4 minute read
Foto ricordi
/ DALLA NARRATIVA / FOTO RICORDI
UNA PASSEGGIATA SUL VIALE DEI RICORDI CON LA VECCHIA MAGGIE
Advertisement
di Angelo Galantini
Sedette fra me e i miei vestiti ripiegati e si versò dell’altro brandy. Il mio accappatoio era logoro e sapeva di pulito. Mentre Maggie posava l’album di foto sul tavolino da caffè, sistemai il suo in modo che mostrasse una generosa porzione della scollatura. Lei reagì con un casto bacio sulla guancia. Quello m’infastidì. La differenza di dieci anni fra noi cominciava a farsi sentire. – Il viale dei ricordi, Bill – disse Maggie. – Ti piacerebbe fare una passeggiata sul viale dei ricordi con la vecchia Maggie? – Tu non sei vecchia. – Sotto certi aspetti sì. – Sei nel fiore degli anni. – Adulatore.
Aprì l’album. Sulla prima pagina c’erano fotografie di un uomo alto con i capelli chiari, vestito con l’uniforme da fantaccino della Prima guerra mondiale. Nella maggior parte delle foto color seppia era solo e nelle foto di gruppo era in una posizione di rilievo. – Quello è il mio papà – spiegò Maggie. – La mamma a volte perdeva la pazienza con lui e diceva delle cattiverie sul suo conto. Da piccola una volta le chiesi: “Se papà era tanto cattivo, come mai lo hai sposato?”. E lei rispose: “Perché era l’uomo più bello che avessi mai visto”.
Voltò la pagina. Foto di nozze e foto di bambini. – Queste sono le nozze di mamma e papà, nel 1910. E questa sono io da piccola, poco prima che papà entrasse nell’esercito. – Sei figlia unica, Maggie? – Sì. E tu? – Sì.
Sfogliò le pagine più in fretta. Io guardavo il tempo scorrere, vedendo da un minuto all’altro i genitori di Maggie da giovani diventare vecchi e Maggie passare da bambina a ragazzina scatenata in un lindy. Il suo viso, mentre ballava a piedi nudi a una festa del liceo da tempo dimenticata, era una versione così piena di speranze di quello che vedevo adesso da spezzare il cuore.
– No! Lo so chi ti ha mandato! Sapevo che lo avrebbe fatto! No! No!
Raccolsi i pantaloni e tirai fuori il distintivo nel conteni-
Beveva brandy, continuando a parlare con malinconica monotonia, badando appena alla mia presenza. Pareva che volesse arrivare a qualcosa, procedendo lentamente verso una meta che avrebbe spiegato per quale motivo mi voleva lì. – Fine del primo volume, Bill – disse. Si alzò traballando dal divano e fece cadere la mia giacca sportiva ripiegata. Raccogliendola, notò la sua pesantezza e cominciò a frugare nella tasca dove avevo messo la pistola e le manette. Prima che riuscissi a fermarla, estrasse la .38, lanciò un urlo e si allontanò da me indietreggiando, con la pistola stretta nella mano tremante, puntata verso il pavimento. – No, no, no, no! – ansimò. – Ti prego, no! Non ti permetterò di farmi del male! No!
Mi alzai e mi avvicinai a lei, tentando di ricordare se c’erano tutt’e due le sicure. – Sono un poliziotto, Maggie – le dissi piano, in tono rassicurante. – Non voglio farti del male. Dammi la pistola, tesoro. tore di pelle. Lo tenni sollevato. – Vedi, Maggie? Sono un agente di polizia. Non volevo dirtelo. Tante persone detestano i poliziotti. Vedi? È un distintivo autentico, tesoro.
Maggie lasciò cadere la pistola, singhiozzando.
Mi avvicinai e la tenni stretta. – Va tutto bene. Mi spiace che ti sia spaventata. Avrei dovuto dirti la verità. Mi dispiace tanto.
Maggie scosse la testa appoggiata a me. – Dispiace anche a me. Sono stata una sciocca. Tu sei solo un uomo. Volevi portarmi a letto e hai mentito. Sono stata una sciocca. Sono io che dovrei scusarmi. – Non dire così. Ci tengo a te. – Come no. – È vero. – Le baciai la riga fra i capelli e la respinsi con dolcezza. – Stavi per mostrarmi il volume due, ricordi?
Maggie sorrise. – D’accordo. Siediti e versami un brandy. Mi sento strana.
Mentre andava a prendere l’altro album, riposi la pistola nella tasca della giacca. Lei tornò stringendo al petto un album di pelle nera più sottile. Era raggiante, come se l’episodio della pistola non fosse mai accaduto.
Riprendemmo da dove ci eravamo interrotti. Lei aprì l’album. Conteneva una dozzina di istantanee di un bambino, probabilmente di poche settimane, ancora pelato, che sbirciava incuriosito in alto, verso un oggetto affascinante. Maggie si portò le dita alle labbra e le premette sulle foto. – Il tuo bambino? – le domandai. – Mio. Il mio bambino. Il mio amore. – Dov’è? – Lo ha preso suo padre. – Sei divorziata? – Non era mio marito, Bill. Era il mio amante. Il mio vero amore. Adesso è morto. È morto del suo amore per me. – Come, Maggie? – Non posso dirtelo. – Che cosa è accaduto al bambino? – È in un orfanotrofio, laggiù all’est. – Perché, Maggie? Gli orfanotrofi sono posti terribili. Perché non lo tieni tu? I bambini hanno bisogno dei genitori, non di istituti. – Non dirlo! Non posso... Non posso tenerlo. Mi dispiace di avertelo mostrato; pensavo che avresti capito.
Le presi una mano. – Capisco, tesoro, più di quanto tu non creda. Torniamo a letto, va bene? – Va bene. Ma prima voglio mostrarti ancora una cosa. Tu sei un poliziotto. Sai molte cose sul crimine, vero? – Vero. – Allora vieni qui. Ti farò vedere dove tengo il mio tesoro nascosto. ■ ■
James Ellroy
(da Clandestino; Mondadori Editore, 1997)