4 minute read

Fragilità è incertezza, ma anche forza

Intervista a ELENA VALLORTIGARA, Carabiniere scelto dell’Arma dei Carabinieri e campionessa italiana di salto in alto

Com’è nata la tua passione per questo sport?

Advertisement

I miei genitori mi hanno portato allo stadio di Schio, quando avevo 8 anni. Dopo aver fatto altri sport sempre in ambienti chiusi, hanno optato per uno all’aria aperta. Quello che mi è piaciuto da subito è l’estrema varietà dell’atletica leggera, con tutte le discipline che compongono questo sport: c’è davvero spazio per tutti; il fatto di essere protagonista, per l’individualità della propria attività e per il fatto che questa non sia subordinata alla decisione di altri; ne consegue (ed è una caratteristica che apprezzo) l’avere una pressoché totale assunzione di responsabilità, nel bene e nel male. Il salto in alto, in particolare, mi ha attratta fin dalle prime prove: nonostante l’elevato contenuto tecnico, saltare mi riusciva naturale e anche bene. Perciò l’ho sempre preferito alle altre specialità. Sono sempre stata un’agonista e vincere alle gare e riuscire a misurarsi spesso con i propri limiti mi dava grande soddisfazione.

Hai mai pensato di mollare, per alcuni problemi?

Assolutamente sì. La prima volta è stata circa a 15 anni, dopo aver stabilito il nuovo record italiano cadette. Il motivo era che in generale venivo riconosciuta più per “la Vallortigara - quella che salta” che per “Elena - e basta”. È stato faticoso riuscire ad integrare questi due aspetti della mia vita, quello personale e quello (che poi è diventato) professionale. Ricordo di essere andata anche per la prima volta da una psicologa, per riuscire a gestire al meglio questa situazione che mi faceva soffrire. Altre motivazioni per smettere sono stati gli infortuni, o meglio il fatto di non vederci chiaro, di avere paura che la mia convinzione di riuscire a tornare a saltare alto fosse, in realtà, solo un’illusione. A questo proposito devo ringraziare chi mi è stato vicino e mi ha sostenuta, concretamente e moralmente, in particolare la mia famiglia e il Gruppo Sportivo Forestale, poi accorpato al Centro Sportivo Carabinieri. Da sola non ce l’avrei fatta.

Essere donna ti ha creato delle difficoltà nell’ambiente sportivo? Quali e come le hai gestite? Ricordi un episodio in particolare?

Non posso parlare di vera e propria difficoltà nella mia esperienza personale, ma c’è sicuramente una palese divergenza di atteggiamento nei confronti delle donne. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, lo sguardo al mondo maschile è molto più incentrato sulla performance che sull’estetica, succede il contrario per il mondo femminile. Un grosso passo in avanti fatto recentemente è stato quello, grazie ad un’atleta americana, di differenziare i contratti di sponsorizzazione, considerando la possibilità di gravidanza per

una donna e, quindi, riconoscendo che uno stop dell’attività poteva avere anche gravi ripercussioni sui guadagni della stessa.

Che cos'è per te la fragilità?

Fragilità è incertezza, ma anche forza. Ognuno di noi ha dei punti deboli, delle aree fragili, ma la consapevolezza per me è tutto. Esserne a conoscenza mi rende più forte, perché so su cosa devo lavorare, e quindi migliorare, oppure sfruttare in senso positivo. Parlo di fragilità sia a livello caratteriale che a livello fisico: so di essere sensibile, quindi, so che certe situazioni possono mettermi in difficoltà più di quanto succeda ad altri, ma so anche che questa mia caratteristica mi fa vivere tutto con intensità; così come a livello fisico so di avere delle zone fragili, come le caviglie, ma saperlo mi fa stare più attenta e mi fa concentrare di più con il lavoro. Apprezzo le mie fragilità perché mi piace la persona che sono e so di avere sempre margine di miglioramento.

Cosa vogliono dire per te le parole sacrificio; volontà; difficoltà?

Sacrificio non mi piace molto, preferisco impegno. Sacrificio per me implica un dover fare qualcosa che non mi piace, il sacrificio appesantisce. Nella mia vita l’unico momento in cui ho sentito le mie scelte come sacrifici è stato quando non avevo risultati, eppure volevo continuare ad essere ligia al dovere. In qualsiasi altro momento, ogni mese lontana dalla mia famiglia, ogni uscita con gli amici persa, ogni estate passata ad allenarmi, è stato solo una parte del mio impegno per ciò in cui credo, per raggiungere un obiettivo. La volontà è la forza, il desiderio profondo necessario a raggiungere qualsiasi obiettivo ci si ponga. Deve essere intrinseco, nessuno ci può convincere se non noi stessi. È il motore che ci muove. La difficoltà dipende dalla percezione di noi stessi e della situazione. Quando ho saltato 2 metri per la prima volta, e poi 2.02, sentivo che ce l’avrei fatta, non era difficile. Poco più di un anno, in un momento particolarmente buio per me, pensare di farlo mi sembrava la cosa più difficile del mondo. Stare bene con se stessi già fa vedere tutto molto più semplice.

Data dell’intervista: 16/04/2020 Modalità di realizzazione: e-mail Intervistatori: Hajar Mounib Istituto: Liceo Antonio Rosmini Rovereto Classe: 1 Sezione: EM Scienze applicate

This article is from: