3 minute read

Una persona deve manifestarsi pienamente a se stessa, non come il gigante dei suoi sogni o il nano delle sue paure

Intervista a MASSIMO GALIAZZO, educatore e vicepresidente dell’Associazione Equilibero Padova

“Una persona deve manifestarsi pienamente a se stessa, non come il gigante dei suoi sogni o il nano delle sue paure.”

Advertisement

Che rapporto ha con le persone che fanno parte di questa associazione, o per meglio dire, comunità?

Da quando ho fatto il servizio militare ho iniziato a lavorare nelle comunità di tossicodipendenti, poi nel 2008 ho fondato un’associazione per la montagna con progetti basati sul contatto della natura. Lavoro per una comunità minore, ma anche per altre due comunità maggiori il cui target è la dipendenza. Le comunità in genere fungono come una famiglia per queste persone, rispetto al mondo in cui erano abituati a vivere, in modo sregolato; esse impongono regole e le rendono molto contenitive. Talvolta quel contenitore lo odiano ma lo cercano, perché loro non sanno darsi le regole. Il percorso più lungo è quello madre-bambino, che può durare anche 6 anni. Quando si esce da queste comunità si diventa adulti e si cerca di ricostruirsi una vita. Le vite dopo queste comunità sono le stesse di una normale persona, ovvero cercare un lavoro, innamorarsi, cercarsi una casa e sopportare lo stress. La cosa curiosa è che si pensa sempre alle dipendenze da sostanze chimiche, ma esistono quelle che oggi prendono il nome di dipendenze patologiche: anche se togli le sostanze, rimane l’ossessione.

Cosa rappresenta per lei la montagna e cosa rappresenta per i malati?

La montagna è la mia passione e ho potuto trovare in essa dei modi di curare me stesso. Quando vedo la montagna mi sembra una cosa altissima. I tossicodipendenti pensano: non la raggiungerò mai, è troppo alta e io non posso farcela. Ma poi si scopre che bisogna entrarci in contatto e, quando lo si fa, ci si ricorda che siamo piccoli ma non siamo e non saremo mai insignificanti. Questo piccolo tentativo di toccarla, di iniziare a prenderci confidenza, ci fa capire che prima o poi ce la si può fare. È curioso il fatto che anche qua c’è il rapporto tra invincibilità e fallimento. Questa cosa la raccontano anche le leggende delle Dolomiti, in cui i proprietari delle montagne sono dei nani. Un altro problema è che a volte si pensa di essere i re del mondo. Bisogna invece pensare che le montagne non possono essere possedute, sono fatte per passarci una giornata o un pomeriggio, ma non ci si può abitare.

Lei parla di invincibilità. Ma che rapporto hanno, in realtà, con la marginalità, con la fragilità?

Quando a 26 anni sono entrato in contatto con loro, ho notato che l’invincibilità ed il fallimento vanno a braccetto. La fragilità non va vinta, ma va superata. Per questo molte persone entrano nell’uso di queste sostanze. Per esempio, se mi piace una ragazza anche

se ho paura vado là, la conosco e magari ci potremmo volere bene. Ma se non succedesse? Alcuni pensano: mi tiro una pasticca, bevo e mi ubriaco, ma alla ragazza magari piacevo così, e non le piaccio più ora; poi che cosa ho risolto. Inoltre le droghe creano vere e proprie illusioni: la cocaina genera ad esempio la sensazione di invincibilità sessuale, ma rende impotente. Una persona deve manifestarsi pienamente a se stessa, non come il gigante dei suoi sogni o il nano delle sue paure.

Non perde mai la fiducia quando i malati non la ascoltano?

Perdo tante volte la fiducia, e a volte mi chiedo mai se funzionerà. Quando ero più giovane avevo molta speranza. Oggi invece è come camminare; si vorrebbe arrivare in cima alla montagna subito, ma bisogna farlo passo per passo. Quando perdo le speranze, capita che i malati tirino fuori il meglio di loro. Alcuni ragazzi che ho incontrato erano diventati dei manipolatori, ed ora sono dei commercianti o delle guide turistiche. Una frase simbolica è: se zoppichi non è una cosa bella, ma se zoppichi con stile è un gran vantaggio.

Oggi uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 è riuscire a far sentire le persone con fragilità/disabilità sempre più incluse. Che cosa vuol dire per lei inclusività?

Quando sono in montagna sento che essa include tutto, compresi noi, nonostante la inquiniamo e la sfruttiamo. Ci fa capire che le difficoltà possono essere sempre superate e che la casa non sono le quattro mura che ci circondano ma sono le cose che ci danno sicurezza. L’inclusività è riuscire a vedere i problemi non come una condanna ma come una montagna da superare.

Data dell'intervista: 28/03/2020 Modalità di realizzazione: videoconferenza in Skype Intervistatori: Lanaro Martino, Lorenzo Schmidt Istituto: Liceo Antonio Rosmini Rovereto Classe: 1 Sezione: EM Scienze applicate

This article is from: