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CAMBIAMENTI CLIMATICI E SICCITA’
sottolinea Winterle — è quella di proporre un’offerta turistica diversa rispetto al passato». Con caratteristiche «alte»: «Oggi molti turisti cercano un hotel con piscina, wellness, ristoranti stellati». Alberghi dove per una notte si possono spendere centinaia di euro. Ma dove un cliente trova tutto. A prescindere dall’ambiente in cui si trova: «La qualità del panorama, in questi casi, passa in secondo piano, il contesto diventa una variabile indipendente». In Alto Adige, questa tendenza è stata raccolta con decisione. E molti alberghi hanno avviato ristrutturazioni con investimenti ingenti per poter alzare il numero di stelle della propria struttura. Aumentando i volumi, ricavando spazi per servizi, sfruttando anche soluzioni architettoniche nuove. Gli esempi Nella rivista Turrisbabel , l’analisi si concentra su sei soluzioni di ampliamento di alberghi in Alto Adige. «Si tratta — precisa Winterle — di sei esempi positivi di strutture inserite in modo armonico nell’ambiente». Perché il rischio, in queste operazioni, è anche quello di scivolare nell’eccesso. Creando strutture troppo impattanti o, ancora, non rispettose dell’autenticità del contesto in cui sono collocate. «Le palme sull’arco alpino, cercando di imitare l’ambiente marittimo, o le ostriche nei rifugi non rispettano il luogo in cui ci si trova» spiega l’architetto. Che torna con lo sguardo sui sei hotel trattati nella rivista: esempi dislocati in varie zone della provincia che testimoniano, osserva Winterle, come «anche la qualità architettonica possa fare la differenza e diventare volano». «Abbiamo incontrato — spiega — i proprietari e i progettisti per capire i motivi delle scelte effettuate». Scoprendo subito un aspetto peculiare: «Tre su sei hanno fatto un concorso di progettazione, chiedendo a 3-5 progettisti di proporre una soluzione, per poi scegliere la più vicina alla loro visione». Con risultati diversi: in alcuni casi si è deciso di procedere a una ristrutturazione totale dell’edificio esistente, in altri ci si è mossi attorno al «cuore» storico, ampliando il contesto attorno. Lavorando magari a periodi alterni per non dover sacrificare le stagioni turistiche, tanto preziose in tempo di crisi come quella attuale. Le immagini riflettono quindi anche soluzioni differenti. «A volte — annota l’architetto — c’è la tendenza a introdurre elementi più di design che di architettura, che se spinti all’eccesso possono attirare attenzione e curiosità ma anche creare un “effetto Gardaland” che va evitato». Un altro elemento di quel rispetto per l’autenticità dei luoghi sui quali il direttore responsabile di Turrisbabel insiste. «Di questi temi — ricorda ancora Winterle — abbiamo discusso anche con il comitato per il paesaggio dell’Alto Adige». Confermando il trend: «L’80 per cento delle richieste di parere che il comitato riceve riguarda proprio la progettazione relativa alle strutture ricettive». Il caso del Trentino E se la provincia di Bolzano spinge con forza verso questa nuova tendenza del turismo, in Trentino il quadro è diverso. Almeno per ora. Gli ultimi dati, più che a un turismo a cinque stelle, ricordano le difficoltà delle strutture ricettive nel proseguire nella loro attività: a febbraio si era parlato di ben duecento alberghi in disuso nell’intera provincia, da San Martino di Castrozza fino a Predazzo, dalla val di Sole alla val di Non. Difficile, quindi, pensare a una riproposizione anche in Trentino del trend avviato in Alto Adige? «In primo luogo — analizza Winterle — va detto che l’Alto Adige riesce ad attirare un bacino di turisti, soprattutto dell’area tedesca, che sono disposti a spendere prezzi importanti, anche centinaia di euro per notte». Ma non solo: «La provincia di Bolzano ha comunque una attrattività diversa rispetto a quella trentina». Con gli stessi trentini che spesso decidono di passare le ferie nel vicino Alto Adige: «A Bolzano non succede il contrario, salvo forse per la zona del Garda». E poi c’è il fattore economico: «In Trentino ci sono realtà che soffrono un po’ di più. Nell’intera regione la conduzione degli alberghi è per lo più familiare. Ma in Trentino spesso i passaggi generazionali non consentono la programmazione di investimenti importanti come quelli che servono per arrivare a un albergo stellato». Tenendo conto di un aspetto: «Un intervento di questo tipo non può essere fatto al ribasso». Niente mezze misure, insomma: «O si offre un servizio completo, o l’investimento non funziona». Winterle però lascia uno spiraglio anche in Trentino: «Per alcuni casi, per alcune particolari realtà che riescono a garantire una qualità del luogo o della struttura originaria alte, ci può essere la possibilità di prospettare la creazione di strutture di questo tipo».
Corriere delle Alpi | 8 aprile 2022
p. 18
Arpav e la siccità «Serve un aprile super piovoso»
BELLUNO Ancora siccità, nonostante le ultime precipitazioni (e la neve che probabilmente ritornerà a giorni). «Considerato il deficit pluviometrico già accumulato dall'inizio dell'anno idrologico (-207 millimetri), per riequilibrare il bilancio già nel mese di aprile sarebbero necessari circa 300 mm, ossia più di tre volte la precipitazione media di aprile (che è pari a circa 94 mm, misurata nel periodo 1994-2021)». Cosi si esprime il rapporto Arpav sulla risorse idriche. Lo scorso marzo sono caduti solo 13 mm di acqua; la media degli ultimi 30 anni è di
67 mm. Sulle Dolomiti non più di 4-5 mm sul Faloria a Cortina, a Col di Prà (Taibon Agordino) e a Cencenighe Agordino. Il deficit sul Piave è stato dell'89%. Nei sei mesi dall'inizio dell'anno idrologico (quindi dal 1° ottobre) sono caduti 313 mm ; la media del periodo 1994-2021 è stata di 520 mm.Poca pioggia, dunque, e pochissima neve. A fine marzo lo spessore del manto nevoso era di 43 cm e di 14 cm sulle Prealpi. Dopo 24 ore, segnate da precipitazioni, la neve fresca risultava di 50-80 cm a 2000 m, di 35 a 1600 m e di 1020 a 1200 m di quota. Nelle Prealpi, 30-40 cm oltre i 1600 metri (con locali punte di 50 cm) e di 0-5 cm a 1200 m di quota. Il 5 aprile, dopo le ulteriori nevicate, l'indice di spessore è risalito a valori normali: 79 cm nelle Dolomiti, 26 cm nelle Prealpi. Quali, dunque, le ricadute nei principali serbatoi del Piave? Positive, ma non troppo. Il volume totale a fine marzo era di 91,6 milioni di metri cubi, una decina in più rispetto alla fine di febbraio, pari al 55% del volume massimo invasabile, poco superiore alla media.L'andamento nel mese è stato abbastanza diversificato per i tre principali serbatoi del Piave: l'invaso di Pieve di Cadore ha avuto un andamento altalenante, fino a raggiungere il 44% del volume massimo invasabile (poco sotto la media storica del periodo, -20%); Santa Croce si è mantenuto piuttosto costante e a fine marzo si presenta alla metà (49%) del volume massimo; il Mis ha evidenziato una continua rapida e costante crescita fino ad arrivare all'83% del volume (assai sopra la media storica, +59%). Volume in continuo incremento anche nel serbatoio del Corlo (Brenta). In marzo, dunque, ancora prevalenti condizioni di magra invernale sulle sezioni montane del Piave, anche se alcune sezioni evidenziano un leggero incremento nell'ultima settimana del mese, attribuibile all'aumentata velocità dello scioglimento della neve dei versanti esposti a nord delle Dolomiti.Ma vediamo le portate: torrente Fiorentina a Sottorovei -41%, Padola a Santo Stefano -48%, Cordevole a Saviner -44%, Boite a Cancia -34%. Sul Piave a Ponte della Lasta (-32% sulla media storica) e Boite a Podestagno (-14%). Il volume defluito in questi primi sei mesi dell'anno idrologico lungo il Piave bellunese risulta, in sostanza, assai inferiore a quello medio storico dello stesso periodo: -26% sul Boite, -40% sul Padola a Santo Stefano, -40% sul Cordevole (Saviner), -41% sul Sonna, a Feltre. Ecco, perché, è davvero problematico riportare in equilibrio il bilancio pluviometrico. -Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 12 aprile 2022
p. 10
Cambiamenti climatici, il contributo della ricerca
Anche in Trentino gli impatti dei cambiamenti climatici sono evidenti da tempo - si pensi alla situazione dei nostri ghiacciai - sugli ecosistemi naturali, sul sistema produttivo, in particolare nei settori dell'agricoltura, della produzione energetica e del turismo. Questo e tanto altro, è emerso nel corso del workshop "Cambiamenti climatici: il contributo della ricerca in Trentino", organizzato dall'Appa e tenutosi ieri presso la sala conferenze del Muse, che ha visto i principali soggetti scientifici operativi in Trentino sulle tematiche legate al clima (Fem, Fbk, Muse, Hit e Università) presentare le proprie attività di ricerca ad un folto pubblico di colleghi e dipendenti delle strutture provinciali interessate.Durante la giornata si sono alternate presentazioni relative ai settori di ricerca più diversi: tra gli altri risorse idriche, pericoli naturali, suolo, ecosistemi terrestri e acquatici, agricoltura, foreste, sistema energetico, salute e benessere umano, turismo e paesaggio. Per affrontare la sfida posta dai cambiamenti climatici, la giunta provinciale ha approvato l'anno scorso il programma Trentino Clima 2021-2023, come atto di indirizzo verso la futura Strategia provinciale di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. «La Provincia di Trento sul cambiamento climatico può essere di esempio - ha sottolineato il vicepresidente della Provincia Mario Tonina - perché qui non si parte dall'anno zero. Questa giornata di lavoro rappresenta una tappa lungo un percorso che includerà anche il contributo di tutti gli altri attori del nostro territorio che svolgono importanti attività di monitoraggio e ricerca sul clima». Più in generale, questo percorso darà ampio spazio ad un confronto a tutto campo con i diversi soggetti sociali ed economici del territorio, in un processo partecipativo che Appa sta predisponendo anche in continuità con la Strategia provinciale per lo sviluppo sostenibile, il documento di programmazione più importante adottato dalla giunta provinciale in materia ambientale. «Nei prossimi mesi - ha proseguito Tonina - questo percorso ci consentirà di individuare gli elementi che caratterizzeranno la futura Strategia provinciale per i cambiamenti climatici, in maniera rigorosa dal punto di vista scientifico e tecnico e anche condivisa. Il tema del cambiamento climatico va affrontato con grande impegno e concretezza da chi oggi ha responsabilità di governo, perché è un tema da cui dipende il futuro delle giovani generazioni».
Corriere delle Alpi | 15 aprile 2022
p. 9
Crestani (Anbi Veneto): «Agricoltura in pericolo, fare 10 serbatoi nelle ex cave» La proposta: «La Regione Veneto deve chiedere acqua in prestito al Trentino» Siccità ai massimi storici, irrigazioni a rischio stop
«Bacini, ora o mai più»
Di Enrico Ferro PADOVA I laghi sono mezzi vuoti, neve in montagna non ce n'è, i fiumi sono al minimo dei deflussi e le falde riportano percentili tra l'1 e il 2%. Del resto, non ha piovuto per oltre cento giorni. In questo contesto, il tasso di severità idrica rischia di passare da medio al massimo livello. «Se continua così le irrigazioni saranno impossibili. I tempi sono stretti, perché si dovrebbe cominciare il 16 aprile. Bisogna intervenire subito, l'agricoltura è a serio rischio», dice senza giri di parole Andrea Crestani, direttore di Anbi Veneto, che raggruppa dieci consorzi di bonifica delle varie province. Mercoledì si è riunito l'osservatorio per le crisi idriche, una cabina di regia in cui confluiscono autorità di bacino, Ministero delle Politiche agricole, Ministero dell'Ambiente, le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, le due province autonome di Trento e Bolzano e i consorzi di bonifica. «Le indicazioni che stiamo per mandare alla Regione sono chiare: in questa situazione serve una limitazione delle derivazioni irrigue. Non possiamo prelevare più del 25% dell'acqua che abbiamo attualmente», sintetizza Crestani. Ovviamente è stato fatto uno screening a livello regionale e il risultato è senza dubbio allarmante. I laghi del gruppo Piave (Santa Croce, Cadore e Mis), sono circa al 35% della capienza, e nemmeno i fiumi se la passano tanto bene. Il pericolo maggiore è rappresentato dall'intrusione del cuneo salino: sul Po ci sono 15 chilometri di avanzamento del mare lungo il fiume, sull'Adige è entrata in funzione la barriera anti sale ma la posta in palio è altissima perché potrebbero esserci ripercussioni persino sull'acqua potabile. «Dopo Pasqua avremo una riunione tecnica con gli assessori regionali ma qui bisogna subito correre ai ripari con misure immediate» mette in guardia il presidente dei consorzi di bonifica. «Bisogna chiedere al Trentino il rilascio di un ulteriore 25% di metri cubi di acqua, in modo che con il nostro 25% arriviamo al 50% e si può quanto meno partire». Nei bacini di raccolta in Trentino l'acqua c'è ed è a disposizione del settore idroelettrico e, appunto, delle irrigazioni nel settore dell'agricoltura. Ma andando a ritroso di 5 anni c'è un precedente che fa presagire nulla di buono. Nel 2017 il Veneto chiese al Trentino di aprire i rubinetti dei bacini montani, per dare una maggiore portata all'Adige che in foce era in forte sofferenza. Praticamente come oggi. Il Trentino dapprima rispose positivamente, ma dopo una settimana cambiò idea e disse che l'acqua era poca e che non si poteva regalare ad altri. La trattativa per il Veneto fu condotta dall'assessore Giampaolo Bottacin, che incassò quindi una sconfitta. «Quest'anno serve necessariamente che il Veneto trovi un accordo con il Trentino, sennò niente acqua», ribadisce Crestani. Poi però c'è una soluzione più a lungo termine, che potrebbe risolvere definitivamente il problema. «Perché non invasare l'acqua in eccesso e trattenerla? Nell'area Piave dopo la tragedia del Vajont non si è più fatto niente. Ora serve un piano di invasi con l'utilizzo delle cave dimesse. Se individuate nella media pianura potrebbero servire per l'irrigazione e anche per il fotovoltaico con pannelli galleggianti. Le cave ci sono ma sono ferme da 20 anni, alcune andrebbero bonificate. Alcune sono ancora dei privati. La Regione deve prendere in mano la questione. La Lombardia l'ha fatto e ha risolto così la situazione». Ci sono quindi dieci consorzi di bonifica al lavoro per individuare le aree più adatte, in cui si potrebbe operare subito. Una mappa è in fase di realizzazione e sarà poi consegnata alla Regione Veneto. «Ora stiamo individuando le cave che possono essere interessate». Tra Verona, Vicenza e Treviso ci sono dieci siti, ma qualcosa c'è anche a Rovigo. «I bacini già realizzati a Riese Pio X e Fonte, nel trevigiano, funzionano. Non è più tollerabile andare avanti così. L'acqua ce l'abbiamo, basta non disperderla quando scende» continua Andrea Crestani. «C'è un altro aspetto non indifferente: un intervento del genere sarebbe realizzato con una grossa quota di risorse ministeriali. Facciamolo, partiamo subito».
Corriere del Trentino | 21 aprile 2022
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Acqua, il Trentino respinge le richieste «La cediamo solo su ordine del governo» Pioggia e neve mancano da mesi Con la primavera riparte l’agricoltura Il Veneto attacca: «Aprite i rubinetti» Trento risponde: «L’acqua non c’è»
Luca Marsilli TRENTO L’assessore veneto Gianpaolo Bottacin invoca l’intervento del Ministero. Il suo corrispondente trentino Mario Tonina, di fatto, gli dà ragione. Perché al di là degli isterismi di parte e dei reciproci sospetti, bisogna fare i conti con la realtà. E la realtà è che l’acqua non c’è. Non almeno in misura paragonabile a quanta ce n’è stata negli ultimi 60 anni in questo periodo. Il Veneto chiede che Bolzano e Trento «aprano i rubinetti», facendo riferimento ai bacini idroelettrici delle nostre valli montane. La richiesta è di rilasci straordinari dai bacini per 20 metri cubi al secondo per ognuna delle due Province. Per avere un ordine di grandezza, la portata dell’Adige ieri al ponte di San Lorenzo, a Trento, era sugli 80 metri cubi. Ma nei bacini idroelettrici di Trentino e Alto Adige si stima sia presente oggi più o meno il 20 per cento dell’acqua che dovrebbero contenere. Usando la stessa metafora del Veneto, il rischio è che anche aprendolo, il rubinetto, non dia che qualche goccia.
«Il problema è oggettivamente serio e complesso — diceva ieri l’assessore Mario Tonina — perché la crisi attuale è figlia di condizioni meteo eccezionali. Abbiamo avuto un inverno secco come non se ne ricordano, dopo un autunno altrettanto scarso di precipitazioni. Quindi la pioggia non ha riempito i bacini e ancora meno lo farà nelle prossime settimane la neve, perché anche in quota non ci sono accumuli significativi. Senza piogge importanti e persistenti, le dighe resteranno vuote. E il problema dell’assenza di neve condizionerà comunque tutta la prossima estate, perché è la neve a garantire le portate estive di fiumi e torrenti e alimentare le falde in profondità». Il Veneto ci accusa, fuori dai denti, di anteporre il nostro interesse a produrre energia elettrica al loro bisogno di irrigare i campi e alimentare gli acquedotti. E di non rispettare il «Codice ambiente», che stabilisce chiare priorità in caso di siccità: l’acqua va destinata in primo luogo agli usi potabili, poi all’agricoltura e da ultimo agli utilizzi industriali, idroelettrico incluso. Il concetto di Bottacin è che il Trentino non può fare quello che vuole con una risorsa che non è solo sua. Sbaglia? «Non sbaglia nella lettura della norma, ma sbaglia nell’immaginare che stiamo difendendo un «tesoro» di acqua che in realtà non esiste, e che l’Adige sia in secca perché noi vogliamo tenere tutta l’acqua per noi o per farne energia elettrica. Negli ultimi sei mesi di fatto la produzione idroelettrica è stata minima, proprio per carenza di acqua nei bacini. Dolomiti Energia ha dei contratti da osservare nei confronti di Terna: contratti che le impongono di rispondere con l’idroelettrico alle richieste di immettere energia nella rete nei momenti di maggiore necessità. Di fatto oggi solo questo fanno le nostre centrali. Non rispettare il contratto con Terna espone a penali molto importanti. Quindi il poco di acqua che ancora c’è, viene conservata per fare queste mini produzioni di punta. C’è una serie di confronti tecnici in corso. Con Terna, con Dolomiti Energia e tra Veneto e Trentino. Stiamo cercando di capire cosa effettivamente siamo in grado di dare. Ma che si possa arrivare ai 20 metri cubi che ci chiede il Veneto, penso sia da escludere». Ne fanno una questione di emergenza e chiedono l’intervento del Ministero. «Se sono veramente in emergenza, hanno ragione a farlo: è il modo corretto. Il Ministero dichiara lo stato di emergenza, dopo averne verificata la sussistenza, e la Protezione Civile nazionale emana un provvedimento che impone i rilasci eccezionali di acqua dai bacini idroelettrici. Hanno tutto il titolo per farlo. Ma ce l’hanno solo loro, appunto. Davanti a un provvedimento di quel genere, passano in secondo piano contratti e concessioni. E non avendo facoltà di scelta, non ci sono neppure penali. Ma a oggi non siamo a questa fase: c’è una regione, il Veneto, che ci ha chiesto di verificare la possibilità di aumentare i rilasci. Lo ha chiesto a noi come all’Alto Adige, che peraltro ha bacini molto più capienti dei nostri, in misura di 20 metri cubi al secondo per ogni provincia autonoma. Io per ora posso dire che salve le verifiche in corso, che potrebbero teoricamente anche smentire i presupposti che per ora stiamo dando per assodati, non siamo in condizione di erogare quei 20 metri cubi. Se poi interverrà la protezione civile imponendoci di farlo, non potremo che adeguarci: di fronte a una conclamata emergenza e a cause di forza maggiore, non si può che obbedire. Basta che nessuno si illuda che sia una misura risolutiva, perché se non comincia a piovere sul serio e anche in fretta, le misere scorte di oggi si esauriranno in fretta». La stima emersa dall’incontro tecnico di ieri sarebbe più o meno 10 giorni: a 20 metri cubi al secondo, a inizio maggio nei laghi artificiali non ci sarebbe più una goccia. Con problemi anche ambientali, perché non si tratta di serbatoi, ma di laghi, appunto. Tra l’altro oggi gli 80 metri cubi di acqua nell’Adige vengono in parte importante dagli stessi bacini idroelettrici, che con i deflussi minimi vitali obbligatori stanno mantenendo in vita torrenti e fiumi. Dighe vuote vorrebbe dire perdere dal reticolo idrico provinciale e dall’Adige, in cui tutti quei fiumi e torrenti finiscono per confluire, anche il poco di acqua che ora c’è.
L’ Adige | 22 aprile 2022
p. 16
Veneto a secco, problema comune
E' il dilemma della coperta corta: il Veneto chiede al Trentino Alto Adige di aumentare la portata del fiume Adige di 20 metri cubi al secondo per fare fronte alla siccità in pianura, ma le dighe in montagna sono quasi vuote. Nei bacini delle centrali idroelettriche attualmente si trova infatti solo il 20% della quantità media di questo periodo dell'anno. A questo punto il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Mario Draghi, e al capo dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, nella quale chiede di valutare la dichiarazione dello stato di emergenza "finalizzata ad ogni opportuna azione che possa definire le modalità di gestione sovraregionale della crisi idrica". Contemporaneamente, nel documento il governatore sollecita un adeguato sostegno economico per assicurare l'attuazione degli interventi urgentemente necessari per garantire la pubblica incolumità, il ripristino dei danni subiti dal patrimonio sia pubblico sia privato e le normali condizioni di vita della popolazione. Alla fine di marzo, infatti, nella regione le precipitazioni sono risultate inferiori del 58% agli apporti medi del periodo. Nel mese di aprile, la precipitazione media registrata è di 23 millimetri, a fronte di quella del periodo negli anni precedenti che è di 94 millimetri. L'assessore all'ambiente della Provincia di Bolzano Giuliano Vettorato mette in chiaro che «una mano certamente la daremo, ma anche da noi la siccità sta creando seri problemi, dopo un centinaio di giorni senza piogge intense». Con la portata richiesta dal Veneto i bacini idrici si svuoterebbero nel giro di una ventina di giorni. Vettorato invita perciò anche la popolazione a un utilizzo parsimonioso dell'acqua. L'assessore altoatesino alla protezione civile Arnold Schuler ricorda che il problema non è nuovo e che l'Adige in pianura garantisce
acqua potabile a circa 200.000 persone. La carenza d'acqua ha anche i suoi effetti negativi sulla produzione elettrica, «un tema particolarmente sentito in questi giorni». Secondo Schuler, le misure da intraprendere vanno valutate attentamente e soprattutto va trovata una strategia a lungo termine, anche alla luce del cambiamento climatico. La vede così anche l'assessore trentino Mario Tonina. Nei bacini in montagna non giace nessun tesoretto, ribadisce. Un rilascio eccezionale di acqua dalle dighe - secondo lui potrebbe avvenire con un provvedimento della protezione civile nazionale in caso di stato di emergenza. Anche le precipitazioni attese tra domani e domenica in Trentino Alto Adige non basteranno a far risalire i livelli delle dighe. Non va meglio in Valle d'Aosta. «Sono iniziati i rilievi per valutare l'accumulo di acqua nella neve sulle dighe valdostane. Dalle prime osservazioni, si conferma quanto prevedibile: accumulo decisamente sotto la media, al limite del minimo storico», scrive Arpa Valle d'Aosta su Twitter. Nel marzo scorso era emerso che la quantità di acqua conservata sotto forma di neve sulle montagne valdostane era ai minimi assoluti del periodo 20002022 e di circa 40-50% inferiore alla media. Solo intense piogge possono alleviare la situazione.
Corriere delle Alpi | 22 aprile 2022
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L'autonomia idrica va ko Il Veneto in secca chiede aiuto al Governo
Enrico Ferro Venezia Il Veneto trema per i fiumi in secca alla vigilia della stagione delle irrigazioni. L'agricoltura, comparto che lo scorso anno ha mosso 6 miliardi e mezzo, è a un passo dallo stallo. Allora la Regione chiede aiuto ai confinanti del Trentino, implorandoli di aprire i rubinetti dei bacini di raccolta montani. Ma l'autonomia idrica sembra proprio non funzionare ed è per questo che ieri il presidente Luca Zaia ha deciso di passare alle carte bollate, chiedendo aiuto a Roma. Con una lettera indirizzata al premier Mario Draghi e al capo dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio, ha chiesto ufficialmente di valutare la dichiarazione dello "stato di emergenza" per una "gestione sovraregionale della crisi idrica". La fotografia scattata nella Giornata della Terra, l'Earth Day che si celebra oggi, non è edificante. Anche la locomotiva d'Italia perde colpi sul fronte del clima. I livelli dei fiumi hanno percentuali da default: -76 % sul Bacchiglione a Montegalda (Vicenza), -74 % sul Brenta a Ca'Barzizza (Vicenza), -65 % sul Po a Pontelagoscuro (Ferrara) e -53 % sull'Adige a Boara Pisani (Padova). Proprio a Boara, a causa dell'inversione dei livelli, il mare ha cominciato ad avanzare sul letto del fiume. La risalita dell'acqua salata, detta cuneo salino, è un grande problema che viene accentuato dalla siccità: contamina le falde e nelle situazioni più gravi rende l'acqua inservibile sia per i rubinetti che per l'irrigazione dei terreni. Sul Po ci sono 15 chilometri di avanzamento del mare, sull'Adige è entrata in funzione la barriera anti sale ma è stata oltrepassata dalla piena marina. Ieri mattina c'è stato l'incontro tra la Regione, i rappresentanti dei consorzi di bonifica e delle associazioni di categoria. Doveva essere l'occasione per presentare l'ordinanza regionale con cui si disponeva il contingentamento dell'acqua, sia irrigua che potabile, con specificato perfino il divieto di lavare le auto. Ma il documento attualmente è in stand by. In termini pratici è più incisiva la richiesta dello "stato di emergenza". Colpa della Provincia autonoma di Trento, che ha fatto orecchie da mercante di fronte alle richieste del Veneto di regalare un po' della loro acqua. La situazione crea anche qualche imbarazzo politico, visto che Luca Zaia e Maurizio Fugatti sono entrambi esponenti della Lega. «Una mano certamente la daremo, ma anche da noi la siccità sta creando seri problemi, dopo un centinaio di giorni senza piogge intense», dice Giuliano Vettorato, l'assessore all'Ambiente della Provincia di Bolzano. «L'acqua deve essere garantita prima di tutto per un utilizzo umano, poi agricolo e solo infine energetico» puntualizza Federico Caner, assessore veneto all'Agricoltura, lasciando intendere che i confinanti non possono tenersi l'acqua per le centrali idroelettriche mentre a qualche decina di chilometri di distanza l'agricoltura va a rotoli. «Ora confidiamo che il Governo faccia pressione sull'autorità di bacino e che quest'ultima obblighi Trento a darci l'acqua che ci serve. Dal canto nostro però, lanciamo un appello: usate l'acqua con buon senso, in ogni situazione, anche quando siete sotto la doccia». È grande la preoccupazione dei consorzi di bonifica veneti, che fanno da collettore anche di tutte le ansie degli agricoltori. «Siamo in una situazione paradossale: anche se la Regione uscisse con un'ordinanza imponendo la riduzione del 50% delle irrigazioni, noi quel 50% non ce l'avremmo. Bene quindi deciso di posticipare l'ordinanza, per compiere un atto così forte dal punto di vista formale». Nella lettera inviata al Governo Zaia fa riferimento alla sofferenza idrica e sottolinea come, nel Veneto, la situazione sia tale che per un riequilibrio del deficit pluviometrico accumulato fino a marzo sarebbe necessaria una precipitazione equivalente a tre volte quella registrata nel mese successivo. Alla fine di marzo, infatti, nella regione le precipitazioni sono risultate inferiori del 58% agli apporti medi del periodo. Con la portata richiesta dal Veneto i bacini idrici trentini si svuoterebbero nel giro di una ventina di giorni. --© RIPRODUZIONE RISERVATA