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Detto... fatto

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Polacreazioni

Polacreazioni

Già rivelato in mille e mille e mille occasioni, ogni volta che l’opportunità lo ha richiesto. E qui, lo esige... una volta ancora, una di più, mai una di troppo, non certo per l’ultima volta.

C’è un pensiero (concetto) che abbiamo fatto nostro, certamente mutuandolo dalle letture, per l’appunto. Rispondendo a una natura formata in parti uguali di cultura (?) e istinto, il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi: la nostra prima (e unica) patria sono stati i libri. Ancora, la parola scritta ci ha insegnato ad ascoltare le voci. La vita ci ha chiarito i libri: osservare, piuttosto che giudicare e pensare, invece di credere, fino al linguaggio fotografico, straordinaria combinazione di regole logiche e usi arbitrari.

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Ogni volta che -in situazioni preposte- ci viene chiesto su quali libri poter approfondire l’argomento svolto, rispondiamo semplicemente: con tutti. Certo, possono esistere urgenze, soprattutto tecniche e pratiche. Ma!

ROMANZI DI VITA

Con il sociologo Francesco Alberoni (rubrica Pubblico&Privato; Corriere della Sera, 10 novembre 2008): I romanzi aiutano a vivere (e le donne lo sanno).

«Se una sera andate a cena da degli amici e portate come regalo un romanzo, spesso il padrone di casa vi dirà: “Grazie, mia moglie ne sarà felice”. Perché la moglie e non lui? Perché i maschi leggono meno delle donne, ma soprattutto leggono meno romanzi. Preferiscono la saggistica o il giornalismo che tratta di storia, di politica, economia, scienza, argomenti che considerano seri, impegnativi. Da questi libri pensano di imparare cose importanti, pratiche, utili. Hanno fiducia nel pensiero razionale, costruito su concetti. Fanno eccezione le biografie, perché riguardano personaggi reali e seguono un rigoroso ordine cronologico. La narrativa, invece, dà loro l’impressione di essere un flusso disordinato di accadimenti fantasiosi che non aiutano a comprendere la realtà e il comportamento degli esseri umani. Vuoi mettere un libro che descrive il sistema politico o il sindacato o la crisi economica?

«Senza negare importanza alla saggistica, posso però dire che sbagliano. La narrativa -e le donne lo sanno bene- ti dà quanto la saggistica non potrà mai darti: il flusso reale della vita umana, il significato delle azioni, i pensieri nascosti, i mille contraddittori motivi che stanno dietro le nostre decisioni. La narrativa ti fa partecipare al mondo interiore di uomini e donne che sperano, sognano, amano, soffrono, lottano, vincono, sono felici e hanno paura. Un mondo che non è lineare, dove si mescolano passato, presente e futuro, tenerezza e passione, dubbi e certezze, odio e compassione, violenza e pentimento. Le donne si identificano nei personaggi del romanzo, vivono ciò che vivono e imparano dalla loro esperienza come fosse la propria. E si identificano un po’ nello stesso modo con i personaggi della cronaca mondana dei quali leggono le storie, e dei quali sanno tutto su mariti, amori, amanti, rivali, figli, successi, insuccessi, tradimenti e dolori. In questo modo, acquisiscono una conoscenza pratica, intuitiva delle emozioni che i maschi, con la loro razionalità, non riescono a procurarsi.

«E c’è un altro motivo per leggere soprattutto la grande narrativa: il linguaggio. Sono i grandi narratori che creano il linguaggio. Chi non legge questi libri non imparerà mai a scrivere.

«Molti manager e molti politici scrivono male proprio per questo motivo. Tra una persona che ha frequentato l’università ma non legge, e una con una scolarità inferiore ma che ha l’abitudine di leggere, la seconda parla e scrive meglio».

Ancora, ed è l’argomento di oggi, per il quale abbiamo compilato una lunga introduzione (necessaria?). A parte leggere narrativa, anche quella classificata minore, come è bollata quella poliziesca, ci sono libri per i quali potremmo anche fermarci al titolo: che, tante volte, basta e avanza. Certo... i romanzi sono entusiasmanti, ma ci sono anche titoli folgoranti. Segnaliamone qualcuno. [Però, prima di farlo, anche a difesa e sostegno della nostra predilezione per i romanzi polizieschi -in Italia, i gialli-, che ogni sera, prima di dormire, concludono in serenità le nostre giornate, una raffinatezza da uno di questi, con inattesa -ma gradita- considerazione fotografica. Del resto, da e con Francesco Guccini: E un giorno ti svegli stupita e di colpo ti accorgi / che non sono più quei fantastici giorni all’asilo / di giochi, di amici, e se ti guardi attorno non scorgi / le cose consuete, ma un vago e indistinto profilo. / {...} Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro, / capirai che altra gente si è fatta le stesse domande, / che non c’è solo il dolce ad attenderti, ma molto d’amaro / e non è senza un prezzo salato diventare grande. {E un giorno; in Stagioni, 2000}. Già: Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro.

Dunque: «Di quando in quando, osservo l’ultimo scatto che le ho fatto, subito dopo averle sparato. L’ho preso in mano per l’ennesima volta proprio ieri sera. L’avrò studiato per almeno un’ora.

«Come ogni altra fotografia che le ho scattato, non mi dice nulla di lei. Niente di niente. Ma mi rivela qualcosa di Geoffrey Barnett {il protagonista del romanzo, che sta riflettendo}. Individua il momento in cui si è reso conto di poter essere implacabile.

«Comincio a pensare che sia proprio questo il senso di ogni genere di fotografia. Non è detto che una fotografia vi dica qualcosa del suo soggetto. Ma se la osservate attentamente, e siete stati voi a scattarla, vi può rivelare molto su voi stessi». {Periodi finali/conclusivi del poliziesco Il dettaglio, di William Bayer; in edizioni Il giallo Mondadori}.

A questo stesso proposito, rimandiamo anche qui e ancora qui a Egocentrismo e Prima di cominciare / Vieni avanti!, su questo stesso numero, rispettivamente a pagina Settantaquattro e Quattro].

TITOLI ESAUSTIVI!

Dunque, «a parte leggere narrativa, anche quella classificata minore, ci sono libri per i quali potremmo anche fermarci al titolo: che, tante volte, basta e avanza» Segnaliamone qualcuno.

Le parole sono pietre

«Diario di tre viaggi compiuti da Carlo Levi nelle terre della Sicilia, tra il 1952 e il 1955. Con questo libro si apre un nuovo filone letterario nella produzione dell’autore: quello del reportage, di cui aveva già dato prova nei suoi articoli pubblicati su La Stampa e L’Illustrazione italiana.

«Pubblicato nel 1955, Le parole sono pietre è il racconto duro dell’arretratez-

za dei contadini siciliani “lo spettacolo della più estrema miseria contadina”, di una terra dove diventa difficile far applicare quelle leggi che lo Stato italiano ha approvato per la redistribuzione della terra, per migliorare le condizioni di lavoro, per applicare i diritti che dovrebbero valere per tutti, ma che -in quelle terre- devono sottostare ai privilegi dei potenti. Il libro è denso di fatti che lo scrittore trasfigura inserendoli nel simbolo della coscienza umana, dove “le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre”: sono pietre le parole di Francesca Serio, la madre di Salvatore Carnevale, il contadino ribelle assassinato dalla mafia perché fondatore, a Sciara, nel 1951, della sezione del Partito Socialista e della Camera del Lavoro; sono pietre scagliate nell’aula del Tribunale di Palermo da una madre siciliana che racconta e sfida cosa nostra, la legge del feudo e le complicità del potere istituzionale» [Fondazione Carlo Levi; www.carlolevifondazione.it].

Carlo Levi, Le Parole sono pietre; prima edizione Einaudi 1955. Edizione più recente, nella collana ET Scrittori, del 2016.

Stronzate

In incipit: «Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Tutti lo sanno. Ciascuno ne dà il proprio contributo. Tendiamo, però, a dare per scontata questa situazione. Gran parte delle persone confidano nella propria capacità di riconoscere le stronzate e di evitare di farsi fregare. Così, il fenomeno non ha attirato molto interesse, né ha suscitato indagini approfondite».

Più avanti [anche in altra parte della “rivista”, su questo stesso numero]: «Nei tempi antichi, artisti e artigiani non si concedevano scorciatoie. Lavoravano con attenzione, e curavano ogni aspetto della loro opera. Prendevano in considerazione ogni parte del prodotto, e ciascuna era progettata e realizzata esattamente come avrebbe dovuto. Non allentavano la loro attenta autodisciplina nemmeno riguardo ad aspetti che di norma non sarebbero stati visibili. Anche se nessuno si sarebbe mai accorto di tali imperfezioni, loro dovevano rispondere alla propria coscienza. Perciò, non si nascondeva lo sporco sotto il tappeto. O, si potrebbe forse dire, non c’erano stronzate». Insomma, «l’essenza delle stronzate (bullshit) non sta nell’essere false, ma nell’essere finte».

L’autore Harry G. Frankfurt (G, per Gordon; 1929-) è un filosofo statunitense. Dal 1990 al 2002, è stato professore emerito di filosofia alla Princeton University (la stessa dove insegnò anche Albert Einstein). Ha insegnato anche alle Yale University, Rockefeller University e Ohio State University.

Harry G. Frankfurt, Stronzate. Un saggio filosofico; Rizzoli, 2005; dall’originario On Bullshit (Princeton University Press, 2005).

Da cosa nasce cosa

«Tutto quello che so di Bruno Munari l’ho imparato all’asilo nido, quando lo frequentava mio figlio. Entrando per gli ambienti della scuola, mi resi immediatamente conto che, nascosto dietro ogni angolo, nelle pieghe di una semplice tenda decorativa, sotto la sediolina accanto a un tavolo, vi erano mille e mille pensieri, prove, riflessioni per vedere se quell’ambiente, quell’attività da proporre a un bambino, fosse efficace, adatta, giusta.

«Negli atelier in cui mi muovevo, in quell’ambiente circolare, fatto di centri di interesse, dove i piccoli possono muoversi liberamente, andando a cercare l’attività desiderata, notavo immediatamente la chiarezza di ogni proposta. L’ambiente parlava, non il mio linguaggio, mediato dall’età e dalla parola, ma il linguaggio dei bambini, molti dei quali, in un asilo nido, ancora non parlano, ma comprendono perfettamente.

«Il primo anno, mio figlio stava al piano inferiore della grande struttura, mentre il secondo anno era salito al piano superiore, nella sezione dei “Grandi”. Camminava aggrappandosi al corrimano, salendo con fatica ed entusiasmo ogni gradino. Per le scale, vi erano diversi quadri, di artisti famosi e una fotografia enorme che ritraeva Bruno Munari. La guardavo incuriosito e ammirato» [Andrea Di Bella; www. musicoff.com].

La conoscenza del metodo progettuale, del come si fa-a-fare e a conoscere le cose, è un valore liberatorio: è un “fai da te” te stesso.

Tra i libri di Bruno Munari, tutti entusiasmanti, questo -in Tredicesima edizione 2017-2022- è quello che forse maggiormente rende felici i lettori per la leggerezza incantata con la quale porta a scoprire che saper progettare non è dote esclusiva e innata di pochi. In ognuno di noi c’è una creatività che, in queste pagine, l’autore aiuta a estendere e mettere in luce. In ogni caso, Bruno Munari (1907-1998)è osservatore della Vita da conoscere e frequentare.

Bruno Munari, Da cosa nasce cosa; Editori Laterza, dal 1981. Qui, la copertina più recente, diversa dalle precedenti.

L’amico ritrovato

Probabilmente, il romanzo L’amico ritrovato, di Fred Uhlman, detiene un primato: quello di risolvere la sua narrazione all’ultima parola, laddove l’amico è ritrovato. Inoltre, per una volta, il titolo italiano è migliore di quello inglese originario: Reunion, che scarta a lato quanto appena annotato.

«Sulla base del romanzo, del 1971, è stato anche girato un film omonimo [di Jerry Schtzberg, del 1989], che racconta la medesima vicenda. La storia si basa sull’amicizia tra il protagonista Hans Schwartz, figlio di un medico ebreo, e il conte Konradin von Hohenfels, suo compagno al liceo Karl Alexander, di Stoccarda. All’indomani del fatidico 1933,

il protagonista -sedicenne- lascia l’Europa a causa della persecuzione nazista degli ebrei, per rifugiarsi negli Stati Uniti. «Nel romanzo, ricorda e ricostruisce l’amicizia con il compagno di classe; da cui, il tema principale è giusto quello della loro amicizia, nello scenario degli anni Trenta del Novecento, quando in Germania si affermano gli ideali nazionalsocialisti che hanno portato alla Shoah e a milioni di vittime» [www.skuola.net].

Fred Uhlman, L’amico ritrovato; Universale Economica Feltrinelli, dal 1986.

Cazzi nostri

In dimensioni, confezione e foggia da passaporto, opuscoletto di venti pagine 8,5x11,5... vuote. Cioè, da compilare, ciascuno da sé, con annotazioni, riflessioni, considerazioni, meditazioni, valutazioni e altro ancora. A piacere e necessità. Esplicita l’intestazione!

I cazzi miei; edizione di Angelo Mereu, Milano; distribuzione individuale e privata.

Dolore degli altri

Ok, certifichiamolo: il contenuto è sostanziale e sostanzioso. Però, se vogliamo (e lo vorremmo), possiamo elevare ad assoluto il titolo, indipendentemente dai richiami e riferimenti dell’autrice Susan Sontag: gli altri!

Comunque, e nello specifico, considerazioni a partire da una condizione assoluta e inderogabile. Sfogliando i quotidiani, guardando i telegiornali, assistiamo di continuo ad atrocità di ogni genere: distruzioni, bombardamenti, violenze su Uomini e Donne, vittime innocenti di guerre che non vogliono ma che subiscono passive e inermi. Le nostre reazioni davanti a questo dolore, non nostro (?). Degli altri.

Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri; prima edizione Mondadori / Strade blu, del 2003, con dettaglio da Neanche qui [si può sapere perché], di Francisco Goya (1746-1828), acquaforte, acquatinta brunita, puntasecca e bulino 157x208mm, trentaseiesima illustrazione in I disastri della guerra (1810-1820).

Imperativo: indignarsi!

Per quanto ufficialmente indirizzato ai giovani, i soli che -indignandosi! per ciò che oggi è- hanno Modo e Tempo per invertire qualsivoglia senso di marcia, il pamphlet dell’autorevole e accreditato Stéphane Hessel (1917-2013) è trasversale a tutte le generazioni; perfino, alla nostra, anagraficamente âgé.

Tedesco naturalizzato francese, combattente nella Resistenza, durante la Seconda guerra mondiale, e deportato nel Campo di concentramento di Buchenwald, in quanto ebreo, l’autore è stato poi diplomatico e politico di prima grandezza. Ha partecipato alla stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, del 1948.

Qui, scrive anche in questa veste: non è questo il mondo per il quale abbiamo combattuto e siamo morti! Da cui, «Creare è resistere. Resistere è creare».

Stéphane Hessel, Indignatevi!; Add Editore, Sesta edizione 2011; dall’originale Indignez-vous!, del 2010.

(Anche) Noi, farfalle

Copertina di Linus, del settembre 1985, conteggiato come duecentoquarantacinquesimo numero (245), dal primo originario, dell’aprile 1965.

Nulla da aggiungere a quanto è creditato al disegnatore satirico Altan (Francesco Tullio Altan; 1942-), per il suo inconfondibile tratto; tantomeno, per i suoi sintetici testi. Qui uno in nostra predilezione, anche se non è possibile avere un solo Altan preferito.

«Noi farfalle si vive un giorno solo, e quando son le sei di sera si han già le palle piene». ■ ■

Linus, settembre 1985; direttore Fulvia Serra; Milano Libri Edizioni.

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