacerdote. Il sacrificio che viene celebrato è sempre la ripresentazione dell’unico sacrificio della Croce. Come ogni fedele è invitato a partecipare alla stessa alleanza o comunione con Dio che Gesù ha istituito. Da questo punto di vista la Chiesa, grande o piccola, bella o meno, in cui il cristiano entra per incontrare Dio, non è tanto l’edificio, quanto piuttosto il Corpo di Gesù, assieme alle sue membra, cioè noi cristiani. (continua) don Claudio

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Formazione biblica

San Pietro, il primo degli apostoli

Fondamento biblico del primato petrino

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an Pietro occupa una posizione preminente nel Nuovo Testamento, dove è menzionato 114 volte nei Van geli e 57 volte negli Atti degli Apostoli. Parla a nome di tutti gli Apostoli (Lc 12, 41, Mt 19, 27, Mc 10, 28, Lc 18, 28), risponde per loro (Gv 6, 68, Mt 16, 16, Mc 8, 29) e agisce per tutti (Mt 14, 28, Mc 8, 32, Mt 16, 22, Lc 22, 8, Gv 18, 10). Altre volte gli evangelisti si riferiscono agli Apostoli dicendo “Pietro e i suoi” (Mc 1, 36, Lc 8, 45; 9, 32, Mc 16, 7, At 2, 14.37). Gesù lo elegge dopo aver fat to un grande miracolo (Lc 5, 1-11); Si serve della sua bar ca per predicare alle moltitudini (Le 5, 3); alloggia in casa sua (Mc 1, 29); lo associa a Se nel pagamento del tributo (Mt 17, 23-26); lo sceglie, con Giacomo e Giovanni, per assistere alla resurrezione della figlia di Giairo (Mc 5, 37), alla trasfigurazione (Mc 9, 2) e all’agonia nel Getsemani (Mc 14, 33); è il primo a cui appare resuscitato (Le 24, 34). È unico dei Dodici che l’angelo nomina affinché sia loro comunicato il messaggio della Pasqua (Mc 16,7). San Giovanni aspetta l’arrivo di San Pietro, per lasciarlo entrare per primo nel Sepolcro di Gesù (Gv 20, 2-8). Dopo l’Ascensione e la Pentecoste, vediamo San Pietro esercitare l’autorità massima nella Chiesa. Completa il Collegio Apostolico con l’elezione di San Mattia (At 1, 5ss); parla in nome degli Apostoli nel giorno di Pentecoste (At 2,

14ss); difende davanti alle autorità giudaiche il diritto degli Apostoli di predicare la Fede in Cristo (At 4, 8-12); condanna Anania e Safira (At 5, 1-11); è ispirato ad aprire le porte della Chiesa anche ai pagani, con la conversione del centurio- ne Cornelio (At 10, 47); presiede il Concilio di Gerusalemme (At 15, 6ss); tutta la Chiesa pregava per la sua liberazione, quando fu incarcerato per ordine di Erode (At 12, 5). D’altra parte, San Paolo segnala in modo preminente l’im-

portanza di San Pietro come capo della Chiesa. Dopo il suo soggiorno in Arabia, si dirige a Gerusalemme per vederlo (Gal 1, 18); riconosce in lui una delle colonne della Chiesa (Gal 2, 9); lo colloca come il primo tra i testimo- ni delle apparizioni di Cristo resuscitato (Cor 15, 5); anche quando gli si oppone “a viso aperto” ad Antiochia, agisce come chi riconosce la sua autorità, pertanto, conferma in qualche modo il suo primato (Gal 2, 11-14). d. M.

Vocazione degli Apostoli Pietro e Andrea”, di Duccio di Buoninsegna - National Gallery of Art, Washington DC (Usa)

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Lettera del Parroco Formazione spirituale

La meditazione della Sacra Scrittura

Sulla Lectio Divina Che significa e in che consiste. Lectio Divina in latino significa lettura e spiegazione divina della Sacra Scrittura proclamata in occasione della celebrazione liturgica per edificare la spiritualità dei fedeli. Possiamo immaginarci come i monaci e i chierici pregavano dal Medioevo fino a San Francesco (nel 1100 / 1200) e in alcune regioni del nord Europa fino al Concilio di Trento. Quando non c’era ancora il rosario e soltanto i salmi, i salmi erano riservati ai preti e ai monaci. E la Lectio Divina era praticata grazie alla lettura, frequentazione, memorizzazione, influsso della Bibbia nella cultura. Ci possiamo domandare perchè si è riproposta la Lectio, o si è riscoperta? Proprio la riforma liturgica che ci ha fatto il bel regalo delle letture tematiche spinge ogni ascoltatore a pensare e a ragionare su ciò che è stato proclamato.

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Quando aveva luogo la Lectio Divina. Essa era stabilita dalla liturgia e era fatta negli incontri comunitari ed era esercitata individualmente, come avremo modo di vedere nella Lettera di Guigo. La Lectio Divina come spiegazione della Sacra Scrittura trae origine dai Santi Padri, che commentavano pubblicamente i testi o la divulgavano con i propri scritti. Tra i monaci la Lectio Divina aveva luogo nella sala capitolare e individualmente nella propria cella. La Parola di Dio conosciuta, meditata e proclamata divenne l’apostolato dei monaci, che lo tradussero nella preparazione ed edizione dei testi liturgici. Possiamo pensare che la Lectio Divina si mantenne anche quando incominciò la Devotio moderna, il cui rappresentantente fu il canonico lateranense Tommaso da Kempis, autore dell’Imi-

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tazione di Cristo. La Devotio Moderna e la Chiesa dei poveri. La spiritualità della Devotio Moderna è di stampo individuale e non comunitario come la Bibbia richiede. Le varie devozioni ai santi, il rosario, l’adorazione al Santissimo Sacramento soppiantarono un certo ordine di cose che la Lectio richiedeva. Con San Simone Stock generale dei Domenicani iniziò la devozione del Rosario (il numero 150 dei salmi è eguagliato ai quindici misteri e alle 150 Ave Maria). Quindi il Rosario è provenuto dai religiosi ai fedeli. In questa epoca la vita religiosa è stata riconosciuta giuridicamente dalla Chiesa come stato di vita. I vari ordini religiosi hanno allora espresso la loro nuova e accessibile al popolo spiritualitàper es.: i domenicani con il Rosario, i Servi di Maria con la coroncina dei Sette Dolori. La nuova maniera di pregare arriva ai fedeli laici ravvivando e ed esortandoli alla ripetizione più meccanica che meditativa. Intanto i testi dell’Ave Maria e del Padre Nostro sono preghiere evangeliche. La stessa preghiera del monaco greco: Gesù, abbi pietà di me peccatore (testo di Lc) era fatta con tecnica di espirazione e inspirazione. Questo divenne ritmo di preghiera e di vita in salute. Sia questa preghiera sia il rosario hanno le loro radici nel Vangelo. Dal momento della ricezione del rosario si è lasciata in disparte la Lectio divina, ancora praticata presso i religiosi istruiti.


Formazione spirituale

Questa occupazione passerà più tardi ad essere lettura spirituale ma di un buon libro e non più della Bibbia e del suo commento. Il beato Giovanni Paolo II aggiunse la quarta serie dei misteri della Luce al Rosario. Sono misteri che si riferiscono alla persona di Gesù e esplicitano l’intuizione del valore della persona di Gesù per il fedele. Si può intravedere in questo come forse il Rosario si sia avvicinato agli effetti della Lectio Divina. Quindi il Rosario recitato e meditato prese il posto della Lectio, che purtroppo come si è detto esigeva tempo, preparazione, pazienza, desiderio di molte persone riunirsi e ricavare qualcosa da un testo e capapcità di prenderne parte. Quindi possiamo farci l’idea di come pregavano allora i fedeli fuori della liturgia dei salmi e fuori della liturgia della Messa, che non era celebrata tutti i giorni e in tutti i paesi. Le parrocchie solo con il Concilio Laterano II cominceranno a funzionare. La Sacra Scrittura era conosciuta dai fedeli che non sapevano leggere attraverso le prediche e i mosaici e le pitture sulle pareti delle chiese. Le cosi’ dette Bibbie dei poveri passavano ad essere disegnate negli affreschi delle chiese e poi stampate con miniature e gravure dei fatti biblici anche con l’aggiunta di frase si spiegazione.Vennero San Francesco e San Domenico per rimediare a questo suggerendo la pratica della ripetizione del Padre Nostro e dell’Ave Maria, perchè la gente non era capacitata alla Lectio Divina.

Lettera di Guigo II: fine della Lectio Divina ? La simpatica lettera di Guigo II certosino al confratello Gervasio spiega la Lectio Divina come mezzo per confermare l’affettività del monaco alle sue occupazioni.La lettera appoggia lo sforzo del monaco di garantire la propria identi-

terra al cielo”.

tà lontano dalla gente, nel monastero. La contemplazione esige la totale dedicazione a Dio. La lettera ha la sua bellezza grazie al modo ispirato di come Guigo II presenta il contenuto. Guigo II è uno dei primi certosini. Come monaco copri’ incarichi di responsabilitàquando nel 1173 divenne priore del suo ordine in Francia. Morì nel 1188. La lettera è pubblicata nella collezione dei Padri della Chiesa,in francese, Sources Chretiennes nr.163. Guigo presenta le sue intuizioni: “un giorno occupato in un lavoro manuale, cominciai a pensare all’attività spirituale dell’uomo e si presentatono improvvisamente alla mia riflessione quattro gradini spirituali, ossia la lettura- come studio attento delle Scritture fatto con uno spirito tutto teso a comprenderle; la meditazione – come oprazione dell’intelligenza per investigare le verità nascoste; la preghiera come supplica per evitare il male e fare il bene; la contemplazione come innalzamento dell’anima verso Dio gustando le gioie dell’eterna dolcezza. La Lectio è una scala che porta l’uomo dalla

La Lectio Divina è rimasta ai Protestanti? Noi cattolici ci meravigliamo dei protestanti e di altre sette che ci tengono a leggere il testo letteralmente e ad aggiungere il discorso, che nel contesto della loro celebrazione riceve il maggiore significato di altre cerimonie. Pare che proprio nel sermone c’è il resto della Lectio Divina, che il monaco agostiniano Martin Lutero imponeva come responsabile del nuovo gruppo religioso.Questi sermoni ebbero il loro influsso nella cultura e nel modo di pensare dei protenstanti, che dall’Europa passarono all’America. Se i cattolici si mettono a fare adesso la Lectio Divina ecco una probabile occasione di comprendersi vicendevolmente grazie alla varietà di interpretazioni in base ai testi biblici, sempre rispettando la tradizione e l’insegnamento del Magistero. Noi cattolici possediamo migliori condizioni di interpretazione grazie alla riforma liturgica, che presenta i testi dell’AT in parallello con i testi del NT. Il ritorno della Lectio Divina. Non è un ritorno forzato. Che prenda piede la Lectio Divina tra noi. Usiamola. Avviciniamoci alla maniera di pensare degli autori bilbici. Loro erano pensatori, che avevano l’intuizione di realizzare in forma scritta l’opera con un un preciso scopo.In questo loro sono stati sostenuti dallo Spirito Santo. Noi lettori, meglio ascoltatori, di queste opere ispirate ci possiamo avvicinare e appropriarci delle stesse intuizioni di fede. Ci accorgeremo che la nostra fede, la nostra preghiera e le nostre azioni e le nostre celebrazioni sono sostenute dallo Spirito Santo, che ci unisce alle Persone della Trinità e a chi da Esse sono stati ispirati.

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p. Matteo Fogliata

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Con la Diocesi

Il vescovo di Brescia, Luciano Monari: a breve il decreto che indice il Sinodo

Il vescovo indice il Sinodo diocesano sulle Unità Pastorali

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arissimi, mi è stato suggerito di spiegare al presbiterio e alla diocesi le motivazioni che mi spingono e gli obiettivi che mi riprometto con il prossimo Sinodo sulle Unità Pastorale. E lo faccio volentieri con questa lettera. La nostra pastorale è fondata da secoli sulla parrocchia e sul parroco strettamente legati tra loro. La Chiesa locale (la diocesi) è articolata in parrocchie e ciascuna parrocchia è assegnata a un parroco che ne è pastore proprio e ne ha quindi piena responsabilità. Naturalmente possono darsi delle collaborazioni — soprattutto in momenti di particolare necessità: confessioni generali o sagre patronali — ma la relazione parrocchia-parroco rimane assoluta ed esclusiva: nella parrocchia il parroco è tutto, fuori della parrocchia è niente. Questa definizione pastorale ha avuto degli enormi meriti: ha permesso anzitutto una presenza capillare della Chiesa sul territorio, la vicinanza continua alle singole famiglie nei momenti importanti della vita. Il parroco era sentito (e in alcune parrocchie è ancora sentito) come uno di casa. Questo stile di servizio ha favorito nei parroci il senso di responsabilità e ha prodotto esperienze di dedizioni ammirevole al ministero. Si pensi, ad esempio, a quel modello straordinario che è il santo Curato d’Ars. Siamo però testimoni e attori, oggi, di cambiamenti profondi

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che obbligano a ripensare la situazione. La mobilità delle persone è notevolmente aumentata e oggi quasi tutti si allontanano dalla loro residenza per andare a scuola o al lavoro o al luogo di divertimento; spesso a casa rimangono solo gli anziani. Attraverso la radio e la televisione il mondo intero entra nelle singole case e le persone diventano consapevoli di drammi che si svolgono fisicamente lontano; si aggiunga internet attraverso cui il singolo utente naviga nel mondo intero alla ricerca di ciò che lo interessa e costruisce legami con persone diverse. Il territorio rimane ancora un elemento essenziale per definire l’identità della persona e della famiglia, ma ormai non è più il riferimento unico o decisivo. Se vogliamo seguire le persone e agire sul loro vissuto

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dobbiamo creare una pastorale che attraversi i diversi luoghi in cui le persone vivono e s’incontrano. Molto si è fatto con quella che veniva chiamata “pastorale d’ambiente” — pastorale scolastica, pastorale del lavoro e così via. Ma le trasformazioni sono più profonde di quanto la pastorale d’ambiente riesca a cogliere. In secondo luogo l’ecclesiologia (e l’insegnamento del Vaticano II) ci ha insegnato l’importanza decisiva della comunione per cogliere il senso della Chiesa. La parrocchia, come espressione di Chiesa, riesce a comprendere la sua identità e a vivere la sua missione solo se rimane aperta in modo vitale alle altre parrocchie e alla Chiesa particolare (la diocesi); i confini mantengono un significato giuridico prezioso, ma non possono diventare limiti invalicabili per l’azione pastorale. Insistere troppo sull’identità parrocchiale e dimenticare la comunione diocesana fa perdere alcuni elementi preziosi dell’ottica di comunione. Infine la diminuzione del numero dei preti rende impossibile l’affidamento di ogni parrocchia a un parroco come nel passato. Dal punto di vista del territorio le scelte diventano: o eliminare le piccole parrocchie o affidare più parrocchie a un singolo parroco. Entrambe queste soluzioni non soddisfano perché sono troppo rigide e inevitabilmente producono spazi sempre più ampi non rag-


Con la Diocesi

giunti dall’attività pastorale. La creazione di Unità Pastorali non risolve tutti questi problemi. Mi sembra, però, che aiuti ad affrontarli meglio perché va nella linea di una maggiore flessibilità. Si spezza il legame rigido parrocchia-parroco e se ne crea uno più ampio: Unità Pastorale (quindi un insieme di più parrocchie) ed équipe pastorale (quindi un insieme di presbiteri e di altri operatori pastorali). Questo permette una maggiore valorizzazione delle attitudini di ciascun operatore (prete giovane o prete anziano o diacono o catechista....) entro una visione unitaria di servizio. Nello stesso tempo questa articolazione pastorale favorisce la vita comune dei presbiteri (che non è e non diventerà un obbligo ma è un’opportunità preziosa che risponde a reali bisogni), la collaborazione e la corresponsabilità (perché c’è un programma pastorale che può essere fatto solo sollecitando il servizio di molti; e se molti debbono operare insieme diventa più facile che riflettano e decidano e verifichino insieme), l’attivazione di abilità nuove (un parroco, per quanto geniale, non riesce a fare tutto quello che una comunità umana oggi richiede; si pensi anche solo al mondo di internet o all’attenzione alle dinamiche del mondo giovanile). Come dicevo, sono ben lontano dal ritenere che le Unità Pastorali siano la soluzione dei problemi pastorali attuali. I cambiamenti richiesti sono ben più profondi e si radicano nella cultura del mondo contemporaneo. Ma sono convinto che la Unità Pastorali sono un elemento della soluzione e che, se fatte bene, possono favorire una trasformazione di tutto il tessuto pastorale, possono stimolare l’impegno di molti. Il rischio è che l’Unità Pastorale sia percepita e vissuta come un’altra forma dell’accorpamento delle parrocchie e in questo modo si verifichi

quella rarefazione della presenza sul territorio che vorremmo invece evitare. Per questo abbiamo bisogno di accompagnare la formazione delle Unità Pastorali con forme di capillarità che facciano capire e vedere alla gente che la Chiesa c’è, che è accanto a loro, che li cerca, che si mette al loro servizio. La pastorale contemporanea ha inventato (sta inventando) una molteplicità di forme di presenza di questo genere: i gruppi di ascolto del vangelo, le cellule di evangelizzazione, le comunità famigliari, le piccole comunità di base e così via. Le forme sono molteplici ma nascono tutte da un bisogno sentito che è quello della prossimità. In una comunità cristiana ci si deve sentire prossimi gli uni degli altri; non ci possono essere persone o famiglie che nessuno ha in nota; bisogna che ogni battezzato senta di essere parte viva della comunità. E tutto questo si può ottenere solo con uno sforzo grande di prossimità. In particolare capisco che le Unità Pastorali non sono la soluzione ultima della pastorale cittadina. La città è un sistema unico con dinamiche proprie e la pastorale deve cercare di intrecciare questo sistema di vita nei suoi gangli vitali, i luoghi di incontro, i flussi di spostamento delle persone. Questo pone un problema che, mi sembra, non siamo ancora in grado di affrontare e di risolvere. In ogni modo, sono convinto che l’articolazione della Diocesi in Unità Pastorali vada nella direzione giusta e che quindi di questo si possa e si debba discutere per giungere — se abbiamo un sufficiente consenso — a una decisione. Credo di avere già detto a sufficienza che non si tratta di cambiare in modo traumatico l’articolazione della diocesi. Si tratta di definire un traguardo da porre davanti al nostro cammino in modo che le diverse decisioni che si prenderanno in fu-

turo non siano scoordinate, ma si muovano verso una meta precisa, con un ritmo calmo ma anche con progressione continua. Il motivo poi per cui desidero prendere questa decisione in un Sinodo si rifà alla tradizione della Chiesa. Il Sinodo fa parte della tradizione più antica della vita ecclesiale ed esprime nel modo migliore quel dinamismo di comunione che deve innervare tutte le scelte della Chiesa. La Chiesa non è una democrazia nella quale il potere appartiene al popolo e viene eventualmente gestito attraverso l’elezione di rappresentanti. Ma la Chiesa non è nemmeno una monarchia assoluta nella quale il potere appartiene al re e ai sudditi è lasciato solo il dovere dell’esecuzione fedele. La Chiesa è comunione gerarchica: le decisioni appartengono al vescovo, ma il processo che conduce alle decisioni deve coinvolgere tutta la comunità. Tutti i battezzati sono portatori della sapienza del vangelo e sono mossi dallo Spirito santo. Sarebbe stolto non ascoltare chi ha realmente (anche se non tutto) il dono dello Spirito; sarebbe arrogante pensare di avere in modo completo questo dono senza il bisogno di confrontarsi con gli altri. Certo, un cammino di comunione non semplifica i passi e per certi aspetti può renderli anche più difficili. Solo se tutti sono davvero in ascolto dello Spirito, cercano non di prevalere ma di contribuire a formare una convinzione condivisa, sono liberi da impulsi di orgoglio e di autoaffermazione... solo in questo caso la logica sinodale si rivela vincente perché rende tutti davvero corresponsabili. Il cammino sinodale funziona bene solo se è accompagnato da umiltà, saggezza, desiderio di comunione, servizio fraterno. La scelta di fare un Sinodo è una scommessa: scommetto sulla maturità di fede della Chiesa bre-

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Con la Diocesi

sciana. Sono convinto che sia una Chiesa matura, capace di riflettere nella pace e nella fraternità; capace di decidere senza animosità e senza parzialità; capace di accettare le decisioni senza risentimento. La sfida è tanto più importante nel contesto culturale attuale che non è certo incline alla sinodalità ma piuttosto allo scontro a trecentosessanta gradi. Se la Chiesa bresciana riesce a fare trionfare lo spirito sinodale sullo spirito di contrapposizione e contrasto obbedisce allo Spirito e nello stesso tempo immette nella società preziosi valori di comunione. Intendo quindi il Sinodo come un momento solenne della vita dio-

cesana, ma non come un momento straordinario. Vorrei, piuttosto che la logica sinodale entrasse nel vissuto quotidiano delle nostre comunità e che la celebrazione di Sinodi finisse per apparire cosa normale. Non è un `evento’, come oggi si dice; è una funzione normale dell’esistenza diocesana. Questi sono i motivi della scelta di fare un Sinodo. Non sono ancora in grado di determinare i tempi della celebrazione perché non vorrei che una definizione prematura impedisse la riflessione calma e il contributo di tutti. Per di più nel 2012 si celebrerà a Milano l’incontro Mondiale delle famiglie che coinvolgerà anche le

diocesi della regione. Staremo attenti a che le due celebrazioni non s’intralcino a vicenda. Con questi intendimenti pubblicherò tra qualche settimana il decreto che indice il Sinodo secondo gli esisti della consultazione fatta in tutte le zone pastorali; e chiedo a tutti di vivere questo momento di grazia con fede e con gioia. Giovedì santo, 21 aprile 2011 Brescia — Chiesa Cattedrale Il vostro vescovo + mons. Luciano Monari

Domenica 8 maggio 2011

Rinnovo delle promesse battesimali dei Gruppi Nazareth

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Vita in parrocchia

7 marzo 2011 Convegno - colloquio parrocchiale

Dialoghi di pace

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on Mario presenta le finalità di questo convegno. La Parrocchia e l’Oratorio, nell’ambito delle iniziative tese ad incentivare una cultura della pace, propongono un colloquio/ conferenza con testimonianze del vissuto quotidiano relative all’integrazione tra la realtà locale e le nuove presenze di culture altre. Gli interventi riguarderanno alcuni ambiti sociali: il mondo della scuola con la presenza della professoressa Elena Cavenaghi, il Centro di Aggregazione Giovanile con l’educatrice Flavia Cattaneo, il settore sanitario con la dottoressa Lucia Zotti, il lavoro con Adriano Casali; chiuderà gli interventi Don Armando Nolli da anni impegnato nella realtà dell’integrazione. I relatori saranno poi disponibili a rispondere ad eventuali richieste da parte del pubblico. Prof. Elena Cavenaghi. La professoressa introduce il suo intervento chiarendo che lei esporrà esperienze personali che si appoggiano su un intero sistema didattico- educativo organizzato con i colleghi dell’Istituto Comprensivo di Castrezzato dove lei svolge con una collega della scuola primaria la Funzione Strumentale Intercultura. Le persone che rivestono questo ruolo si occupano dell’organizzazione e della gestione dell’integrazione degli allievi stranieri e collaborano con il CT3 di Chiari (Centro Territoriale Intercultura) che fornisce materiale per la realizzazione dell’alfabetinazione. Per rendere tangibile la situazione

reale della presenza di allievi di altre culture vengono subito esposti i dati delle presenze nell’Istituto Comprensivo di Castrezzato di allievi stranieri: scuola secondaria di primo grado:24%, scuola primaria di primo grado: 33% scuola dell’infanzia: 59%. Da questi significativi numeri si devono distinguere due tipologie di allievi stranieri quelli di”seconda generazione” e i “neo arrivati”. Gli studenti di “seconda generazione”sono nati in Italia da genitori immigrati o giunti nel nostro Paese all’inizio dell’età scolare. Questi costituiscono la percentuale più consistente e per i quali l’attivazione di percorsi di accoglienza ed integrazione garantisce buoni risultati. Infatti per loro l’apprendimento della lingua italiana avviene in contemporanea con i coetanei italiani, inoltre a partire dalla scuola primaria i bambini iniziano a tessere relazioni amichevoli con i coetanei italiani. Il loro inserimento risulta spontaneo. Diverso è l’approccio con la scuola dei ragazzi neo arrivati. Solitamente la maggioranza degli alunni neo arrivati ha un’età scolare avanzata. In questo caso vi è una grande crisi personale, il senso di appartenenza ad un luogo ad una cultura viene improvvisamente messo in pericolo e questo crea smarrimento. La scuola in questi casi gioca un ruolo determinante perché permette un controllato incontro con le diversità una prima alfabetizzazione con la lingua non solo attraverso corsi

mirati ma anche attraverso la socializzazione. In questi ragazzi si assiste spesso ad una regressione rispetto all’età anagrafica perché il non saper comunicare con l’altro crea difficoltà. La scuola predispone per loro dei percorsi, dei progetti mirati, a seconda dell’età, per l’accoglienza, l’integrazione e l’alfabetizzazione. Perché l’integrazione abbia successo, è necessario che sia valorizzata la diversità come risorsa, come occasione di consolidamento della propria identità. È importante facilitare ,attraverso il dialogo, confronti sui diversi modi di vivere, di come è organizzata la propria casa, quali siano i giochi, le tradizioni ... questo per favorire la conoscenza, affinché la diversità non sia ostacolo ma possibilità di conoscere e quindi superare i pregiudizi. Nel corso dell’anno capita di sentirsi chiedere dai genitori italiani: “La presenza di alunni stranieri rallenta la programmazione?” Sebbene alcuni avanzino perplessità riguardo alla presenza di stranieri che si teme possano condizionare la didattica, è necessario ribadire che la classe multietnica non è un limite, ma va vista come risorsa. Gli alunni hanno l’opportunità-occasione di conoscersi, confrontarsi, capirsi. Solo dalla conoscenza deriva l’accettazione e il rispetto. Quando arrivano stranieri che hanno compiuto i quattordici la scuola si organizza in questo modo: il ragazzo o la ragazza neo

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Vita in parrocchia

arrivato/a vengono inseriti per due settimane alla scuola Secondaria di primo grado per permettere la scelta della scuola secondaria di secondo grado. È compito degli insegnanti informare le famiglie delle diverse possibilità che il territorio offre, attraverso l’aiuto del mediatore culturale. Spesso questa modalità di inserimento dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado da esiti positivi, talvolta però vi sono rinunce da parte degli studenti che non reggono l’urto dei repentini cambiamenti. Spesso la positività delle esperienze è data anche dalla collaborazione delle famiglie. In conclusione l’insegnante Caveneghi racconta una storia che è quasi una parabola per aprire ad una riflessione mirata; è la storia delle tre bambole tre bambini stranieri), la prima di vetro, la seconda di metallo, la terza di plastica. Cadono (caduta metafora dell’immigrazione) su tre tipi di pavimento: sul marmo, dove la bambola di vetro si rompe, quella di metallo si ammacca e quella di plastica accusa il colpo ma non si rompe; sul legno, dove la bambola di vetro si rompe, quella di metallo e plastica più o meno se la cavano; sulla moquette, dove le bambole cadono ma non succede nulla di grave. Interviene l’educatrice del CAG (Centro di Aggregazione Giovanile) F. Cattaneo affermando che le percentuali della scuola per quanto riguarda le presenze dei ragazzi stranieri si confermano anche per il CAG. L’integrazione all’interno del CAG avviene attraverso la socializzazione di esperienze comuni soprattutto attraverso il gioco: il calcio per i maschi e le attività laboratori ali per le femmine. Vi sono anche iniziative di carattere educativo come ad esempio l’aiuto per svolgere i compiti e iniziative laboratoriali tese ad educa-

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re alla scoperta dell’altro, che non deve fare paura perché diverso da noi. Le iniziative del CAG per gli adolescenti dai 14 ai 20 anni si svolgono la sera, per questo motivo non vi è un’alta percentuale di stranieri frequentanti durante le serate invernali, vi è una modesta partecipazione durante il periodo estivo. Dott.sa L. Zotti. La dottoressa riporta dati di tipo storico: circa 15 anni fa la presenza di stranieri era soprattutto di origine maghrebina mentre negli ultimi cinque anni vi è stato un aumento esponenziale di presenze di immigrati dai paesi balcanici ed il ricongiungimento familiare dei primi. Le persone con il permesso di soggiorno possono accedere al servizio sanitario. La dottoressa spiega che non c’è un numero elevato di patologie particolarmente gravi. Le persone straniere, come le italiane, sono soggette a malattie acute stagionali come influenze, raffreddori, tossi ... Vi sono anche casi di infortuni sul lavoro che riguardano soprattutto i maschi. I ricongiungimenti familiari hanno comportato l’arrivo dei figli e delle mogli. I figli sono considerati una grande ricchezza e la possibilità di non averne comporta forti crisi familiari. Le donne si rivolgono al medico di sesso femminile soprattutto nelle fasi di gestazione, concepimento e cura dei loro figli (che allattano fino a due anni).Le donne sono la parte debole delle famiglie straniere, sono completamente subordinate al marito che spesso gestisce tutto, anche l’aspetto sanitario delle mogli. Hanno ben compreso il sistema sanitario italiano che nei loro Paesi natali non esiste, questo comporta spesso ad atteggiamenti di sfruttamento della possibilità di sottoporsi ad esami anche non necessari o ad assumere medicine mutuabili senza averne una vera

Camminiamo insieme

necessità. Interveto di A. Casali imprenditore nel campo dell’edilizia. La carenza di manodopera qualche anno fa ha portato all’esigenza di assumere operai anche extracomunitari. Oggi questi extracomunitari si sono specializzati nei lavori più umili che nessun italiano faceva più. Ora le nuove maestranze lavorano nei cantieri e collaborano con le imprese. Rifiutare gli immigrati abbasserebbe il tenore di vita! Tra i nuovi lavori svolti dagli immigrati c’è l’assistenza ad personam, le cosiddette badanti, i raccoglitori stagionali in ambito agricolo e nell’allevamento del bestiame. Chi ben lavora deve essere tutelato e anche lo straniero deve avere il diritto di mantenere il permesso di soggiorno. Intervento di Don Nolli. “L’uomo cerca un luogo dove stare meglio”, la carestia ha costretto all’immigrazione in Egitto, come ci si può porre da cristiani di fronte alla problematico dell’immigrazione? Come vivere la problematica dell’immigrazione in modo umano? Vista la situazione attuale nelle zone libiche l’immigrazione non è più sopravvivenza ma è cercare salvezza! Nel discorso di Fatima Benedetto XVI ha messo in guardia l’uomo dall’utilitarismo. uno stile di vita basato sulra legge del più forte, sul guadagno facile, rischia di modificare il nostro modo di pensare e di agire. Anche il vescovo di Brescia ha recentemente ripreso questo concetto sottolineando il fatto che l’atteggiamento latente della società è quello di far pagare la crisi al più debole:” Quando non servi più, ti caccio!” la mentalità difensiva della società segue una spietata logica opportunistica. Come uscire da questo atteggiamento? Salvaguardando i principi che ci rendono umani, usare il buon senso, usare la testa per trovare soluzioni!


Vita in parrocchia

La “Giornata del migrante” festeggia quest’anno 91 anni dalla sua fondazione, quindi l’immigrazione non è un problema degli ultimi anni, basti pensare che nel 1969 a Francoforte c’erano 25.000 di italiani che abitavano nei garage e nelle soffitte! Ma le problematiche che queste migrazioni comportano non hanno trovato il modo per non creare problematiche che a volte sembrano insuperabili. A titolo esemplare di quanto sostenuto don Nolli cita l’esperienza bresciana degli immigrati sulla gru e confessa che la fatica più grande è stata la comunicazione, l’ascoltarsi e il capirsi. La presenza poi di persone che hanno approfittato della visibilità mediatica, che ha dato l’avvenimento solo a scopo politico, ha reso disumano l’epilogo. Con voce forte il sacerdote sollecita il pubblico a porsi una domanda: “Mi rincresce o no che così numerose persone oggi abbiano abbandonato la loro terra e sbarchino in un altro Paese per cercare di vivere una vita migliore?” Non proviamo rincrescimento per la situazione in cui si trovano, che persone siamo? Uno statista del 1800 scrisse: “Il mondo è come un abisso che si sta sempre più approfondendo e allargando fino a quando non ci sarà qualcuno che si impegnerà a fare più del dovuto”. Colui che fa più del dovuto crea civiltà. Don Nolli conclude l’intervento affermando: “Bisogna riappropriarsi della sensibilità per capire e condividere la sofferenza delle persone che sono ai limiti della sopravvivenza. Questa sensibilità è il punto di partenza per cercare soluzioni. Il momento è difficile, riconosciamolo e cerchiamo soluzioni logiche”. Lucia Zanetti

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Con la Chiesa

Preti che fanno parlare bene della Chiesa

Il prete che conosco enso al prete che conosco. Lui direbbe che l’essere prete non è un mestiere, eppure sa esserlo con mestiere. Piuttosto direbbe che è una vocazione divina ma che, per tradurla, occorre una passione tutta umana. È bravo. Conosce i trucchi di questo mondo. Sa come stare in mezzo agli altri, come incuriosirli. Non è un tuttologo, ma a volte glielo abbiamo chiesto: teologo, filosofo, animatore, psicologo, consulente familiare e professionale, giudice, perfino capo. Peraltro qualche suo

P

sono tutte provvisorie, relative. L’assoluto non lo scopre lì dentro. Semmai cura la liturgia e le parole: usa spesso le parole di tutti noi, ma non tutte, perché alcune peggiorano lo sguardo. E comunque in ogni omelia ci infila una parola esatta (o giusta o nuova), perché per far crescere le persone bisogna anche dar loro gli strumenti. Una volta l’abbiamo visto pregare da solo. È un prete che non ha mai lasciato solo nessuno. Però sapeva che prima o poi avrebbe lasciato lui la comunità. Per questo non l’ha

e il presente alla Parola e alla tradizione che incarnano. Gli interessa la politica ma non il potere, gli piace plasmare più che influire. Forse ha questo gusto perché legge le biografie di certi preti (a volte anche di pretacci) che hanno condiviso le gioie e le sofferen- ze dei loro parrocchiani. Quando una volta gli hanno detto che era un uomo di comunità, lui l’ha preso come il miglior complimento. Infatti ha sempre pensato che senza la comunione tra preti e laici e tra preti e preti si manca

collega è diventato anche architetto, esperto di conti. Lui no. A lui della comunità interessa poco ampliare il perimetro dei muri, semmai quello delle persone. Includere è un verbo che gli piace. Certo, i muri li mette a posto, anche i “beni” vanno tenuti bene e con cura: non sono roba sua e poi sono la chiesa visibile anche questi, no? Gli piacciono le comodità, ma non si offende per le scomodità: le cose di questo mondo

organizzata come un’impresa, non ci sono funzioni e organigrammi, ma ha incentivato l’autonomia, la nascita delle commissioni, dei gruppi e delle associazioni, che resteranno. Non le vuole a sua immagine e somiglianza, però sorveglia che non perdano mai il filo col Vangelo. Perché mentre i contemplativi cercano visioni di futuro e mentre i laici vivono in un eterno presente, tocca proprio ai preti cercare di riportare il futuro

di profezia. Questo prete, in realtà, non è un prete che esattamente conosco. È un po’ una sintesi dei molti che ho conosciuto in questa diocesi. Sono preti che benedicono la Chiesa, nel senso che “dicono bene” di lei, fanno parlare bene del suo nome e “per estensione” di quello del Padre. E non è sempre un dire di parole: a volte basta lo sguardo.

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Camminiamo insieme

da “Battaglie sociali”


Con la Chiesa

Il testamento spirituale del ministro pakistano ucciso dai fondamentalisti

I martiri di oggi: “ai piedi di Gesù”

I

l mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico. Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune». Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che

sto seguendo Gesù Cristo.Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora — in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia

determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro. Per cui cerco sempre d’essere d’aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati. Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna.

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Shahbaz Bhatti Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianurn Press 2008

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Spazio famiglia

L’amore è l’unica forza in grado di trasformare un nemico in amico

Il mio matrimonio va male

U

n anno, dieci anni, trenta anni di vita in comune. Non esistono periodi particolari. Una coppia può, in qualsiasi momento della sua vita coniugale, trovarsi di fronte a gravi difficoltà. La vita in comune diventa pesante. A poco a poco cresce il malessere... Non ci si parla più, o assai poco. Spesso, sono i figli a rimanere l’unico argomento di conversazione, oppure la vita materiale, che prende un’importanza esagerata a scapito di un profondo scambio di reciproci doni. A volte, violenti litigi avvelenano la vita famigliare, per altri invece a vincere è il risentimento, la delusione, la perdita di stima per il coniuge. E allora basta un nuovo incontro amoroso perché tutto crolli e si arrivi a una separazione dalle conseguenze inevitabili: un enorme senso di fallimento, sofferenze dei figli, scioglimento della famiglia. Per far fronte alla degradazione del proprio matrimonio ci vuole molta lucidità, molto coraggio. Ricostruirlo su nuove basi ed essere di nuovo felici è sempre possibile per coloro che vi si impegnano.

Ciò che uccide la coppia La critica continua Siamo tutti propensi alla critica. Soprattutto in un mondo che dà tanta importanza alla performance e al successo. Chi non è conforme ai criteri vincenti spesso è guardato con di-

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dipendenza. Ma si può anche rimanere dipendenti dai propri genitori, dall’ambiente sociale, dalle abitudini... La dipendenza che si instaura allontana dall’altro, distrugge il rapporto.

sprezzo dai congiunti. E quando ci si mette il coniuge, è una rovina. Osservarsi a vicenda con uno sguardo malevolo è il modo più sicuro per creare una distanza che a poco a poco diventa insormontabile. Ne soffre anche la sessualità. L’intolleranza Non accettare la storia dell’altro, non voler comprendere a fondo il suo modo di pensare, non amarlo per quel che ha di unico e di perso nale significa rischiare gravi malintesi. Amarsi non vuol dire tollerare che l’altro sia diverso, ma al contrario rallegrarsi delle sue differenze. La menzogna più grave Esistono molti tipi di menzogna. Si può mentire su ciò che si fa, su ciò che si pensa, su ciò che si è. Certamente ognuno deve conservare un suo giardino segreto. Ma certe menzogne sono imperdonabili e uccidono la fiducia, in particolare quelle che portano all’infedeltà. La dipendenza alienante L’alcol, la droga, le immagini pornografiche sono terribili forme di

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L’accumulo di ferite Spesso, sono le tante ferite che distruggono l’intimità della coppia: piccole frasi cattive, rancori repressi, provocazioni ripetute. Anche gli sposi che si amano si feriscono involontariamente. E più il dolore è profondo, più la fiducia e l’amore sono compromessi.

Ciò che salva la coppia La tenerezza quotidiana Incoraggiarsi, ringraziarsi, complimentarsi con parole e gesti teneri e affettuosi dovrebbe essere incluso nel programma di tutte le coppie! La tenerezza è inseparabile dall’intimità sessuale, indica che si è amati. L’humor complice Ridere di tutto e in primo luogo di se stessi, permette di sciogliere molti conflitti. L’humor aumenta la complicità, apre agli altri. È un elemento essenziale dei rapporti amorosi e amicali. Una parola fiduciosa Si devono sempre affrontare i conflitti utilizzando le parole. Quelle che tranquillizzano, rimettono in sesto, riconoscono, se è il caso, il proprio errore. Parlare delle pro-


Spazio famiglia

prie ferite, di ciò che fa male, senza acrimonia, senza usare il «tu» che accusa, si rivela sempre positivo.

serenità! Invece, rifiutarsi al coniuge è segno di un disaccordo che si deve risolvere al più presto!

Una sessualità vera Il piacere sessuale condiviso è un potente fattore di intimità. Fare l’amore con piacere e semplicità è il modo più evidente di manifestare amore al coniuge. Darsi all’altro, con gioia, senza star sempre a pensare che cosa si avrà in cambio, è un’arte.

Si devono evitare i litigi ad ogni costo? Le differenze dell’altro possono essere dolorose da vivere nel quotidiano. L’altro ci è insopportabile. Al punto da esplodere. I litigi rivelano quello che non va. Bisogna evitare la violenza che distrugge, le parole che feriscono, le grida che spaventano i figli. Ma non ci si deve neppure tenere tutto dentro. Litigare fa parte della vita di ogni coppia, e spesso permette di andare avanti.

Il perdono Farsi del male, per una coppia è piuttosto normale. Essere capaci di parlarne, di perdonare o di chiedere perdono richiede molta umiltà. Perdonare non ci risulta spontaneo, è una scelta difficile ma liberatoria, permette di andare avanti, di vedere il rapporto da un’altra prospettiva. Il perdono non è indifferenza verso l’errore, né oblio, e neppure tollerare l’intollerabile. Ma è dare all’altro la capacita di cambiare. La preghiera Molte coppie sperimentano la forza data da Dio nelle difficoltà. Nella preghiera, da soli o condividendola, si trova il coraggio di affrontare, di rinnovare il dialogo. E a volte anche di cambiare! Dio viene sempre in aiuto a quelli che glielo chiedono.

Domande e risposte La sessualità aiuta la riconciliazione? A condizione che questa riconciliazione sia voluta da entrambi.., e che sia espressione dell’amore che unisce profondamente la coppia, oltre le difficoltà. Spesso, si fa l’amore per chiedersi perdono... L’atto sessuale, vissuto pienamente, spesso sostituisce parole difficili da dire. Molte coppie ritrovano la

Si deve confessare un’infedeltà? Non si deve appesantire l’altro con una verità che non può sopportare. Ma non dire niente significa vivere nella colpa. Una terza persona in cui si ha fiducia, che non ci giudicherà ma neppure sarà compiacente, può avere un ruolo essenziale. In primo luogo si spiegheranno a lei le ragioni che ci hanno spinto al fatto. Un passo di questo genere ci rassicura, ci solleva dalla parte malsana della colpa. E allora potranno arrivare le parole, cariche di senso, cariche di vita. Esistono situazioni intollerabili? Sì certamente. Esistono situazioni in cui regna la violenza, l’aggressione fisica e anche morale, che non sono tollerabili e si rivelano pericolose per tutta la famiglia. Allora non bisogna esitare: si deve chiedere aiuto a un familiare o un consulente matrimoniale. Si deve evitare di chiudersi in una spirale di odio. Una coppia non è fatta per autodistruggersi. A volte, la separazione è l’unica via d’uscita. Un consulente matrimoniale, chi è? Può capitare che, malgrado molti sforzi, la coppia sprofondi nei

conflitti. Si rende allora necessario interpellare rapidamente un consulente matrimoniale. Più presto si affrontano le proprie difficoltà, insieme, meglio le si possono superare. Un consulente matrimoniale non dà consigli, ma aiuta le persone a trovare la propria soluzione, il proprio ritmo. Il suo ruolo consiste nel far venire a galla le cose. Riceve in un luogo neutrale, per circa un’ora e segue un metodo rigoroso. Uomo o donna, è tenuto al segreto professionale, e aiuta rispettosamente le persone a verbalizzare problemi, delusioni, rancori. Durante le sedute si possono affrontare la questione della sessualità, tutti i conflitti (gravidanze non desiderate, difficoltà educative, alcolismo, tossicomania, violenza...) e le preoccupazioni che nascono nei rapporti. Un conflitto risolto, una crisi superata, rendono la coppia più solida e più propensa a godere pienamente della sua felicità. Non è necessario essere sposati per andare da un consulente matrimoniale. Credere Edizioni San Paolo

Per saperne di più http://saew.cfcitalia.org/ cfc_itaha/samagazine/indexi. jsp?idPagina=z Consultori Familiari di ispirazione Cristiana. http://www.consultonlus.it/ ucipemhst.htm Unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali. http://www.forumfamiglie. org/ Forum delle associazioni famigliari.

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Spazio missioni

Un bresciano in Ecuador

Mons. Lorenzo Voltolini, arcivescovo di Portoviejo

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astrezzato ha la fortuna di avere attualmente due Padri Missionari: Padre Matteo Fogliata (che svolge il suo apostolato in Polonia) e Padre Sergio Targa (che si trova in Bangladesh) e di aver avuto nel passato altri

missionari che hanno dedicato la loro vita ai più deboli; tra tutti ricordiamo suor Teresina Sala scomparsa due anni fa, mentre svolgeva il suo servizio in mezzo ai poveri in Costa d’Avorio. Inoltre abbiamo stretto un forte legame anche con

Mons. Lorenzo Voltolini, Arcivescovo di Portoviejo in Equador. Vorremmo in questo angolo parlarvi un po’ di loro, di dove operano, della gente con cui vivono. Approfittando della recente visita di Mons. Voltolini, il quale ha celebrato la messa vespertina di domenica 22 maggio, inizieremo a parlarvi proprio di lui. Lorenzo Voltolini Esti, originario di Poncarale (BS), è compagno di messa e profondo amico del nostro parroco Don Mario Stoppani, è stato nominato dal Papa Benedetto XVI arcivescovo della diocesi di Portoviejo (Manabì) in Ecuador, dopo una lunga esperienza come missionario “Fidei donum” in terra Ecuadoregna. In questa diocesi vi è anche il “Seminario Mayor San Pedro”, una casa di formazione per sacerdoti diocesani al servizio della Chiesa, del quale Mons. Voltolini è Responsabile. Qui i giovani provenienti da tutto l’Ecuador vengono formati per servire il Signore. Oltre ad una formazione religiosa, imparano anche un mestiere: sarà loro d’aiuto per svolgere l’opera di apostolato e di formazione (insegnando a loro volta un mestiere ai propri parrocchiani), ma servirà anche per potersi mantenere una volta usciti dal seminario. Durante la sua visita ci ha fatto dono di un pieghevole di cui riportiamo la preghiera per la famiglia. E. B. Gruppo missionario di Castrezzato

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Spazio missioni

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Spazio missioni

Due fratelli missionari in Africa

I fratelli Modonesi scrivono alla comunità

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ue missionari comboniani, i fratelli P. Alberto e P. Renato – ci scrivono queste due lettere per informarci sui problemi concreti della vita missionaria oggi. P. Renato era di casa qui da noi, perché Don Giovanni invitava spesso i Comboniani in Parrocchia per il Ministero. Soprattutto la lettera di P. Alberto ci dà il clima sociale che si respira in Egitto dopo i moti scoppiati negli ultimi mesi, che hanno causato importanti cambiamenti a livello sociale e politico come in molti paesi dell’Africa del Nord.

la mamma). Purtroppo in Congo ho promesso di aiutare studenti capaci, e alcuni maestri (Adozione Maestri ) .... perchè so che : “solo nella vita si trova la libertà“ ( Gesù ) “salvare l’ Africa con l’Africa” (Camboni) So che attualmente nel “Nord Africa“ le cose non vanno tanto bene... Inoltre c’é il Giappone... con le radiazioni atomiche... Ma so che Cristo, l’ Unico che é risorto, Egli può vincere tutto! Ha vinto anche la morte! Augurissimi di ogni bene!! Con amicizia e riconoscenza.

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uesta mattina avrei voluto anch’io ripartire per l’Africa con Alberto dalla Malpen-

sa !?!? So che le missioni con i suoi problemi, sono ovunque... Prima di ripartire Alberto mi ha lasciato questa lettera : “.....il dono della vocazione al suo servizio é incommensurabile e stupendo, qualunque sia il modo in cui il Signore vuole manifestarsi: Ringraziamo insieme il Signore! So che il Tuo cuore batte ancora all’unisono con le pulsazioni dell’Africa... Quello che Ti chiede il Signore é il sapersi abbandonare alla sua volontà, con il metterti al servizio alla Comunità a cui sei assegnato....” Brescia “Quando uno fa quello che può e dice quello che sa é un uomo da rispettà” (diceva

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Padre Renato Modonesi

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arissimi, eccomi finalmente nel nuovo mondo dell’Egitto che sta scrivendo una nuova pagina della sua storia plurimillenaria. Tutto sembra calmo ora, dopo il 25 gennaio 2011, giorno della rivoluzione dei giovani della massa di gente di tutti i colori politici e di tutte le tendenze religiose; giovani universitari soprattutto assetati di libertà e di giustizia. Dei turisti non si vede neppure l’ombra e neppure i poliziotti hanno azzardato farsi vedere nelle strade, consapevoli di aver puntato le armi contro gente inerme. Le vittime di quei giorni sono 300 all’incirca.

Camminiamo insieme

Ora é in corso un lento processo di democratizzazione che richiederà un lungo periodo di immensa saggezza. Le sfide che l’Egitto attualmente deve affrontare sono principalmente 3 : La prima é la contro-rivoluzioe sopportata dal vecchio regime e da una larga fetta della borghesia che navigava nella corruzione. Gruppo che lavora nell’ombra dietro le quinte. La seconda é l’emergere di piccoli clan di bande criminali che mettono a rischio l’incolumità delle persone e le proprietà dei cittadini . La terza é il rapporto tra mussulmani ( 90%) e i cristiani (10%) che può cementare l’unità nazionale o al contrario rinfocolare inimicizie secolari e condurre il paese nel caos. La nostra presenza deve aiutare la riconciliazione e la giustizia basata sulla dignità e i diritti della persona, qualunque sia la sua affiliazione politica o religiosa. E’ qui che sono ora e questo é il mio campo di lavoro. Vi chiedo d’essermi ancora vicini, come lo siete sempre stati nei lunghi anni trascorsi in Sudan, che mi ha insegnato molto. Pregate per me – Vi ricordo sempre nell’Eucarestia . Padre Alberto Modonesi Il Cairo 10-03-2011


Spazio oratorio

Riflessioni sulla realtà dell’Azione Cattolica

Un percorso da continuare

È

proprio da questo slogan che vorrei partire per offrirvi una riflessione sulla realtà dell’Azione Cattolica parrocchiale, che sto guidando come presidente, visto il mandato che mi è stato affidato dai membri dell’AC parrocchiale in seguito alle elezioni del 28 Gennaio 2011. Non nascondo che il mio ruolo è un compito senz’altro più grande di me e, devo dire questo mi preoccupa e spaventa un po’. L’Azione Cattolica non è un luogo in cui chi si prende una responsabilità è lasciato solo a se stesso,è una realtà di persone nella quale assumere un incarico significa continuare un cammino di corresponsabilità, offrendo un servizio in collaborazione con un gruppo affiatato. È con questo spirito di condivisione che essendo consapevole dei miei limiti e non competenze in certe situazioni, mi ha portato ad accettare dando la mia disponibilità,superando dubbi o incertezze. Nella comunità l’azione cattolica ha sempre avuto un buon percorso di rinnovo e attenzione al mondo che ci circonda,un itinerario che per qualcuno è stato rapido e immediato (sempre e comunque apprezzato), per altri si sta rivelando più impegnativo e laborioso, ma che per tutti rappresenta certamente una sfida per dire quanto può essere significativa l’esperienza dell’azione cattolica per far conoscere il volto di Cristo agli uomini del nostro tempo. Ci troviamo di fronte

ad un Dio che nel momento in cui genera alla vita,e alla vita piena della Risurrezione ci chiede di abbandonare tutto ciò che è passato e di aprirci con occhi nuovi, innanzi tutto alle persone che ci stanno attorno, superando paure, abitudini,pigrizie. È questo lo stile che abbiamo scelto nella nostra assemblea diocesana,assumendo come impegno esplicito nei contenuti del Documento Assembleare: accogliere, discernere, partecipare, sono ormai azioni che richiedono di uscire da se, dalla mentalità comune,dalle abitudini consolidate,dagli ambienti famigliari, dai linguaggi esclusivi, dalle certezze e dalla conoscenza delle cose che si fanno da sempre, per aprirsi al dialogo, all’ascolto, alla creatività che permettano di immaginare percorsi costruiti con altri “uomini di buona volontà” a partire da valori comuni e condivisi, innanzitutto dalla centralità dell’uomo, per farsi compagni di strada e testimoniare con autenticità che il Cristo ha ancora una Buona notizia da annunciare. Dal Documento assembleare: “Responsabili nella creatività, accogliere, discernere, partecipare”. Il momento sociale, civile ed ecclesiale in cui viviamo richiede sempre più una testimonianza credente in grado di dare un significato alla vita. La crisi che in questi ultimi anni ha colpito il mondo e continua a condizionare le persone non toc-

ca solo l’ambito economico,ma investe tutta l’esistenza degli uomini. Questa situazione dimostra una scarsa capacità di guardare al futuro con fiducia facendo sì che l’uomo sembra avere smarrito la fiducia in se stesso e nelle proprie capacità. Di fronte a questo quadro l’Azione Cattolica ribadisce l’importanza come associazione di laici cristiani,di portare il proprio contributo per essere “cittadini degni del vangelo”(Fil.1,27). Alla luce del cammino percorso a partire della XIIIma Assemblea riteniamo essenziale ribadire la centralità della scelta Missionaria quale elemento caratterizzante il cammino associativo dell’AC : l’incontro col Risorto e l’Annuncio della speranza Cristiana sono da rimettere costantemente al centro come riferimento. C’è bisogno di rimarcare uno stile, scandito da una progettazione e azione, che permetta alla Chiesa Bresciana di essere”Sale e Luce”,fermento nella società: non bastano le dichiarazioni e i richiami ai valori cristiani,ma occorrono testimoni autentici e credibili. L’AC non deve commettere di chiudersi in esperienze di nicchia, d’elìte; al contrario,concretamente con la propria tradizione e fedele al mandato di Cristo agli Apostoli,deve rivolgere la propria attenzione ad una dimensione che racconti un forte radicamento nel Vangelo. Siamo dunque chiamati ad un rinnovato impe-

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Spazio oratorio

gno missionario nella fedeltà del Vangelo e all’uomo. Vivere l’AC è dare l’esempio di un cammino di santità laicale con alcune caratteristiche ben precise:SPIRITUALITA’ :bisogna coltivare la vita interiore mettendo al centro l’adesione a Cristo,incontrarlo facendo di quest’esperienza il motore che guida le nostre scelte i nostri percorsi. Indispensabile quindi fin dall’età dei giovanissimi si educhino gli associati ad elaborare una regola di vita che definisca i modi e i tempi di questa adesione personale (cfr. Progetto Formativo AC, pag. 61-63). Formazione: -”educare alla vita cristiana del VG”- (Orientamenti pastorali dei nostri vescovi per il decennio 2010-2020), si ribadisce l’importanza di continuare a sostenere la formazione seria e costante che l’AC propone nei suoi cammini ordinari volti alla crescita di conoscenze laicali mature da un punto di vista cristiano e pienamente umano. Vita associativa: avere la possibilità di ricoprire incarichi di responsabilità dovrebbe dunque essere un’opportunità vissuta con entusiasmo, consapevolezza e disponibilità piena. Aderire all’AC è una scelta seria e responsabile,caratterizzata dalla vivacità dei gruppi espressione della gioia di appartenere,insieme, a Cristo e al mondo. Il nostro contributo alla chiesa e alla società civile nei luoghi in cui siamo e scegliamo di essere, diviene davvero incisivo se frutto dell’unitarietà dei ragazzi,della creatività dei giovani, dell’esperienza degli adulti e dalla vicinanza degli assistenti. LO STILE: lo stile che vogliamo esprimere si racchiude in tre azioni : accogliere, discernere, partecipare. Sono dimensioni che ci impegnano personalmente nei rapporti di ogni giorno,ma anche associativamente,nella forma e nei modi che ciascuna associa-

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zione è chiamata ad individuare come priorità. Accogliere in una realtà solcata da povertà e fragilità spirituali e materiali si fatica a deporre armi per trovare spazi di dialogo e incontro, lo stile dell’ascolto e dell’accoglienza appare come un’oasi in cui la vita delle persone può ritornare a fluire. È lo stile di Gesù che si fa ultimo con gli ultimi,offrendo la disponibilità ad ascoltare i bisogni e a condividere in maniera autentica l’esistenza. Vogliamo farci imitatori di questo stile che manifesta nel calore della relazione e nel coraggio di aprire i nostri gruppi ed associazioni verso l’esterno collaborando anche con le diverse realtà educative. Discernere accogliere non significa assecondare tutto ciò che accade attorno. L’accoglienza che vogliamo vivere intende tradursi in un cammino condiviso di discernimento della realtà, per rispondere alla “necessità di pensare,ap rire,produrre,suggerire e praticare un cambiamento di stile personale ecclesiale e sociale”(Sentieri di speranza, pag. 228). Questo processo di discernimento scandito dalla Parola di Dio,potrà realizzarsi in un percorso comunitario che giunga alla progettazione di possibili itinerari di vita e di fede,da affrontare con coraggio, col rischio anche di sbagliare. Partecipare la fedeltà alla storia ci chiede di essere protagonisti nella costruzione di un futuro capace di riconoscere la dignità di ogni uomo. Personalmente come nuovo presidente dell’AC vorrei semplicemente accettare la sfida della scelta missionari che abbiamo rinnovato con l’ultima assemblea diocesana sapendo che questa strada impegnativa richiede radici spirituali profonde, per non smarrire l’orientamento a fianco al coraggio di esporsi,sporcarsi,di accettare l’imperfezione o il rischio di fallire,giocandoci con tutta la

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passione che abbiamo per progettare e costruire con creatività e speranza,assieme a tutti gli “uomini di buona volontà”, un futuro per il nostro mondo, la nostra diocesi. È una buona premessa per continuare questo percorso: se ci fermassimo a pensare i nostri mezzi e le fatiche compiute nel tempo,da noi e da chi ci ha preceduto,forse rinunceremmo. Possiamo solo affidarci allo Spirito Santo ed in caso rimanere uniti e generare unità. Questo, credo,è il segno che possiamo dare al mondo oggi:una testimonianza viva della nostra fede in Cristo pronti a costruire ponti di dialogo e confronto. Non resta quindi che rimboccarci le maniche, tutti assieme,prendere in mano da subito il mandato della XIV assemblea per tradurlo in concreto. Auguro a tutti noi che siano tre anni intensi di relazioni significative e di dialoghi nuovi e costruiti con coraggio. Non è più il momento di attendere, lasciando operare lo Spirito per uscire dal cenacolo delle nostre comunità e riallacciare un dialogo vero e profondo con chi ci vive a fianco. Questa è la nostra scelta: il cammino è già iniziato continuiamolo assieme, con sorriso accogliente e passo deciso. Ricordo a tutti i responsabili,educatori e assistenti che se anche le vacanze sono ormai alle porte i nostri appuntamenti del giovedì non ci lasciano mai. Quindi vi aspetto sempre per continuare il nostro “Percorso”... e continuare il nostro cammino con nuove speranze,desiderio di giocare le nostre energie per realizzare il programma che abbiamo scelto. Chiedo al Signore e alla Vergine Maria di sostenerci in questo percorso,affido alla vostra preghiera e al vostro supporto la buona riuscita di quel che faremo. Buon lavoro a tutti. La presidente dell’AC parrocchiale Mirta Festa


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Bilancio di fine anno

Il cammino dell’ACR: “tutto calcolato”

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ccoci qua giunti alla fine di un cammino associativo percorso accanto a nostri ragazzi che ci sono stati affidati, ”ciò che conta di più”, non è tanto l’esperienza di tempo che abbiamo maturato al servizio dei nostri ragazzi, ma il modo che ognuno di noi ha scelto di stare accanto a loro, con la consapevolezza di aver cercato di aiutarli ad entrare in una relazione bella e profonda con Cristo. In questo percorso noi educatori che abbiamo vissuto in compagnia dei nostri ragazzi ci ha visto tutti desiderosi di incontrare Cristo nella nostra vita e di ravvivare il nostro rapporto con Lui. Ci siamo lasciati accompagnare dal suo amore, ascoltando la voce dello Spirito correndo con gioia verso il Signore (anche se qualche volta siamo caduti nelle pigrizia) perché “tutto calcolato”... Lui ci ama ci vuole rendere veramente felici,vuol rendere la nostra vita davvero speciale. Ci lascia liberi di vivere e ricercare con entusiasmo il suo progetto d’amore per noi e per la Chiesa. In questo anno associativo come educatori abbiamo avuto la responsabilità di aiutare i nostri ragazzi a sentirsi parte di un popolo in cammino,di gustare la bellezza di vivere in una comunità che accolga ,e ogni giorno ricerca il bello e il vero della vita di ringraziare il Padre per la compagnia di quanti condividono questo percorso di scoperta e di fraternità. ”Ciò che conta di più”, vuole dire che ciascuno nella sua originalità ed unità conta, ha un posto privilegiato nel cuore di Dio; vuole esprimere

l’impegno di tutti i bambini e i ragazzi a scoprire, scegliere e mettersi ogni giorno in cammino per ritrovare ciò che conta di più nella loro vita,tutto ciò che è essenziale, tutto ciò che aiuta ciascuno a crescere. Il cammino di quest’anno è diventato così un’occasione perché ciascuno possa dire: “tu conti nella mia vita,tu sei una persona speciale per me,solo tu puoi donarmi la gioia di vivere in pienezza i miei giorni ed essere nel mondo testimone di speranza”. Il nostro servizio educativo è un ‘esperienza che esprime tutta l’attenzione educativa di tutta l’associazione; ecco perché, come educatori, possiamo sperimentare la bellezza di un cammino fatto in compagnia di altri educatori, in cui sentirci inviati ad annunciare il Vangelo ai più piccoli insieme, come comunità e non come singoli. Abbiamo saputo desiderare fortemente di camminare dietro a Dio, riuscendo a testimoniare (perdonateci se non siamo riusciti a dimostrarvelo fino in fondo) ai ragazzi che vivere e seguire Cristo oggi è possibile, anche in questo tempo che ci sembra, per certi versi, così complicato.” Il passaggio a una fede sempre più personale nel Dio di Gesù Cristo non consiste nell’assenso solo intellettuale a una serie di verità astratte, ma nell’adesione intima, esistenziale fatta nella libertà e nell’amore, personale che chiama a vivere con sè. Questa è l’esperienza dei primi discepoli; è quella dei santi di ogni tempo; questa è la conversione, l’allargamento di orizzonti che permette di colloca-

re l’esistenza dentro un disegno più grande e cambia lo sguardo: un evento che ha in sè qualcosa dell’innamoramento (Progetto Educativo ac,5.1). Quest’anno è stata: Conto anch’io? È una domanda che esprime il desiderio di ciascuno di contare nella vita del gruppo della comunità ecclesiale e civile, nello stesso tempo ha saputo evidenziare i dubbi e le paure che ha accompagnato il loro percorso di crescita. Abbiamo guardato i nostri ragazzi capaci di immaginare ciò che è bello e buono per loro,per la propria comunità e per la città in cui vivono,ma anche alla necessità di aiutarli a dare concretezza alle loro idee. Abbiamo capito che ciascuno di loro può fare il bene di tutti,che sono capaci di mettersi in gioco fino in fondo dando spazio alla loro creatività. Crediamo in loro, e ci piace pensare che questo cammino li accompagni e conduca ciascun ragazzo e bambino a maturare scelte consapevoli di servizio autentico,a impegnarsi in prima persona a testimoniare al mondo la bellezza di contare prima di tutto nel cuore di Dio, a vivere la compagnia del Signore Gesù, certi che nella loro vita solo Lui è colui che conta di più e con lui e in lui ogni ragazzo può davvero imparare a contare! Le responsabili dell’ACR parrocchiale Elisa Lancini e Giulia Lupatini

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Bilancio positivo per i catechisti

Un altro anno di trasmissione della fede si è concluso. Facciamo il punto.

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unedi 6 giugno, nel salone dell’Oratorio si è svolta la verifica dell’anno pastorale per chi si occupa nella nostra parrocchia della trasmissione della fede . Per confrontarci e prendere spunto, abbiamo letto la lettera di Mons. Dante Lafranchi Vescovo di Cremona, dal titolo “Gesù figura esemplare dell’educatore”. I catechisti degli adulti hanno riflettuto proprio su quest’ultima: Gesù il vero educatore, il suo insegnamento non lo valuta secondo i numeri più o meno grandi di chi li accetta, ma dalla fede assoluta alla parola del Padre; perciò non va considerato fallimento quando i ragazzi/adulti/bambini non ci ascoltano, o non mettono in pratica ciò che abbiamo loro insegnato, ma quando non hanno annunciatori fedeli alla sua Parola. Perciò lo scoraggiamento non ha più motivo di esserci, anche se i conti non tornano, perché cerchiamo sempre la “Fedeltà a Lui”. I catechisti degli adulti sono soddisfatti della frequenza e partecipazione attiva dei genitori che stanno affrontando il nuovo cammino di Catechesi. Per quanto riguarda gli altri gruppi, la voce comune è di grande soddisfazione per il lavoro svolto e portato a termine con i bambini ed i ragazzi; mentre altrettanto frequente in diversi gruppi è la poca partecipazione dei genitori alla S. Messa della domenica. Sappiamo tutti quanto sia impor-

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tante che i bambini ed i ragazzi abbiamo delle figure positive da seguire e con cui confrontarsi, in più risulta difficile insegnare e farsi rispettare, se non si dà per primi il buon esempio; quindi con umiltà e senza voler insegnare nulla, ci piacerebbe capire come e dove possiamo migliorare, per rendere alcuni genitori più partecipi. E’ stato suggerito da Mons. Mario di preparare un test con varie domande (che naturalmente sarà compilato anonimamente). Un piccolo gesto che per noi diventerebbe un prezioso strumento di lavoro per l’anno nuovo che ci aspetta. Il gruppo Emmaus (Ordinario e Acr) che conclude per la prima volta nella nostra Parrocchia il quinto

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anno del nuovo cammino di iniziazione Cristiana, ha terminato in modo positivo ed i ragazzi hanno acquisito l’importanza ed il valore del “Silenzio”, che porta ad un incontro personale e speciale con Gesù. Un ringraziamento particolare va a tutte le mamme di questo gruppo, che hanno collaborato attivamente e con entusiasmo, all’insegnamento del catechismo. Concludiamo ringraziando e augurando una buona estate a tutti.

I catechisti dei bambini e dei ragazzi, Gli educatori di AC I catechisti degli adulti

Laurea Magistrale in Giurisprudenza Fontò Maria Paola, il 14 marzo 2011, dopo un percorso di studi universitari durato cinque anni, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza, con una votazione di 97/110.

Alla dottoressa Fontò i nostri complimenti e l’augurio che possa aver assaporato nel successo scolastico solo la prima delle grandi gioie che la vita ci può regalare.


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Le attività di giovani e giovanissimi

Azione Cattolica Giovani: la voglia di mettersi in gioco!

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ll’interno della famiglia dell’ A.C. vive anche il gruppo dei giovani e giovanissimi dell’ A.C.G. che copre le fascie di età tra i 12 e i 18 anni ma che attualmente è composto anche da ragazzi che hanno superato questa “soglia”. Cosa facciamo in questo gruppo? Semplice, cerchiamo di portare avanti il fine dell’associazione (che è quello di far conoscere Cristo) attraverso l’azione pastorale all’interno della comunità . Bello…ma in concreto? Ci incontriamo la domenica sera intorno alle 18.00 con cadenza solitamente quindicinale e affrontiamo alcuni temi che riguardano direttamente il mondo degli adolescenti e dei giovani, con attività pensate non solo per riflettere, ma anche per sperimentare! e solitamente con un taglio il più possibile “accattivante” in modo che i ragazzi possano vivere esperienze intense ma non “pallose”. Negli ultimi anni alcuni di questi momenti hanno sicuramente lasciato il segno, come l’incontro con i giovani della comunità Shalom di Palazzolo o il racconto della propria esperienza personale da parte di persone che vivono quotidianamente la realtà giovanile in ambiti anche molto diversi (cito ad esempio gli incontri che abbiamo organizzato con una ginecologa obiettrice di coscienza piuttosto che con il chitarrista di Ligabue o recentemente con alcune asso-

ciazioni che operano nel sociale all’interno del nostro paese). A volte ci mettiamo davvero in gioco! Molti ricorderanno la gara di kart che abbiamo organizzato all’autodromo sul tema della fiducia nelle proprie capacità. Sì, i temi, ma chi li decide? Normalmente cerchiamo di seguire le indicazioni dei sussidi proposti dalla diocesi, ma spesso cerchiamo di seguire le esigenze dei ragazzi e strutturiamo gli incontri su temi che li interessano. È un lavoro di “equipe” che facciamo all’inizio dell’anno in modo da poter pianificare per tempo anche gli incontri con i nostri ospiti. In qualche occasione usiamo anche il film come spunto di riflessione ed è incredibile quante sfumature i nostri ragazzi riescono a tirar fuori da una pellicola (ad es. “Juno” sul tema dell’aborto o “Si può fare”con C. Bisio sul tema del “fare qualcosa per gli altri”). Dedichiamo sempre un posto alla preghiera, anche questa vissuta con tempi e modalità

diverse ma con la consapevolezza che l’aspetto spirituale è importante e va coltivato. Il vivere insieme un pezzo di cammino è alla base del nostro gruppo e lo sperimentiamo anche alla fine dell’incontro quando ceniamo grazie anche al lavoro generoso di Aldina, Antonella e Angelo: è un momento semplice ma trova anch’esso il suo ruolo formativo all’interno delle attività. Il responsabile dell’ACG parrocchiale Marco Piscioli

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Le linee guida dei nuovi incaricati

Rinnovo del Presidente e degli incarichi in A.C.

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opo il rinnovo degli incarichi e la nomina del Presidente parrocchiale di Azione Cattolica avvenuta nel Gennaio 2011, gli Educatori e gli incaricati di settore, unitamente al Presidente, sottoscrivono le presenti linee guida per il prossimo triennio. Fare riferimento costante allo Statuto di AC in vigore, in collegamento vitale con la Diocesi di Brescia. All’inizio di ogni anno pastorale, stilare un calendario delle riunioni del Consiglio Parrocchiale di A.C., in cui partecipa anche l’Assistente ecclesiastico (Parroco o Vicario parrocchiale). Il calendario di massima delle attività pastorali di AC e delle tappe formative, va fissato entro la fine dell’estate e comunque prima

dell’inizio delle attività dell’anno pastorale a Settembre. Alla stesura di questo calendario partecipa anche il Direttore dell’Oratorio, cui spetta il compito di armonizzare le attività di AC con tutte le altre attività formative, educative ed aggregative dell’Oratorio. L’Ordine del giorno delle Riunioni del Consiglio Parrocchiale di A.C., vengono stese in comune accordo dal Presidente, dai responsabili di settore e con l’Assistente Ecclesiastico, in un ragionevole spazio di tempo precedente la convocazione del Consiglio stesso, per poter poi dare comunicazione scritta per tempo dell’ordine del giorno a tutti i membri che ne fanno parte. Ogni seduta del Consiglio Parrocchiale di AC deve essere verbalizzata e firmata dal Presidente.

Il reperimento e la scelta degli educatori di AC deve essere affrontata all’interno del Consiglio Parrocchiale di A.C. Firme per approvazione Stoppani mons. Mario (Parroco) Chiecca don Claudio (Vicario Parrocchiale) Festa Mirta (Presidente) Lancini Elisa (Resp. A.C.R.) Lupatini Giulia (aiuto Resp. A.C.R.) Piscioli Marco (Resp. A.C.G.) Zerbini Mara (Resp. A.C. Adulti) Danesi Stefania (Segretaria) Vescovi Maria Luisa Saronni Simona Roncali Manuela Zotti Damiana Bosetti Andrea

Donato alla Parrocchia un Ostensorio d’argento Mons. Vittorio e la sorella Laura hanno fatto dono alla Chiesa Parrocchiale di un pregevole ostensorio in argento del secolo XIX in memoria dei loro cari genitori Antonio Formenti e Giuseppina Martini. Li ringraziamo sentitamente.

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Dalla riunione del C.P.P. del 6 maggio 2011

Verbale del Consiglio Pastorale Parrocchiale

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l CPP della Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo di Castrezzato si è riunito in data 6 maggio 2011 alle ore 21,00 presso i locali dell’Oratorio per impostare un’efficace azione di pastorale famigliare in Parrocchia. Ad animare l’incontro è stato invitato il Responsabile diocesano della Pastorale famigliare Don Giorgio Comini allo scopo di aiutare ad avviare una corretta azione pastorale in uno dei settori più delicati e urgenti della vita cristiana. Sono presenti il Parroco, Mons, Mario Stoppani, nella sua qualità di Presidente del Consiglio Pastorale Parrocchiale, introduce la discussione ricordando che compito della Chiesa è annunciare il Vangelo e che, oggi più di ieri, si sente la necessità di annunciare il Vangelo in famiglia. Una delle finalità del nuovo CPP è proprio quella della pastorale familiare. Il disagio delle famiglie, da una parte. e l’armonia delle stesse, dall’altra, non sono frutto di un caso, ma hanno molto a che fare con l’accoglienza che le famiglie riservano al messaggio evangelico. Don Giorgio Comini, anche grazie alla sua pluriennale esperienza di responsabile della Pastorale familiare per la Diocesi di Brescia, servirà a dare idee per impostare anche nella nostra comunità parrocchiale un’efficace azione in quest’ambito. Detto questo, Don Mario Stoppa-

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ni cede la parola a Don Comini, il quale richiama brevemente la recente beatificazione di Giovanni Paolo II per far notare come i mass media abbiano dato grande risalto a molti dei temi a lui cari, tralasciando quello della pastorale familiare - amore di Dio nell’amore umano - che ha invece connotato i primi cinque anni del suo pontificato. E’ da chiedersi il motivo di tale omissione. Pare quasi esservi una pratica eretica della religione cristiana: il cristianesimo è sentito o no? è sentito o no il bisogno di conoscere pienamente il messaggio cristiano? E, infine, è sentito o no il bisogno di vivere pienamente il messaggio cristiano? La Chiesa deve contribuire a generare Gesù Cristo in parole ed opere, incarnandolo. “Convertitevi e credete al Vangelo” deve diventare un messaggio da riscoprire e da vivere. La battaglia da farsi oggi è la nuova evangelizzazione fatta di testimonianza e di perseveranza; la battaglia deve avere come scopo portare l’umanità ad incontrare Cristo sapendo che è l’incontro con Cristo che genera delle scelte di vita e quindi delle “regole”. Cristo viene prima di ogni regola ed è Cristo che genera in noi le regole. E’ sbagliato presentare il cristianesimo come un elenco di precetti a cui attenersi. La Pastorale familiare è presente nella Chiesa a due livelli: in primo luogo, tutta la Chiesa nella sua azione pastorale inter-

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cetta sempre come famiglia tutti i fedeli, sia quelli viventi sulla Terra che quelli defunti. Nella sua prima enciclica (Redemptor hominis del 4 marzo 1979) Giovanni Paolo II spiega che nessun uomo può vivere senza amore, senza amore l’uomo non può sussistere, perde ogni suo significato; in secondo luogo, vi è un livello più specifico di preparazione alla vocazione matrimoniale; tale ambito è in realtà molto ampio: parte dall’educazione dei fanciulli e adolescenti, per offrire poi un contributo ai giovani che vivono le prime esperienze di coppia, alle coppie in procinto di sposarsi, alle coppie consolidate, alle famiglie che vivono il problema della vedovanza, agli uomini e donne divorziati (soli o inseriti in nuovi gruppi familiari), alle coppie che vivono l’esperienza della nascita di un figlio, alle coppie che vivono il peso della perdita di un bimbo nato o, magari, non nato. Come si vede, questo secondo livello ha uno spettro molto ampio e rischia, quindi, di far perdere efficacia a chi tentasse di approcciarlo senza una guida. Allo scopo di evitare tale rischio, dal 1993, è stato pubblicato un Direttorio di Pastorale Familiare che Don Comini dona gentilmente al Parroco, Don Mario Stoppani, affinché lo possa utilizzare nella Commissione parrocchiale per la pastorale familiare.


Vita in parrocchia

L’incontro di oggi verte essenzialmente su questo secondo livello, ossia sugli interventi specifici che si possono mettere in atto affinché Gesù Cristo abiti nelle famiglie di Castrezzato. La casa è il luogo prescelto da Dio per la rivelazione nel Nuovo Testamento. Dio ha rinunciato a tutto pur di incarnarsi, tranne che alla famiglia. Dio parla sempre tramite la coppia: quando crea l’uomo lo chiama Adam (il maschile di adama, polvere) e quando crea la donna la chiama Ishel (il femminile di uomo, Ish). La pastorale familiare oggi non può e non deve essere una pastorale di mantenimento, ma - al contrario - deve essere una pastorale di punta. Occorre cioè interrogarsi se stiamo annunciando il Vangelo della famiglia oppure no. E’ necessario mettersi in discussione. La prospettiva cristiana è di educare all’amore della persona nel suo complesso, facendo comprendere che la sessualità non ne è che una conseguenza. Occorre trasmettere la bellezza della proposta cristiana. Per fare ciò, è necessario - prima di tutto - che coloro che propongono l’annuncio si convertano al messaggio evangelico. Nel vasto panorama della Pastorale familiare che abbiamo chiamato di secondo livello, la Diocesi di Brescia ha fatto le seguenti scelte preferenziali: a) Mondo dei fidanzati, che parte dalla preparazione remota all’amore sponsale (remota perché si parte dal catechismo dei fanciulli), passando alla preparazione al matrimonio dei ragazzi che cominciano a vivere le prime relazioni, arrivando infine alla preparazione immediata di coloro che hanno deciso di sposarsi cristianamente. Lo scopo di tale preparazione è quella di riattivare o di ravvivare il legame con Cristo. b) Mondo delle giovani coppie di

sposi: per cercare di prevenire il problema delle separazioni e dei divorzi, anziché tentare di curarlo (occorre sapere che le statistiche italiane mostrano che la separazione avviene mediamente al 13° anno e che il divorzio avviene mediamente al 17° anno: spesso in questi casi non ci si risposa, ma si convive). c) Mondo delle coppie difficili (convivenze, vedovanza, matrimoni che stanno in piedi con molta difficoltà) o irregolari (rispetto al matrimonio sacramentale); nell’ambito del problema della vedovanza, Don Comini fa presente che oggi si preferisce parlare di “famiglie vedove” e a chi fosse interessato ad approfondire il tema propone la lettura del testo “Famiglie ancora” (Ed. Paoline). d) Mondo dei minori (bambini e ragazzi): ci siamo abituati, purtroppo, anche agli aborti sia cimici che chimici; in quest’ambito della Pastorale familiare si ridà dignità ai bambini mai nati (anche a quelli persi per cause naturali) oltre che mostrare il dono immenso dell’affido e dell’adozione; Don Comini ricorda che i bambini in attesa di affido nella diocesi di Brescia sono circa 670: di questi solo la metà ha potuto trovare accoglienza in una famiglia affidataria. Precisati gli ambiti di azione, occorre chiedersi che cosa si possa fare in concreto. Don Comini propone tre tracce: 1) Meditare su come possa essere ribaltata la nostra vita affinché porti alla santità l’intera comunità; 2) Comprendere al meglio i quattro ambiti preferenziali scelti dalla nostra Diocesi: a questo scopo la commissione per la famiglia potrebbe dedicare un anno del suo mandato allo

studio approfondito del Direttorio di Pastorale Familiare con un occhio al Magistero e con un occhio alla Comunità di Castrezzato, riportando poi al CPP la comprensione acquisita per poi concordare le azioni concrete. 3) Fare una scelta: scegliere uno degli ambiti di Pastorale familiare su cui indirizzare gli sforzi; a questo riguardo, Don Comini ricorda che la Parrocchia non è sola, ma che vi sono varie istituzioni religiose (Istituto “Pro Familia”, “Casa Gabriella” — Ancelle della Carità, per citarne solo alcune) e istituzioni di ispirazione cristiana (INER, e molti altri) che possono offrire alla parrocchia supporto per l’attività che si intende portare avanti. La riunione si è conclusa alle ore 22,55. Il segretario Bissolotti Tiziano

Amico, è troppo bella la vita, è tua, carica di promesse e di attese, ricca di amore, di gioia, di speranza, è la tua unica possibilità, aperta all’oggi e al domani, a te e agli altri, con immensi spazi di novità. Inventa la tua vita costruisci ciò che vuoi essere. Amico, è dura, buia e difficile la strada della tua vita. Vorresti fermarti, non lottare più, lasciare ad altri il timone della tua barca, entrare nelle correnti più forti, nasconderti nella massa anonima e grigia, vorresti giustificare la tua resa con scuse assurde con teorie contrabbandate come furbizia e destino.

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Obbiettivo sulle commissioni operative o gruppi specifici di lavoro pastorale

La Pastorale Sociale

È

da poco meno di un anno che le commissioni del C.C.P., costituite dai nuovi membri eletti nel 2010 dalla comunità parrocchiale, sono attive nella nostra realtà, cercando di attualizzare il senso pieno del loro esistere quali strumenti privilegiati per dialogare con la società umana, ovviamente, nello spirito del Vangelo. Vado ad incontrare alcuni esponenti laici di quella che ritengo essere la commissione con il compito più complesso ed impellente da affrontare considerando il contesto socio-storico in cui si trova ad agire: il gruppo di lavoro che cura il settore della pastorale sociale (famiglia, scuola, educazione, lavoro e vita politica, dialogo e rapporti con la società civile e le Associazioni di volontariato). Sono Adriano, Sergio e Monica, tre persone della nostra parrocchia, di diversa età e formazione, tutti desiderosi di essere utili alla vita parrocchiale e testimoni dei valori evangelici. Ne mancano altri che sono stati impossibilitati ad intervenire, ma che comunque condividono con i presenti il lavoro intrapreso. D- Con quale spirito avete accolto l’incarico di avviare un percorso tanto complicato ed impegnativo nell’ambito della nostra vita sociale e parrocchiale? R- In prima istanza è stata la volontà di promuovere e supportare iniziative a vantaggio della comunità. Quindi via via ci siamo resi conto che, per essere utili agli altri,

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è indispensabile una formazione e una maturazione personale di ciascuno di noi; come dire, la volontà e la generosità possono essere un primo passo, la molla che ci fa muovere, ma il tutto deve essere ispirato da una adeguata preparazione, da una formazione specifica circa i vari settori di interesse e di azione. Ci sentiamo cristianamente motivati e volenterosi nel collaborare al nostro interno e con quanti vorranno unirsi a noi. La formazione potrebbe sviluppare e promuovere in noi maggior sensibilità per una corretta lettura della realtà e un’adeguata capacità di coinvolgimento per dialogare con il sociale. D- Quali aspetti critici della nostra realtà intendete affrontare? R- La nostra commissione ha di fronte tante e tali problematiche che a volte ci lasciano disarmati. Pensiamo alla situazione preoccupante delle famiglie in genere, alla fragilità dell’unione matrimoniale, alla perdita di significato che serpeggia nelle relazioni umane, alla paternità e maternità responsabili. Se si vuole rimanere nell’ambito della famiglia non bisogna dimenticare le notevoli difficoltà educative in cui versano i genitori oggi nel rapporto con i figli, soprattutto nei momenti cruciali della loro crescita. Non manca in noi l’interesse anche per le persone in situazioni difficili o irregolari, per quelle che vivono da sole, per la vedovanza... l’incontro formativo con don Comini ci ha permesso

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di verificare il carico di lavoro che potrebbe caratterizzare la nostra azione. Ci orienteremo, però, verso quegli aspetti che maggiormente affliggono la nostra comunità. Ad esempio ci sta a cuore la condizione di disagio vissuta da molti nostri adolescenti e giovani; organizzeremo una proposta per loro e per i genitori che faticano a dialogare, inermi di fronte a tali problematiche. D- E sul versante del sociale: il problema del lavoro? il rapporto con gli organismi amministrativi? la povertà dilagante? Cosa intendete fare? R- Siamo consapevoli che la partecipazione dei credenti alla vita socio-politica del territorio rivesta una fondamentale importanza: è ora di uscire dai vuoti discorsi, dobbiamo dare corpo al nostro credo religioso esprimendo azioni degne del Vangelo. Tuttavia siamo convinti anche che l’impegno dei credenti in campo politico debba essere salvaguardato da contaminazioni con il “partitico”, che agisce in contesti spesso scarsamente coerenti con i nostri principi. In Oratorio, insieme ad altre commissioni, abbiamo recentemente animato un incontro centrato sul problema dell’immigrazione avvalendoci del contributo di persone del nostro paese coinvolte direttamente e a vario titolo. Speriamo che possa aver smosso qualche resistenza all’accoglienza di chi è meno fortunato di noi!


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D- Come avete deciso di agire? R- Anzitutto abbiamo ritenuto opportuno stabilire una sorta di aggregazione e di collaborazione tra le due anime della commissione, il versante dei giovani e quello degli adulti. Ci siamo ritrovati frequentemente mettendo in comune le nostre esperienze e le nostre perplessità. Questo giova alla nostra crescita ed alla presa di coscienza della realtà. L’intervento sugli adolescenti o sui giovani può offrire occasioni di coinvolgimento degli adulti investiti nel ruolo genitoriale. D- Quali sono le prime tappe della vostra pastorale? R- Riteniamo che prima di agire si debba fare una seria e corretta lettura della realtà in modo da sondare il campo e far emergere i reali bisogni degli individui e della collettività. A tal scopo abbiamo elaborato un questionario che andremo a somministrare ad un campione significativo di adolescenti e di giovani; dai risultati potremo evincere quali siano le necessità più impellenti; in seguito organizzeremo percorsi formativi differenziati per giovani e per adulti. D- Quali sono le difficoltà maggiori e più preoccupanti a cui dovete far fronte? R- Va sottolineato che noi stiamo agendo quasi ex-novo, cioè senza poterci ispirare a dei modelli già attuati, ad esperienze pregresse che potrebbero aiutarci nell’impostare la nostra azione; inoltre riteniamo che, per la rapida evoluzione dei tempi, si debbano adottare delle strategie nuove ed innovative per poter affrontare, ad esempio, la disgregazione del nucleo famigliare o altre gravi problematicità della società attuale. Siamo in poche persone, troppo poche per le tematiche spinose in campo e, seppur animate da tanta buona vo-

lontà, necessitiamo del contributo di altri che abbiano a cuore sia la propria crescita quanto quella della nostra società. Vogliamo lanciare un appello a quanti, sensibili a tali questioni, vogliano contribuire al bene-essere della nostra comunità: fatevi conoscere, unitevi a noi in questa avventura che riteniamo essere splendida e carica di doni spirituali. D- Quali le vostre armi, i vostri punti di forza? R- Siamo armati con la forza della volontà di accogliere la sfida dei tempi, contrastandola con la nostra testimonianza nelle piccole e quotidiane vicende della vita, con la forza dell’aggregazione che unisce cuore e menti in un unico obiettivo, con la forza della consapevolezza senza drammatizzare; attingeremo al Vangelo e alla preghiera la lucidità dell’agire scorporandolo da tensioni ed emozioni fuorvianti.

All’improvviso risuona nella mia mente la voce inconfondibile di papa Giovanni Paolo II, durante quel discorso memorabile in cui rivolgeva paternamente l’invito a non dubitare dell’aiuto di Dio: “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo! Anzi, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura!” Solo Lui può guidare la nostra mente e le nostre azioni verso traguardi ambiziosi che all’apparenza potrebbero apparirci irraggiungibili. I membri della commissione con i sacerdoti aspettano il vostro prezioso contributo!

Verifica dei Centri di Ascolto e prospettive anno 2012 (Avvento/ Quaresima 2011-2012) 1) L’esperienza di questa iniziativa si è rivelata ancora molto positiva ed è cresciuto il numero dei partecipanti. 2) Si è convenuto su un leggero incremento del numero degli incontri così distribuito: una serata di avvio comunitario in chiesa nella settimana antecedente l’Avvento, (che nel 2011 corrisponde a martedì 15 novembre); effettuare i quattro incontri successivi in data 22 e 29 novembre, 6 e 13 dicembre. Indi sospendere. 3) Riprendere martedì 7 febbraio, 14 febbraio 28 febbraio, 6 marzo, 13 marzo. Indi sospendere in prossimità della Settimana Santa. 4) Riprendere il martedì 17 aprile (settimana successiva all’Ottava di Pasqua) e fare la celebrazione conclusiva il martedì 24 aprile. Gli incontri risultano nove, escluse le celebrazioni di inizio e di conclusione che si tengono in chiesa.

Silvana Brianza Il Parroco Sac. Mario Stoppani

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Vita in parrocchia

Ricordando con affetto riconoscente le carissime Suore delle Poverelle E’ legittimo e doveroso, un ricordo affettuoso Delle carissime Suore delle Poverelle. Quel nome, dal fondatore voluto Per coerente rigorosità e spirito di povertà. In Chiesa, nel secondo banco a loro riservato (lato destro) Non sedute, ma inginocchiate, con flebile voce, ma ben percettibile, il santo rosario, da loro recitato. Il loro spirito, il loro stile di vita, il loro carisma; serene e coerenti lo vivevano; per l’ascendente che in virtù di loro doti avevano l’animo delle giovani a sè attiravano. Unico il loro abito nero, lungo a coprir caviglie coperte le spalle dal triangolare scialle nero. Di buon mattino ( ore 5,30 ) dal Tito Speri uscivano, a due, a due, con passo dimesso si avviavano. Silenziose e compunte, chino lo sguardo, assorte nel loro sublime pensiero; loro meta era la Parrocchiale, a pregare e lo spirito a ritemprare. In settimana alla scuola materna, ai fanciulli, il buon seme distribuivano; alla domenica, catechiste preparate, al gentil sesso, in oratorio, a piene mani lo donavano. Come dimenticare delle suore l’affettuosa Loro cordialità, l’intima forza di loro virtù. In oratorio femminile, allora in auge! Pur in ambiente stretto, non parrocchiale. Don Bonfadini per preveggente capacità pensò che, l’edificio oratorio femminile fosse della parrocchia di proprietà. Allora, tramite el Sior Ceco Magoni

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acquistò dai Richiedei di Gussago Tutta l’area ( ora piazza dell’Amicizia ), per costruire l’oratorio femminile; dando così alle suore duplice impegno servizievole. Un piano concorde, un rapporto amichevole Tra le due strutture; scuola materna e Oratorio Femminile. Speranzose erano le Suore che, vocazioni fiorissero, a dare gradevole profumo e arricchire lor schiera delle Poverelle. Ma quel piano giammai in porto arrivò. Don Bonfadini il 1975, sue dimissioni firmò. Le difficoltà sopravvenute impedirono la realizzazione di quel progetto. Molto sagge furono le disposizioni diocesane di unire le due sezioni Oratoriane. La Casa Pio XI si prestava per sua capienza a dare vita a nuove iniziative per ogni evenienza. Ora è giusto e doveroso un sentito grazie, a tutte quelle giovani che erano in Oratorio non spettatrici, ma con le Suore strette collaboratrici. Sono passati tanti anni, ma questi sentimenti e valori li sentiamo ancora vivi come allora: che il Signore ce li conservi. Queste care sorelle sono passate attraverso il fuoco delle difficoltà, sempre animate da grande speranza e generositàsiano benedette le Suore delle Poverelle.


Vita in parrocchia

Con la Corale “Don Arturo Moladori”

Suore di Castrezzato Dal libro curato da Mons. Vittorio Formenti “Oratorio ieri “ Rimembranze di volti iniziative di pastorale giovanile e vocazionale a Castrezzato Dal 1917 al 1958 nell’arco di questo tempo sono undici le giovani di Castrezzato che hanno varcato la soglia dell’ Istituto Palazzolo per diventare Suore delle Poverelle Ricaviamo i seguenti dati circa le religiose (suore) Castrezzatesi Tra le Poverelle :

In altre congregazioni :

1. Giulia Butti Suor Chiara

1. Lucia Butti Suor Giuseppina (Suore di Maria Bambina)

2. Francesca Bettoni Suor Maria Valeria 3. Domenica Bonfiglio Suor Maria Gaudiosa 4. Maria Angela Turra Suor Paterna

2. Giulia Magoni Suor Paolina (Suore Ancelle della Carità ) 3. Agnese Baresi Suor Albertina (Suore Ancelle della Carità )

5. Sabina Baresi Suor Severilde 6. Margherita Ballini Suor Rosita 7. Angela Gallerini Suor Vincenzia 8. Angelina Zani Suor Josephina 9. Giulia Noli Suor Nunzialice

4. Maria Tabaglio Suor Maria (Suore della Provvidenza ) 5. Celeste Galli Suor Maria Celeste (Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria) 6. Vittoria Ruffini Suor Micaela (Figlie di San Paolo )

10. Teresina Sala Suor Annalice 11. Angela Zani Suor Gianimelda

7. Mary Mazzotti Suor Mary (Piccola Missioneper i Sordomuti ) 8. Teresina Scaglia Suor Rosalia (Famiglia Religiosa di S. Maria Crocifissa di Rosa ) 9. Teresa Quaresmini Suor Maura (Suore Orsoline di S. Carlo ) 10. Berta Campana Suor Maria Redenta (Figlie di San Paolo)

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Vita in parrocchia

Per portare la buona notizia di Gesù

In vista delle sante missioni parrocchiali

D

a almeno tre anni si è accennato nel Consiglio pastorale all’opportunità di promuovere negli anni futuri una Missione Parrocchiale, per risvegliare nei credenti il senso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa e nel contempo portare la buona notizia di Gesù anche ai lontani e alle nuove generazioni e culture dei nostri difficili tempi. Preparare la missione non è cosa da poco. Occorre un coinvolgimento note-

vole di persone e di collaboratori. Alle modalità collaudate di fare le Missioni ne sono nate di nuove, nate sul campo ad opera di Comunità missionarie agili ed aperte alle innovazioni richieste dai tempi moderni. Ecco la necessità di calare il desiderio nella realtà. Per quanto è dato di sapere, le ultime missioni da noi sono state effettute negli anni Ottanta, allorchè era parroco don Costa. Per organizzarle abbiamo pensa-

Incontro verifica per i referenti delle commissioni del C.P.P. (Lunedì 23 maggio 2011) 1

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Le Commissioni operative del cpp sono il banco di prova per verificare l’effettiva efficienza pastorale del cpp. Le commissioni non sono abbandonate a se stesse, ma godono dell’interessamento fattivo dei presbiteri. Esse sono l’espressione concreta dell’azione pastorale del cpp. I referenti, scelti all’interno delle commissioni hanno il compito di contattare i membri delle singole commissioni, di coordinare gli incontri, di convogliare le volontà dei membri verso delle scelte pastorali idonee, con l’approvazione del parroco. Non ci nascondiamo che stiamo passando un momento di crisi, crisi socio-politica ed anche ecclesiale. C’è anche una crisi di partecipazione alle iniziative della parrocchia, talvolta. Proviamo innanzi tutto a verificare il numero degli aderenti delle varie commissioni e che cosa si può fare per incrementarle Inoltre chiediamoci a che punto di realizzazione sono le iniziative che sono state scelte o quelle sulle quali si sta pensando. Per ultimo diamoci delle scadenze per questi prossimi mesi. (Programma Festa dei Patroni )

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to di rivolgerci ad una Comunità missionaria nuova e pur già ricca sul campo dell’esperienza missionaria: è la Comunità Missionaria di Villaregia, che gestisce un centro missionario propulsore anche nel bresciano (a Lonato). Questa Comunità ha avuto dal Vescovo diocesano il mandato di animare missionariamente la nostra Zona Pastorale di S. Filastrio. Abbiamo chiesto a questa comunità (che è formata non solo da Sacerdoti, ma anche da consacrati e da laici sposati) di venire ad illustrarci i contenuti e il metodo di questo nuovo modo di fare la missione. A questo scopo tutti i nostri collaboratori pastorali (CPP- CPAE-Catechisti - Ministri Straordinari della S. Comunione - Lettori - Membri delle Commissioni del CPP - Gruppo di Preghiera e Compagnia di S. Maria degli Angeli) ed anche ai parrocchiani sensibili a questa iniziativa parrocchiale che ci vedrà impegnati non per pochi giorni o settimane, ma per circa un triennio. Il criterio fondamentale adottato sarà quello di un coinvolgimento effettivo dei parrocchiani in questa iniziativa. L’incontro è stato tenuto recentemente, esattamente giovedì 23 giugno, in oratorio. Daremo più avanti indicazioni più esatte sul cammino da percorrere. Intanto preghiamo perché lo Spirito Santo ci accompagni con i doni del Consiglio e della Sapienza.


Spiritualità

Storia di un pellegrinaggio

Il cammino francese che porta a Santiago di Compostela

È

il primo sabato del mese di Giugno ed è scoppiato un temporale. Scrosci di pioggia accompagnano il profluvio di parole che animano il racconto della mia amica Carla. I ricordi si accavallano: la pace dei chiostri degli antichi monasteri, la compieta, il profumo della macchia mediterranea, il tempo che scorre lento secondo antichi ritmi dettati dalla luce….. Ogni frase esprime l’intensità dell’esperienza spirituale, che ha riempito di gioia pura ogni giorno del cammino per Santiago. E’ tale la vivezza del racconto che vorresti partire subito, perché comprendi che non è solo un’avventura, è un percorso interiore, alla scoperta della propria anima, un percorso che cambia la visione del mondo e delle cose. Per questo ho pensato di farvi partecipi dell’esperienza dei due coraggiosi pellegrini, “Colpiti sul cammino francese di Santiago” Naturalmente è stato solo l’inizio di un percorso che li ha portati lontano, ma ascoltiamo le parole di Sergio. La rete dello Spirito Da anni chi ci è vicino è a conoscenza di quanto amore e dedizione Carla ed io mettiamo nel vivere l’esperienza del “pellegrinaggio”, compiuto ovviamente a piedi. La parola “cammino” nel nostro vocabolario era una parola come tante altre, ma dopo che nel 2000

ci siamo lanciati nell’avventura di andare a Santiago de Compostela, la parola ha assunto un significato speciale.

Sentirsi dire “Buon Cammino” non è la stessa cosa del sentirsi dire “buona escursione” o “buona passeggiata” o “ buon trekking”, perché in queste due parole “Buon” “Cammino” sono condensate emozioni, sentimenti ed incontri veramente speciali che solo nel pellegrinaggio si possono sperimentare. Nell’anno 2000 sono andato in pensione. Fino ad allora, il mio tempo libero scorreva tra un’escursione in montagna ed una in bicicletta. Un giorno di quell’estate, mentre eravamo seduti a tavola, Carla mi dice:” Perché non andiamo a Santiago?” Superato l’iniziale smarrimento, cominciai a valutare seriamente questa possibilità. Abbiamo, quindi, organizzato un incontro con un padre scalabriniano di nome Mario Toffari che era stato più volte a Compostela. Ai suggerimenti e consigli ricevuti abbiamo affiancato una nostra personale ricerca e documentazione. Carichi di curiosità e con una buona dose di incoscienza ci siamo trovati sul treno-notte che ci avrebbe portati, passando per Ventimiglia, alla stazione francese di Bayonne, per proseguire con un trenino locale, che ci avrebbe portati al paese di Saint Jean Pied de Port. Diversamente dalle altre volte ci trovavamo a restare lontani da

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Spiritualità

casa per un mese, sapendo di poter contare solo su ciò di cui il nostro zaino era carico. La casa era sulle spalle e già ricevevamo il primo insegnamento: “l’importanza dell’essenzialità”. Le tappe erano scandite dalla guida che a casa avevamo studiato nei minimi particolari. Ricordiamo con tanta tenerezza ed emozione il momento in cui abbiamo mosso i primi passi sulla strada che ci avrebbe portato al confine Francia- Spagna, laddove a lato della stessa campeggia la scritta ”Inizio del cammino francese di Santiago” Camminavamo sul sentiero con estrema riverenza e rispetto, ben consci che quella terra era stata calpestata per secoli da schiere di pellegrini desiderosi di pregare sulla tomba di San Giacomo. Nel verde degradante del colle di Ibaneta si stagliava davanti a noi la Collegiata di Roncisvalle. Eravamo solo alla prima giornata e già le emozioni si stavano accavallando prepotentemente nei nostri cuori. Alla sera ci aspettava l’investitura ufficiale di pellegrino; ciò avvenne durante la messa celebrata in un’atmosfera che ci ha portato lontano nei tempi. Siamo stati chiamati con nome e cognome all’altare per ricevere la benedizione e la consegna ideale del bordone e della bisaccia, strumenti indispensabili e caratterizzanti questa esperienza speciale. Questi eventi aumentarono in noi energia e speranza di farcela. Erano scomparsi i timori iniziali e così rinfrancati abbiamo camminato per tutta la Navarra, di cui Pamplona è la città più rappresentativa. Quando arrivavamo ai “refujos”, così sono chiamati i luoghi dove i pellegrini vengono calorosamente accolti, avevamo modo di scambiare le nostre impressioni e sensazioni con persone delle più

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disparate nazionalità. Erano Spagnoli, Francesi, Austriaci, Brasiliani, Americani, e ci chiedevamo cosa fosse quel qualcosa che riuniva ed affratellava, al punto che riuscivamo a comunicare ed a capirci profondamente pur non conoscendo le varie lingue. La risposta era una sola: stavamo condividendo l’esperienza del “Cammino di Santiago” che con la sua millenaria storia possiede un linguaggio universale. Man mano che si procedeva, le due categorie filosofiche corrispondenti allo “spazio” ed al “tempo” venivano colte nella loro iniziale dimensione. Infatti per spostarci di qualche chilometro ci voleva più di un’ora ed alla fine di un’intera giornata avevamo percorso solamente 35 km. Un altro segnale forte del cammino era proprio il recupero dello spazio e del tempo nella misura che è stata propria dell’uomo per millenni e che è stata alterata nei

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tempi moderni con l’avvento dei grandi mezzi di locomozione. Lo zaino sulle spalle dopo una quindicina di giorni era diventato un tutt’uno con il nostro corpo e la fatica veniva ampiamente ripagata dalle bellezze sia artistiche che naturali che via via incontravamo. Il culmine della bellezza l’abbiamo raggiunta durante la visita alle maestose cattedrali gotiche di Leon e Burgos, le cui vetrate con i loro splendidi colori e gli straordinari episodi religiosi rappresentati ci hanno lasciato decisamente incantati. Alla sera prima di rilassarci era d’obbligo lavare i capi intimi, la maglietta ed i pantaloncini corti, sudati dopo una giornata di cammino. Il bucato non era certo un problema, data l’essenzialità del nostro abbigliamento e nell’eventualità che a fine giornata il vestiario non fosse asciugato, provvedevamo ad appenderlo con spille allo zaino, per completare l’asciugatura. Non è che ci vergognassimo di questi comportamenti, dal momento che ogni azione deve armonizzarsi al contesto in cui essa si manifesta: come pellegrini ci sentivamo autorizzati a comportarci in questo modo. Era, fra l’altro, affascinante sentirsi liberi da quei pregiudizi che troppo spesso condizionano la nostra vita e ci rendono vittime di una società caratterizzata dall’esteriorità. Nell’ultima settimana siamo entrati in Galizia dove i filari degli svettanti eucalipti ci hanno accompagnato con il loro caratteristico profumo fino al monte Gozo(monte della gioia) così chiamato perché i pellegrini che arrivavano lassù vedevano la cattedrale di Santiago ergersi sulla città, provando un’immensa gioia. Non ci sono parole capaci di descrivere le emozioni di questo straordinario momento, atteso da giorni ed ora alla nostra portata. Il sogno si stava avverando e non ci


Spiritualità

rimaneva che avvicinarci sempre più all’agognata meta. Attraversati gli ultimi vicoli della città ci siamo trovati nella piazza Obredoiro: la cattedrale era davanti a noi. Carla ed io ci siamo guardati negli occhi, lo stupore e la meraviglia si mescolavano alla commozione ed alla gioia; ci siamo stretti in un lunghissimo abbraccio per alcuni minuti. Gli occhi lucidi testimoniavano il nostro stato d’animo ed il silenzio più che le parole, sottolineava la grande felicità che ci univa. Poi, via via, fedeli alle abitudini secolari seguimmo i riti che sono entrati nella tradizione dei pellegrini. L’Arco della Gloria ci accoglieva all’ingresso della cattedrale, ma la nostra attenzione era rapita dalla statua raffigurante un sorridente San Giacomo con bordone e bisaccia. L’abbiamo fissato a lungo e gli abbiamo detto:”Hai visto che ce l’abbiamo fatta. Sapevamo che Tu ci aspettavi e con il tuo aiuto eccoci qui ad incontrarti”. Nonostante fosse un’esplosione di emozioni ce ne attendeva una che le sopravanzava tutte: l’abbraccio

fisico con il busto di San Giacomo posto sull’altare maggiore. Carla d io ci siamo messi in fila e passando dietro l’altare, salendo dei gradini siamo arrivati alle spalle del busto, allargandole braccia ci siamo lasciati andare ad un lungo e commovente abbraccio. Abbiamo sentito il santo come un fratello che ci aspettava e che abbiamo raggiunto dopo circa 900 km e 24 giorni di cammino. Un ufficio preposto al rilascio del documento, chiamato “Compostela” ufficializzava il raggiungimento della meta. L’ultimo atto di un’esperienza che non finirà mai di stupirci è stata la partecipazione alla messa del pellegrino, giornalmente celebrata al mezzodì. L’intera funzione è incentrata in modo tale che la figura del “Pellegrino” sia valorizzata e riconosciuta come un carisma dello Spirito Santo. Abbiamo poi avuto la fortuna di restare con il fiato sospeso quando il “butafumeiro” si è messo ad oscillare lungo la navata principale come un gigantesco pendolo. Questo incensiere dalle dimensioni enor-

mi, risalente al primo medioevo, con un marchingegno dotato di lunghi cordoni di canapa, veniva azionato in modo tale da aumentare via via il periodo di oscillazione, fino a raggiungere in altezza la volta della navata. Durante queste ampie e lunghe oscillazioni uscivano folate di fumo d’incenso che con il suo odore permeava l’intera cattedrale. Prima della benedizione l’assemblea, trascinata da totale partecipazione, innalzava a San Giacomo l’inno a lui dedicato. Ricordo in particolare il momento esaltante in cui alzando il braccio al cielo si proferiva a piena voce il versetto”Santiago, patron d’Espagna”; si avvertiva il forte trasporto che i fedeli provano nei confronti di questo Apostolo. Il giorno dopo ci aspettava il rientro. Giunti a casa abbiamo stentato a riprendere la quotidianità che, però, dopo questa esperienza assumeva una luce più serena e tranquilla, perché l’eco del Cammino” ci rimaneva nel cuore.

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Sergio Danieli

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Vita in parrocchia

Viaggio al monte reso sacro da Sant’Ambrogio

Pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese

È

stata una bellissima giornata, complice il bel tempo che ci ha accompagnati fino al ritorno. Siamo partiti in pullman da Castrezzato il 19 Maggio alle ore 7 e siamo rientrati alle ore 20. Destinazione: Il Sacro Monte di Varese. Don Mario, instancabile sacerdote, ci ha accompagnati verso questo luogo di preghiera introducendoci nel mistero della Santità con il Santo Rosario e la descrizione del luogo che andavamo a visitare. La fama del Santuario con le 14

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cappelle, ha superato i confini dell’Italia ricevendo da parte dell’Unesco il riconoscimento del Sacro Monte come patrimonio dell’umanità. Il santuario è situato alle spalle della città di Varese ad 800 metri sul livello del mare. Fin dai primi secoli del cristianesimo è stato meta di pellegrinaggi ed il vescovo Sant’Ambrogio nel 389 collocò una statua della Madonna venerata come madre del figlio di Dio, dando così inizio alla sacralità del monte. Da molti secoli folle di pellegrini

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giungono al Sacro Monte di Varese per pregare la “Madonna Nera” Anche noi di Castrezzato abbiamo affidato al cuore materno di Maria, madre di Dio, le nostre sofferenze e le nostre speranze. Ho notato un bel gruppo di giovani mamme, anche loro hanno innalzato suppliche affinchè la Madonna le aiuti a nutrire di fede, di bontà ed amore le nuove generazioni. Maria Angela Genocchio


Vita in parrocchia

Nella pagina a fianco il gruppo che ha partecipato al pellegrinaggio; sopra una veduta panoramica del Sacro Monte di Varese; sotto una della 14 cappelle

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Calendario liturgico

Calendario liturgico pastorale Giugno Mese del S.Cuore e dei Santi Patroni Pietro e Paolo 22 Mercoledì. Inizio della celebrazione delle sante messe al cimitero (ore 20,30 giugno/agosto) 25 Sabato. Ore 21 In chiesa : Grande Concerto dei Patroni ( Corale A.Moladori e Orchestra) 26 Solennità del S.S. Corpo e Sangue di Cristo. Processione del Corpus Domini. Festa liturgica dei Patroni 2011 27 e 28 giugno Preparazione spirituale alle sante messe di orario (ore 8 e 20) 29 Solennità liturgica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Ore 8 S. Messa - Ore 10 S. Messa solenne con i ragazzi del Grest Ore 20 S. Messa solenne della Comunità, presieduta dal Vicario Zonale e concelebrata. Segue la breve processione in Piazza con lo stendardo dei Patroni. N.B. Per le altre iniziative civiche e culturali, si veda il programma a parte. 30 Memoria dei Primi Martiri della Chiesa romana.

Luglio Mese dedicato al Preziosissimo sangue di Gesù 1 Venerdì. Solennità liturgica del Sacro Cuore di Gesù. 2 Sabato. Festa del Cuore Immacolato di Maria. 3 Domenica XIV del Tempo Ordinario. 6 Memoria liturgica di S. Maria Goretti Vergine e Martire 8 Ore 21 Prove del rito del battesimo per genitori e padrini dei battesimi di domenica 10 luglio. 9 Nozze di Fogliata S. e Nicolini S. 10 Domenica XV del T.O. Ore 11: Battesimi comunitari 11 Festa di S. Benedetto, Patrono d’Europa. 15 Memoria di S.Bonaventura Vescovo francescano. 16 Sabato. Beata Vergine del Carmelo Ore 20,30 S. Rosario meditato ed omaggio

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alla Madonna del Carmelo (in chiesa) 17 Domenica XVI del Tempo Ordinario. 22 Memoria liturgica di S. Maria Maddalena 23 S. Brigida religiosa. Compatrona d’Europa. 24 Domenica XVII del Tempo Ordinario. 25 Festa di san Giacomo Apostolo. 26 Festa dei Santi Anna e Gioacchino genitori della Madonna 29 S. Marta. 30 S. Pier Crisologo Ore 16 Nozze Machina - Paccani. 31 Domenica XVIII del Tempo Ordinario. Domenica del Perdono di Assisi.

Agosto Mese dell’Assunta e di S.Rocco. Nel mese di agosto la s. Messa del mercoledì al Cimitero sarà celebrata alle ore 20. 2 Festa di S.Maria degli Angeli, Titolare dell’Altare privilegiato della nostra chiesa. Ore 20,30: S.Rosario meditato in onore di Santa Maria degli Angeli. 4 Memoria del S.Curato d’Ars (S.Maria Vianney) 5 Dedicazione della Basilica di S. Maria Maggiore (Madonna della Neve) 6 Sabato. Festa della Trasfigurazione del Signore. Anniversario del Transito del Servo di Dio Papa Paolo VI (6 agosto 1978) 7 Domenica XIX del Tempo Ordinario. 8 Lunedì. Inizia il Triduo di preparazione alle feste dell’Assunta e di S. Rocco. Ore 15 S. Messa al Cimitero fino a venerdì 12 agosto. 13 Sabato. Dalle ore 16 alle 18: Confessioni per la festa dell’Assunta e S. Rocco. 14 Domenica XX del Tempo Ordinario. Ore 20,30 lucernario vigliliare in onore dell’Assunta (in chiesa) 15 Solennità dell’assunzione della Beata Vergine Maria. S. Messe ferstive. Ore 18,30 Processione dal Cimitero alla chiesa parrocchiale con la statua di S. Rocco. 16 Festa di San Rocco. S. Messe ore 8,00-9,30-


Anagrafe Lettera parrocchiale del Parroco

18,30. Ore 18,30 S Messa solenne in chiesa e processione di ritorno al Cimitero. Benedizione con la Reliquia di S.Rocco. 20 Memoria di S. Bernardo Abate. 21 Domenica XXI del Tempo Ordinario. Memoria di S. Pio X papa. 22 Festa della Beata Vergine Maria Regina Ore 7,15 S. Rosario meditato e canto delle Litanie. 23 S. Rosa da Lima Vergine. 24 Festa di S. Bartolomeo Apostolo.

27 Memoria di S. Monica, madre di S. Agostino. 28 Festa di S.Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa. 29 Martirio di S.Giovanni Battista il Precursore. 30 Memoria del Beato card. Idelfonso Schuster 31 MercoledĂŹ. Ore 20 Ultima messa estiva al Cimitero.

Anagrafe parrocchiale Rinati in Cristo (battesimi)

Nella luce di Cristo (defunti)

Zotti Mattia di Cristian e Toninelli Antonella Woode Denzel Rhyane di Duku Frederick e Owusu Esther Grillo Martina di Fabrizio e Colucci Valentina Pierani Samantha di Giovanni e Garofalo Rosanna Cavalli Linda di Mauro e Rossi Rossana Pezzotti Andrea di Renzo e Pisciali Loredana Simoni Giulia di Alessio e Vezzoli Michela Rosa Valotti Gabriele di Marco e Festa Simona

Cinquini Rinaldo di anni 65 Martini Giuseppina di anni 90 Pelosi Giuseppina di anni 87 Zammarchi Giovanni di anni 80 Begni Felice di anni 75 Corna Italo di anni 71 Dotti Mariano di anni 54 Campana Bruno di anni 85 Assoni Rosa di anni 88 Parma Rosa di anni 80 Piantoni Giovanbattista di anni 66 Faustini Giovanni di anni 80 Machina Santina di anni 81 Zotti Giovanni Franco di anni 72 Gualtieri Angelo di anni 80

Matrimoni Guerrini Mauro con Abiendi Mara D’ Angelo Maurizio con Uberti Valeria

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