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Editoriale
Questa volta, senza acrostici, perché ci basiamo su un testo altrui, ispiratore di una volontà ottimistica con la quale affrontare i disagi che da un anno stanno accompagnando la nostra vita, condizionandola perfino. Comunque, quantomeno qui, per lo meno ora, non si tratta di discutere una volta ancora, una di più e -certamente- una di troppo sulla pandemia che ci ha travolti, subordinandoci a ritmi esistenziali controllati e accertati. Quanto, invece, è opportuno riflettere su come affrontare e svolgere la resistenza privata e quella nel/del proprio lavoro, in tempi e con modi limitati e controllati da una serie di regolamentazioni mediche e sociali oggettivamente disarmanti, se non altro nel proprio ascendente sul quotidiano di ciascuno di noi. Quindi, avviliti da infiniti vincoli e obblighi e altro ancora, viviamo un clima incerto (nel proprio presente e, soprattutto, verso ambiguità future) che non consente concentrazioni sulle nostre rispettive materie d’azione, tra le quali, per quanto ci riguarda, la Fotografia. È semplicistico affermare “ce la faremo”; è banale declinare prospettive vittoriose, solo in virtù di uno spirito (italiano ?!) vantato come indomabile e imbattibile (anche attraverso annunci pubblicitari): ma quando mai! Quando, come ora, per mille motivi, anche di improvvisazioni politiche, «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie» (Giuseppe Ungaretti; 1888-1970 / Soldati, del 1918), non rimane che agire per e con se stessi. Magari, in atteggiamento ottimistico. Perché no? Qui di seguito riprendiamo dal romanzo Forse ci sarà un pony, di Jim Kirkwood (1924-1989), in edizione Garzanti, del 1963, dall’originario There Must Be A Pony!, del 1960 [con moderate e modeste correzioni di sintassi, rispetto la stesura originaria]. Maurizio Rebuzzini
Caro Cosmo, le storie ti sono sempre piaciute, così te ne racconterò ancora una. Devo iniziare con c’era una volta? Sì, perché tu rappresenti tutti i c’era una volta della mia vita. Dunque, c’era una volta uno psichiatra che aveva due figli gemelli di otto anni. Uno era un inguaribile pessimista, l’altro un inguaribile ottimista. Il padre era preoccupato e fece un esperimento. Alla vigilia di Natale, riempì la stanza del pessimista di tutto quello che un ragazzo può desiderare; e riempì quella dell’ottimista di sterco di cavallo. La mattina seguente, sul presto, andò a controllare le reazioni. Il pessimista sedeva tra i giocattoli, i libri, gli attrezzi sportivi: stava là seduto, a guardare con sospetto quei regali, cercando di capire dove era la trappola. Il padre sospirò e andò nella stanza dell’altro ragazzo. Quando sbirciò dalla porta, vide il figlio immerso fino alla cintola nello sterco, e lo spalava per aria, buttandoselo alle spalle e ridendo, come diresti tu, Cosmo, come un ossesso. «Figliolo,» -chiese il padre- «che ti succede! Perché sei tanto allegro?». Il ragazzo si volse, sempre ridendo, e rispose: «Accidenti, papà, con tutto questo sterco di cavallo... deve esserci un pony!».
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Dunque, Josh, non fare come ho fatto io, fai come ti dico. Cerca il pony che io non sono riuscito a trovare. E anche se non lo troverai mai, vivrai la tua vita cercandolo. È più divertente così. Con affetto, Ben.