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Diversi da chi?
Subito detto. Qui e ora non si scrive di Fotografia (forse), in qualunque modo la si possa intendere e qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi. È doveroso rilevarlo, per quanto siamo coscienti di deviare da un percorso netto e prestabilito (per l’appunto, Fotografia, in intenzione FOTOgraphia). È doveroso rilevarlo, perché -qui e ora- la Fotografia potremmo non riuscire a inserirla, neppure di striscio, neppure in tangente, neppure per metafora (né, del resto, intendiamo farlo).
Ciò premesso, ci accodiamo a uno dei dibattiti latenti nel nostro paese, che per il proprio solito viene affrontato e discusso su base giornalistica: un poco dai periodici; molto di più dal palinsesto televisivo. Immediatamente, a fior di pelle, è questo secondo palcoscenico che ci fa paura, perché risponde soprattutto alla società dello spettacolo, con annessi e connessi. In argomento, ora: ci stiamo riferendo alle prese di posizione, all’alzata di scudi, a favore di... cause nobili, per quanto molte di queste siano addirittura scontate, se non che le relative spettacolarità introducono protagonismi fuori luogo.
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In stretto ordine temporale, il caso più recente riguarda lo scorso venticinque novembre, elevato a Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134, del 17 dicembre 1999, con invito generale a organizzare e svolgere, in quel giorno, attività indirizzate a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
Sinceramente? Ci mancherebbe altro! E lo stesso dicasi per ogni altro tema sociale, che può essere maturato nel pensiero sempre evolutivo della società attuale, anche solo rispetto tempi precedenti. Solo che, per dati certi, è stato certificato che le violenze domestiche riguarderebbero il settanta percento delle famiglie italiane, senza alcuna distinzione di ceto, cultura e percettibilità sociale. Da cui, due considerazioni, almeno due: chi esercita violenza sulle donne, spesso ha le chiavi di casa; ogni
volta che siamo in dieci, magari su un mezzo pubblico, sette stanno andando a casa ad aggredire la moglie. Questo doveroso dibattito è arrivato in superficie dopo la soluzione di questioni precedenti, tutte dipendenti dall’atteggiamento da riservare agli altri, soprattutto se diversi da noi, sia in misura evidente (colore della pelle, per esempio), sia in maniere meno visibili (disagi individuali). Già: ci mancherebbe alSoggetto della campa- tro! Come se i soggetti (nello gna stampa Schesir specifico non le donne, ma 2014-2015, al quale si i loro persecutori) si presensono abbinati spot tetassero al pubblico televisivo, rivelandosi: picchio i figli, levisivi analogamente picchio mia moglie, importudeclinati: dal QRcode no le colleghe, evado il fisco, finale, verso YouTube rubo nei negozi, denigro e (spot 2017). umilio i deboli, opprimo, sottometto e anniento gli altri. E qui, contrariamente all’incipit, entra in gioco una certa colpevolezza della Fotografia. Con il fotogiornalista Tano D’Amico, conscio e consapevole del dietro-le-quinte del linguaggio fotografico, nel capitolo Fotografia e società del suo eccellente pamphlet Fotografia e destino. Appunti sull’immagine, in edizione Mimesis: «Dietro la bellezza formale degli scatti di celebrati maestri occidentali si nasconde il tentativo continuo, incessante, di fa sentire “gli altri” come intrusi nella storia, che è occidentale per
FOTOgraphia Archivio definizione. Una storia che magnifica una civiltà ricca di bellezza impareggiabile, di cui i non-europei e i non-bianchi non possono godere. La bellezza di quelle fotografie ha dato una parvenza di verità a ciò che vedeva lo sguardo dell’alta borghesia bianca, al potere in Europa e nelle colonie. Schiacciando e offuscando con amabilità lo sguardo degli altri. La fotografia dei soddisfatti è stata imposta come la fotografia di tutti. Una fotografia a mo’ di ciliegina sulla torta della vita. Per quelli per cui la vita è una torta.
«Per gli altri, la fotografia somiglia più alla carne, al sangue della vita. Può essere carne e sangue, può costare carne e sangue.
«La fotografia dei soddisfatti è stata imposta ai sottomessi e ai vinti. La forma, la buccia senza frutto, il surrogato della poesia. Che dei drammi dell’umanità fa un inutile involucro. Le pene del mondo sono ridotte e immagini gradevoli e consumabili, buone per ornare scatole di cioccolatini o barattoli di caffè. Mi torna in mente l’acritica arroganza dei miei ricchi compagni di scuola [in stile Cuore, di Edmondo De Amicis, tra le cui fila si salva soltanto Franti]. Si identificavano con i più forti. Erano rampolli dei più forti. Il potere affida alla fotografia, fin dalle sue origini, lo sciagurato compito di dividere gli uomini».
Che dire, ancora e di più? Soltanto... sollecitare il rispetto verso gli altri e -soprattutto- i diversi.
Da e con le avvincenti campagne pubblicitarie Schesir, di alimenti per animali domestici (pet, nel gergo acquisito), in annunci stampa e spot televisivi: «Con loro puoi essere naturale. Al 100%». Nello specifico: Con il tuo cane non devi parlare per forza; Al tuo gatto non importa se hai un colore diverso; Al tuo gatto non importa se sei troppo colorata; Non ti giudica da come ti vesti; Non ti giudica dalla macchina che possiedi.
Davanti agli altri! ■ ■
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