2 minute read
Editoriale
Giusto questo, se abbiamo coraggio e lealtà per riconoscerlo. Oltre a essere questione sanitaria, come è soprattutto, la tragica attualità della pandemia che sta stravolgendo l’intero pianeta -questa volta senza distinzioni in ipotetiche graduatorie tra Occidente e Oriente, tra paesi ricchi e nazioni povere- porta con sé ulteriori considerazioni sociali, con le quali è doveroso confrontarsi e incontrarsi. Fatti salvi i dolori individuali, tenute a distanza ideologica le tragedie personali (verso i quali e le quali esprimiamo il massimo rispetto), non possiamo ignorare che c’è stato un Prima e ci sarà un Dopo, al quale bisogna prepararsi. Sappiamo di non essere affatto lontani dal vero, quando definiamo “guerra” l’attuale periodo storico che attraversa il mondo senza guardare in faccia nessuno, senza fare sconti a nessuno. Una volta accettata questa visione, in quanto metafora (irriverente!) e per ciò che ha di valido, si tratta di considerare l’ipotesi di influenze sociali positive, che andiamo a prendere in considerazione, non prima di scusarci con coloro i quali -colpiti direttamente nei propri affetti- non hanno alcun modo di percorrere la nostra linea soltanto teorica. Oltre le commozioni personali, ci pare necessario, magari doveroso, intravedere qualcosa del dopo. Emotivamente, come ogni momento di guerra autentica, quella combattuta con armi e bagagli, l’attuale pandemia ha sovvertito ogni precedente certezza individuale. Da cui, osiamo sperare che i disagi provati possano far meditare sui disagi che altri vivono sempre e comunque nella propria esistenza quotidiana. Avendo provato sulla propria pelle che il mondo non è un luogo perfetto per tutti, si potrebbe considerare altrimenti la vita di quelli che identifichiamo come diversi. Scoprendo quanto si soffre quando si è privati di qualcosa dato per scontato e acquisito, potremmo riferirci al nostro prossimo con altra tolleranza. Razionalmente, potremmo anche dover riconoscere che non siamo padroni di nulla, ma determinanti per tutto. Così tanto da rivedere molte e molte delle posizioni che abbiamo assunto, quando abbiamo potuto confidare sulla nostra immortalità e sul nostro ruolo predominante: vissuto in sostanziale egoismo di intenti e azioni. Ripetiamolo, confermandolo e ribadendolo: questa “guerra” ha stabilito anche una linea di demarcazione che riguarda tutti, che dovrebbe aver ammorbidito il cuore di ognuno, che potrebbe aver ridisegnato scale di valori propri e collettivi: «Come lacrime, come fiori profumati / cui tocca d’inchinarsi a qualsiasi alito di vento. / Come fiori, come lacrime, come guide sfortunate / cui tocca di cadere per la scemenza / di un ricco incompetente» (da e con Enzo Jannacci, in Come gli aeroplani). A questo punto, in considerazione del territorio comune che condividiamo, cosa c’entra la Fotografia in tutto questo? Fedeli al princìpio secondo il quale consideriamo la Fotografia come (fantastico e privilegiato) s-punto di riflessione, più che arido punto di arrivo, ci aspettiamo un dopo nel quale si manifesteranno anche Fotografi migliori, persone migliori, meno “ricchi incompetenti”. Alla luce di disagi provati da ciascuno di noi, speriamo in un dopo di maggiore comprensione degli altri, soprattutto di coloro i quali, per mille motivi, tutti leciti (?), hanno solo opportunità di vita nelle privazioni e nella sofferenza individuali, causate anche dall’indifferenza collettiva. Maurizio Rebuzzini
Advertisement