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La disabilità insegna

Intervista a FABRIZIO TAGLIAFERRI, Maresciallo capo della guardia di Finanza, volontario per attività sportive con persone con disabilità

Cosa ti ha spinto a collaborare con le persone disabili? E in cosa consiste il tuo aiuto?

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Sapevo che c’era una associazione a Predazzo che faceva fare sport ai disabili e ho voluto provare anch’io. Mi sembrava una bella cosa in cui impegnarmi, quindi ho fatto un corso di tre giorni sulla disabilità; mi hanno insegnato come avrei dovuto comportarmi e cosa avrei dovuto sapere sulle varie disabilità ad esempio con un paralitico, un tetraplegico, un non vedente o un down. In base alle patologie avrei dovuto attuare strategie diverse. Dopo un paio di anni mi hanno chiamato perché gli serviva qualcuno che si occupasse di una persona autistica; da allora ho iniziato ad andare sempre. Lo scopo della nostra attività è permettere di fare sport ai disabili. Le attività sportive che insegno sono tante: corsa, sci, rafting, tiro con l’arco, tandem, escursioni in montagna ecc. Bisogna creare un rapporto di piena fiducia con i ragazzi, i quali hanno bisogno di te per poter praticare le varie attività. Pensate, ad esempio, come si fa a far sciare i non vedenti: loro scendono dalla pista solo ascoltando i comandi vocali che gli fornisci costantemente, ma grazie a questo riescono a sciare al pari di qualsiasi persona. È un impegno serio fare il volontario, devi organizzare la tua vita pensando anche a queste persone che hanno bisogno di te rispetto al tuo modo di vivere. Io per esempio su 4 settimane di ferie all’anno ne dedico 2 a loro, di conseguenza mi organizzo come se facessero parte della mia famiglia.

Che cosa hai provato le prime volte che ti incontravi con loro?

Sicuramente all’inizio ero molto agitato, avevo una preparazione data dal corso e quindi sapevo che tipo d’approccio avrei dovuto attuare. Al corso mi era stato insegnato che dovevo comportarmi con loro come fossero persone normali. Ad esempio ad un non vedente, quando lo devo salutare, gli dico tranquillamente: “ci vediamo domani”. Non si deve trattare un disabile come se non fosse capace di fare niente, sono persone che hanno delle disabilità ma anche grandi risorse e su quelle noi dobbiamo lavorare.

Che rapporto sei riuscito ad instaurare con loro? E quali sono le ricchezze che ti trasmettono?

Ho instaurato un rapporto di amicizia con tutti. Mi sento telefonicamente o tramite facebook anche con disabili con cui ho lavorato 20 anni fa. Ad esempio un giorno avevo portato dei ragazzi fino a un lago alpino, facendo una strada accessibile con le carrozzine; poi dalla baita fino alla riva del lago li ho portati uno alla volta sulla schiena. Arrivati in cima, abbiamo scattato tantissime foto e uno di loro mi

disse: “tu non hai idea di cosa sia per noi avere una foto in riva al lago alpino, è una cosa che fino a qualche anno fa era impensabile”. E questo non fa che renderti gioioso, per aver collaborato a qualcosa che senza il tuo aiuto non sarebbe stata per loro possibile da realizzare. La ricchezza più grande è che ti porta ad affrontare la vita più tranquillamente. Qualunque problema tu possa avere, di fronte ai grandi problemi che hanno loro, viene ridimensionato. Impari ad affrontare la vita con più semplicità, perché di fatto noi non abbiamo grandi problemi che non si possano risolvere. Ho imparato che loro, anche se sono disabili, sorridono e si impegnano per superare i loro ostacoli e raggiungere degli obiettivi.

Hai avuto relazioni con i loro familiari? La loro opinione sulla persona corrispondeva con l’idea che ti sei fatto tu?

Sicuramente è importante il confronto continuo con i genitori, i quali ti informano su alcuni aspetti particolari; per esempio, se qualcuno ha comportamenti anomali chiedo se quei gesti intendono dire qualcosa o se è autistico quali sono le sue paure. Spesso sono i genitori che ti impediscono di far fare delle attività al ragazzo. Se sono da solo con un ragazzo autistico piano piano riesco a insegnargli a sciare, mentre se è presente un genitore è più difficile. Ad esempio mi chiedono: “Perché non usa i bastoncini che usano tutti gli sciatori?’”, non sapendo che non è per discriminazione, ma perché all’inizio per imparare a sciare, (è così anche per i bambini), loro non usano i bastoncini perché non solo non servono a niente ma fanno più confusione”. Spesso i genitori sono iperprotettivi e ti impediscono di lavorare bene, è più difficile relazionarsi con i genitori che con i disabili, ma è utile averli presenti come punti di riferimento.

Secondo te cosa pensano i ragazzi che segui e come vivono queste loro disabilità nella nostra società?

I disabili che vengono a fare l’attività sportiva si sentono normalissimi, anzi alcuni non vedenti si rendono conto che fanno più cose di un normodotato. Esistono delle realtà in alcuni paesi, soprattutto nel sud, nelle quali un disabile viene tenuto a casa, perché la famiglia per vergogna non vuole farlo vedere alle altre persone; per fortuna le cose stanno cambiando... Non siamo più nel medioevo! I disabili che seguo non si sentono inferiori a me, anzi: quando io utilizzo un monosci faccio una fatica mostruosa e mi tirano anche i muscoli dei piedi, mentre i paraplegici, essendo paralizzati agli arti inferiori, non sentono niente dal pettorale in giù, ed una volta che hanno imparato riescono a sciare con facilità. Ancor oggi mi stupisco di come riescano a farlo, ti assicuro che è difficilissimo anche per noi.

Data dell’intervista: 17/04/2020 Modalità di realizzazione: videochiamata Intervistatori: Marika Zomer Istituto: Liceo Antonio Rosmini Rovereto

Classe: 4 Sezione: DM Scienze applicate

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