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MOBILITA’: IL DIBATTITO E LE PROPOSTE
Dopo quasi un anno i ministeri non hanno ancora inviato risposte alla lettera che chiedeva coerenza, trasparenza nelle informazioni sulle opere e un fattivo coinvolgimento delle associazioni di protezione ambientale. «La percezione — scrivono — è che, ad oggi, si punti al commissariamento straordinario degli interventi per recuperare l’evidente ritardo sulla tabella di marcia dei lavori, tutto ciò a scapito degli impatti ambientali che le opere in corso e in progetto avranno sui territori». Di qui, tre richieste. In primo luogo, «che siano redatti un Piano unitario e il relativo Rapporto Ambientale riguardanti le opere e gli interventi essenziali da sottoporre a Vas nazionale. Poi, «che la Vas nazionale venga estesa all’incidenza delle variazioni di uso del suolo e alle dinamiche del carico insediativo, sia temporaneo sia permanente». Infine, «che venga data risposta alle richieste e alle osservazioni qui formulate entro la fine di aprile». Preoccupazioni a cui rispondono i tecnici della Regione. «Appalti così grandi necessitano di una struttura dedicata non presente in alcuno degli enti locali» si legge in una nota. Visti i ritardi accumulati «necessaria anche la nomina di un soggetto unico che conduca e approvi i procedimenti senza indugio, raccordandosi col territorio: il commissario straordinario». Una figura che «non permetterà di evitare alcun passaggio previsto dalla normativa, ma solo tempistiche più brevi». Infine «nell’incontro di lunedì (11 aprile, Ndr ) – concludono i tecnici – le associazioni hanno espresso soddisfazione per l’attenzione resa dalla Regione nel farli partecipi», tanto che lo stesso Zaia «ha chiesto un metodo di informazione aggiuntivo a quelli previsti, più immediato».
L’Adige | 12 aprile 2022
p. 14
Mobilità, obiettivo ridurre le auto
Creare una rete stradale e di trasporti più efficiente possibile con un duplice scopo: ridurre l'uso dell'auto privata per gli spostamenti in generale e quelli casa lavoro nello specifico e abbattere le emissioni in atmosfera. Questi gli obiettivi che la Provincia si è imposta e per centrarli si parte da uno strumento di pianificazione fondamentale: il piano provinciale della mobilità. Uno strumento che adesso non c'è - esistono al più i piani stralcio di zone determinate - e che serve, in sostanza per mettere in rete i diversi interventi, per avere un quadro d'insieme delle azioni, delle politiche e degli investimenti che si mettono in atto su questo fronte. La giunta provinciale nella seduta di venerdì scorso ha elaborato le linee strategiche per la realizzazione del piano, indicando stato dell'arte, obiettivi, e modalità di approvazione.Stato dell'arte. Per quanto riguarda la mobilità pubblica, il grosso è su gomma: 21 milioni di passeggeri nel 2019 si sono spostati con i mezzi extraurbani, 32 milioni con quelli urbani. La ferrovia ha numeri più ridotti: un milione sulla tratta Trento Bassano, 3 su quella Trento Mezzana. Quanto alla ciclabilità, sui 430 chilometri di piste ciclabili viaggiano tra l'altro anche i mezzi del bike sharing, implementati a 90 ciclo stazioni e mille stalli in provincia, su 17 comuni. Servizio, quello del bike Sharing, in espansione: a fronte dell'aumento del 50% dell'infrastruttura, si è assistito ad un aumento del 73% della distanza percorsa, dell'81% dei prelievi e del 41% degli utenti. Ma è la mobilità privata a restare prevalente: in Trentino - per dare un'idea - ci sono 676.614 vetture, 1,25 per abitante, e 64.903 motocicli.Trasporto su ferro. Il piano dovrà tenere conto dei protocolli d'intesa siglati con alcuni enti - Comuni, Rfi e ministero - e ribadire alcuni punti saldi della strategia della mobilità. Per quanto riguarda il trasporto su ferro, non si potrà prescindere dai progetti circa la circonvallazione ferroviaria di Trento e più in generale per il potenziamento del corridoio del Brennero. Naturalmente l'elettrificazione della linea della Valsugana, per cui Italferr ha presentato il progetto di fattibilità e sta progettando la linea Trento Borgo. Terminato questo passaggio si potranno cambiare i treni, con convogli elettrici o ibridi. Resta confermato il restyling della stazione di Trento, con il riordino dell'area esterna, e la riorganizzazione dei flussi di traffico e il recupero del fabbricato viaggiatori, così come il treno delle Dolomiti, che colleghi Trento, Belluno e Bolzano, per cui si aspetta a settimane il progetto di sostenibilità tecnico economica. Per quel che riguarda il basso Trentino due sono i progetti allo studio: la ferrovia Mori - Riva del Garda, per cui c'è il progetto di fattibilità, e la riapertura della stazione di Calliano, che a regime dovrebbe portare ad un collegamento su ferro Trento Rovereto ogni ora. E poi c'è, naturalmente, l'interporto, che sarà riqualificato e ampliato.Trasporto su gomma. Su questo tema molto ci si attende in Fiemme e Fassa dal Bus Rapid Transit per decongestionare il traffico in vista anche dell'appuntamento olimpico e poi si ragiona di un programma importante di rinnovamento della flotta di autobus sia urbani che extraurbani (l'età media dei primi è di 11,8 anni con il 30% di mezzi euro VI, quella dei secondi è di 11,2, con il 35% di mezzi euro VI). E poi ci sono le nuove strade: il collegamento tra l'altopiano di Pinè e con la sinistra Avisio per collegare le valli di Fiemme e Fassa, il raddoppio della Valsugana tra Castelnuovo e Grigno, la variante Campitello Canazei, la variante di Cles, la variante di Pinzolo e quella di Ponte Arche. Infine, restano
in primo piano gli interventi sulla città di Trento: la sistemazione dei viadotti di Canova, l'allargamento della curva del Palloncino sulla Gardesana occidentale, il sottopasso a Spini, la rotatoria a Ravina.Ciclabili. Sul punto non si parte da zero: sui 443 chilometri di ciclabili ci sono 14 stazioni di misura: nel 2021 hanno registrato 2.500.000 passaggi, di cui 2 milioni di bici e 500 mila di pedoni. Gli investimenti previsti sono noti: il collegamento Trento Pergine, la ciclovia del Garda, il collegamento tra valle dell'Adige e val di Sole, il potenziamento della rete a Rovereto, e il potenziamento delle reti in alcune valli (Ledro, Chiese, Caldonazzo, Tesino, Sarca, Fiemme e Fassa). La sfida per il futuro è migliorare la sicurezza.Partecipazione. Il piano della mobilità è uno strumento che dovrà essere frutto del lavoro dei diversi servizi, ma poi andrà condiviso con la popolazione, attraverso un percorso di partecipazione, di massimo 120 giorni, tra pubblicità del piano, incontri per la discussione e apertura alle suggestioni dei cittadini.
Corriere del Veneto | 13 aprile 2022
p. 10, edizione Treviso – Belluno
Treno delle Dolomiti al palo Il Comitato attacca la politica De Berti (Regione): «Stiamo elaborando il progetto di fattibilità con Rfi»
Moreno Gioli Belluno A che punto è il Treno delle Dolomiti? La domanda è lecita, del grande progetto di trasporto pubblico, lanciato in pompa magna ormai quasi 5 anni fa (era il luglio 2017 quando a Belluno salì il presidente della Regione Zaia in persona a perorare l’idea) non si sa più nulla da un po’ di tempo. Che fine abbia fatto il treno, in quale cassetto sia finito il progetto se lo chiede anche i membri del Comitato «Treno delle Dolomiti». «A fine estate 2021 — riavvolge il nastro il comitato — la Provincia di Belluno aveva accolto la sfida lanciata dalla Regione: entro un anno arrivare a definire il tracciato finale per il treno». Come poi ricordano dal Comitato, il tracciato in realtà è stato definito dalla Regione stessa, che inizialmente aveva demandato ai sindaci del territorio il compito di mettersi attorno a un tavolo e decidere dove sarebbe dovuto passare il treno che da Calalzo dovrebbe raggiungere Cortina. Risultato? In Regione arrivarono non due, non tre, ma ben quattro proposte: il tracciato lungo la Val Boite, quello lungo la Val d’Ansiei (con passaggio per Auronzo) e un mix delle due. La quarta proposta venne dall’Agordino, con l’idea del treno che da Sedico risalisse la valle del Cordevole per poi raggiungere Cortina in galleria. Stante l’incapacità dei sindaci di mettersi d’accordo, quindi, la Regione alla fine ha deciso per tutti: il treno salirà lungo la Valboite, da Calalzo a Cortina. La strada più breve. Ma un braccio, sempre da Calalzo, arriverà fino ad Auronzo. Sistemato il tracciato, come stanno procedendo le cose? «Da parte nostra — risponde l’assessore regionale ai Trasporti, la veronese Elisa De Berti — sono in corso gli incontri con Rfi (Rete ferroviaria italiana) per sviluppare lo studio di fattibilità». E la Provincia? «Tutto tace dal consiglio provinciale svolto a Valle di Cadore, andato in scena sei mesi fa — lamenta il Comitato — dove si decise di portare avanti le verifiche sulla sostenibilità economica dell’opera». Per capire come farlo, spiega De Berti, la Provincia di Belluno, «sta coordinando un tavolo per lo sviluppo di un piano di mobilità integrata con lo scopo di spostare il traffico privato sui mezzi pubblici». Il nodo è assolutamente cruciale e altrettanto spinoso. Perché, secondo i calcoli del progettista incaricato, l’ingegner Helmut Moroder, la «Ferrovia delle Dolomiti» si potrà sostenere economicamente solo se verrà spostato dalla gomma alla rotaia almeno il 30% del traffico attuale. Tutt’altro che semplice. Insomma, il rischio concreto è di finire su un binario morto. Per cercare di smuovere le acque, il Comitato per il treno delle Dolomiti, dopo aver lamentato «la difficoltà che il nostro territorio ha quando si tratta di fare sintesi», lancia un appello: «La Provincia dev’essere orgogliosa di poter decidere su un progetto così importante, che segnerà il nostro territorio per decenni a venire e non aver timore di prendere decisioni impopolari. Il buon politico è colui che, soppesando le opzioni sul tavolo e valutandone la bontà, sceglie la migliore per il territorio nella sua interezza».
L’Adige | 14 aprile 2022
p. 33
Transdolomites cerca alleati nel turismo
FIEMME E FASSA
Transdolomites ha scritto a tutte le imprese turistiche che operano nelle Valli di Fiemme e Fassa. Le lettere sono state inviate in questi giorni, allo scopo - spiega il presidente Massimo Girardi - di creare la consapevolezza che il problema della mobilità nelle Valli dell'Avisio non è un problema di Transdolomites, ma una condizione di disagio che interessa i residenti e tutta l'economia turistica. Per l'associazione, che 16 anni propone l'attuazione di un collegamento ferroviario tra Trento e Penia (Canazei), «è il settore del turismo che deve rendersi conto che ci si trova ad un bivio» tra «restare ciò che si è, provvedendo a qualche minimale aggiustamento ma senza affrontare alla radice il tema trasporti» o «promuovere un nuovo modello di turismo più rispettoso del territorio dolomitico».La lettera agli operatori punta sul concetto che il problema della mobilità travalica i confini di una valle, perché i turisti vengono da lontano. Transdolomites elenca l'attività svolta in sedici anni e invita gli imprenditori ad aderire all'associazione «per avvicinarsi in modo più professionale al tema della mobilità, del turismo sostenibile e del rispetto dell'ambiente dolomitico ed alpino». «L'ingrediente che dobbiamo aggiungere in questo percorso è mettere in chiaro che il settore del turismo non può continuare a permettersi di approcciarsi ai suoi problemi in modo polverizzato. Valutare l'andamento della stagione turistica solo contando le auto parcheggiate davanti al proprio hotel fa parte del passato. Serve una leadership che sia cosciente del fatto che il turismo va accompagnato verso nuove modalità operative». Il futuro si gioca sui trasporti e, per Girardi, in Alto Adige si questo si sta puntango: «Star fermi nelle valli dell'Avisio significa invece essere messi progressivamente fuori mercato, con una ricaduta negativa che riguarderà l'immagine dell'intero Trentino».
Corriere del Trentino | 20 aprile 2022
p. 3
Da Messner al Cai «Fermare l’assalto alla montagna. Più limiti alle auto»
Marco Angelucci, Chiara Currò Dossi BOLZANO «Io, da uomo di montagna che non sa nuotare, su un lago ghiacciato non camminerei nemmeno per sogno». Reinhold Messner, re degli Ottomila, non usa giri di parole per parlare di quanto accaduto a Braies: «Stupidità senza fine. Per fortuna non è morto nessuno». Ma, di base, c’è un problema nell’approcciarsi alla montagna, legato al fatto che, in Alto Adige, si arriva comodamente in macchina fino ai piedi delle pareti di roccia. La soluzione auspicata da Messner, così come da Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai altoatesino, passa attraverso una limitazione del traffico. «Bisogna introdurre le fasce orarie — insiste Zanella — Vietare la circolazione delle macchine in montagna dalle 9 alle 15, per esempio. Per gli escursionisti, abituati a partire presto, non sarebbe un problema, mentre si eviterebbero i turisti che vanno in montagna solo per scattarsi il selfie al cartello col nome del passo. Di base, sono i turisti a doversi abituare alla montagna, non viceversa». Il presidente del Cai non si stupisce di quanto accaduto sulla superficie del lago di Braies. «Era logico che, prima o poi, sarebbe successo — commenta — Come, quest’estate, succederà che la gente si perderà in montagna, si troverà sorpresa dai temporali, chiamerà l’elicottero quando si sentirà stanca. Più che poco rispetto per la montagna, c’è poca coscienza: ci si sopravvaluta, e si sottovalutano i rischi. Io, se vedo le onde alte al mare, non entro in acqua». Il presidente del Cai s’è rassegnato a vederne di tutti i colori. «C’è anche chi, a Braies, pensa bene di farsi il bagno. Sente i primi 30 centimetri d’acqua scaldati dal calore del sole, e pensa di potersi tuffare. Ormai, tra pubblicità legata ai film propaganda Unesco, la montagna è presa d’assalto. I cartelli che avvisano del pericolo di cedimento del ghiaccio ci sono su tutti i laghi: a Braies, in vista di Pasqua, si doveva mettere qualcuno a controllare, magari i vigili del fuoco volontari». E una limitazione al traffico è imprescindibile anche per Messner: «Tutti cerchiamo montagne incontaminate e silenziose, ma nessuno sembra intenzionato a fare qualcosa di concreto. L’Alto Adige è una terra che vive di turismo: e i turisti non sono troppi, solo concentrati in pochi hotspot. Come le Tre cime di Lavaredo, o il lago di Braies. Per fortuna, il 99% di chi ci arriva, non lo fa per andare in montagna, tant’è che si ferma al lago. Salissero fino alla Croda del becco, di morti ce ne sarebbero a centinaia». La montagna, per Messner, è da intendersi in due sensi: «Da una parte, ci sono i comodi sentieri che arrivano alle malghe aperte per il pranzo. Dall’altra, i ghiacciai, i ghiaioni e le pareti. Chi non è alpinista, non si muova in questi ambienti». Secondo l’Alpenverein invece chiudere non è la soluzione. «L’unico modo per evitare simili incidenti è il senso di responsabilità del singolo» sottolinea il presidente Georg Simeoni che non vorrebbe vedere le Dolomiti transennate. «Non credo che il numero chiuso sia una soluzione perché non basta ad evitare l’arrivo di incoscienti. E non credo che sia giusto chiudere le montagne anche perché si rischia di fare peggio: in tanti vanno in montagna per sentirsi liberi e ci sarebbero sicuramente quelli che si lamentano perché cert posti sono chiusi. Poi se si mette uno steccato c’è sempre qualcuno che scavalca. L’unica soluzione — insiste Simeoni —è mostrarsi responsabili quando si è in un luogo che non si conosce. Evitare di mettersi in situazione di pericolo perché poi, come è successo a Braies, i soccorritori devono rischiare la vita per aiutare chi è in difficoltà». Intanto il ricordo di quei minuti sulla superficie ghiacciata è impresso nella mente dei soccorritori. Lo racconta, 48 ore dopo, l’infermiere Franz Gruber che era sul Pelikan 2 con il verricellista Alberto Betto e il pilota Nicola Siravo. «Dall’alto, abbiamo visto tre persone in
acqua, in mezzo al lago, e un corpicino adagiato sulla superficie ghiacciata. Mi sono agganciato al verricello e calato giù. Per prima cosa ho preso il bambino e l’ho portato a riva. Non reagiva. Ho creduto fosse morto». E invece, nonostante la temperatura del corpicino fosse scesa fino a 27 gradi, grazie all’intervento tempestivo dei soccorritori e alla corsa all’ospedale di Innsbruck, il piccolo è fuori pericolo. Dopo di lui è toccato agli altri. «Poi siamo tornati sul lago — riprende Gruber —. Una alla volta, le abbiamo tirate fuori dall’acqua che, come mi hanno detto dopo, era a 4-5 gradi». Impossibile non sentire il gelo nelle ossa, nonostante l’adrenalina del momento. «È stato un lavoro di squadra complesso — continua l’infermiere —: pilota e verricellista dovevano calarmi in acqua fino all’altezza del collo, ma avendo cura che non finissi sotto con la testa, per consentirmi di legare una cinghia attorno al torace delle persone da recuperare. Poi ci sollevavano di un metro, e ci trascinavano fino a riva. Con la donna è stato più difficile: era quella messa peggio, non è riuscita ad aiutarmi a legarla». A complicare ulteriormente le cose, lo spessore del ghiaccio. «Bastava toccarlo perché si rompesse. Impossibile pensare di recuperare qualcuno come si fa di solito, strisciando sul ghiaccio di pancia».
Corriere del Trentino | 20 aprile 2022
p. 3
«Pericoli segnalati, ma a volte manca il buonsenso» Cainelli (Soccorso alpino): «Bisogna avere consapevolezza delle proprie capacità»
TRENTO Walter Cainelli è presidente del Soccorso alpino e speleologico trentino dal dicembre 2020 e proprio il mese scorso è stato riconfermato per un secondo mandato alla guida della squadra dei soccorritori della provincia. Presidente, cosa ne pensa di quanto avvenuto al lago di Braies? «È palese come ci sia stata neanche una sottovalutazione, ma proprio una non considerazione del rischio. Tante persone non si rendono conto dei rischi che si corrono in ambienti particolari come quelli montani, pensano sia tutto semplice e sicuro. E quindi spesso li trovi su un lago ghiacciato mentre fuori si sfiorano i 20 gradi. È sintomatico come questi incidenti capitino quasi sempre quando arrivano i turisti». È preoccupato che questi casi si intensifichino ora che sta per ripartire la stagione estiva? «La principale preoccupazione riguarda la quantità di gente in sé. Se si tratta di persone che la montagna la conoscono e la rispettano, non ci sono molti problemi. Se invece parliamo di chi questa conoscenza e questo rispetto non li ha, allora sì che ci sono problemi. Ma il punto principale è l’approccio sbagliato». Quale appello farebbe ai visitatori in arrivo, specie se non abituati all’ambiente della montagna? «Avere consapevolezza dei propri limiti, prima di tutto. E poi sapere quali sono i materiali da usare per il percorso scelto e, se non li si possiede, saperli scegliere nel modo corretto. Ancora: per tutte queste cose rivolgersi sempre per ogni dubbio ai professionisti della montagna, siamo lì apposta per questo. Informarsi sempre, anche su internet per uno sguardo preliminare. Sapere che la montagna cambia, un percorso affrontato l’estate non sarà la stessa cosa se viene ripercorso durante l’inverno, magari cono la neve e il ghiaccio. E soprattutto è fondamentale sapersi arrendere, sapere quando rinunciare alla meta anziché insistere e mettersi in pericolo». È d’accordo nel far pagare il Soccorso alpino quando è palese la negligenza del richiedente aiuto? «Specifichiamo, noi siamo volontari e quindi non veniamo pagati in nessun caso. Mettere a carico i costi dell’intervento nel senso di carburante dell’elicottero ed altro è invece già prassi se si valuta che non c’è stata un’adeguata considerazione dei rischi». Negli ultimi anni la situazione è peggiorata? «Il cambiamento è stato la facilità di accesso alle vette. Pensiamo solo alle bici elettriche. Una volta a certe altitudini arrivavi solo se ti allenavi per un sacco di tempo, prendendo coscienza dell’ambiente e dei tuoi limiti. Ora chiunque senza sforzo arriva in bici a quote di altitudine alte, per poi trovarsi a non sapere controllare in discesa il proprio mezzo, che pesa qualche decina di chilogrammi. E quindi dover chiamare il Soccorso alpino». Cosa si potrebbe fare per evitare situazioni di questo tipo? «Purtroppo oltre che affidarsi al buonsenso del singolo non c’è molto. Si mettono divieti, si avvisa dei pericoli, si chiudono i sentieri. Per poi vedere tutto questo ignorato, come a Braies e come l’ultima valanga sul Tonale, causata da uno sciatore fuori pista nonostante il divieto. Fa anche rabbia, perché non si mette in pericolo solo sé stessi, ma anche i soccorritori. Un soccorso su un lago ghiacciato non è uno scherzo, devi calarti con l’elicottero nell’acqua ghiacciata, oppure pensiamo a quando dobbiamo recuperare escursionisti sotto un temporale estivo tra i fulmini. È profondamente sbagliato mettere altre persone a rischio a causa della propria incoscienza».
Corriere del Trentino | 27 aprile 2022
p. 6, segue dalla prima
«Passi a numero chiuso, basta con le chiacchiere»
La Fondazione Dolomiti Unesco lunedì si riunirà a Trento e all’ordine del giorno un tema: la possibilità di introdurre il numero chiuso per regolamentare il flusso sui passi. «Ne parleremo per avviare il confronto con i territori», annuncia il presidente Mario Tonina. Il prossimo 2 maggio si riunirà a Trento il consiglio di amministrazione della Fondazione Dolomiti Unesco e all’ordine del giorno ci sarà la definizione della chiusura dei passi dolomitici: «Si farà il punto della situazione», spiega l’assessore provinciale Mario Tonina, che in quella sede sarà presente nel suo ruolo di presidente del’ente. «Parleremo di questo — conferma — anche perché è l’unico punto all’ordine del giorno, e saranno presenti gli assessori competenti delle Province di Trento, di Bolzano e della Regione Veneto». E che cosa vi direte? «Fino ad ora si è detto molto ma si è fatto poco. È tempo di aprire un dibattito serio, oltre le chiacchiere e le solite proposte di monitoraggio e analisi dei flussi. Dopo due anni di pandemia abbiamo visto tutti quali sono i flussi, sia la scorsa estate che nell’ultima stagione invernale. La gente ha voglia di evadere, le presenze turistiche sono notevoli. E cosa facciamo? Lasciamo passare tutti o vogliamo tutelare questi luoghi prevedendo anche soluzioni diverse dalle attuali? Questo è il tema». E allora, che cosa farete? Il modello a cui ispirarsi è quello di Venezia a numero chiuso come sembra proporre la direttrice della Fondazione Unesco Mara Nemela? «Decisioni di questo tipo non le impone la Fondazione, che ha un mero ruolo di regia. È necessario trovare l’accordo dei territori e delle categorie economiche. Lunedì prossimo, nella riunione del cda, inizieremo da qui, dal confronto con i rappresentanti dei territori, con gli assessori delle tre realtà maggiormente coinvolte, e capiremo cosa davvero si voglia fare per risolvere il problema». Diceva del ruolo della Fondazione Unesco che lei presiede, che è solo di indirizzo. Ma che cos’altro può fare per arrivare all’obiettivo di diminuire la congestione turistica? «Ho dato mia disponibilità come presidente per stare al fianco dei territori, anche per condividere un percorso, anche soprattutto per veicolarlo a livello romano. Se c’è il nostro appoggio sulle scelte a proposito di mobilità e flussi turistici è tutt’altra cosa. Insomma, se abbiamo avuto questo importante riconoscimento internazionale dobbiamo anche lavorare per garantire il futuro delle nostre montagne, e lo possiamo fare solo dentro un quadro condiviso. Noi la nostra parte, come Fondazione, siamo disposti a farla fino in fondo». Ma non è facile trovare la quadra. Spesso le divergenze con il Veneto sono sembrate inconciliabili. «Sono due modi di vedere la montagna in modo diverso, è vero. Ma quando prendi decisione devi anche trovare i giusti equilibri, le giuste compensazioni. Se però in passato non è mai decollato il controllo dell’afflusso turistico è anche perché si sono opposte le categorie economiche dei diversi ambiti. È però arrivato il tempo di interrogarsi e guardare un po’ più in là, verso il futuro, cercando di capire assieme cosa sarà di questi territori tra cinque, dieci, vent’anni se non adottiamo presto dei provvedimenti. Stiamo parlando di eccellenze uniche che tutti vogliono visitare, ma nel modo giusto, con una preparazione adeguata, anche dal punto di vista culturale». In che senso? «Non è che ti puoi improvvisare quando vai in montagna: abbiamo visto gente arrivare sui passi con gli infradito. Dobbiamo coinvolgere tutti, turisti, istituzioni ma anche operatori economici, per spingere sulla cultura della montagna, che sia sostenibile innanzitutto». Gli operatori economici guardano però al business.«E fanno bene, ma operatori economici non sono solo i rifugisti ma anche gli allevatori che sfalciano, che portano al pascolo il bestiame. È un sistema che deve essere sostenibile, questo sì, ma che deve essere anche tutelato perché svolge un prezioso presidio di un territorio bello ma fragile, quello delle nostre montagne». Quindi, come si riuscirà a risolvere il problema? «Confrontandosi tra territori, consapevoli che una soluzione va trovata. In montagna non è come essere al mare, questo dev’essere chiaro a tutti».
Corriere del Trentino | 27 aprile 2022
p. 6
«La crescita coincide anche con meno persone e meno traffico»
Daniele Cassaghi «A quali persone vogliamo presentare il nostro territorio?», si chiede l’assessora al Paesaggio e responsabile per l’Unesco dell’Alto Adige Maria Hochgruber Kuenzer. E aggiunge: «A quelle che vogliono davvero visitare la natura e il paesaggio per qualche giorno o a quelle che rimangono qui solo qualche ora?». All’indomani degli incidenti di Braies, a tenere banco è ancora il dibattito sul controllo degli accessi alle Dolomiti. L’assessora però non si sbilancia: «Non posso dire se sono favorevole a introdurlo o contraria. Occorre aspettare il Cda della Fondazione Dolomiti Unesco previsto per lunedì mattina». Sarà in quel momento infatti che l’assessore
provinciale altoatesino Daniel Alfreider presenterà un progetto per contrastare l’eccessiva ondata di turisti, con i problemi che si porta dietro in termini di sicurezza e tutela del paesaggio. Alla riunione sarà presente anche Mario Tonina, che della Fondazione è il presidente. «Per me è molto importante discutere insieme sulla direzione in cui andare - continua Hochgruber Kuenzer - sarà necessario affrontare il tema a tutto tondo: dal punto di vista della mobilità, del turismo, del paesaggio». Lunedì sul tavolo ci saranno anche le ricadute di questo provvedimento. La decisione di limitare gli ingressi ha generato più di una perplessità tra gli albergatori. Ma questo non è il solo punto da affrontare nell’agenda altoatesina sulla gestione del territorio: «Nel 2026 ci saranno le Olimpiadi e saranno un’esperienza nuova. Non possiamo iniziare a pensarci nel 2025», riflette ancora l’assessora. Un’occasione di ulteriore sviluppo economico anche per l’Alto Adige? «A volte la crescita coincide con un “po’ di meno”: meno persone, meno turismo, meno traffico », conclude Hochgruber Kuenzer. L’attenzione sul Cda di settimana prossima è stata ravvivata da Mara Nemela, la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, in un’intervista uscita il 26 aprile. La dirigente ha sottolineato la necessità di estendere «l’esperienza di Braies» anche ad altri luoghi simbolo delle Dolomiti. Tradotto: permettere l’accesso a posti come le Tre Cime, Giau, Piz Boè, il lago di Sorapis e Falzarego solo su prenotazione a un numero chiuso di persone. Il dibattito sul numero chiuso è tornato alla ribalta subito dopo gli incidenti sul lago di Braies. Durante il finesettimana a cavallo di Pasqua i soccorsi sono dovuti intervenire per tirare fuori dalle acque gelide 14 persone, tra cui un bambino di quattro mesi. In ogni caso si tratta di una violazione dei divieti, che impongono di non attraversare il lago ghiacciato. E questo vale a maggior ragione durante il disgelo di aprile, quando la lastra è molto sottile. Le campagne pubblicitarie del passato hanno reso le Dolomiti un luogo molto gettonato, anche da chi insegue solo il tipo di turismo «mordi e fuggi». E oltre ai problemi di traffico e tutela del paesaggio, si tratta spesso di persone impreparate ad affrontare i rischi della montagna.
Corriere del Trentino | 27 aprile 2022
p. 6, segue dalla prima
«Passi a numero chiuso, basta con le chiacchiere»
La Fondazione Dolomiti Unesco lunedì si riunirà a Trento e all’ordine del giorno un tema: la possibilità di introdurre il numero chiuso per regolamentare il flusso sui passi. «Ne parleremo per avviare il confronto con i territori», annuncia il presidente Mario Tonina. Il prossimo 2 maggio si riunirà a Trento il consiglio di amministrazione della Fondazione Dolomiti Unesco e all’ordine del giorno ci sarà la definizione della chiusura dei passi dolomitici: «Si farà il punto della situazione», spiega l’assessore provinciale Mario Tonina, che in quella sede sarà presente nel suo ruolo di presidente del’ente. «Parleremo di questo — conferma — anche perché è l’unico punto all’ordine del giorno, e saranno presenti gli assessori competenti delle Province di Trento, di Bolzano e della Regione Veneto». E che cosa vi direte? «Fino ad ora si è detto molto ma si è fatto poco. È tempo di aprire un dibattito serio, oltre le chiacchiere e le solite proposte di monitoraggio e analisi dei flussi. Dopo due anni di pandemia abbiamo visto tutti quali sono i flussi, sia la scorsa estate che nell’ultima stagione invernale. La gente ha voglia di evadere, le presenze turistiche sono notevoli. E cosa facciamo? Lasciamo passare tutti o vogliamo tutelare questi luoghi prevedendo anche soluzioni diverse dalle attuali? Questo è il tema». E allora, che cosa farete? Il modello a cui ispirarsi è quello di Venezia a numero chiuso come sembra proporre la direttrice della Fondazione Unesco Mara Nemela? «Decisioni di questo tipo non le impone la Fondazione, che ha un mero ruolo di regia. È necessario trovare l’accordo dei territori e delle categorie economiche. Lunedì prossimo, nella riunione del cda, inizieremo da qui, dal confronto con i rappresentanti dei territori, con gli assessori delle tre realtà maggiormente coinvolte, e capiremo cosa davvero si voglia fare per risolvere il problema». Diceva del ruolo della Fondazione Unesco che lei presiede, che è solo di indirizzo. Ma che cos’altro può fare per arrivare all’obiettivo di diminuire la congestione turistica? «Ho dato mia disponibilità come presidente per stare al fianco dei territori, anche per condividere un percorso, anche soprattutto per veicolarlo a livello romano. Se c’è il nostro appoggio sulle scelte a proposito di mobilità e flussi turistici è tutt’altra cosa. Insomma, se abbiamo avuto questo importante riconoscimento internazionale dobbiamo anche lavorare per garantire il futuro delle nostre montagne, e lo possiamo fare solo dentro un quadro condiviso. Noi la nostra parte, come Fondazione, siamo disposti a farla fino in fondo». Ma non è facile trovare la quadra. Spesso le divergenze con il Veneto sono sembrate inconciliabili. «Sono due modi di vedere la montagna in modo diverso, è vero. Ma quando prendi decisione devi anche trovare i giusti equilibri, le giuste compensazioni. Se però in passato non è mai decollato il controllo dell’afflusso turistico è anche perché si sono opposte le categorie economiche dei diversi ambiti. È però arrivato il tempo di interrogarsi e guardare un po’ più in là, verso il futuro, cercando di capire assieme cosa sarà di questi territori tra cinque, dieci, vent’anni se non adottiamo presto dei provvedimenti. Stiamo parlando di eccellenze uniche che tutti vogliono visitare, ma nel modo giusto, con una preparazione adeguata, anche dal punto di vista culturale».