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Beppe Bolchi
Tutto è come sogniamo che sia.
Come tutti i fotografi capaci di essere tali e competenti della propria azione, quantomeno di quanto questa influenzi e indirizzi coloro che vi accedono -in misura di osservatori attenti-, Beppe Bolchi è un inguaribile bugiardo. Come tutti i fotografi, artisti che esprimono la propria espressività da oltre centottant’anni (da quel fatidico 1839 di origine, nel quale è cominciato tutto), l’attento e coinvolgente Beppe Bolchi è un esuberante bugiardo. Lo è perché e per quanto controlla, fino a dominarlo perfettamente, il proprio linguaggio. Così come un bravo narratore mente per far comprendere il proprio racconto, omettendo qui, sottolineando là, soprassedendo a destra e allungandosi a sinistra, anche il bravo fotografo mente per lo stesso, identico motivo: in ripetizione, per far comprendere il proprio racconto; nello specifico di questa raccolta di Beppe Bolchi, il proprio cammino e la propria riflessione, non soltanto visiva.
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Dove sta la sua bugia? Paradossalmente, nella sua sincerità di intenti ed esecuzione. Celandosi dietro una identificazione di richiamo certo, in forma di titolo, offre letture e interpretazioni affinché ciascuno di noi, alla presenza delle sue fotografie, possa esprimere pensieri suoi autonomi, partire per viaggi individuali.
Ancora, dove sta, allora, la sua bugia? Nel raccontare con perizia e cognizione di causa, affinché nessun osservatore possa disperdersi in una confusa selva di tante sollecitazioni casuali, ma imbocchi con decisione il proprio cammino, che può coincidere con quello delle sue intenzioni d’autore, ma anche distaccarsene.
Mettiamola così: con la qualità delle sue fotografie, qui e ora accorpate in pretesto esplicito e dichiarato il Movimento, Beppe Bolchi scandisce tempi esatti di un proprio racconto e del coinvolgimento conseguente (ovviamente, quando riconosciamo e identifichiamo “qualità”, non ci riferiamo a quella formale che dall’accurata inquadratura passa attraverso una confortevole composizione, per presentarsi, infine, in quadri eseguiti ottimamente). (continua a pagina 30)
Magari legittimamente, e con cognizione di causa, si è soliti affermare che la Fotografia non avrebbe modo di registrare il movimento. Casomai, può simularlo, con espedienti dal suo protocollo tecnico-applicativo. In relazione a questo, acquisiamo con entusiasmo la ricapitolazione che il telentuoso Beppe Bolchi ha realizzato in forma di monografia d’Autore, raccogliendo un selezionato insieme dalle proprie ricerche espressive in condotta esplicita: per l’appunto, il Movimento. Con ulteriori due note d’appoggio e supporto. Anzitutto, l’artefice (di fotografie e testi a presentazione e commento) precisa trattarsi di Esperienze in Fotografia; quindi, sottolinea la modulazione conseguita: il Movimento in Fotografia, la Fotografia del Movimento, la Fotografia in Movimento e le Fotografie in Movimento. In raffinata edizione esclusiva
EPPUR SI MUOVE! OPPURE, NO?
Ceci n’est pas un arbre
(Questo non è un albero) «Non è per scimmiottare il quadro e la provocazione di René Magritte [Ceci n’est pas une pipe], ma è proprio il suo superamento. Se nella figura dipinta da Magritte c’è veramente una pipa, in questo caso l’albero non c’è, ci sono solo le sue ombre proiettate sul terrapieno di massi in una strada di montagna. Ma la percezione che ne abbiamo è quella di un albero, dai colori fantasmagorici, ben delineato e assolutamente comprensibile. L’apoteosi del Surrealismo?». (continua da pagina 26)
Da coscienzioso autore, non si perde per strada, e permette anche a noi osservatori di percorrere la nostra linea retta. Non racconta nulla di superfluo, per dare fiato a quanto è effettivamente necessario: interpretazioni che impongono la riflessione, che inducono in tentazione. Da non credere, soprattutto ai nostri giorni: inducono alla tentazione di pensare, ciascuno per sé, ma anche in condivisione con altri.
La fotografia è magica e magia giusto per questo. Non necessariamente racconta dei propri soggetti, spesso invitati a richiamare altre intimità che non la propria apparenza a tutti manifesta. Ma rivela sempre qualcosa dell’autore, che coinvolge tutti nella sua visione.
Alla fin fine, è esattamente questo il senso di ogni fotografia. Se la osservate attentamente, e vi allineate con il suo spirito, vi può rivelare molto su voi stessi.
Con tutto, però, bisogna essere consapevoli che l’attuale sintesi di Beppe Bolchi non è necessariamente soltanto ciò che annuncia e promette di essere. Sì, in assolvimento, è (anche) il Movimento in Fotografia, la Fotografia del Movimento, la Fotografia in Movimento e le Fotografie in Movimento. Ma!
Opera fotografica e riflessiva che arriva in età matura, al culmine di esperienza pluridecennale, questo Movimento non si esaurisce in sé, ma dischiude altre Porte, altre Avventure della Mente... non soltanto fotografica... non soltanto in frequentazione fotografica... non necessariamente entro confini (solo?) fotografici. Questo Movimento è profonda meditazione sulla Fotografia tutta e sulla sua capacità di Vedere e far Vedere.
Già... opera matura: il poeta turco Hâzim Hikmet (1902-1963) ha sollecitato a vivere la propria esistenza con dignità, serietà e dedizione agli altri. Alla vita, non si deve chiedere alcuna ricompensa; è sufficiente guardare fiduciosi al futuro. In età avanzata, si può piantare un ulivo, non per poter godere dei
il Movimento, di Beppe Bolchi; 156 pagine 27x27cm, cartonato. Opera pubblicata in tiratura di trentuno esemplari (ventinove più due prove d’Autore): numeri primi, sia trentuno, sia ventinove, sia due! Ancora: trentuno, numero primo composto con altri due numeri primi (tre e uno). Quindi, in e da La luna è una lampadina, di Enzo Jannacci, del 1964: «Il 31 (inteso come tram) è già passato / Di 28 non ce n’è più, mi tocca andare a casa / A piedi, Lina! / E mi fanno male i piedi, Lina, oh Lina! / El trentun l’è già passaa / Di vintott gh’è n’è pu / Me tuca andaa a caa a pee, Lina». suoi frutti, e neppure perché ne usufruiscano i figli e nipoti, ma come semplice (?) atto di amore per la vita.
Testuale la conclusione della poesia Alla vita, del 1948 (dalla traduzione Mondadori per la raccolta Poesie d’amore, del 1963): Prendila sul serio [la vita] / ma sul serio a tal punto / che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi / non perché restino ai tuoi figli / ma perché non crederai alla morte / pur temendola / e la vita peserà di più sulla bilancia.
E la qualità del cammino di Beppe Bolchi, qui e oggi in sintesi esistenziale mirata, è stile di vita, eleganza irrinunciabile. Questa qualità impone un altro richiamo. Anche abile dagherrotipista, l’inglese John Ruskin (1819-1900) è stato esplicito: «Tutti i lavori di qualità devono avere un prezzo proporzionato all’abilità, al tempo, al costo e ai rischi inerenti la propria preparazione. I buoni prodotti non si ottengono mediante compromessi o attraverso modificazioni, e non si possono realizzare con piccola spesa. Qualunque sia il procedimento usato per la loro fabbricazione [creazione!], fruttano all’artefice assai meno di quelle cosiddette “a buon mercato”».
Dobbiamo essere tutti grati a quegli autori fotografi, quale è Beppe Bolchi, che con le proprie visioni e interpretazioni (e riflessioni collegate) fanno entrare il mondo all’interno degli spazi e momenti nei quali ciascuno di noi conduce la propria esistenza. Sfogliando la sequenza della sua Fotografia, si incontra e vede lo svolgimento della vita attraverso rappresentazioni attente. Tutto sta a distinguerle, a riconoscerle. Ma, una volta intuiti i meccanismi, il gioco è affascinante e appagante.
La buona comunicazione fotografica ha il potere di aprirci quotidianamente la porta del paese delle meraviglie entro il quale si perde l’Alice di Lewis Carroll: apparenza e realtà si fondono in uno. Niente è ciò che sembra. Tutto è come sogniamo che sia.
Che vorremmo che fosse. ■ ■