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Colombo

La genesi della serie televisiva del tenente Colombo, ideata da Richard Levinson (19341987) e William Link (1933-2020; è mancato lo scorso ventisette dicembre) -compagni di scuola dalle medie, entrambi appassionati di narrativa poliziesca-, e caratterizzata dall’ottima interpretazione di Peter Falk (1927-2011), è raccontata e sintetizzata e analizzata in tanti siti Internet specificamente indirizzati. Dunque, è a portata di ognuno; e qui, e ora, non serve fare esercizio di stile, conoscenza e competenza... facilmente raggiungibili da chiunque.

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Invece, in occasione del cinquantenario 19712021 dalla prima puntata della prima serie, trasmessa dalla rete statunitense NBC, è imperativo (?!) riflettere e considerare alcune particolarità delle sceneggiature, che hanno definito la serie di investigazione rovescia, che -a differenza di ogni altra narrazione poliziesca- parte dalla conoscenza dell’assassino, per proseguire con l’avvicinamento dell’investigazione al suo smascheramento, alla sua rivelazione (nota). Infatti, per quanto possa sembrare perfino paradossale, questa serie televisiva ha infranto tante barriere precedenti, per quanto non tutte (per esempio, assenza pressoché totale di personaggi afroamericani, se non in modesti complementi), disegnando autentiche novità di pensiero e spirito.

Prima tra tutte, quella della personalità dell’assassino, sempre appartenente a una classe sociale elevata, che uccide per avidità, per incrementare e/o mantenere il proprio status privilegiato o acquisirne uno ancora superiore. Seconda tra tante, quella di introdurre assassine al femminile, e molte ce ne sono state. Terza tra quante sottolineiamo, quella di interpretare una sorta di aspetto, esteriorità e facciata “lombrosiana” dell’assassino colpevole.

Per quanto le prime due rilevazioni si raccontino da sole, la terza impone una precisazione di fondo. Grazie soprattutto alle capacità interpretative degli attori via via succedutisi nel ruolo di protagoni-

sta-assassino, la loro recitazione del personaggio è sempre e comunque moralmente “brutta”: nel volto, nella postura, nei modi. Un esempio illuminante è quello dell’attore gallese-americano Ray Milland (1907-1986), noto al grande pubblico per la sua parte protagonista (Tony Wendice) in Il delitto perfetto (Dial M for Murder), di Alfred Hitchcock, del 1954, accanto a Grace Kelly non ancora principessa di Monaco. Ray Milland è presente in due episodi di Colombo: in Una trappola di Colombo / Death Lends a Hand, secondo della prima stagione, in prima televisiva statunitense il 6 ottobre 1971, recita nei panni di Arthur Kennicutt, editore di un autorevole e potente quotidiano di Los Angeles, marito di Leonore, la vittima dell’episodio (interpretata da Pat Crowley); in Il terzo proiettile / The Greenhouse Jungle, secondo della seconda stagione, in prima televisiva statunitense del 15 ottobre 1972, è l’assassino Jarvis Goodland, che uccide il proprio nipote per interesse economico. Ebbene, le due recitazioni sono diverse e “lombrosianamente” esplicite, quantomeno in base ed esposizione didascalizzata dei princìpi che il vittoriano Francis Galton (1822-1911) ha espresso nella sua controversa, L’episodio Una mossa sbagliata (Negative Reaction), della serie televisiva Colom discutibile, e spesso bo (secondo della quarta stagione, del 1974), introduce subito l’azione del fotogra- fraintesa eugenetica: fo omicida, che -in camera oscura- prepara una richiesta di riscatto per la propria palesemente morale moglie, che intende uccidere: «Signor Galesko, abbiamo sua moglie. Non chiami nel primo caso; altretla polizia. Ci metteremo in contatto». Il coprotagonista -accanto al tenente, caratterizzato da Peter Falk- è Dick Van Dyke. tanto manifestatamente orrido nel secondo. A differenza di tanto Peter Falk negli inconfondibili panni del tenente Colombo, fortunata serie televisiva avviata nel 1971, cinquanta anni fa, con un primo episodio Murder by the Book, in Italia Un giallo da manuale, diretto da Steven Spielberg. Questo ritratto è uno decinema precedente, e altrettanta televisione anteriore, questa sottolineatura dell’intimo dei gli ufficiali realizzati da Douglas Kirkland, che ne ha cortesemente concesso l’uso. personaggi ha scartato a lato la presenza nei

PERCHÉ AMO COLOMBO

L’estate scorsa, la televisione italiana ci ha offerto un dono inconsueto. Nelle sere di sabato e di domenica, alle 19,35, cominciava la proiezione di un film della serie del Tenente Colombo, che accompagna da molti anni la nostra vita. Confesso di avere una passione infantile per le vicende del piccolo tenente spiegazzato: passione che Federico Fellini condivideva. Qualsiasi cosa accadesse, qualsiasi invito allettante mi venisse rivolto, non abbandonavo la poltrona o la seggiola davanti alla televisione, sebbene avessi visto dieci volte quel film e mi ricordassi quasi a memoria ogni particolare. [...] Tutti conoscono la trovata fondamentale dell’intera serie. Gli sceneggiatori del Tenente Colombo, tra i quali si nasconde una mente sottilissima, hanno capovolto la struttura del giallo tradizionale. Se in un testo di Conan Doyle o di Agatha Christie o su Nero Wolfe la scoperta del colpevole avviene puntualmente alla fine del libro, qui, pochi minuti dopo l’inizio, il mistero è già rivelato: sappiamo chi è la vittima e chi il colpevole, e per quali ragioni e in quali circostanze la vittima è stata uccisa. Suppongo che, nei primi tempi, questo capovolgimento abbia turbato il mondo degli appassionati. Se il mistero era rivelato subito, rischiava di venire abolito. Ma la straordinaria bravura degli sceneggiatori del Tenente Colombo ha fatto sì che questo pericolo venisse cancellato. Non ho quasi mai seguìto un giallo con tanta partecipazione e tensione.

Le vicende del tenente Colombo, il suo sospetto improvviso, i minimi indizi, le oscure certezze, le nebbie, le sorprese, le distrazioni, le convinzioni rafforzate, i suoi inganni, le sue finte ingenuità, le sue astuzie, le sue truffe, producono a volte una suspense quasi insostenibile. Nei gialli di tipo “matematico”, ai quali la serie del Tenente Colombo appartiene, il protagonista è di solito avvolto da un profumo alto-borghese, o intellettuale, o lievemente snobistico. Coltissimo e squisitissimo, Sherlock Holmes ha modi alla Oscar Wilde. Anche in Miss Marple, per non dire in Hercule Poirot, si avverte una buona famiglia e ottimi studi.

Invece, il tenente Colombo, italo-americano, fa parte di una razza lungamente vilipesa e talvolta calunniata. La sua famiglia è modestissima: ha frequentato una scuola di infimo ordine; la sua cultura deriva dalla televisione popolare. Ha visto qualche musical con un biglietto omaggio. I ricchi protagonisti-colpevoli guardano con disprezzo il suo impermeabile stazzonato, a volte sovrapposto a un mediocre vestito da sera, la camicia e i vestiti di cattiva qualità, la cravatta sfilacciata e male annodata [...], le scarpe sformate, la vecchia automobile scoppiettante, il cane sgraziato, la passione per il popolarissimo chili, l’incapacità di bere e mangiare con eleganza. Appena egli entra in una casa ricca o nel negozio di un grande sarto, rivela la sua natura di paria. I salotti, gli specchi, le porte decorate, gli armadi sontuosi, gli enormi mazzi di fiori o l’enorme apparecchio televisivo, l’educata pelouse suscitano la sua candida ammirazione infantile, a volte ostentata con nascosta ironia.

Gli appassionati dei gialli sostengono che uno scrittore o un regista non deve mai ripetere le proprie trovate perché annoia il pubblico. Anche qui, l’occulto responsabile della serie del Tenente Colombo ha capovolto ogni abitudine. Tutto, nella figura del piccolo tenente, è ripetizione. In ogni film, ripete i suoi tic. Fa la parte del tonto, finge di non capire, è troppo umile, permette che il ricco colpevole lo disprezzi o lo insulti, si meraviglia, guida la solita vecchissima macchina, si occupa con amore del grosso cane, ammira sciocchi libri alla moda, segue i successi musicali, allude di continuo a una signora Colombo che non vedremo mai, finge continuamente di avere dimenticato una domanda (la più importante), per ricomparire subito dopo dietro una porta suscitando sospetto e inquietudine, fruga nelle tasche alla ricerca di un importantissimo biglietto perduto... [...] Nulla, in lui, sembra imprevisto. Ma questa serie incessante di ripetizioni è divertentissima. Ci affezioniamo alle sue abitudini. Se osasse cambiare impermeabile, ci offenderemmo, come se ognuno dei suoi tic contenesse un segreto straordinario. Malgrado le apparenze, il tenente Colombo è un genio. Cinque minuti dopo essere arrivato sulla scena, comprende chi è il colpevole. Parlare di istinto, o di abilità o di consuetudine poliziesca, è troppo poco. Egli possiede una specie di intuito medianico, che gli rivela l’assassino. [...] Pietro Citati (da Perché amo la tv del Tenente Colombo, in la Repubblica, del 9 gennaio 2008) cast soltanto per richiamo del pubblico o altri equilibri estranei alla sceneggiatura, per imporsi e affermarsi in tutta la cadenza successiva del cinema e della televisione statunitensi (per rimanere nelle serie poliziesche, invitiamo a valutare in questo modo anche i “cattivi” di ogni serie attualmente avvicinabile, magari a partire dalla longeva Law & Order e relativi spin-off).

GIÀ... COLOMBO

Comunque, serie televisiva poliziesca dal 1971, in attuale cinquantenario, quando si diceva “telefilm”, con successivi allunghi avanti nel tempo, Colombo -e poi Il ritorno di Colombo (per i puristi del personaggio, altra storia)- è stata sistematicamente replicata da numerose emittenti televisive, e ancora oggi si possono incontrare repliche e repliche e repliche nelle programmazioni riempitive. Avviata negli Stati Uniti il 15 settembre 1971, la serie è approdata alla traduzione italiana alla fine del 1974 (Capodistria), per poi essere acquisita da Rai2, dall’estate 1977. Subito una nota di costume e cinema: il primo episodio accreditato ufficialmente, Un giallo da manuale (dall’originario Murder by the Book), è stato diretto da Steven Spielberg, in anticipo sul suo film di esordio Duel.

In supplemento alle particolarità specifiche già annotate, c’è da aggiungere altro: il sottile filo conduttore che attraversa le indagini di Colombo. La stragrande maggioranza delle prove a carico dei colpevoli, degli assassini, dipende da una condizione “tecnologica” (in riferimento ai tempi), alla quale il tenente approda con curiosità da ignorante e neofita della materia: segreterie telefoniche, fax, nastri di macchine per scrivere elettriche, telefoni programmabili, umidificatori di vino prezioso... macchine fotografiche (ed è qui che approderemo).

Personalmente, consideriamo nostra scuola di pensiero la tranquillità e calma del tenente Colombo: perfettamente caratterizzato da uno straordinario Peter Falk, in una interpretazione che gli calza come un abito su misura e gli è valsa premi e riconoscimenti.

Ma non è questo che conta, quantomeno non qui, quantomeno non ora. Soltanto, replica dopo replica e dopo replica e -ancora- dopo replica, vantiamo una capacità della quale andiamo fieri e orgogliosi: saper individuare l’episodio in trasmissione, entro tre secondi di visione, in qualsiasi momento ci capiti di sintonizzarci televisivamente. Comunque, a certificazione del suo valore, ricordiamo anche ottime regie e altrettanto eccellenti partecipazione di attori e registi (anche amici), di altissimo livello cinematografico.

CON LA FOTOGRAFIA

Però, nella concretezza di queste note redazionali (che non ambiscono ad alcun “giornalismo”), non ci occupiamo della sinopsi di questa amata serie televisiva, che compete ad altri e ad altre testate, altrimenti indirizzate. Ovviamente, dal nostro punto di vista, siamo vincolati alla combinazione con la fotografia, che nel caso di Colombo si estende dalla sceneggiatura alla sola scenografia: in ammirevole e apprezzata alternanza di intenti e presenze.

Prima ancora di arrivare alla sostanza di un episodio nel quale l’assassino è un fotografo, e che -per questo- si profila come soggetto portante di queste considerazioni, è bene liquidare altri attraversamenti fotografici trasversali. In ordine progressivo, registriamo cinque episodi con presenza fotografica in qualche modo e misura significante.

In Mio caro nipote (Short Fuse), del 19 gennaio 1972 (negli Stati Uniti), sesto episodio della prima stagione, diretto da Edward M. Abroms, l’assassino Roger Stanford, interpretato da Roddy McDowall, è un chimico appassionato di fotografia. Uccide lo zio alterando una sua scatola di sigari, che certamente verrà aperta al momento opportuno, innescando un’esplosione. Per tutto l’episodio, che comincia nella luce rossa della camera oscura (rossa in simulazione e certificazione cinematografica), come anche l’episodio specifico al quale stiamo avvicinandoci, ha una Nikon F al collo, e continua a scattare fotografie. Niente di più, né diverso, con siparietti anche e ancora in camera oscura.

In Scacco matto a Scotland Yard (Dagger of the Mind), del 26 novembre 1972, quarto episodio della seconda stagione, diretto da Richard Quine, in visita alla polizia di Londra (Scotland Yard), il tenente Colombo è un turista compulsivo con una Argus C, probabilmente una C2 o C3, prestatagli dall’immancabile cugino.

Attenzione: è ancora macchina fotografica Argus C2 (forse) usata dalla giornalista Polly Perkins, interpretata dall’attrice Gwyneth Paltrow, in Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, del 2004; e, altrettanto, una Argus 35mm a telemetro compare nella scenografia del più recente ed emozionante Carol, di Todd Haynes, del 2015.

Per certi versi è “fotografico” l’alibi dell’assassino Hugh Creighton, interpretato dal bravo Dabney Coleman, che ha ucciso la moglie, ex cantante rock, per gelosia: sua maschera fotografica sul volto della segretaria complice, che si fa riprendere da un autovelox Portata l’opprimente mo- all’ora dell’omicidio. Terzo epiglie Frances in un caso- sodio della decima stagione, lare abbandonato, il foto- quando ormai la serie divengrafo Paul Galesko pretò Il ritorno di Colombo (24 para la scena del (finto) rapimento. Insoddisfatto della prima polaroid, aprile 1991, negli Stati Uniti), che dall’originale Columbo and the Murder of a Rock Star, in Italia, è diventato Cone esegue una seconda. lonna sonora con omicidio. A conclusione delle in- La scenografia del primo dagini, il tenente Colom- episodio dell’undicesima stabo crea i presupposti per gione, l’ultima (e poi ci souna mossa sbagliata. no stati episodi speciali), è attraversata da una reflex Pentax, di proprietà del giovane Freddy Brower, ucciso misteriosamente. Il tenente Colombo sospetta lo zio Leon Lamarr (l’eclettico attore Rip Torn), ma gli manca l’elemento decisivo, che provi che l’omicidio è stato perpetuato per impossessarsi del biglietto vincente di una lotteria plurimilionaria: ben trenta milioni di dollari, che Leon Lamarr reclama per se stesso. In casa degli ami-

ci che celebrano lo scomparso, in una serata evocativa, a Colombo viene richiesta una fotoricordo, da realizzare con la Pentax di Freddy. Dovrebbe solo inquadrare e scattare, ma l’occhio gli cade sulla scala dei diaframmi, incisa sull’obiettivo: capisce che il biglietto vincente della lotteria apparteneva proprio a Freddy, perché i numeri giocati sono stati ricavati... dalla sequenza di cifre 2,8 - 4 - 5,6 - 11 - 16 (ovvero, 2 8 4 5 6 11 16! In originale, Death Hits the Jackpot (negli Stati Uniti, il 15 dicembre 1991); in Italia, Misteriose impronte digitali.

Infine, c’è un poco di fotografia anche in Non c’è tempo per morire (dall’originario No Time to Die, negli Stati Uniti il 15 marzo 1992; secondo episodio dell’undicesima stagione), sceneggiato da un racconto di Evan Hunter, pseudonimo di Salvatore Albert Lombino, che con un altro suo pseudonimo, Ed McBain, ha firmato numerosi romanzi polizieschi (tra i quali la serie dell’Ottantasettesimo Distretto, modello di tutti i film e telefilm ambientati in una stazione di polizia) e ha scritto eccellenti sceneggiature cinematografiche, tra le quali Gli uccelli, di Alfred Hitchcock, del 1963. Nulla di particolare, se non che il rapitore della nipote di Colombo, durante il suo matrimonio, è il fotografo della cerimonia: Alex Varrick, interpretato dall’attore Daniel Davis. Tutto qui.

Reaction, è giusto quella che commette l’assassino, che si smaschera e rivela alla fine dell’avventura, quando, tra tanti reperti di prova archiviati nell’apposita sala, individua e indica la macchina fotografica con la quale è stata scattata la fotografia della donna rapita. Per la cronaca, si tratta di una elegante Polaroid Model 800 delle origini, erede della genìa avviata con la prima Polaroid 95, per rollfilm bianIn Scacco matto a Scot conero Type 40, in produzioland Yard, in visita alla ne dal 1957 al 1962. Ma non è polizia di Londra, il Tenente Colombo si comporta da turista compulquesto il punto, quantomeno oggi, quantomeno qui. Invece, affondando fino ad altra profondità (di pensiero sivo con una affascinan- e concetto), oggi sottolineiate Argus C: trentacinque mo qualcosa di diverso. millimetri a telemetro. Cosa porta il tenente Colombo sulle tracce del marito assassino? Il fatto che sul luogo del delitto recupera una polaroid di scarto, alla quale ha poi fatto seguito quella che ha accompagnato la falsa richiesta di riscatto. Ancora: cosa lo insospettisce e indirizza? Il fatto che questa precedente polaroid è stata scartata perché imperfetta nell’inquadratura e composizione, come peraltro sottolinea lo stesso fotografo-assassino, cadendo nella prima delle numerose trappole che l’imperturbabile tenente confeziona a misura di presunzione e insolente

MOSSA SBAGLIATA

Per quanto trasversale anche ad altre sceneggiature e scenografie di Colombo -come abbiamo appena censito-, la fotografia è autentica protagonista di Una mossa sbagliata (Negative Reaction), del 1974, secondo episodio della quarta stagione, che si è altresì aggiudicata l’Emmy Award 1975, ventiseiesimo dall’origine. Diretta da Alf Kjellin, su sceneggiatura di Peter S. Fischer, la vicenda verte attorno l’omicidio commesso da un fotografo professionista: Paul Galesko, interpretato dal bravo Dick Van Dyke, che uccide la propria moglie Frances, dopo averne inscenato un finto rapimento. La mossa sbagliata del titolo, corrispondente all’originaria Negative

Curiosità e coincidenza singolare. Nel 1974 dell’episodio Una mossa sbagliata (Negative Reaction) della serie televisiva Colombo, il coprotagonista Dick Van Dyke, nei panni del fotografo Paul Galesko, che viene smascherato per una sua polaroid, era attore-testimonial degli apparecchi per fotografia a sviluppo immediato Kodak Instant. arroganza (da professionista). Non un rapitore, ma un fotografo, annota Colombo, può avere una tale accortezza, un così alto amor proprio.

Ed ecco qui, la nostra riflessione. La sceneggiatura fa declinare una osservazione fotografica a un tempo consistente e profonda a un “personaggio comune”, non a un esperto di fotografia.

Alla resa dei conti, l’inganno del tenente Colombo, che induce l’assassino Paul Galesko (nell’interpretazione di Dick Van Dyke, l’amato spazzacamino Bert del film Mary Poppins, del 1964), si basa proprio su una sua consapevole alterazione di un ingrandimento fotografico rovesciato destrasinistra, che fa indicare all’orologio nell’inquadratura un’ora diversa (speculare), per la quale non c’è alibi... e poi, per l’appunto, la mossa sbagliata, per recuperare il negativo-matrice dal dorso della Polaroid Model 800 custodita, insieme a tante altre simili, nella stanza dei reperti.

Messo alle strette dal tenente Colombo, Paul Galesko rivendica che la prova contro di lui altro non è che un ingrandimento rovesciato destra-sinistra: «Prenda la foto originale e le confronti. Si accorgerà dell’errore che ha fatto». «L’originale? -risponde Colombo- Beh... purtroppo c’è un guaio, perché mentre ero lì nella camera oscura, e lavoravo col tecnico del laboratorio, cercando di aiutarlo, ho fatto cadere per sbaglio la foto in una bacinella di acido [?]. E, così, non c’è più l’originale [?]». Paul Galesko va al contrattacco e prende la Polaroid Model 800 tra una serie di apparecchi analoghi conservati nella stanza dei reperti: «Mi spiace deludervi, ma la prova della mia innocenza c’è. Nonostante tutto, non c’è bisogno della foto originaria: il negativo è sufficiente a dimostrarlo. Guardi il negativo nella parte posteriore della macchina e se ne accorgerà».

Eccola qui, la mossa sbagliata: «Lei si è autoaccusato, scegliendo quella macchina -conclude Colombo-. Perché è la macchina con la quale è stata fatta la fotografia di sua moglie, ma lei non poteva assolutamente saperlo. Non poteva sapere che il negativo si doveva trovare nel retro di questo apparecchio, se non avesse fatto lei stesso la foto».

Eccoci qui. ■ ■

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