9 minute read

APPROFONDIMENTI Dall’Oratorio al Musical pag

DALL’ORATORIO AL MUSICAL

Georg Friedrich Händel compone oratori nell’arco di quarant’anni, dal Trionfo del tempo e del disinganno (1707) sino a Jephta (1752), in italiano, in tedesco e soprattutto in inglese. È infatti a Londra che Händel riesce a fare dell’oratorio – eseguito senza rappresentazione scenica – un genere di forte impatto drammatico e di potente comunicativa al punto da rivaleggiare con l’opera, grazie alla narrazione di vicende nelle quali il pubblico inglese contemporaneo può facilmente immedesimarsi, alla caratterizzazione musicale di personaggi a tutto tondo e all’impiego spettacolare del coro. Così gli oratori di Händel, dei quali il Messiah (1742) è certo il più famoso, si possono considerare teatro virtuale in musica dove l’assenza della dimensione scenica

Advertisement

Paolo Simonazzi, Mantua, Cuba, 2015

favorisce la sperimentazione drammaturgica. Sperimentazione che, sempre a Londra, nel 1728 induce John Gay e Johann Cristoph Pepusch a comporre The beggar’s opera, una commedia (ballad opera) di satira sociale e culturale in cui la recitazione è inframmezzata da pezzi musicali e che, rielaborata due secoli dopo da Bertolt Brecht e Kurt Weill nella Dreigroschenoper (1928) costituisce un antecedente della moderna commedia musicale. Quest’ultima, nel Novecento, conosce la sua stagione più entusiasmante nel musical classico di Broadway con autori come Jerome Kern, Irving Berlin, Cole Porter, George Gershwin e Leonard Bernstein, destinati a lasciare un segno incancellabile nel Great american songbook. Cesare Fertonani

Abbazia: Le commemorazioni händeliane nella Cattedrale di Westminster, 1784

Argle-bargle in salsa Händel

di Attilio Cantore

Il Messiah è un autentico monumento nazionale e ancora oggi non c’è suddito che non ne fischietti almeno dieci cantilene o più. Un trionfo scultoreo della fede ma anche una celebrazione della fratellanza universale

«Perché non sei più venuto a sentire l’oratorio, James?», saetta il generale FitzPatrick raggiungendo a grandi falcate Mr. Hare e stringendogli la mano, massonicamente. «Perché non posso certo essere dappertutto, Richard» (un po’ evasivo e un po’ salace). Poi, irrigidendo il visetto smunto aggiunge con vago disappunto Whig: «La mia discrezione mal si accorda con queste pompose parate regali» (tira distrattamente del tabacco). In effetti, quella mattina del 29 maggio 1784, His Majesty come da programma faceva il suo ingresso a Westminster Abbey, a mezzogiorno in punto, fra l’euforia generale. E l’evento non poteva essere dei più pomposi, appunto. Sotto lo sguardo compiaciuto di Giorgio III e della sua corte, si eseguiva il famoso Messiah di Händel, terzo evento di una gloriosa Commemoration per i venticinque anni dalla morte del venerato compositore tedesco – a dirla tutta, la prima di una lunga serie nella storia britannica, ma i nostri due gentiluomini non potevano ancora saperlo, naturalmente. «Che cosa ci troverai mai in questa musica antica, dio solo lo sa» (simula stupore). «Vorrai scherzare! Mi tolgano pure il posto alla House of Commons se non è vero che questa musica è la quintessenza dello spirito inglese: nobiltà e dolcezza, maestosità e sentimento». «Certo, Richard, il Messiah è un autentico monumento nazionale e ancora oggi non c’è suddito che non ne fischietti almeno dieci cantilene o più. Ero un ragazzino quando mia madre mi portava al Foundling Hospital a sentirlo, e all’epoca era ancora vivo quel parruccone di Händel». «Gli affetti più sublimi e delicati, adattati alle più elevate e commoventi parole del testo di Charles Jennens, non possono che trascinare e affascinare il cuore e l’orecchio di ognuno». «Eppure, te lo confesso, ho sempre preferito il melodramma». «Ma è come se lo fosse. Anzi, proprio per l’assenza di scenografie e orpelli vari, trovo che gli oratorî siano ancor più sperimentali a livello drammaturgico». «Oh, ti prego illuminami!» «Mi limiterò giusto all’inizio, James. Dopo una sinfonia alla francese in tono minore, si passa al tono maggiore:

bianco e nero, capisci che intendo, come camminando sul pavimento a scacchi di St. Paul’s Cathedral. Ed ecco subito un arioso idilliaco che si trasforma in un recitativo accompagnato e sfocia in un’aria pirotecnica incorniciata da festosi ritornelli orchestrali. E, infine, un coro sfolgorante che dissimula una scrittura mottettistica». «Da come ne parli, sembra che ce ne sia proprio per tutti i gusti». «Puoi ben dirlo, old bean». «Ma quella Pifa, così lagnosa e manierata?» «Al contrario, è un mirabile bozzetto pastorale. Immagina di guardare qualche Staffordshire porcelain a motivi campestri o le tue greggi nella campagna di Knaresborough. O forse, meglio, un presepio napoletano. Mi confrontavo poco fa su questo punto con Charles Burney, che a Napoli è stato per davvero, come Händel molti anni prima, ovviamente, quando…» «D’accordo, ma vai avanti ora…» (gesto impaziente) «Ecco, sulle arie non avrai da obiettare, mi auguro». «Persuadimi…» «Sai, non è certo un caso se la statua di Händel scolpita da Roubiliac, quella che da una ventina d’anni si trova nel transetto sud di Westminster Abbey, regge proprio lo spartito del Messiah mettendo in bella mostra una pagina dell’aria I know that my Redeemer liveth». «Non ci avevo mai fatto caso…» (occhi sgranati). «Tu fammi il nome di una pagina più d’effetto di Rejoice greatly e The trumpet shall sound o più suggestiva di He was despised». «Su due piedi ora non saprei…» «Appunto, non ce ne sono. E i cori? Che magnificenza!» «Ricalcano i fasti cerimoniali dei nostri amati anthems». «Senz’altro, e l’Halleluja ne è l’apoteosi. Parti in contrappunto e in omofonia efficacemente intrecciate, in un crescendo potentissimo». «Da togliere il fiato…» «Mi piace considerarlo non solo un trionfo scultoreo della fede ma anche una celebrazione della fratellanza universale». «In tal caso, non mi resta che andare ad ascoltarlo, ancora una volta».

William Blake, Albion Rose da “A large book of designs”, 1793-1796

7 dicembre ore 20.30 Parma | Auditorium Paganini ENRICO ONOFRI Direttore SANDRINE PIAU Soprano SARA MINGARDO Contralto LEVY SEKGAPANE Tenore LUCA TITTOTO Basso CORO UNIVERSITARIO DEL COLLEGIO

GHISLIERI LUCA COLOMBO Maestro del coro FILARMONICA ARTURO TOSCANINI

Händel Messiah Oratorio per soli, coro e orchestra HWV 56

GUIDA ALL’ASCOLTO (S)RAGIONATA E (IN)CONSAPEVOLE

Sicuramente quella turbolenza inaspettata che sentirete il 7 dicembre non deriverà dai venti settentrionali che in quel periodo imperverseranno sul Lago di Garda; piuttosto, sarà dovuta al flusso di forti correnti emotive legate al Messiah di Händel e al loro potere di catturare le più sottili sfumature del sentimento. Parliamoci chiaro, sbalordisce, perché è musica immediata capace di appianare anche le situazioni più intricate ed irrisolte. Dunque, cogliete l’attimo, senza riserve!

Con le jazz songs: dal musical di Broadway a Hollywood

di Silvia Del Zoppo

Epitome dell’approccio cinetico che caratterizza il musical di Leonard Bernstein (1918-1990), le Symphonic Dances (1961) rappresentano un estratto di nove sezioni dalla versione cinematografica di West Side Story. Del musical di libera ispirazione shakespeariana che nel 1957 aveva portato sulle scene di Broadway la rivalità tra due bande di adolescenti, portoricani e bianchi, era infatti appena stata approntata una versione filmica, con orchestrazione curata da Sid Ramin e Irwin Kostal. L’occasione per ricavarne delle danze sinfoniche si era presentata a Bernstein grazie all’organizzazione di un concerto per la raccolta fondi la Filarmonica di New York: la trascrizione celebrava così non soltanto il sodalizio che lo aveva legato all’orchestra fino a quel momento, ma anche il rinnovo del contratto che avrebbe garantito altri sette anni di collaborazione. Grazie a un lavoro di editing condotto dallo stesso Bernstein, la sequenza delle danze era stata modificata in favore di una maggior coerenza musicale: i contrasti ritmici, dinamici, agogici e timbrici traspongono infatti la narrazione del conflitto tra gangs su di un piano autenticamente “sinfonico”, dove le vivaci combinazioni strumentali si alternano in una gamma quasi camaleontica di colori, e la pulsazione incessante, che si giova di un’amplissima sezione di percussioni, trascina il flusso del discorso musicale. L’azione scenica di ciascuno dei nove quadri, - Prologue (Allegro moderato), Somewhere

(Adagio), Scherzo (Vivace e leggiero), Mambo (Meno Presto), Cha-cha (Andantino con grazia), Meeting Scene (Meno mosso), Cool Fugue (Allegretto), Rumble (Molto allegro), Finale (Adagio) - può dunque rimanere il fil rouge sullo sfondo di questa esuberante suite orchestrale. Le songs in programma sono tra le più celebri di George Gerswhin (1898-1937), Melodie orecchiabili e su versi del fratello Ira. Si parte con Fashinating versi dal cinismo pungente Rhythm (1924), prima collaborazione tra i due caratterizzano gli standards più celebri del cosiddetto fratelli e Broadway impiegata nel musical Lady be Good, per proseguire con “GAS” [Great American Let’s call the whole thing off, meglio nota attraverso Songbook]. il suo incipit: «You like tomay-to and I like to-mahto», gioco di allitterazioni che si fa burla della pronuncia, aperta o chiusa, del suono vocalico ‘a’: British English versus American English, certo, ma anche demarcazione dell’appartenenza a differenti ceti sociali. Dal ritmo incalzante di Nice Work If You Can Get It, su cui un ballerino, cantante e attore della caratura di Fred Astaire eseguiva un’esilarante sequenza di danza alla batteria, si passa attraverso le sfumature blues di The Man I Love, per chiudere con I Got Rhythm e le sue caratteristiche progressioni armoniche. A contrappuntare questo excursus nel repertorio dei fratelli Gershwin, altri celebri jazz songs che si legano al musical di Broadway e alle esperienze hollywoodiane dei loro autori: così i successi di Cole Porter (18911964) Night and Day (dal musical Gay Divorce del 1932), I’ve Got You Under My Skin (da Born to Dance

del 1936), What Is This Thing Called Love? (da Wake Up and Dream del 1929) e I Get a Kick out of You (per la commedia musicale Anything Goes del 1934). Melodie orecchiabili e versi dal cinismo pungente caratterizzano quelli che sono oggi annoverati tra gli standards più celebri del cosiddetto “GAS” [Great American Songbook]. Tra questi, anche The Way You Look Tonight, scritta da Jerome Kern (1885-1945): il suo nome, insieme a quello di Irving Berlin (18881989), si aggiunge al parnaso dei compositori più rappresentativi del teatro e del cinema americano. D’altronde, successi quali Puttin’ on the Ritz, prima song ad essere cantata da un ensemble multietnico (il titolo, nello slang dell’epoca, allude al “vestire elegante”), o Blue Skies, che fa capolino nell’unica sequenza dialogata del primo film sonorizzato della storia del cinema, The Jazz Singer, del 1929, ma anche Heat Wave (1933), o ancora Let’s Face the Music and Dance, scritta nel 1936 per il film Follow the Fleet, testimoniano la divulgazione del jazz “classico” e delle sue caratteristiche idiomatiche - sincopi, sfumature ritmiche e inflessioni swing - attraverso il grande schermo e offrono un compendio ricco e articolato del variopinto patrimonio musicale collettivo statunitense.

Shinn, Teatro di varietà londinese 1 gennaio ore 12.00 Parma | Auditorium Paganini TIMOTHY BROCK Direttore

CELINDE SCHOENMAKER Soprano CHRISTINA ALLADO Soprano ROB HOUCHEN Tenore ADRIAN DER GREGORIAN Baritono FILARMONICA ARTURO TOSCANINI I più grandi successi del musical internazionale, da Londra a Broadway

leonaRd BeRnstein Symphonic Dances from “West Side Story”

geoRge geRsHwin Fascinating Rhythm, Let’s Call The Whole Thing Off, Nice Work If You Can Get It, The Man I Love, I Got Rhythm

jerome kern The Way You Look Tonight

cole PoRteR Night and Day, I’ve Got You Under My Skin, What Is This Thing Called Love?, I Get A Kick Out Of You

iRving BeRlin Puttin’ On The Ritz, Blue Skies, Heat Wave, Let’s Face The Music And Dance

GUIDA ALL’ASCOLTO (S)RAGIONATA E (IN)CONSAPEVOLE

Un cambio di guardia stellare! Per Capodanno 2023 il direttore d’orchestra non regalerà il solito mazzo di melodie colorato e… profumato. S’interromperà così, dopo anni, la catena che va di padre in figlio (alias: di Strauss Johann, in Strauss Johann). Non possiamo affermare che il direttore non ami i valzer, ma i tempi cambiano e fa bene ad adeguarsi sfoderando quella musica, anzi… quei musical! Il direttore desidera soprattutto che le songs (canzoni) di uno diventino la gioia di tutti. Buon anno!

This article is from: