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Alle origini

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Di pacco in pacco

Di pacco in pacco

Tra tante altre componenti ed esperienze personali, la partecipazione individuale alla Fotografia, qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi, è sostenuta e sorretta anche dall’incontro con il pensiero altrui. In particolare, oltre il bagaglio conoscitivo di immagini e vicende, si sono avvicinate riflessioni e meditazioni che vanno sottotraccia rispetto quanto (tanto) è a tutti ben visibile. Allo stesso tempo e momento, accediamo / abbiamo avuto accesso a considerazioni di e in rimando: da-a.

A questo proposito, un ricordo soggettivo, che, dal privato dove nasce, si proietta oltre: nei primi anni Settanta, certamente sull’onda emotiva della prematura scomparsa di Ugo Mulas, mancato nella primavera 1973 (di nostro primo impegno redazionale con il mensile Clic), a quarantacinque anni, con coincidente imponente retrospettiva al Palazzo della Pilotta, dell’Università di Parma, approfondimmo il suo avvincente e fondamentale percorso d’autore. Tra i titoli mirati allora a disposizione, che nel corso del tempo sono poi cresciuti in quantità, uno in particolare fu determinante per noi, probabilmente addirittura risolutivo: La fotografia, in prima edizione Einaudi dello stesso 1973, che ancora/ soprattutto oggi sarebbe un testo del quale non fare a meno.

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Uomo colto e riflessivo, perfino della semantica del proprio agire fotografico, nelle sue considerazioni, Ugo Mulas richiama spesso proprie letture a tema, che interpella a testimonianza di pensieri e riferimenti. Tra i titoli che cita, uno in particolare è qui elevato ad assoluto: L’immagine latente

- Storia dell’invenzione della fotografia, di Beaumont Newhall (19081993; storico della fotografia e primo curatore del dipartimento di fotografia del Museum of Modern Art / MoMA, di New York). Allora disponibile in (inconsueta?) edizione Zanichelli 1969, da settecento lire, e fino a ieri rintracciabile soltanto in riferimenti bibliografici d’antiquariato, a settanta euro a copia (!), L’immagine latente è uno dei titoli latitanti dell’editoria italiana (secondo Ugo Mulas, si tratta del più importante per un fotografo e per chi frequenta la Fotografia). Molti lo citano, per quanto spesso a sproposito, pochi lo hanno effettivamente letto... anche in misura e dipendenza della sua irreperibilità. Ora, Mimesis Edizioni rimedia a questa mancanza e assenza con la pubblicazione di L’immagine latente - Storia dell’invenzione della fotografia, di Beaumont Newhall, nella sua collana Sguardi e Visioni: introduzione di Italo Zannier; 198 pagine 13x20cm; 20,00 euro. Dalla presentazione in quarta di copertina: «Come accaduto per numerose innovazioni tecnologiche, la fotografia non ha avuto un solo “padre”. Molte menti, in luoghi e periodi differenti, si sono adoperate per sperimentare nuove tecniche per catturare le immagini [ovvero, la natura che si fa di sé medesima pitL’immagine latente - Storia dell’invenzione della fotografia; di Beaumont Newhall; trice], ma soltanto nel introduzione di Italo Zannier; Mimesis Edizioni, Collana Sguardi e Visioni, 2020; gennaio 1839, quando 198 pagine 13x20cm; 20,00 euro. Lettura indispensabile, specialmente oggi. l’Académie des sciences di Parigi certificò

Beumont Newhall, in italiano: prima e antica edizione di L’immagine latente - Storia dell’invenzione della fotografia, Zanichelli Editore, 1969; Storia della fotografia, Einaudi Editore, 1997. Più recente edizione statunitense di Latent Image; University of New Mexico Press, Albuquerque, 1983.

il successo di Daguerre, vennero progressivamente alla luce i lavori di coloro che lo avevano preceduto, o che sostenevano di averlo fatto.

«Questo libro di Beaumont Newhall ripercorre gli albori della fotografia da un punto di vista tecnico-scientifico. Un percorso accidentato, niente affatto lineare, che mette in evidenza come un procedimento diventato presto universale sia nato dall’opera di pionieri che hanno lavorato molto spesso l’uno all’insaputa dell’altro».

Ecco qui il senso e contenuto di questa Storia dell’invenzione della fotografia, che non procede oltre l’annuncio e presentazione, approdandovi dalle numerose e articolate preorigini. In questo senso, non si arriva neppure alle prime esperienze sul campo, per le quali, se proprio vogliamo farlo, possiamo richiamare tempi e modi di collodio umido, dal 1851, post disegno fotogenico / calotipo (1839), a tutti gli effetti processi negativo-positivo dai quali ha effettivamente preso vita la Fotografia: il dagherrotipo originario, in copia unica, su sottile e delicata lastra d’argento, con visione difficoltosa, per quanto in alta nitidezza, e immagine rovescia.

Già: collodio umido. In tempi nei quali la stabilità chimica dei materiali (foto) sensibili e dell’immagine latente era pressoché nulla, la gelatina sensibile alla luce andava spalmata su lastre di vetro, che successivamente avrebbero composto e costituito il negativo fotografico, immediatamente prima dello scatto. Le lastre andavano utilizzate ancora umide, con tempi di posa sostanzialmente prolungati, e il trattamento di sviluppo andava eseguito appena dopo l’esposizione. È questo il motivo per il quale, come appare in incisioni dell’epoca, il fotografo doveva muoversi con un consistente bagaglio, comprensivo sia degli strumenti di ripresa sia delle attrezzature di sviluppo.

Da La scampagnata di un fotografo, di Lewis Carroll: «Concluso il pranzo, dopo aver ricevuto istruzioni su come raggiungere la casa contadina, ho fissato alla mia macchina [fotografica] la tenda per sviluppare le fotografie all’aperto, ho caricato il tutto sulle spalle e son partito per la collina che mi avevano indicato. [...] Dopo aver scelto la migliore prospettiva per la casa contadina, in modo da includere nella foto[grafia] un allevatore con la sua mucca, [...] ho tolto la protezione dell’obiettivo. In capo a un minuto e quaranta secondi l’ho rimessa. [...] Con impazienza, tremando, ho infilato la testa sotto la tenda e ho iniziato lo sviluppo».

E, poi, in allineamento con la Storia dell’invenzione della fotografia, in proprie origini e ispirazioni ideologiche, ancora alla propria preistoria. Dotata di una vera e propria lente (obiettivo), per secoli, la camera obscura -sulla quale la Fotografia ha confezionato i propri strumenti- fu usata da molti pittori come ausilio per il disegno dal vero (due nomi, sopra tutti: Bernardo Bellotto [1722-1780; nipote di Canaletto, figlio di una sorella] e Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto [1697-1768]).

In genere, e in generale, quando si pensa a certa preistoria fotografica in forma di pittura (diciamola e semplifichiamola così), si è soliti riferirsi unicamente a questi debiti di riconoscenza con la costruzione prospettica in forma ottica.

Quindi, è evidente: sia consapevolmente, quanto soprattutto inconsapevolmente, la visione e costruzione fotografica avrebbe profondi debiti di riconoscenza con la pittura di Canaletto (e dei vedutisti del Settecento). A differenza, noi non pensiamo tanto e soltanto alla finalizzazione della camera obscura per la definizione prospettica dei piani (ribadiamo: dotata di una vera e propria lente/obiettivo, la camera obscura fu usata da molti pittori come ausilio per il disegno dal vero), quanto ci riferiamo proprio allo sguardo e luce.

Quindi, richiamando una ipotesi di pre-fotografia in forma pittorica, consideriamo soprattutto un altro debito con la pittura di Caravaggio (Michelangelo Merisi; 1571-1610), alla quale attribuiamo una certa idea di “istantanea” della visione, oltre alla sapiente distribuzione della luce all’interno della composizione.

In tutti i casi, si tratta di rappresentazioni eccezionali che hanno influenzato il linguaggio fotografico (e che possiamo conteggiare “fotografia”, così come l’intendiamo: luce, composizione e capacità di sintesi visiva), e che dovrebbero appartenere al bagaglio di conoscenze e competenze di tutti coloro i quali si occupano di Fotografia e realizzano Fotografie, sia con connotati professionali sia con intendimenti non professionali.

Infatti, attenzione! Non ci si faccia ingannare dalla sembianza. Non si tratta soltanto di raffigurazione prospettica (apparenza a tutti evidente), ma di intenzione rappresentativa.

Dall’immagine latente. ■ ■

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