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Abbecedario
Collana divulgativa per bambini pubblicata da Franco Cosimo Panini, di Modena, Come nasce è ufficialmente presentata come Un viaggio per piccoli curiosi, alla scoperta del mondo che li circonda. Fascicoli di sedici pagine ciascuno, copertina compresa, riassumono ai minimi termini possibili l’argomento offerto e proposto, in un linguaggio adeguatamente semplificato, per quanto non necessariamente banalizzato. Anzi, è più spesso vero l’esatto contrario, proprio in relazione alla stabilita e programmata Scoperta del mondo.
Siamo autorizzati ad esprimere questa considerazione alla luce del titolo Come nasce La fotografia, materia che non ci lascia certo indifferenti, ma ci avvolge nelle proprie spire senza alcuna soluzione di continuità.
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Testuale: «Devi sapere che la parola fotografia ha origine da due parole greche: “phos”, che significa luce, e “graphis”, che significa scrittura. Quindi, fotografia significa “scrivere con la luce”. Bello, vero?». Da qui, una sorta di genesi: «Più di trecento anni fa, gli artisti si servivano di un primo semplice meccanismo di fotografia per aiutarsi a ritrarre paesaggi e vedute di città [va bene anche così]. Usavano uno strumento chiamato camera o[b]scura, composto da una scatola con un foro e una lente [va bene anche così], attraverso i quali la luce filtrava e riproduceva sulla parete di fondo l’immagine capovolta e rimpicciolita del soggetto inquadrato. Appoggiando sulla parete un foglio di carta trasparente, l’artista poteva così disegnare la figura che vi appariva».
Ovviamente, su questo preambolo (che, magari, potrebbe essere ignorato da qualcuno di coloro i quali si vantano di agire in Fotografia), ci auguriamo fermamente che qualche bambino, volesse il Cielo indotto da insegnanti e/o genitori, si sia cimentato con questa ipotesi: nella quale si proietta il mondo esterno nell’istante stesso dell’osservazione (dall’interno). Commedia senza Tempo della Vita, indescrivibile: lo si deve provare, così come lo visualizzano i fotografi stenopeici attivi ancora ai nostri giorni (grazie a loro!). Sia chiaro che la camera obscura (con foro stenopeico o lente di maggiore brillantezza in proiezione) ritrae effettivamente il mondo in una luce molto più affascinante di quella che l’occhio fisiologico riesce a percepire. Ancora prima della Fotografia, peraltro qui ininfluente, al posto della pellicola fotosensibile (o del sensore ad acquisizione digitale), c’è un Sapiens che osserva, ci siamo noi! L’esperienza di guardare lo schermo della camera obscura, sul quale si raccoglie la proiezione dell’immagine, o la parete sulla quale la stessa immagine si presenta capovolta, evoca sensazioni di solennità e timore reverenziale. Ovviamente, questa commozione non è alla portata di tutti, va rilevato: ma appartiene soltanto a coloro i quali sanno apprezzare le sottigliezze. Come spesso annotiamo, sono questi animi eletti Come nasce La fotografia; testi e redazione di Giulia Calandra Buonaura, coordi- che sanno rendere ragnamento editoriale di Antonella Vincenzi, illustrazioni di Agostino Traini, impagina- giungibili le loro proprie zione di Danielle Stern; Franco Cosimo Panini Editore, 2017; 16 pagine 19x24cm, con emozioni, concedendo adesivi [qui sopra, in selezione: «che ti servono da attaccare sul libro», come sug- alle persone amate un gerito; oppure, «puoi usarli per le tue ricerche e metterli dove vuoi tu!»]; 3,00 euro. posto nella Memoria, dove il Ricordo sia se-
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A L T R A GRAFICA
Affascinante pubblicazione illustrata, Photo Booth (alla lettera, cabina automatica [per fototessere]) è una graphic novel singola e autoconclusiva, per l’appunto, creata da una unione creativa tra lo scrittore statunitense Lewis Helfand (1978), l’illustratore indiano Sachin Nagar, il colorista Prince Varghese e gli editor Mark Jones e Aditi Ray. Ovviamente (?), il nostro avvicinamento originario si è basato sulla materia evocata dal titolo e sottolineata dalla messa in pagina della copertina. Per quanto questo possa essere anche considerato motivo per l’attuale passerella a indirizzo mirato, la cadenza delle fototessere da cabina automatica, che pure costituisce un nostro interesse specifico e orientato, è sostanzialmente poco influente sul racconto... quasi.
La genesi di Photo Booth, di Lewis Helfand, si basa sulla sua intenzione di scrivere una storia d’amore indiana ambientata a New York City. La trama scandisce due fusi orari in intreccio tra loro: uno cronometra accadimenti del 2010; l’altro muove le proprie lancette venti anni prima, nel 1990. Così che questa base narrativa, in flashback, si allinea con uno stile popolare di resoconto usato nell’epopea indiana conosciuta come il Mahabharata [uno dei due principali sanscriti dell’antica India; l’altro è il Rāmāyana].
Ancora, l’utilizzazione di caratteri indiani all’interno dell’ambientazione statunitense (straniera) è in linea con la tendenza dei film popolari di Bollywood. In combinazione, l’autore considera potente il linguaggio graphic novel, che raggiunge le vette del cinema e della musica: «La graphic novel -ha affermato- è un mezzo particolare di comunicazione, un modo affascinante di raccontare una storia. Proprio come ci si può perdere in una grande canzone o in un film appassionante, con la graphic novel l’immaginazione del lettore può essere catturata e volare nella sua mente, con i suoi ricordi».
In proprio avvio, Photo Booth si concentra sul personaggio di Praveer Rajani, agente dell’Interpol che sta indagando su una nuova droga mortale che ha invaso le strade di New York City. In narrazione serrata, il lettore è informato delle preoccupazioni del poliziotto, che si sente disorientato è si chiede spesso se abbia scelto la strada giusta, nella propria vita.
All’interno delle scene iniziali, si incontrano frecce e fulmini, simboli visivi collegati alle Upanishad: testi filosofici considerati una delle prime fonti della religione induista. In effetti, la cadenza di Photo Booth è pervasa da concetti chiave che riguardano l’induismo, come il Dharma. All’interno della doppia storia della graphic novel ci sono molteplici concentrazioni e considerazioni sul Dharma di Praveer Rajani, in devozione alla sua carriera e alla propria famiglia.
Infine, il protagonista deve prendere una decisione riguardo la vera residenza dei propri obblighi: tra gli affetti della sua famiglia o rispondendo a una vendetta che gli sta consumando l’esistenza? All’interno della storia, viene affrontata anche l’ipotesi di Ahimsa, una delle principali credenze dell’induismo (“non fare del male” o “evitare la violenza” è un insegnamento che è stato promosso dal Mahatma Gandhi). Sebbene consumato da rabbia e violenza, Praveer Rajani si appellerà alla naturale nonviolenza, che risolve il suo passato nel presente.
Photo Booth (A Graphic Novel, con crimini e fotografia), di Lewis Helfand; illustrazioni di Sachin Nagar; colori di Prince Varghese; Campfire, 2011; 80 pagine 16,6x26cm; 9,99 dollari. reno e non faccia male. Dove la Memoria non crei disagi esistenziali ma aiuti ad affrontare le Giornate.
Con Come nasce La fotografia, torniamo in cammino storico (con nozioni elementari che farebbero bene a tanti fotografi contemporanei che conosciamo, e dei quali percepiamo la beata ignoranza, non solo della propria materia, sia chiaro): «Dopo anni di studio, il francese Nicéphore Niépce scoprì che alcune sostanze speciali erano sensibili alla luce: nel 1826, inserì nella camera o[b]scura una lastra di metallo ricoperta di una sostanza chiamata bitume e lasciò l’apparecchio puntato sullo stesso soggetto per molte ore. Dopo quasi dieci ore, la luce del sole riuscì a scrivere e a disegnare l’immagine sulla lastra. Nacque così la fotografia».
Detto bene!, come ha fatto notare anche il nostro direttore, Maurizio Rebuzzini, in altri abiti, che non questi, docente a contratto di Storia della Fotografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia. E, poi, si passa a Louis-Jacques Mandé Daguerre, al processo negativo-positivo, alle lavorazioni in camera oscura, alla ripresa, alla stampa, all’attualità digitale.
Alcuni estratti: «All’inizio, le fotografie erano in bianconero. La prima fotografia a colori venne scattata dal fisico James Maxwell, nel 1861. Rappresentava un fiocco scozzese!»; «Conosci la macchina Polaroid? Era [ahinoi, è stata] una macchina con una pellicola speciale che permetteva di ottenere una fotografia in pochi secondi»; «La macchina fotografica è un occhio speciale capace anche di ingrandire elementi della realtà che non riusciremmo a vere, come, per esempio, i microrganismi»; «C’è una legge che proibisce la diffusione di una fotografia se manca il consenso della persona fotografata. L’unica eccezione sono le foto[grafie] di personaggi pubblici, ritratti in eventi aperti al pubblico, come, per esempio, una premiazione sportiva».
Insomma, diversamente da altre parole, nel senso di meglio di altre parole, che vengono pronunciate non a favore del pubblico ricevente, ma della propria gratificazione personale, valori e concetti che si rivolgono serenamente all’esterno. Per comunicare.
Finale edificante... educativo, come non sanno essere i fotonegozianti: «Scarica le foto[grafie] sul computer. Se vuoi, puoi modificarle un po’: puoi, per esempio, togliere gli occhi rossi» / «Stampa le foto[grafie] con la tua stampante di casa, oppure portale da un fotografo» / «Appendile in camera, o portale a scuola; e fai una gara con i tuoi amici ha chi ha fatto le foto[grafie] più belle!».
Hai detto poco! ■ ■