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Siamo vecchi?
/ QUI INTORNO / SIAMO VECCHI?
ME/NOI SIAMO VERAMENTE NOIOSI LAUDATOR TEMPORIS ACTI, PRIVI DI SENSIBILITÀ CONTEMPORANEA?
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di Lello Piazza
Una domanda mi perseguita. Anzi credo che perseguiti “me/ noi”. Perché la domanda non riguarda solo “me”. Anche “altri” se la pongono. Eccola: me/noi siamo veramente noiosi laudator temporis acti (lodatori del tempo passato; Orazio, Ars poetica, 173). Me/noi siamo veramente privi di sensibilità per le più recenti espressioni artistiche?
È un dubbio che me/noi ci perseguita da anni. Sono stati i critici di oggi, i curatori di mostre, i moderni sapienti a farcelo venire. La loro accusa non riguarda me/noi come esseri umani, se siamo di buona compagnia a tavola o vestiamo in modo elegante. Riguarda l’aspetto professionale di me/noi, almeno di quella parte della nostra professionalità che si occupa di Fotografia e più in generale del linguaggio visivo che appartiene alla Storia dell’Arte.
Le loro accuse non vengono esplicitate con argomentazioni. Più subdolamente, le accuse avvengono proponendoci mostre e lavori “innovativi e artistici”, e aspettando poi che si manifesti il nostro smarrimento davanti a quei lavori, a quelle mostre.
Un esempio di smarrimento. Lo scorso novembre, ho commentato la proclamazione del vincitore del Mast Photography Grant on Industry and Work 2020, assegnato dalla Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia). Un poco per cortesia e un po’ per rispetto della giuria del premio, ho annotato che «la mia cultura fotografica è cresciuta sugli stilemi tradizionali, il che mi rende impreparato a capire i lavori contemporanei», come alcuni di quelli premiati.
Per giustificarmi, ho citato un pensiero di Harold Rosenberg (1906-1978), uno dei più importanti critici d’arte del Ventesimo secolo: «Un quadro o una scultura contemporanei [e, mia aggiunta, un lavoro fotografico] sono una specie di centauro, fatto per metà di materiali artistici e per metà di parole», da The De-Definition of Art. Action Art to Pop to Earthworks; Horizon Press, 1972.
Allora, mi venuto in mente un suggerimento che Maurizio Rebuzzini riserva ai suoi studenti dell’Università Cattolica: «Bisogna soprattutto ricordarsi di ricordare». Va bene. Mi ricordo delle misteriose teste
Torniamo alla domanda, o alla sua declinazione più cruda: me/noi, l’età ci ha rimbambiti?
Finalmente, qualche giorno fa, la risposta è venuta da sola. È successo in un lampo, ma a raccontarlo viene più lungo. Su Rai5, stavo seguendo Simon Schama (1945), il grande storico dell’Arte di livello mondiale.
Sullo schermo, appare il sorriso enigmatico di una devastante bellezza di pietra. Dopo pochi secondi, l’inquadratura si allarga, mostrando la figura intera, la sua veste che sembra di seta e non di pietra, la mano destra che ne tiene delicatamente un lembo. Si tratta di Phrasikleia Kore, una statua funeraria datata tra il 550 e il 530 aC, attribuita allo scultore Aristion di Paros. Rappresenta una delle opere più importanti dell’arte europea arcaica. Spento il televisore, l’ho ritrovata su Internet, e sono stato a guardarla a lungo.
Come mai si può rimanere affascinati da una forma espressiva primitiva? Come mai guardiamo incantati le pitture delle Grotte di Lascaux (17.00015.000 aC)? La risposta sta in verità ovvie delle quali non si è consapevoli: vediamo l’arte, la creatività dove ci sono, non importa quali canoni estetici siano stati infranti. colossali degli Olmechi, civiltà precolombiana (1900-200 aC) che viveva nell’odierno Messico. Mi ricordo dei Bronzi del Benin (Tredicesimo secolo). E, per scivolare rapidamente nella Fotografia, mi ricordo di Man Ray e dei suoi Rayograph (1922). Mi ricordo della verdura di Edward Weston (1930), delle rose di Tina Modotti (1924). Mi ricordo del ritratto che Duane Michals fa a Andy Warhol (1973). Mi ricordo del Madagascar di Gian Paolo Barbieri (1994). Mi ricordo degli scatti di Mario Giacomelli (Scanno, 1957-1959). Mi ricordo dei ritratti polaroid di Maurizio Galimberti. Mi ricordo...
Tutti questi sono esempi di canoni artistici infranti. Le teste degli Olmechi e i Bronzi del Benin rappresentano bellezze esteticamente distanti anni luce. Abissi estetici separano i ritratti di Duane Michals da quelli di Maurizio Galimberti e Gian Paolo Barbieri. Dunque, si tratta di esempi di bellezze diverse, nate come nuove e originali infrazioni estetiche nel corso della Storia dell’Arte. Nel momento in cui queste infrazioni sono apparse, per breve tempo, sono state “contemporaneità”. Di queste infrazioni / “contemporaneità”, se ne potrebbe riempire un elenco lunghissimo.
Perciò, quando me/noi siamo biasimati per non capire la contemporaneità, mi viene da scuotere la testa. Me/ noi ne abbiamo capite a decine di contemporaneità, come mostra il breve elenco dei nostri ricordi. Anche se è vero che me/noi non eravamo presenti quando alcune di queste contemporaneità si sono rivelate, me/noi abbiamo imparato che la storia dell’arte è piena di contemporaneità e me/noi abbiamo imparato anche ad apprezzarle, alcune di queste.
Perciò, alla fine, mi sono risposto: me/noi non siamo anziani [come pure siamo]. Siamo semplicemente educati. Abbiamo avuto buoni genitori, buone scuole, buone letture; abbiamo avuto occasioni di educazione che oggi sono sempre più rari.
Per essere ancora più acido nei confronti di chi accusa me/ noi di essere anziani, cito dalla serie televisiva a sfondo politico The West Wing. Al presidente degli Stati Uniti Josiah Edward “Jed” Bartlet, che gli chiede di rassegnare le dimissioni, perché la sua età è avanzata, Roy Ashland, Presidente della Corte Suprema, gli risponde: «Non mi dimetto, Jed. Quelli che potrebbero sostituirmi non hanno titoli di studio credibili; non hanno visione del mondo. Coloro che potrebbero sostituirmi sono mediocrità scatenate. Ho giorni buoni e giorni cattivi. Ma nei miei giorni peggiori, sono migliore degli amped-up ambulance chasers [spudorati inseguitori di ambulanze: avvocati che seguono le ambulanze per trovare clienti], degli sniffatori di cocaina che potresti farti confermare da questo Senato. Non mi dimetto, Jed. Non posso correre il rischio». È certamente inopportuno affermare che me/noi ci sentiamo come Roy Ashland.
Ma me/noi siamo fortemente tentati. ■ ■