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Da invidia?

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Polacreazioni

Polacreazioni

Diretto da Barry Levinston, su sceneggiatura di Ronald Bass e Barry Morrow, Rain Man è un film che ai tempi in cui uscì nelle (allora) sale, fine 1988, suscitò non poche emozioni. Molte di queste furono indotte e sedotte dall’apprezzata (da chi?) interpretazione di Dustin Hoffman, nei panni dell’autistico Raymond Babbitt: da cui premio Oscar, agli Academy Awards, di Hollywood. Adeguata (?) anche la presenza di Tom Cruise, il fratello Charlie; e inconsistente, come sempre e al solito, quella dell’italiana Valeria Golino, nei panni di Susanna, la ragazza di Charlie, che accompagna i fratelli nel proprio viaggio attraverso gli Stati Uniti.

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Al solito, qui e ora, come qui e sempre (in questo spazio redazionale dedicato, all’interno di una rivista dall’indirizzo altrettanto mirato, si fa per dire), non ci interessa tanto la storia del film, e neppure la sua realizzazione cinematografica. Quanto, è scontato, ci incamminiamo lungo il consueto retrogusto fotografico, che isoliamo dall’insieme e dal totale. Non prima di aver rilevato quanto sia stato negativo e nocivo lo stereotipo “autistico” del film -addirittura deleterio!; perfino pericoloso!-, che ha deviato l’opinione generale sul proprio spettro, assai più concreto e da considerare e rispettare altrimenti, con ben altro riguardo. Comunque...

Rapito dall’istituto nel quale è rinchiuso da anni, per una cura che è soltanto tutelativa, e non approda ad alcun miglioramento sanitario, peraltro irraggiungibile, l’autistico Raymond (interpretato da un poco credibile Dustin Hoffman: in base a nostre considerazioni, già accennate) segue il fratello Charlie in un viaggio che li porterà ad attraversare tutti gli States. Percorrono autostrade pluricorsia e strade provinciali poco frequentate, allungandosi anche su tratti della celebre

Route 66, una leggenda, e attraversano città, paesi e villaggi. Non importa come lo fanno, e neppure ci interessa la sosta a Las Vegas, dove Raymond mette a frutto proprie presunte (e stereotipate / stoppose) capacità matematiche di calcolo e previsione ai tavoli da gioco di un Casino (altro preconcetto di contegno). Piuttosto, ci attardiamo con la Fotografia. E che altro!?

NEW DOCUMENTS?

Esagerando un poco, ma neppure poco, e ne siamo consapevoli (oltre che convinti), richiamiamo le figure di fotografi del calibro di Lee Friedlander e Garry Winogrand, che l’attento John Szarkowski, allora curatore del Dipartimento fotografico del Museum of Modern Art, di New York, il celebre MoMA, mancato nel luglio 2007, a ottantuno anni, riunì insieme con Diane Arbus, di analoga statura (successiva), accostandoli gli uni agli altri, nell’epocale collettiva New Documents, che -nel 1967 (dal ventotto febbraio al sette maggio)- stabilì i connotati di un nuovo passo della fotografia dal/del vero. Le richiamiamo per quanto di fotografico compie Raymond nel corso del cinematografico Rain Man. A parte altre sue ossessioni, una delle quali riguarda il baseball (citazione d’obbligo... almeno per noi: «Who’s on First? - Who» [Chi gioca in prima base? - Chi (Who)] è un celeSiamo all’inizio del film Rain Man, di Barry Levinston, del 1988. Charlie (interpretato bre tormentone degli da Tom Cruise) rapisce il fratello autistico Raymond (Dustin Hoffman, il protagoni- anni Quaranta del duo sta della vicenda), facendolo uscire dall’istituto nel quale vive. Tra le mani di Ray- comico Abbott and Comond, la Kodak Instamatic che rappresenta l’unica mediazione tra lui e il mondo. stello [Bud Abbot e Lou Costello], traslitterati in

Gianni e Pinotto, per l’Italia), Raymond ha sempre tra le mani una Kodak Instamatic, attraverso la quale osserva il mondo e con la quale registra lo scorrere delle proprie giornate.

Alla fine del film, sui titoli di coda, scorrono fotografie attribuibili a Raymond, che rivelano -appunto- un sapore forte, tutto statunitense, tutto riconducibile, eccoci!, a una certa fotografia New Documents e dintorni, semplificabile in Street Photography, quantomeno da coloro i quali -qui da noi- ne sono saliti stoltamente a bordo. Subito liquidiamo queste immagini, e più avanti andiamo oltre.

A parte essere significativamente accattivanti, lo riveliamo con sincerità, queste fotografie ingigantite sul grande schermo cinematografico confermano un’idea e opinione che abbiamo maturato da tempo: soprattutto se in bianconero, come in questo caso (e come nelle inquadrature di altri film), le Fotografie nel Cinema sono assolutamente e inviolabilmente affascinanti. Sicuramente, appaiono meglio di quello che effettivamente sono; altrettanto certamente, guadagnano nell’ingran- Con Mary Ellen Mark, celebre e celedimento sullo schermo (oggigiorno più brata fotogiornalista contemporanea, che mortificato dalla visione attraverso mancata nel 2015, dalla postfazione alla televisori domestici, per quanto gran- sua coinvolgente raccolta epocale Amedi possano essere, possano diventare). rican Odissey: «Dai miei primi giorni

Fascinose per la propria sulla strada, armata di macmediazione formale, le foto- Anche nell’attesa di una china fotografica, sapevo che grafie sui titoli di coda di Rain visita medica, Raymond sarebbe stato così: sarei diMan, attribuibili al protagoni- si protegge, protegge la ventata fotografa. Questo insta Raymond, lo sono anche per se stesse e in se stesse. Sono efficaci visioni di traverpropria psiche, fotografando ciò che lo circonfantile senso di eccitamento non mi ha mai abbandonato, come anche il piacere so della realtà, osservata con da: dettagli e visioni suc- che riesce a darmi il contatto occhio vivo e partecipe, che cessivamente proposte con le persone che fotografo. si allungano dalle intenzio- sullo scorrere dei titoli di «Scattare fotografie può ni dell’autore alla riflessione coda del film Rain Man. essere una contraddizione; dell’osservatore. Ribadiamo: perché, se da un lato la macda fare invidia agli street photographers china fotografica facilita il contatto con (?) italiani (!), autodefinitisi tali. il soggetto, dall’altro fornisce una necessaria distanza. A volte, il mio lavoro TERAPIA? si focalizza su aspetti di vita che sono Ciò detto e rilevato, un’altra considerazio- molto difficili, che sono problematici. ne ancora. La Fotografia come Terapia. Quando la macchina fotografica è tra Tra le mani dell’autistico Raymond, la me e il soggetto, spesso mi protegge da piccola ed efficace Instamatic svolge un una situazione spiacevole, ma al temruolo discriminante nel proprio rapporto po stesso mi permette di introdurmi in con la realtà, nel suo stare nella realtà. mondi altrimenti impenetrabili».

WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (6) Un altro “incontro” / “incrocio” di Dustin Hoffman con la Fotografia al Cinema si registra nel film Tootsie, di Sidney Pollack, regista e attore mancato nella primavera Duemilaotto. Commedia leggera, del 1982, il film narra la vicenda dell’attore disoccupato Michael Dorsey, che ottiene la parte in una soap opera televisiva fingendosi donna. Come Dorothy Michaels, raggiunge un consistente successo personale. Ottima l’interpretazione di Dustin Hoffman, apprezzati gli equivoci che attraversano tutta la sceneggiatura e contestata, ai tempi, la mancanza di coraggio di Hollywood, che non ha insignito l’attore della nomination agli Academy Awards (Oscar)... per la migliore interpretazione femminile dell’anno.

Nell’ambito delle serrate sessioni in studio, che certificano il successo di Dorothy Michaels con la dissolvenza dal ritratto posato alla copertina di prestigiose testate giornalistiche, c’è una posa con Andy Warhol, che interpreta se stesso: bel cameo.

Però, in maggiore consistenza, proprio queste sessioni fotografiche contengono un cameo di altro spessore, che interessa il nostro punto di vista, al solito particolare e mirato. Il fotografo che scatta, dal vetro smerigliato dell’Hasselblad montata su treppiedi, in una sala di posa ricca di flash elettronici che illuminano i set, è nientemeno che Greg Gorman (1949-) uno dei grandi della fotografia di moda internazionale e non comune interprete dello star system hollywoodiano (www.gormanphotography.com).

Ci sarebbe molto da scrivere sulla fotografia di Greg Gorman, ma non è il caso di farlo, né qui né ora. Soltanto, a complemento, ricordiamo la retrospettiva Perspectives, allestita agli Scavi Scaligeri, di Verona, nell’autunno 1999. All’esposizione degli originali sopravvive la monografia realizzata per l’occasione, avvincente casellario di una lunga e scintillante carriera fotografica: Perspectives; (Leonardo Arte) Electa, 1999.

Anche per l’autistico Raymond di Rain Man, soprattutto per lui, la macchina fotografica è ciò che lo protegge da situazioni spiacevoli e altrimenti incomprensibili; ma, allo stesso momento, la stessa macchina fotografica, averla tra le mani, portare il mirino all’occhio, gli permette di introdursi in mondi altrimenti impenetrabili alla sua sindrome.

Fotografa ogni volta che lo svolgimento della vita irrompe nella sua esistenza.

Accanto i titoli di coda di Rain Man scorrono fotografie attribuibili all’autistico Raymond, che rivelano un sapore forte, tutto statunitense, tutto riconducibile a una certa fotografia New Documents e dintorni.

Film che ha seminato equivoci ambigui e tragici, Rain Man finisce per iscriversi anche in quel consistente casellario di sceneggiature e/o scenografie con convincente presenza fotografica che andiamo compilando da Tempo. Da cui, la nostra segnalazione, svolta in due direzioni saldamente fotografiche.

Oppure, no? ■ ■

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