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NOTIZIE DAI RIFUGI
da parte della Provincia, in attesa di chiarimenti proprio sull’iter costruttivo. «Stiamo lavorando per risolvere la situazione — afferma Eisath — In questo periodo la funivia sarebbe ferma in ogni caso, visto che siamo fuori stagione».
Corriere delle Alpi | 4 aprile 2022
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Estate thriller per i rifugi senz'acqua né personale «Serve professionalità»
PEDAVENA I rifugisti si ripensano per l'estate. Dopo due stagioni a singhiozzo, causa la pandemia, in quota dovrebbe ritornare il pieno: delle presenze e, quindi, dell'attività. I 90 rifugi della provincia di Belluno, del Cai o privati, ed i 150 del Veneto, sono pronti? «Noi sì, il contesto purtroppo no - risponde Mario Fiorentini, gestore del "Città di Fiume", e presidente dell'Agrav, l'associazione regionale dei settori -. Anzitutto mancherà l'acqua. E, probabilmente, mancherà anche il personale. Con l'aggiunta che quello recuperabile non avrà competenze per operare in un ambiente di montagna». Andiamo con ordine. La prima neve di primavera vede a Ra Valles circa un metro di neve, 135 sui Monti Alti Ornella, 110 sopra Alleghe, a Col dei Baldi, ma pochi centimetri in valle. «Ed è tutta neve che al primo sole scomparirà. Il fatto è che non piove nelle quantità attese dall'autunno - precisa Fiorentini - e che con le scarse precipitazioni di neve, le sorgenti e le falde andranno presto all'esaurimento».Formentini ricorda che già l'anno scorso, ed anche quello precedente, alcuni rifugi hanno dovuto anticipare la chiusura perché all'asciutto, pur avendo razionato l'acqua tutta l'estate.Il Rifugio Scarpa, sulle montagne di Frassenè, ha dovuto interrompere le aperture perché al secco. «La neve appena caduta non è sufficiente a ridarci la risorsa idrica di cui abbiamo bisogno. Quindi l'estate prossima l'avremo dura».Domani, a Pedavena, l'Agrav farà il punto della situazione in una giornata di lavori che proseguirà per tutta la giornata, al termine di un corso di formazione che si è articolato in tre date in cui i gestori si sono chiesti come essere operatori turistici d'alta quota. Durante il workshop del mattino (la sede è la birreria), i gestori, accompagnati dagli esperti di Etifor getteranno le basi per la costruzione di una "Carta dei servizi per i rifugi alpini del Veneto". Carta che presuppone una maggiore professionalità dei collaboratori, che sono almeno cinquecento in Veneto. «Non troviamo cuochi, camerieri, persone tutto fare - conferma Fiorentini - e quando le troviamo ignorano che operare in un rifugio è tutto diverso rispetto al ristorante o all'albergo. Ci vuole un supplemento di formazione specifica».Se gestisci un rifugio che dista quattro ore di cammino dal fondovalle - esemplifica il presidente di Agrav - è evidente che devi saperti arrangiare. «Tuttavia la vera competenza risiede nella capacità di gestire le situazioni di crisi, gli imprevisti, non necessariamente nella capacità di risolvere direttamente il problema dal punto di vista tecnico. Non bisogna improvvisarsi tuttologi ma saper gestire la transizione tra quando si presenta il problema e quando le condizioni consentono di risolverlo definitivamente. Per questo è importante la formazione ma lo è altrettanto l'esperienza, come in tutti i lavori: la scuola, i corsi di formazione, ti possono fornire le chiavi, saperle utilizzare richiede pratica».Il cameriere non può non essere anche guida escursionistica, saper indirizzare, quanto meno conoscere l'ambiente in cui opera. Non può non saper informare sul meteo, sui pericoli che la montagna presenta. Al cameriere o al barista si chiedono consigli per l'alimentazione, come alleggerire i dolori muscolari. Invece accade che chi sale per la prima volta a lavorare in rifugio non sa che le priorità cambiano improvvisamente e richiedono una risposta non da parte del singolo ma di tutta la squadra. --Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 4 aprile 2022
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Rifugi da rigenerare tra comfort e tradizioni «Ma non possono diventare alberghi»
il dibattito Il bivacco Fanton, quel cannocchiale posizionato a forcella Marmarole farà scuola o no? Il Cai di Padova non se l'è sentita di uscire dal tradizionale col nuovo Cosi sull'Antelao, franato nel 2014. E il Cai di Conegliano ha sì concesso l'ampliamento del Torrani, il nido d'aquila ai 3 mila metri del Civetta, ma dando continuità architettonica al rifugio esistente, creatura di Attilio Tissi (1933). Il mondo
dell'alpinismo si sta interrogando da qualche tempo sulla rigenerazione delle strutture di accoglienza in quota, in particolare sulle nuove edificazioni, sulla loro integrazione con il fragile ambiente circostante, sui materiali da usare, su come si uniscono esigenze funzionali e attenzione alla sostenibilità. Nel vicino Trentino sono stati posti in agenda quattro incontri, il primo a fine mese, perché la Sat, i gestori dei rifugi, l'Ordine degli Architetti si chiariscano le idee. «Noi del Cai Veneto volevamo organizzare qualcosa di simile ancora l'estate scorsa - informa Francesco Abbruscato, residente della Commissione Rifugi -, ma la pandemia ce l'ha impedito. Lo faremo presto perché i nostri rifugi hanno in media più di 50 anni ed abbisognano di una riqualificazione. Ma anche le ristrutturazioni devono avere dei criteri e, a mio avviso, non possono che testimoniare il tempo in cui sono concepite. Personalmente (sono architetto) mi piace l'innovazione del Fanton, mi rendo conto, tuttavia, che c'è una cultura identitaria da rispettare. A volte si tratta di trovare il giusto equilibrio. Ecco, mi pare forse troppo semplicistico limitarci a rispettare l'esistente».Il Fanton, si sa, è stato in parte contestato per la sua forma che taglia con la storia architettonica dell'alta montagna. L'architetto Tatiana Grespan ha trovato una formula davvero indovinata per l'ampliamento del bivacco invernale al Galassi: ha montato sul vecchio impianto una struttura prefabbricata in legno Xlam completamente rivestito in lamiera aggraffata, per cui la neve che all'esterno sale per diversi metri non crea problemi. «A volte i problemi s'impongono anche solo ad installare dei panelli fotovoltaici, ancorchè indispensabili, o a posizionare vasche per l'acqua. C'è chi contesta perché troppo impattanti» rivela Mario Fiorentini, coordinatore dei Rifugisti di Agrav. Mario Tonin, presidente della Fodazione Dolomiti Unesco, non ha dubbi. «Da come progettiamo un rifugio o un suo ampliamento, si capisce dove vogliamo andare, quale futuro immaginiamo per il turismo montano e per la frequentazione dell'alta quota, tanto più se le aree interessate sono state riconosciute Patrimonio Mondiale - afferma -. I gestori stessi, con cui collaboriamo da anni, non smettono di interrogarsi su come conciliare le esigenze funzionali al senso del limite. Un limite che la pressione turistica tende a spingere sempre un po' più in là ma che la natura stessa dei luoghi e lo scopo delle strutture impongono di rispettare».Quello che è certo - assicura Abbruscato - non vogliamo trasformare i rifugi in alberghi, almeno i nostri 37 del Cai. «Il massimo del comfort è improponibile, quindi camere con la vasca da bagno proprio no. Forse qualcuna con la doccia. Ma si sa che l'acqua disponibile è così poca che in certi ambienti dobbiamo chiudere il doppio bagno». Al Torrani, il rifugio più alto delle Dolomiti, fino ad oggi non ha un alloggio, o meglio una camera per il gestore, costretto a dormire insieme agli ospiti; ne disporrà col prossimo ampliamento. «Il nostro rifugio - fa sapere Marco Bergamo, che gestisce lo Scarpa - ha 112 anni, immaginarsi se non aveva bisogno di una ristrutturazione radicale. Abbiamo messo mano, grazie alla sezione del cai di Agordo, al Bim e ad altri che ci hanno aiutato, all'adeguamento dell'impianto termico, di quello idraulico, alle sorgenti e condotte, la coibentazione. Somme ingentissime, senza contributi regionali o nazionali, che sarebbero indispensabili».Ma, secondo Bergamo, sarebbe il tempo di provvedere ad una rigenerazione radicale di questi ambienti, ricorrendo anche all'innovazione. Ed ecco che al Galassi, rifugio autogestito del Cai di Mestre, non solo si è provveduto ad attivare l'impianto fotovoltaico, ma anche ad un nuovo sistema di smaltimento dei reflui dei bagni: è stata installata una coclea che permette di separare i materiali solidi che vengono gettati impropriamente nel water e che. Pertanto, vengono portati a valle.Al rifugio Auronzo ci sono stati, sfidando con tutte le prudenze anche la pandemia, importanti lavori di ammodernamento ai piani ed è stata organizzata una terrazza esterna, con trenta posti a sedere. «Abbiamo un rifugio ancora più funzionale e accogliente» sospira di sollievo il presidente del Cai di Auronzo, Stefano Muzzi. Ma lassù, ai piedi delle Tre Cime, arriva la strada. «In molti rifugi si sale solo a piedi - ricorda Fiorentini - quindi per il trasporto si usa l'elicottero, molto costoso. E appunto i costi di ogni intervento sono a volte 10 volte superiori a quelli di pianura». In questi ultimi anni, le opere più frequenti (e costose) sono state e ancora sono quelle dell'efficientamento energetico. «Ma anche per questi lavori sottolinea i coordinatore dei rifugisti - bisognerebbe trovare percorsi condivisi». Da qui la necessità di un coordinamento. «Spesso ci troviamo a chiedere interventi indispensabili per evitare di chiudere la struttura per l'intera stagione - dice Roberta Silva, collega di Fiorentini per il Trentino - sapere di operare nella giusta direzione ridurrebbe le variabili che possono tenere l'attività bloccata per mesi, privando la montagna di presidi indispensabili». --Francesco Dal Mas © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 7 aprile 2022
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Birra Dolomiti e rifugi patto di collaborazione con i gestori veneti
PEDAVENA La birra prodotta nello stabilimento di Pedavena sale in vetta con l'obiettivo di promuovere i rifugi del Veneto e i prodotti locali. È stata avviata infatti una collaborazione tra Birra Dolomiti e l'Associazione dei gestori dei rifugi alpini del Veneto (Agrav), che vede anche la partecipazione del consorzio Dolomiti Prealpi per sostenere lo sviluppo e il radicamento dell'Associazione e fare squadra nella valorizzazione di un territorio dalle grandi potenzialità. Birra Dolomiti punta dunque a qualificarsi sempre più come la birra della montagna.Le ricette di questo prodotto realizzato a Pedavena sono realizzate con l'utilizzo di cereali cento per cento italiani e una selezione dei migliori luppoli europei.Tra gli ingredienti è presente anche malto da orzo delle Dolomiti, materia prima risultato di un progetto di filiera integrata nato nel 2006. E Birra Dolomiti sarà di casa in quei rifugi dietro i quali ci sono un pezzo di storia ed identità del territorio.La collaborazione prevede il supporto nella comunicazione dei rifugi attraverso le informazioni più utili per raggiungerli,
ma anche nell'organizzazione e nella promozione degli eventi per valorizzare questi luoghi.L'Agrav si dice «lieta della partnership con Birra Dolomiti per la comunione di intenti e perché servirà al rafforzamento della posizione dell'associazione all'interno del mondo dei rifugi veneti ed accrescerà la visibilità degli stessi». --Sco© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 8 aprile 2022
p. 3, edizione Belluno
Corriere delle Alpi | 14 aprile 2022
p. 23
Il cadorino Da Rin scelto per il "Dal Piaz" De Simoi: «Persona capace e appassionata»
cai di feltre
Si apre un nuovo capitolo nella storia del rifugio Dal Piaz, che cambia gestione dopo nove anni. La sezione Cai di Feltre, proprietaria dell'immobile, dopo una selezione in varie fasi delle candidature pervenute ha affidato la struttura a Giorgio Da Rin, un cadorino che vive in montagna e di montagna. Gestore di rifugio alpino in estate, boscaiolo in inverno, con precedenti esperienze in disgaggi e lavori di teleferica. Assieme alla sua compagna, nell'alto Tarvisiano ha gestito per diversi anni un rifugio del Cai, riuscendo a rilanciarlo e a sviluppare la sua frequentazione.«Non è stata una decisione facile quella del consiglio direttivo della sezione, dovendo scegliere tra qualificate candidature di diverso profilo ed esperienza», commenta il presidente Ennio De Simoi. «Alla fine hanno prevalso due elementi: la gestione in proprio della cucina da parte di Da Rin e l'esperienza diretta in molteplici attività manuali», spiega. «La gestione della cucina è stato un elemento importante di valutazione in un contesto economico come quello attuale dove è già molto difficile trovare un cuoco in strutture di fondo valle, figuriamoci in un rifugio alpino».Altro elemento di valutazione ricercato dal Cai è «l'individuazione di una persona capace di arrangiarsi in proprio in diversi lavori, in un ambiente non facile come è il vivere e l'operare in un rifugio, lontani come si è dal pronto intervento di un qualsiasi professionista o artigiano», prosegue Ennio De Simoi.«Ulteriore aspetto che ha fatto propendere per Da Rin è stata la sua esperienza di impiego oculato della risorsa acqua, con l'uso di stoviglie compostabili e la conseguente riduzione di acqua e detersivi».Negli ultimi giorni Giorgio Da Rin si è recato più volte al rifugio, ha contattato operatori locali dimostrandosi attento a tessere relazioni con la gente del posto, convinto nell'impiegare prodotti del territorio.«Salendo al Dal Piaz si è reso conto che sulle Vette c'è già una discreta frequentazione di escursionisti, tanto da volere aprire il rifugio già da maggio», dice il presidente del Cai di Feltre. «In questo suo desiderio la sezione si sta oltremodo impegnando con un investimento di oltre 20 mila euro in nuove attrezzature di cucina».I frequentatori delle Vette Feltrine saranno informati su apertura e iniziative varie previste in rifugio seguendo i canali social verso i quali il Da Rin ha dimostrato conoscenza e dimestichezza. Infine una bella notizia, come dice il presidente del Cai di Feltre, in merito al crescente numero di prenotazioni che arrivano da tutto il mondo: «Segno di crescente interesse e aumentata conoscenza che questo territorio sta acquisendo a livello globale. D'altronde siamo stati, assieme a Belluno, i primi al mondo ad aprire due alte vie, l'Alta Via 1 e l'Alta Via 2». --Raffaele Scottini© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 14 aprile 2022
p. 23
«Sono entusiasta Spero di aprire per metà maggio»
«Mi ha entusiasmato l'orizzonte ampio del rifugio Dal Piaz». È questo l'aspetto che ha attratto di più il nuovo gestore Giorgio Da Rin: «Per sette anni ho gestito un altro rifugio in un posto meraviglioso nelle Alpi Giulie, che però si trova proprio sotto pareti rocciose di 600-700 metri e avevo voglia di un nuovo orizzonte e di scoprire nuovi posti. Questa è una nuova avventura che comincia, con nuove zone da esplorare e nuovi clienti da accontentare. Questo mi ha stimolato più che altro. Ringrazio la sezione del Cai di Feltre per la fiducia». Giorgio Da Rin vorrebbe aprire il rifugio dalla seconda domenica di maggio: «Vediamo se ci riusciamo, perché ci sono un po' di aspetti tecnici da sistemare», commenta. «Mi aspetto di entrare in sintonia con il posto», dice ancora il nuovo gestore del Dal Piaz. «Quando sei in sintonia con un posto, puoi dare la massima accoglienza a tutte le persone cha passano di là. Anche far parte di un Parco nazionale non è una cosa da poco, è stimolante», aggiunge. «Non vedo l'ora di conoscere anche il presidente del Parco e i sindaci per cercare di avere un buon rapporto con tutti e una collaborazione che si proficua per tutti». Sco
Corriere del Trentino | 15 aprile 2022
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Rifugi, ricerca a ostacoli «Disponibilità ridotte» Silva: «I giovani ci sono ma non per tutta la stagione»
TRENTO Qualcuno si muove attraverso il classico passaparola, altri sfruttano la diffusione dei social media, pubblicando annunci sulla propria pagina. Ma il punto di partenza è lo stesso: «Siamo tutti nella stessa barca, trovare personale per l’estate è davvero difficile» spiega Sandro Magnoni, presidente della commissione rifugi della Sat. «I problemi ci sono, facciamo fatica» conferma anche Roberta Silva, alla guida dell’associazione rifugi del Trentino. L’avvio della stagione calda si avvicina anche per le strutture in montagna: per quelle gestite dalla Società degli alpinisti tridentini l’apertura tradizionale è fissata a fine giugno. Ma molti rifugi, soprattutto quelli collocati a quote meno impegnative o quelli non gestiti dal sodalizio, spesso anticipano questa data. Magari con aperture solo nel fine settimana. O magari con qualche iniziativa specifica. E la garanzia di poter contare su uno staff preparato e motivato rimane fondamentale, ancora di più in montagna, dove l’ambiente non
offre tutte le comodità della città e del fondovalle. E dove è necessario far fronte ad eventuali problemi anche fuori dai normali orari. «Il rifugio — osserva Magnoni — è una struttura particolare, lavorarci non è come fare la stagione altrove». E per questo, la motivazione diventa spesso la leva sul quale fare affidamento: «Chi è appassionato di montagna riuscirà più facilmente ad affrontare i mesi in quota». Che significano settimane lontani dalla città e da gran parte delle comodità. Ma che allo stesso tempo regalano panorami che, in valle, difficilmente possono essere replicati. In queste settimane, in Rete, le strutture che pubblicizzano i loro annunci sono tante. Si va dal cameriere al tuttofare, dal cuoco al lavapiatti (lo staff di cucina è il più ricercato e il più difficile da trovare). Al rifugio Pertini, in val di Fassa, ad esempio, si cercano un cuoco (o una cuoca), un cameriere, un portatore-tuttofare e un lavapiatti. Offrendo vitto e alloggi in rifugio, oltre a un appartamento in paese. Al rifugio malga Ritorto, a Pinzolo, la ricerca è di un cuoco e di un aiuto cuoco. Mentre al rifugio Roda De Vael la ricerca — pubblicizzata qualche settimana fa sulla pagina Facebook — è per due cameriere di sala e camere e un lavapiatti. «Trovare personale, oggi, non è la cosa più semplice» ammette Roberta Silva, rifugista proprio del Roda de Vael. La cui riflessione si intreccia con quella di Magnoni: «Lavorare in un rifugio è un’esperienza particolare. È vero che ci sono strutture vicine al paese, ma spesso vuol dire trascorrere mesi in quota». E i giovani «spesso preferiscono essere più liberi, poter uscire la sera». In realtà, spiega Silva, i giovani non mancano: studenti, universitari, «dai 16 anni in su». «Ma spesso — prosegue la rifugista — sono disponibili solo a luglio e agosto. O solo per un periodo durante l’estate. La nostra stagione, però, dura da giugno fino all’autunno. Speriamo che alla fine vada tutto bene come sempre».
Corriere delle Alpi | 23 aprile 2022
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Il decano Fiorentini «Le nuove tecnologie hanno il mestiere di rifugista»
Il personaggio Gianluca De Rosa Professione? No, vocazione. Quella del rifugista è una missione. Decidere di ritrovarsi, un giorno, a gestire un rifugio di montagna è una spinta mossa dal cuore e non dal portafogli. Una scelta di vita, fatta di sacrifici e rinunce. E non basta "svegliarsi presto per godersi l'alba ad alta quota" a rimettere in pari la bilancia. «Non esiste un percorso di preparazione all'attività di rifugista», spiega Mario Fiorentini, rifugista "con i capelli bianchi" e rappresentante del settore in qualità di presidente di Agrav, associazione che raccoglie i gestori dei rifugi alpini veneti: «Non si diventa rifugisti per caso o spinti da motivazioni di natura economica. Non è un lavoro come un altro, sfugge alle dinamiche quotidiane. Rappresenta un percorso, lo stesso che gli escursionisti sono tenuti a fare per raggiungere le alte quote. E quando l'escursionista raggiunge la meta, rappresentata dal rifugio, il suo gestore dev'essere bravo a coglierne la gratificazione». «Il rifugista», sottolinea Fiorentini, «deve essere bravo a trasmettere il legame col territorio. Questo si fa solo se si è realmente collegati al contesto. L'escursionista capisce subito chi ha di fronte e questo è un dettaglio che alla lunga determina l'appeal o meno del rifugio e, di conseguenza, del suo rifugista».Sulle Dolomiti bellunesi esistono diversi tipi di rifugi: significa che ci sono anche diverse tipologie di rifugisti?«Sono le circostanze a determinare la differenza tra un rifugio e l'altro. Un rifugio alpino lontano da strade carrabili, sentieri silvopastorali o impianti di risalita vanta una clientela ben definita. Le comodità spingono il rifugista a doversi trovare una propria strada. Sembra un paradosso, ma in questo contesto le comodità rappresentano, per il rifugista, una potenziale difficoltà. I rifugi che, per caratteristiche, vantano presenze importanti sia d'inverno che d'estate, sono chiamati a cambiare pelle continuamente pur di riuscire a soddisfare le richieste sempre crescenti dei clienti. Chi raggiunge un rifugio d'alta quota dopo aver percorso ore ed ore lungo un sentiero, cercherà poche e semplici cose mettendo di fatto il rifugista nelle condizioni di fare il suo "vero" lavoro. Sono queste le condizioni che determinano le caratteristiche del rifugio e il più delle volte non dipende dal fatto che la struttura sia bella o meno. Nel rifugio si cerca l'accoglienza e in questo contesto diventa fondamentale il lavoro del rifugista. Ad alta quota la bellezza architettonica non interessa così come alcuni servizi che, invece, diventano fondamentali quanto più comodo da raggiungere è il rifugio».Come è cambiato il lavoro di rifugista nel tempo? «Oggi bisogna essere davvero preparati. Non ci si può improvvisare, come invece avveniva un tempo quando le caratteristiche più richieste erano quelle di esperti di montagna. Un tempo i rifugisti erano guide alpine o esperti alpinisti. Si interveniva se un escursionista si perdeva o si ritrovava in difficoltà lungo i sentieri, perché non avevano altri a cui chiedere aiuto. La tecnologia ha cambiato tutto. Il resto lo hanno fatto le richieste sempre più crescenti dei clienti che hanno portato il rifugista a frequentare corsi specifici volti a migliorare l'accoglienza, soprattutto a tavola. Un tempo il cliente mangiava quello che trovava, oggi alcuni rifugisti fanno concorrenza ai più quotati ristoranti stellati di città. Nei rifugi di una volta non esistevano le camere con bagno. Si prestava attenzione ad altro, l'accoglienza in primis, il legame rifugista-escursionista per passare al panorama circostante. Oggi tutto questo è rimasto, ma il fruitore non disdegna il bagno in camera e una buona proposta culinaria».Quanto è redditizio il lavoro di rifugista?«Anche in questo caso il distinguo è d'obbligo ma di base chi sceglie di fare il rifugista come detto non lo fa per motivi economici. Anche perché il gioco, in questo caso, non vale la candela. I rifugi aperti tutto l'anno riescono a far vivere anche intere famiglie. L'attrazione dei soldi, però, non porta al risultato. Basti pensare a quelle centinaia di persone che si
sono candidate per la gestione del rifugio Nuvolau a Cortina. Basta poco all'occhio esperto per capire le reali intenzioni di chi si candida alla gestione di un rifugio. Non è un caso se la maggior parte di quelle domande sono state scartate». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 23 aprile 2022
p. 33
È il gestore del "Città di Fiume": «Presidio e luogo di cultura»
La storia Un tempo era malga Durona, situata su territorio di competenza dell'antica Regola di San Vito. Il tempo l'ha trasformata in un rifugio alpino, intitolato a chi quella struttura l'aveva nel frattempo rilevata e riqualificata: nasce con questi presupposti il rifugio Città di Fiume, di proprietà della sezione Cai di Fiume. Storia particolare ed al tempo stesso complessa, perché di fatto la sezione Cai di Fiume non ha una città di rappresentanza, come avviene per tutte le altre sezioni del Cai. La guerra ha trasformato Fiume in Rijeka, bella e accogliente città portuale non più italiana, ma croata. Eppure quella sezione ha continuato a vivere e operare sul territorio italiano. Ha mantenuto una sede a Padova, da dove muove le proprie fila direttamente dall'abitazione del suo presidente Mauro Stanflin. Detto della proprietà, inusuale per un rifugio di montagna, caso unico per quanto riguarda il territorio bellunese, dal 2006 il Città di Fiume è gestito da un "veterano" dell'alta quota, Mario Fiorentini, 62 anni, nativo di Conegliano e residente a Padova che 16 anni fa ha coronato il suo grande sogno. «Mi sono sempre occupato di verde, ma fin da ragazzo il mio sogno era quello di vivere in montagna e gestire un rifugio», spiega, «col tempo insieme a un gruppo di amici accomunati dalla passione per l'ambiente abbiamo fondato una cooperativa di educazione ambientale. Si chiama Arcanda ed oggi è l'ente che gestisce legalmente il rifugio Città di Fiume. Con gli amici che con me hanno fondato la cooperativa, in gioventù condividevamo l'esperienza universitaria a Padova». L'opportunità offerta dalla sezione Cai di Fiume ha fatto il resto. «Quando mi hanno assegnato la gestione del rifugio è stato un momento straordinario. È stato come andare sulla luna. Perché quel rifugio? Perché vantava le caratteristiche tipiche per mettere in pratica le nostre idee maturate in tempo di università. Non solo ricettività, ma presidio di montagna, aperto anche d'inverno. Luogo dove organizzare iniziative culturali ed eventi mirati alla conoscenza ed al rispetto della montagna. L'obiettivo è trasmettere i valori della montagna agli avventori. Il tempo ha premiato quella scelta».Inaugurato come rifugio nel 1964, il Città di Fiume si trova all'ombra del Pelmo, su territorio di Borca ma di fatto più vicino a Selva. «Cosa farò da grande? Intanto devo stare attento all'anagrafe, anche se non esiste per un rifugista un'età per andare in pensione», conclude Fiorentini. «Almo Giambisi, storico gestore del rifugio Antermoia, ha deciso di lasciare a 82 anni. Se penso a lui, ho ancora vent'anni di lavoro davanti. Scherzi a parte, fin quando le motivazioni reggono sarò qui, ma diventa importante, già ora, avere persone al fianco a cui riuscire a trasmettere la passione per la montagna e per la vita di rifugista». --DIERRE© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Trentino | 24 aprile 2022
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Rifugi e bivacchi da ripensare Sat ed esperti dettano la linea
TRENTO L’argomento, soprattutto in Trentino, spesso provoca scintille. L’ultimo esempio è quello del rifugio Tonini, sull’altopiano di Pinè, distrutto da un furioso incendio nel 2016, sulla cui ricostruzione pesa un dibattito costellato di polemiche. Del resto, la progettazione di edifici in un ambiente fragile come l’alta quota è tema delicato, che deve tenere conto di fattori spesso inesistenti in ambienti urbanizzati. Per questo, l’Ordine degli architetti trentini e il Circolo trentino per l’architettura contemporanea, con la collaborazione della Fondazione Dolomiti Unesco, Trentino Marketing e associazione rifugi trentini, hanno organizzato un ciclo di conferenze che affronterà proprio la questione della progettazione in quota. «Il rifugio per le nostre montagne — sottolinea il presidente degli architetti Marco Giovanazzi — ha un grande valore. Progettarlo significa tenere insieme il suo valore simbolico, la gestione quotidiana e le questioni ambientali, ormai inderogabili. D’altra parte è necessario riaffermare una nostra specificità in materia: il Trentino ha una sua cultura del costruire in quota e non possiamo semplicemente guardare ad altri modelli e copiarli. L’Ordine degli architetti crede fermamente nel valore del progetto come sintesi delle tematiche in campo e propone a tutti di avviare un dialogo che vada oltre le polarizzazioni che troppo spesso si sono delineate».
Una mano tesa al confronto raccolta in primis dai rifugisti. «Per noi gestori — conferma Roberta Silva, presidente dell’associazione rifugi — si tratta di un’occasione straordinaria. Da un lato condividiamo l’esigenza di discutere insieme sul modo migliore di inserire i rifugi nel fragile contesto ambientale che vogliamo custodire. Dall’altro c’è un’esigenza concreta, ovvero creare una sinergia più consapevole tra progettisti, costruttori, proprietari, gestori e istituzioni. Spesso ci troviamo a chiedere interventi indispensabili per evitare di chiudere la struttura per l’intera stagione; sapere di operare nella giusta direzione ridurrebbe le variabili che possono tenere l’attività bloccata per mesi, privando la montagna di un presidio indispensabile». Dialogo fondamentale anche secondo Anna Facchini, presidente della Sat. «Soprattutto in questi ultimi anni — spiega — è diventata ancora più evidente la necessità di coordinarsi tra proprietari, gestori, progettisti allorché si decida di avviare lavori consistenti di ristrutturazione, risanamento o ampliamento delle strutture alpine. È con questa consapevolezza sull’opportunità di una nuova modalità di interazione che dal 2021 abbiamo deliberato di ricorrere a concorsi di progettazione per specifici casi di risanamento o ristrutturazione dei rifugi». A indicare il quadro entro il quale muoversi è la Fondazione Unesco. «Quello del ripensamento dell’architettura in alta quota — osserva il presidente Mario Tonina — è un tema particolarmente importante per la fondazione». Che si inserisce, tra l’altro, nelle riflessioni avviate durante la giornata mondiale della Terra. «Per quanto ci riguarda — prosegue Tonina — va detto che abbiamo sempre trovato gestori collaborativi». Un elemento prezioso: «Sono gli stessi rifugisti a interrogarsi per primi su come conciliare le esigenze funzionali al senso del limite. Un limite che la pressione turistica tende a spingere sempre un po’ più in là ma che la natura stessa dei luoghi e lo scopo delle strutture impongono di rispettare». Ma come conciliare, invece, i poli di un dibattito ormai annoso, tra chi sostiene la necessità di seguire la tradizione e chi spinge verso l’innovazione anche nelle terre alte? «Un equilibrio — risponde Tonina — è possibile. E proprio il confronto tra i vari soggetti coinvolti, dai rifugisti agli architetti, fino agli esperti di turismo, può indicare la strada da seguire». Si partirà dunque venerdì 29 aprile, nella sede Sat, con una giornata introduttiva dedicata alla definizione dello stato dell’arte — a livello culturale, sociale ed economico — della progettazione dei rifugi alpini in Trentino. Venerdì 13 maggio, sempre nella sede della Sat, si entrerà nel dettaglio della progettazione vera e propria dei rifugi, portando anche i punti di vista di costruttori e rifugisti e analizzando alcune esperienze concrete. Mentre il 20 maggio, ancora nella sede di via Manci, l’attenzione sarà focalizzata invece sulla progettazione dei bivacchi. L’iniziativa si chiuderà con due giorni di laboratorio progettuale, il 4 e 5 giugno, che porterà i partecipanti al rifugio Gardeccia in val di Fassa.
Corriere del Trentino | 24 aprile 2022
p. 2-3
Rifugio Pedrotti, al via il concorso di progettazione per la ristrutturazione
La ristrutturazione dell’ultimo piano del Rifugio Pedrotti alla Tosa, sul Brenta, sarà effettuata a seguito di un concorso di progettazione. Lo ha deciso la Sat, proprietaria della struttura. «Il Rifugio — specifica il sodalizio — nel corso degli anni è stato oggetto di singoli interventi di manutenzione ordinaria, tuttavia è ormai necessario un intervento più incisivo». E per effettuarlo, la Sat ha deciso di indire un concorso di progettazione in un’unica fase, «per arrivare a ottenere il miglior risultato in termini sia architettonici che ambientali». «Abbiamo pensato a un concorso — spiega la presidente Sat Anna Facchini — per ottenere da un lato una più ampia messa in concorrenza di idee e proposte progettuali, considerato il contesto paesaggistico particolare e di delicato equilibrio ambientale, e dall’altro la partecipazione di una più ampia collettività condividendo un percorso trasparente e visibile a tutti. L’auspicio è che questo sia solo il primo passo per una collaborazione allargata con gli ordini professionali». Le informazioni sono consultabili sul sito internet della Sat.
Corriere delle Alpi | 26 aprile 2022
p. 27
Rifugio, l’obiettivo è coniugare sostenibilità e innovazione
BELLUNO Un altro tema a cuore della Fondazione Dolomiti Unesco è quello dei rifugi. Tanti i corsi e le assemble organizzate con i gestori delle strutture delle terre alte per cercare di arrivare a un punto di incontro tra la necessità di un turismo sempre più sostenibile e le esigenze di chi vive e opera ad alta quota.«Per la nostra Fondazione», sottolinea la direttrice Mara Nemela, «il tema dei rifugi riveste un'importanza a dir poco cruciale. Negli anni questi presidi territoriali si sono trasformati da "accessorio", ovvero strutture di servizio al