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Dalla politica
Lo scorso gennaio, ho vissuto giornate che mi hanno reso felice, non soltanto contento: la differenza non è poca, come ha avuto modo di sottolineare, tempo fa, il caustico avvocato Giuseppe “Peppino” Prisco (1921-2001), dal Millenovecentosessantatré vicepresidente dell’Inter (ufficialmente FC Internazionale Milano), squadra di calcio che mi sta a cuore: «I tifosi della Juventus sono sempre contenti; quelli dell’Inter, a volte felici». La felicità dello scorso gennaio si è edificata nei giorni della curiosa rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. In assenza di altri candidati plausibili, i giochi delle parti si sono protratti per giorni, fino al fatidico e definitivo ottavo scrutinio, del ventinove gennaio. Quella sera, sono stato felice, perché ho ipotizzato, e sperato, che la politica italiana avesse finalmente toccato il fondo. Più in giù di così, ho sognato, non si sarebbe potuti andare. Nella seconda metà di luglio, diamine, la politica italiana mi ha contraddetto: raggiunto il fondo, si può ancora scavare. Quindi, una volta maturata la pensione di legislatura, il pensiero partitico ha potuto dare sfogo a tutte le proprie esuberanze, per far cadere un governo tra i più efficaci della nostra vita repubblicana. Non entro in merito, ma ho ascoltato, in televisione, le stolte e tignose dichiarazioni dei partiti (per moda, affidate a parlamentari donne!). E mi sono chiesto se costoro, che parlano tanto di “cittadini”, saprebbero riconoscerne uno, incontrandolo per strada, magari con la carta di identità in bocca. Penso proprio di no!
Così, per consolarmi, sono andato a rileggere il discorso del senatore (per lo stato dell’Arizona) John McCain, candidato repubblicano sconfitto alle elezioni presidenziali statunitensi del 2008, ai propri sostenitori, convenuti nel suo quartier generale di Phoenix, immediatamente dopo la certezza della vittoria del senatore democratico (dell’Illinois) Barack Obama, che il 20 gennaio 2009 ha giurato come quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, per il primo dei suoi due mandati.
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Parole di un candidato sconfitto. Una lezione di civiltà, etica, morale e cultura politica (ed esistenziale).
Da lontano, un esempio per tutti noi.
Grazie, grazie amici miei. Grazie per essere venuti, in questa bellissima serata dell’Arizona.
Amici miei, siamo arrivati alla fine di un lungo viaggio. Il popolo americano ha parlato, e ha parlato chiaramente.
Poco fa ho avuto l’onore di telefonare al senatore Barack Obama, per congratularmi con lui. Per congratularmi con lui di essere stato eletto come nuovo presidente della nazione che entrambi amiamo.
In una competizione così lunga e così difficile come è stata questa campagna, il suo successo -da solo- esige il mio rispetto per la sua abilità e perseveranza. Ma il fatto che ci sia riuscito dando ispirazione alla speranza di così tanti milioni di americani, che credevano erroneamente di essere così poco in gioco o di avere una influenza minima sull’elezione di un presidente americano, è qualcosa che io ammiro profondamente e la cui riuscita merita il mio encomio. Questa è una elezione storica, e io riconosco lo speciale significato che ha per i neri e lo speciale orgoglio che deve essere il loro questa notte.
Ho sempre pensato che l’America offra un’opportunità a chiunque abbia l’industriosità per afferrarla. Il senatore Obama crede lo stesso. Ma entrambi riconosciamo, a dispetto del lungo tratto percorso dalle vecchie ingiustizie che un tempo macchiavano la reputazione della nostra nazione e che negavano ad alcuni americani la completa benedizione della cittadinanza americana, che la memoria di ciò ha ancora il potere di ferire. Un secolo fa, l’invito per una cena alla Casa Bianca del presidente Theodore Roosevelt a Booker T. fu considerato come oltraggioso da molti ambienti [nato in schiavitù, il 5 aprile 1856, Booker Taliaferro Washington fu pioniere del sistema educativo statunitense; il 16 ottobre 1901, fu invitato alla Casa Bianca; è mancato il 5 novembre 1911, a cinquantacinque anni].
L’America oggi è lontana un mondo dalla crudele e spaventosa bigotteria di quel tempo. Non c’è migliore evidenza
di questo che l’elezione di un nero alla presidenza degli Stati Uniti.
Che non ci siano più ragioni che impediscano a nessun americano di onorare la propria cittadinanza in questa, la più grande nazione sulla Terra.
Il senatore Obama ha ottenuto una cosa grandiosa per sé e per la sua nazione. Lo applaudo per questo e gli offro la mia più sincera compassione per il fatto che la sua amata nonna non sia vissuta a sufficienza per vedere questo giorno. Però, la nostra fede ci assicura che riposa in presenza del nostro creatore, così orgogliosa del buon uomo che ha aiutato a crescere.
Il senatore Obama e io abbiamo le nostre differenze e le abbiamo dibattute; e lui ha prevalso. Non c’è dubbio che queste differenze rimangano. Questi sono momenti difficili per il nostro paese. E io questa notte prometto a lui di fare tutti ciò che è in mio potere per aiutarlo a guidarci attraverso le molte sfide che andremo a incontrare.
Raccomando a tutti gli americani che mi hanno sostenuto non solo di unirsi a me nel congratularsi con lui, ma di offrire al nostro prossimo presidente la nostra buona volontà e i più onesti sforzi per scoprire le strade che ci aiutino a trovare i necessari compromessi per stabilire dei contatti tra le nostre differenze, così da aiutarci a ripristinare la nostra prosperità, difendere la nostra sicurezza in un mondo pericoloso e lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti un paese migliore di quello che abbiamo ereditato.
Qualunque siano le nostre differenze, siamo tutti (compagni) americani. E, per favore, credetemi quando dico che nessuna comunanza ha avuto un significato maggiore per me, di essa.
È normale. È normale, questa notte, essere delusi. Ma domani dobbiamo superare la delusione e lavorare insieme per fare sì che il nostro paese ricominci a progredire.
Abbiamo lottato con tutta la nostra forza. E anche se non ce l’abbiamo fatta, il fallimento è mio, non vostro Sono così profondamente grato a tutti voi per il grande onore del vostro sostegno e per tutto ciò che avete fatto per me. Avrei sperato in un risultato diverso, amici.
La strada era difficile sin dall’inizio, ma il vostro sostegno e la vostra amicizia non è mai venuta a mancare: non posso esprimere in modo adeguato il mio profondo debito per voi.
Sono grato in particolare a mia moglie Cindy, ai miei figli, alla mia cara madre e a tutta la mia famiglia, e ai tanti vecchi e cari amici che mi hanno accompagnato attraverso i tanti alti e bassi di questa lunga campagna.
Sono sempre stato un uomo fortunato, ma mai così tanto che per l’amore e l’incoraggiamento che mi avete dato.
Sapete, le campagne elettorali sono spesso più dure per le famiglie dei candidati che per il candidato stesso, ed è stato vero in questa campagna.
Tutto ciò che posso offrire come compensazione è il mio amore e la mia gratitudine, e la promessa che i prossimi anni saranno più tranquilli.
Ovviamente, sono anche molto grato alla governatrice Sarah Palin, una delle migliori attiviste (elettorali) che abbia mai visto, e una impressionante nuova voce nel nostro partito al servizio delle riforme e dei princìpi che sono sempre stati la nostra forza; suo marito Todd e i loro stupendi cinque figli per la loro instancabile dedizione alla nostra causa, e per il coraggio e la generosità mostrate nella durezza e nella confusione di una campagna presidenziale.
Guardiamo con estremo interesse al suo futuro servizio per i cittadini dell’Alaska, per il Partito Repubblicano e per il nostro paese in assoluto.
A tutti i compagni della mia campagna, da Rick Davis, Steve Schmidt e Mark Salter, fino all’ultimo volontario che ha lottato duramente e valentemente mese dopo mese, in quella che in alcune circostanze è sembrata la campagna più combattuta dei tempi moderni, grazie davvero. Un’elezione persa non conterà mai, più del privilegio della vostra fede e amicizia. Non so, non so, cosa avremmo potuto fare di più per provare a vincere questa elezione. Lascerò questa valutazione ad altri. Tutti i candidati fanno degli errori, e io sicuramente ho fatto la mia parte di essi. Ma non passerò un solo momento in futuro per rimpiangere ciò che avrebbe potuto essere. Questa campagna è stata e sarà il più grande onore della mia vita, e il mio cuore è pieno di nient’altro che gratitudine per questa esperienza, e per il popolo americano che mi ha concesso questa tribuna prima di decidere che il senatore Obama e il mio vecchio amico Joe Biden avrebbero avuto l’onore di guidarci per i prossimi quattro anni.
Non sarei un americano degno di questo nome, se mi lamentassi con la sorte che mi ha concesso lo straordinario privilegio di servire questo paese per mezzo secolo.
Oggi ero candidato per il più alto ufficio della nazione che amo così tanto. E stanotte, anche se sconfitto, rimango al servizio di essa. Ciò è una benedizione sufficiente per chiunque, e ringrazio il popolo dell’Arizona per avermi accordato questa possibilità.
Questa notte, più che in ogni altra notte, conservo nel cuore nient’altro che amore per questo paese e per tutti i suoi cittadini, che abbiano sostenuto me o il senatore Obama. Che abbiano sostenuto me o Obama.
Auguro le migliori cose all’uomo che era il mio avversario e che sarà il mio presidente. E chiedo a tutti gli americani, come ho spesso fatto durante questa campagna, di non disperare delle nostre presenti difficoltà, ma di credere -sempre- nella promessa della grandezza dell’America. Perché niente è inevitabile, qui.
Gli americani non si dànno mai per vinti. Noi non ci arrendiamo mai.
Noi non ci nascondiamo mai alla storia. Facciamo la storia.
Grazie, Dio vi benedica e Dio benedica l’America.
Grazie, grazie davvero. ■ ■