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Editoriale

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Germaine Krull

Germaine Krull

Facebook è un applicativo che ha sdoganato la connessione virtuale estesa a tutto il pianeta. Senza entrare in alcuna indagine approfondita su se stesso, piuttosto che sulle consecuzioni che possono averne superata la diffusione capillare, rimane il fatto che è legittimo stabilire date e istanti: volente o nolente, c’è stato un prima e c’è un dopo. Per quanto Facebook abbia introdotto una socialità combinata di parole e immagini, nessuno si sofferma mai a considerare i soli vocaboli, per privilegiare, nelle proprie considerazioni, soprattutto l’immagine, in propria definizione di “fotografia”. Da cui, valori sensazionalistici relativi alla quantità di immagini postate quotidianamente in Rete, da qualsivoglia piattaforma preposta a farlo, che ogni giorno superano di gran lunga la quantità delle Fotografie realizzate nel corso della sua Storia espressiva. A noi non interessa questo fronzolo del ragionamento, che -onestamente- si estingue ancora prima di essere introdotto. Infatti, apparenza formale a parte, poche (o nessuna) delle immagini social conteggiate in quantità ha qualcosa a spartire con il linguaggio significativo della Fotografia, in quanto lessico e repertorio visuale. In parallelo, pensando alle sole parole, nessuna di queste può essere ricondotta al cammino della letteratura. Se non che, per la separazione tra parola e letteratura, potremmo essere tutti d’accordo; mentre, non è altrettanto chiaro lo scorporo tra immagine e Fotografia. Ma non è questo, neppure questo, il punto. L’attenzione che dobbiamo riservare alla fenomenologia social, quantomeno al suo aspetto quantitativo, è un tutt’uno di parole e immagini, ovverosia di comunicazione. Ecco qui, il punto: la dose di trasmissioni sulle quali possiamo sintonizzarci ogni giorno, ogni minuto, ogni istante della giornata (e della notte). Non sempre, quantità equivale a qualità; non sempre, quantità e qualità vanno di pari passo; non sempre, corrispondono tra loro, né si bilanciano. A parte capacità personali di individuazione delle fonti certe e accertate, rimane il fatto che la quantità è ormai la condizione principale e unica dei nostri giorni, durante i quali ciascuno, nel mondo, può esprimersi da e su un palcoscenico diretto a tutti, frequentabile da tutti. Così annotando, approdiamo alla metafora del falco pellegrino / Falco peregrinus Tunstallapace, rapace della famiglia dei Falconidi diffuso in tutto il mondo. Quando gli si presentano troppe prede, è tanto disorientato dalla quantità da non riuscire a scegliere, a decidersi... fino al punto di non acciuffarne neanche una. Per noi, in collegamento social, può accadere lo stesso: di non sapersi orientare nella quantità, fino a rimanere a bocca asciutta. Ovvero, indipendentemente dal riferirsi a parole (opinioni) o immagini (non necessariamente Fotografia, ma!), all’orizzonte, si sta profilando una condizione della quale dobbiamo tenere conto, alla quale dovremmo reagire, perché il tutto, diventa presto nulla. Come mi diceva mia mamma, nel suo raziocinio contadino, “il troppo stroppia”.

Ma, forse, è più colto riferirsi a Orazio (Quintus Horatius

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Flaccus; 65aC-8aC), dalle Satire (I, 1, 106-107): «est modus in rebus sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum» / «esiste una misura nelle cose; esistono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto». Maurizio Rebuzzini

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