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Le parole non dette
/ VOGLIAMO PARLARNE? / PAROLE NON DETTE (?) NESSUN ASSOLUTO, PER CORTESIA: MA L’INTELLIGENZA DEL PENSIERO. QUALSIASI QUESTO SIA
di mFranti
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Siamo pessimi utilizzatori di tecnologie attuali. Non ne stiamo distanti per motivi ideologici e nostalgici, ci mancherebbe altro, ma, più semplicemente, non ne sentiamo alcun bisogno. Utilitaristicamente, facciamo uso della Rete soltanto se, quando e per quanto ne abbiamo effettiva necessità.
Comunque, una dozzina di anni fa, incappammo in una vicenda parallela allo svolgimento della nostra rivista. Nel Blog del fotografo Massimo Prizzon, leggemmo una particolare interpretazione di opinioni del nostro direttore Maurizio Rebuzzini, espresse in un Editoriale compilato per il settimanale Foto-Notiziario, rivolto ai fotonegozianti.
Come rilevò Massimo Prizzon, il citato Editoriale «riporta una notizia che pare abbia fatto discutere». Testuale, dal Blog: «E resto a bocca aperta: da un lato, per la sorpresa di fronte a quello che la tecnologia può fare [può fare molto di più e diverso]; dall’altro, per lo sconcerto di fronte a ciò che questo implica per la stessa dignità della fotografia e dei fotografi professionisti [vero niente!].
«La notizia è questa (citiamo Maurizio Rebuzzini): “La recente tecnologia Sony della attribuzione volontaria del sorriso al soggetto che non sorride, tra le funzioni on-camera della nuova linea di compatte digitali Cyber-shot W ha fatto discutere”.
«Non c’è da meravigliarsene. C’è forse da meravigliarsi un po’ di più del fatto che Maurizio Rebuzzini, osservatore solitamente acuto della realtà del nostro settore [?], giudichi tanto positivamente questa innovazione da arrivare a scrivere, peraltro dopo aver sottolineato i dubbi, gli imbarazzi e le perplessità di molta stampa e di diversi critici: “Altrove, capaci osservatori della socialità della fotografia hanno sottolineato un valore sovrastante, interpretato in chiave assolutamente positiva: per la prima volta, nella propria lunga e differenziata storia, la tecnologia fotografica non si rivolge al solo uso degli ma del soggetto fotografato. E sappiamo anche bene che non è sempre un sorriso a fare un bel ritratto: anzi, a volte è proprio la sua assenza [e chi
strumenti, via via semplificato e perfezionato, ma all’assolvimento del soggetto. E la differenza non è poca” [in originalità di ragionamento].
«E prosegue: “non per sentito dire, ma per effettive conoscenza e competenza, sottolineo come questa funzione sia straordinaria, efficace e avvincente per la propria capacità di coinvolgimento”.
«Che la tecnologia sia arrivata a tanto è certamente argomento che personalmente mi lascia a bocca aperta, come dicevo [...]. Che la tecnologia sia arrivata a tanto, però, mi pare che sia anche argomento che non può che preoccupare chi ama davvero la fotografia (digitale o analogica che sia). Se è infatti accettabile che il grande pubblico dei “fotografi della domenica” possa divertirsi a usare questa funzione, ben diverso mi pare l’argomento riferito a chi fotografa per arte o professione (o per arte e professione).
«Sappiamo tutti bene, noi fotografi, quanto complessa sia l’arte del ritratto. Quanto sia impregnata di psicologia, oltre che di tecnica. Quanto sia fondata sulla capacità di creare empatia, di costruire una relazione, di entrare nell’aniha mai pensato il contrario?].
«E allora? Allora mi pare che in questo caso la tecnologia spinga verso un appiattimento della capacità espressiva dei fotografi e dei risultati che se ne potranno ottenere [e chi ha mai affermato il contrario / 2?]».
Diavolo! Sappiamo di non essere permalosi. Quindi, non riflettiamo in quanto presunta parte in causa, che non siamo; ma, a distanza di tempo, ancora intendiamo ribadire un concetto che nulla c’entra con l’espressività del ritratto fotografico, della quale siamo perfettamente consapevoli.
Ancora, non intravediamo nulla che riguarda il linguaggio fotografico. Anzi, rinnoviamo la specifica che talune nuove applicazioni non hanno alcun debito di riconoscenza con la storia evolutiva degli apparecchi fotografici, ma dipendono più che altro da una semplificazione della Fotografia dei nostri giorni: la cui socialità è evidentemente un’altra. Non giudichiamo se è peggiore o migliore, semplicemente ne registriamo la differenza. E ne prendiamo atto, sollecitando in questa direzione la riflessione complessiva.
Lontana da noi l’idea di applaudire a tutto questo, come rilevato in altro contesto, diverso da quello di addetti al lavoro, capaci di comprendere le parole e i concetti, appunto sollecitati a valutare qualcosa che sta oltre la superficie e interessa chi dibatte attorno la Fotografia, ragionandone senza pregiudizi selettivi e distruttivi. Così, citiamo dall’articolo La macchina che fotografa solo sorrisi, di Roberto Rizzo, pubblicato sul Corriere della Sera del 24 aprile 2008. Il giornalista ha riferito diverse opinioni, tra le quali quella di Maurizio Rebuzzini: la tecnologia del sorriso forzato «non ha nulla a che fare con la fotografia».
Ancora avanti, l’articolo prosegue così: «Questi apparecchi sono figli del telefonino che fa le foto[grafie]. Oggi si scatta tanto per scattare. Non costa niente, le immagini non vengono più stampate, ma questa trovata del sorriso è un vero paradosso». Si spieghi: «È come se nella scrittura, nei libri o negli articoli di giornale, ci fossero solo frasi piacevoli per il lettore ed epiloghi a lieto fine». Invece? «La fotografia è altra cosa». Il suo è un giudizio da purista, ma le foto[grafie] le fanno tutti, non solo i professionisti. Comprensibile che si voglia la fotoricordo al massimo delle possibilità: «Ma qui siamo alla deformazione della realtà». Per un sorriso? «La macchina fotografica aveva una funzione sociale che è andata perduta. E, da oggetto magico, è diventato un apparecchio senza fascino».
Insomma, è chiaro che dobbiamo sempre dibattere senza scontri di assoluti che dividono? Che dobbiamo uscire dalle strettoie nelle quali una mal interpretata nostalgia ci ha cacciati? Che non dobbiamo mai schematizzare? Che non serve più essere sbrigativi?
Che le parole siano concilianti e intelligenti. ■ ■