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MUSICA E SOCIETÀ Emozioni collettive pag
EMOZIONI COLLETTIVE
Il palcoscenico degli spettatori secondo il sociologo Massimo Cerulo
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eCity (2020) di Marco Borciani Il progetto eCity nasce con la pandemia e il primo isolamento forzato. Dall’impossibilità di viaggiare e visitare altre città, Borciani avverte la necessità di assemblare un luogo virtuale utilizzando componenti elettronici e di immaginare di visitarlo e ritrarlo. Un’evasione verso un altro mondo che si rivela però altrettanto cupo e arido.
Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti… Shakespeare esprime al meglio il concetto della vita come palcoscenico, che è il cuore di un pensiero enunciato da tanti poeti e scrittori del passato (tra gli altri anche Pirandello). Nella nostra epoca naturalmente è stato assimilato e allargato ad altri contesti divenuti oggetto di studio anche da parte di psicologi e sociologi della “teoria delle emozioni”. A uno di loro, Massimo Cerulo, professore di sociologia all’Università di Perugia e alla Sorbonne di Parigi, abbiamo proposto una riflessione in occasione della ripartenza a pieno regime dei teatri, dopo due anni di chiusure forzate ed
In sala anche noi siamo attori. In occasione della ripartenza a pieno regime dei teatri, Cerulo illustra con un ritmo incalzante il nostro copione: dall’entrata in scena, all’ingresso in foyer, fino al ritorno a casa a concerto terminato.
incertezze, e la voglia di assistere agli spettacoli dal vivo. La richiesta gli viene rivolta nella consapevolezza che ciò avviene non solo perché spinti dal desiderio di assistere ad un evento musicale unico. Anche per Massimo Cerulo, c’è molto altro. «Diversamente come classificheremmo tutte le emozioni che scatena in noi la partecipazione all’evento? Sì, perché ai concerti oltre al palcoscenico dei musicisti, occorre considerare il palcoscenico degli spettatori, in quanto chi frequenta è chiamato ad un impegno di socialità che sottende regole legate al comportamento, in riferimento al luogo e al rapporto con gli altri. Altrimenti? Noi sociologi diremmo: “adesso cade il teatro” per dire: “cade la società”: subisce uno scossone il processo che determina lo svolgersi dell’evento in pace e serenità». (volendo si potrebbe citare “lo strappo nel cielo di carta” da Il fu Mattia Pascal). Varcando la soglia di un teatro, o di una sala da concerto, per Cerulo diventiamo attori; quindi, recitiamo una parte sul nostro palcoscenico e il fatto che il genere (concerto o opera) rientri in un contesto culturale elevato rende maggiore lo sforzo cognitivo per gestire le emozioni secondo quel copione. Entrando nel merito della nostra performance sociale ed emotiva, Cerulo inizia ad enunciare quelle regole. «Pensiamo ad una società di corte. Al concerto si deve andare con l’abito congruo: no di certo in costume da bagno e non perché si scoprono alcune parti del corpo, ma perché si è fuori contesto sociale; e occorre conoscere i momenti del concerto: come la scansione dei tempi, il silenzio assoluto durante l’esecuzione, il poter parlare durante le pause… ma sempre attenendosi alle regole della conversazione». Il tutto, secondo Cerulo, comporta un lavoro emotivo che non concerne soltanto la fruizione dell’evento (lavoro emotivo in situ) ma comprende il lavoro emotivo cognitivo o preparatorio e il lavoro emotivo retrospettivo. «La “preparazione” che riguarda i momenti di avvicinamento all’evento può avvenire anche ore prima: vivo l’attesa dell’evento anche al lavoro dove, per distrarmi, penso che tra poche ore godrò di un momento di svago, avrò il piacere di sentire quella musica con determinati interpreti, incontrerò quelle persone, indosserò un vestito particolare. L’appassionato, inoltre, ascolta dei pezzi, o s’informa leggendo testi inerenti al programma della serata per focalizzarsi sull’emozione ambientale. Invece, coloro che sono obbligati a partecipare, come le personalità politiche, dovranno fare più attenzione a mantenere l’abito istituzionale intatto, per non farsi trovare impreparati, perché, se non lo mettesse in atto, potrebbe essere etichettato come “deviante emozionale”, colui che non sa come comportarsi… e considerato o cafone, o ignorante, snob, supponente… Queste sono “coltellate” da parte della società che inficiano la loro identità sociale». Secondo il sociologo Cerulo la nostra entrata in scena, nella sala da concerto o in teatro inizia dal foyer sotto gli occhi degli altri che osservano e giudicano. «Essendo àmbiti fortemente etichettati, si deve attuare un lavoro profondo di gestione delle emozioni anche in termini corporali ed espressivi. Esempio: se incontro una persona che detesto non posso urlare contro di lei, ma devo controllarmi in modo ferreo, cominciando a “gestire la respirazione”. In quel caso potremmo sostenerci con un “pensiero felice”: quella valigia mentale cui attingiamo per non affondare emotivamente (ricordare una bella poesia o la deliziosa nipotina che ci vuole bene…). Il lavoro riguarda le espressioni del corpo, a partire dal sorriso di circostanza, o il blocco delle mani per non esondare, il fuggire dagli abbracci impetuosi e dai baci (bisogna accennarli sforando appena la guancia). Una volta seduti - lavoro emotivo in situ - si salutano i vicini di posto in modo sobrio, senza pacche sulle spalle o “dammi il 5”, o soffermarsi a fissare a lungo una persona. A concerto finito, dopo i saluti, riprendiamo l’auto pensando a quanto è avvenuto - lavoro emotivo retrospettivo -: una sorta di autoanalisi che compiamo su di noi chiedendoci: mi sono comportato bene? Come è stata la mia performance? Ho utilizzato le parole giuste? Il lavoro cognitivo serve per correggersi e commentare eventuali comportamenti di altre persone, sempre per il bisogno di riconoscimento da parte della società e la conferma con un “ti accetto!”» La consapevolezza, dunque, di essere sotto i riflettori sembra anche legata a una sfida che finiamo per accettare con piacere. Nel recente passato, quando per il lockdown gli spettacoli e i concerti erano solo “da remoto”, le situazioni- sfida legate al “nostro” palcoscenico - non potendole affrontare - ci mancavano! Ribadiamo per questo, la nostra preferenza per i concerti dal vivo e, nonostante i limiti dettati dall’etichetta, sentiamo ora più che mai la necessità di esserci per godere dell’incontro con agli altri, condividere le esperienze e, perché no, rientrare nel gioco di quelle emozioni che, nonostante tutto, ci fanno sentire vivi.
di Giulia Bassi