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Voyeur

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Grande il formato

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In altra parte della rivista, su questo stesso numero, richiamiamo una certa personalità “fotografica” di Grace Kelly, attrice e -poi- principessa di Monaco (Principato di Monaco), in allungo sulla convergente identica particolarità della regina Elizabeth II... a propria volta, abbinata ad apparecchi fotografici. Grace Kelly attrice è stata co-protagonista nel film La finestra sul cortile (Rear Window), di Alfred Hitchcock, del 1954.

A quanto rivelato/rilevato nell’intervento redazionale appena richiamato, aggiungiamo che La finestra sul cortile è altresì un film sul cinema e sugli spettatori: tanti voyeur nascosti nel buio della sala, curiosi, morbosamente attratti da quello che accade oltre... quella finestra.

Ma non è di questo che ci occupiamo, e neppure di altre particolari componenti cinematografiche della pellicola, tra le quali spicca la scenografia unica, che impone allo spettatore di guardare tutto dal punto di vista del protagonista. Invece, e al solito, sottolineiamo la componente fotografica del film, nel cui cast Grace Kelly è l’interprete principale femminile.

Immobilizzato in casa da un incidente sul lavoro, un fotoreporter usa un teleobiettivo (il Kilfitt Fern-Kilar 400mm f/5,6 su reflex Exakta) per scrutare l’intimità degli appartamenti di fronte al suo: così facendo, scopre un omicidio. Ancora, alla conclusione del film, il protagonista L. B. Jefferies (l’attore James Stewart) resiste all’aggressione dell’assassino, difendendosi a colpi di flash a lampadine, che accecano il pur coriaceo Lars Thorwald (il bravo attore Raymond Burr, noto per le serie televisive cult dell’avvocato Perry Mason e dell’investigatore paraplegico [Robert] Ironside, del passato remoto).

In La finestra sul cortile, Grace Kelly interpreta la sofisticata Lisa Carol Fremont («che non porta mai lo stesso abito due volte»), fidanzata di L. B. Jefferies, che vuole convincere a lasciare il fotoreportage per la più remunerativa fotografia di moda.

Significativo è il dialogo, dalla cui retorica prendiamo le distanze. Ma la proposizione è necessaria, quantomeno dal punto di vista fenomenologico dell’immagine (immaginario) della fotografia, e in particolare del fotoreportage, all’esterno dei propri confini istituzionali e oltre le convinzioni dei propri addetti reali.

«Ho parlato di te tre volte nelle mie notizie mondane, oggi… e non si compera, certa pubblicità».

«Ah, lo so».

«Un giorno, potresti deciderti ad aprire un tuo studio qui, a New York».

«E... e come potrei gestirlo, diciamo dal... dal Pakistan?». «Jeff, non ti sembra l’ora di sistemarti? Potresti scegliere i tuoi servizi». «Ce ne fosse almeno uno che mi va». «Allora, fallo tu quello che vuoi». «Cioè, lasciare la mia rivista, il fotogiornalismo?». «Sì». «Per che cosa?». «Ma, per te stesso... per me. Potrei affidarti anche domani una La fotografia è discrimi- dozzina di servizi... ritratti, nante nel film La fine- moda...». stra sul cortile, di Alfred «Eh, eh, eh». Hitchcock, del 1954. «No, non ridere. Io posso farlo». «È proprio questo che mi spaventa. Mi ci vedi tu, ad arrivare a una sfilata di modelli in jeep, con gli stivali sporchi di fango e la barba lunga di un mese? Pensi che farei effetto?». «Io invece ti vedrei molto elegante ed ammirato, in un bel gessato blu». «Oh, Lisa, smettiamola di dire sciocchezze. D’accordo?». In chiusura, una sola altra annotazione su La finestra sul cortile, tanto per non lasciare nulla in sospeso. Annotiamo che si tratta di una sceneggiatura dinamica, il cui protagonista è una figura statica, che si trova in un’unica posizione, all’interno di una stanza, per tutto il film. È cinema allo stato puro. L. B. Jefferies (James Stewart) guarda fuori dalla propria finestra, verso il cortile: osserva. Il pubblico registra ciò che lui sta osservando, tramite le espressioni del suo volto. È autentica immagine visiva: la mobilità del volto, l’espressione, è usata come contenuto della pellicola. Tagli dell’inquadratura, primi piani, controcampo. Eccoci, è cinema. ■ ■

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