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Editoriale

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Polacreazioni

Polacreazioni

Dal divano di casa, magari acquistato in promozione perenne, è facile giudicare il Mondo. È anche comodo. Si può stare lì, seduti o sdraiati, ed esprimere valutazioni assolute, ognuna in egocentrismo di conforto. Così che tutti gli altri paiono stupidi e crudeli. Così che ci si può commuovere per il destino di genti in guerra, di bambini indifesi, di oppressi. Tra un aperitivo e il successivo, ci si veste da giudici implacabili. E si manifesta una certa propria stupidità. In clamoroso allineamento, altri divani sono altrettanto confortevoli: per esempio, negli studi televisivi, per spettacolarizzare la cronaca a proprio favore. In tempi recenti, per la scomparsa dell’autorevole e rigorosa fotografa Letizia Battaglia, mancata lo scorso tredici aprile, a ottantasette anni (era nata il 5 marzo 1935), tanti / troppi conduttori televisivi, soprattutto conduttrici televisive, hanno vantato amicizia improbabile, ammirazione postuma, accordo al suo impegno civile. Peccato che -senza la complicità del divano- non abbiamo mai sentito evocare la sua figura civile e professionale in occasioni precedenti, lei in vita. Va così: e qui, e ora, eleviamo il divano a contrassegno della nostra tormentata epoca. Dal divano e sul divano, tutto è chiaro e palese. Sul divano e dal divano, ognuno crede di essere saggio, di diventarlo. Mentre è vero l’esatto contrario: ciascuno insegue la vita, come se l’avesse sempre capita. Perché il divano è protettivo, in quanto avvolgente. Tiene lontana la realtà; soprattutto, la tiene lontana da noi, dal nostro egocentrismo (c’è chi ne ha di più, chi di meno: ma, l’abbiamo tutti). Ovvero: dal divano, possiamo esprime tante solidarietà con gli altri, soprattutto se e quando oppressi per proprie debolezze (?). Se, però, gli altri dovessero invadere il nostro territorio, scavalcando magari il divano, le considerazioni pacate si trasformerebbero in recriminazione: verso i neri, i profughi, gli immigrati, i diversi . A conti fatti, la funzione protettiva del divano si manifesta anche in Fotografia, nostro territorio ufficialmente comune, laddove e quando e per quanto la macchina fotografica fornisce una necessaria distanza con il Mondo, dai suoi soggetti. Però, c’è una differenza sostanziale. Se da un lato la macchina fotografica protegge fisicamente, raccontiamocela così; dall’altro, eccezionalmente, facilita il contatto con il soggetto, con la situazione, con il Mondo. Non ci stancheremo mai di ripeterlo e ribadirlo e confermarlo: uno dei princìpi per noi fondamentali e fondanti della Fotografia si basa sulla sua effettiva funzione di s-punto privilegiato di osservazione. I fotografi coscienti della propria azione e (perfino) influenza non ignorano, né -tantomeno- sottovalutano, quel senso etico che guida la loro azione, addirittura condizionandola: rendere permanenti momenti che avrebbero potuto (dovuto?) rimanere effimeri impone riflessioni e considerazioni morali che accompagnano azioni fotografiche nobili. Ed efficaci. Ovverosia, in metafora e allineamento: da e con Mary

Ellen Mark, celebre e celebrata fotogiornalista contemporanea, mancata nel 2015, dalla postfazione alla sua raccolta American Odissey: «A volte, il mio lavoro si focalizza su aspetti di vita che sono molto difficili. Quando la macchina fotografica è tra me e il soggetto, spesso mi protegge da una situazione spiacevole, ma al tempo stesso mi permette di introdurmi in mondi altrimenti impenetrabili». Forse, basta alzarsi dal divano . Maurizio Rebuzzini

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