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Jane Goodall

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Antonio Bordoni

Antonio Bordoni

La primatologa e antropologa inglese Jane Goodall (1934-) è sconosciuta al grande pubblico. Soprattutto, a livello popolare, la sua personalità professionale e morale viene dopo quella della primatologa e ambientalista Dian Fossey (1932-1985), che si avvale della trasposizione cinematografica Gorilla nella nebbia, del 1988, barbaramente uccisa da bracconieri ruandesi, nel 1985.

Per quanto ambedue le scienziate abbiano agito in parallelo e per medesimi scopi e fini, va distinta la specializzazione di Jane Goodall, con gli scimpanzé, da quella di Dian Fossey, con i gorilla. Entrambe ai vertici dei rispettivi indirizzi, hanno studiato e decodificato le interazioni sociali e familiari dei primati. Comunque, due contributi sostanziali e fondanti -integrati tra loro- per la Conoscenza del mondo animale, soprattutto in riferimento all’evoluzione della specie e della vita sulla Terra. WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini (4)

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Ora, liquidiamo subito e velocemente il motivo “giornalistico” per il quale oggi richiamiamo la figura di Jane Goodall, per concederci, poi, tempo e spazio per ricordarne e celebrarne valori di merito. Siamo stati sollecitati nella direzione intrapresa dal numero del 18 ottobre 2021 del settimanale statunitense Time Magazine. L’abbiamo tenuto in bella vista per un anno intero, confrontandolo -settimana dopo settimana- con i newsmagazine italiani.

Alla fine, come prevedavamo! La copertina di Time Magazine evidenzia un concetto di giornalismo che è scomparso nel nostro paese, nel quale il palcoscenico è ormai a completo e unico appannaggio di personaggi della politica locale.

Nessuna (o poche) proiezione verso il Mondo, verso argomenti in approfondimento, verso la Vita nel proprio svolgersi. Ovviamente, contribuisce al risultato anche la mediocrità sociale dei politici italiani dei nostri giorni.

Il 18 ottobre 2021, in lancio di un corposo servizio interno, approfondito ed emozionante, Time Magazine ha riservato la copertina alla primatologa e antropologa inglese Jane Goodall, all’alba dei suoi ottantasette anni di età: ritratto lieve e garbato di una personalità consapevole di se stessa e dello scorrere

dei propri anni di vita. Dignità estrema e decoro senza limiti, né confini. In testimonianza visiva, su queste pagine, accompagniamo Time Magazine con una copertina più antica, indietro nel Tempo: National Geographic Magazine, del dicembre 1965, illustrata con Jane Goodall tra i “suoi” scimpanzé, quando aveva trentuno anni. Quindi, a corollario, e secondo nostra osservazione mirata, due emissioni filateliche: Sierra Leone, del 22 maggio 2015, e Uganda, che l’11 aprile 2012 celebrò cinquant’anni di sue ricerche antropologiche. Jane Goodall, adesso. Come già annotato, è soprattutto conosciuta per i suoi studi sulla vita sociale e familiare degli scimpanzé. Ha iniziato, frequentando la comunità Kasakela, nel Gombe Stream National Park, in Tanzania, nel 1960. Subito, considerò che «non sono solo gli esseri umani ad avere personalità ed essere capaci di pensiero razionale e provare emozioni, come gioia e dolore». Ha anche osservato comportamenti come abbracci, baci, pacche sulla spalla e il solletico: che consiLa primatologa e antro- deriamo azioni “umane”. pologa Jane Goodall sulla Jane Goodall insiste sul fatcopertina di Time Magazi- to che questi gesti sono prone, del 18 ottobre 2021, sul- va di «legami stretti, solidali e la copertina di National Geographic, del dicemaffettuosi, che si estendono tra i membri della famiglia e altri individui all’interno delbre 1965, e in due emis- la comunità». Questi risultati sioni filateliche: Uganda suggeriscono che le somi(11 aprile 2012) e Sierra Le- glianze tra umani e scimpanone (22 maggio 2015). zé si manifestano oltre i geni, e possono essere riscontrate nelle emozioni, nell’intelligenza e nelle relazioni familiari e sociali.

La ricerca di Jane Goodall è nota alla comunità scientifica per aver sfidato (e sconfitto!) due credenze di vecchia data: che solo gli esseri umani possano costruire e usare strumenti e utensili e che gli scimpanzé siano vegetariani. Mentre considerava uno scimpanzé che si nutriva a un termitaio, la primatologa lo osservò posizionare ripetutamente steli d’erba nei buchi delle termiti; quindi, rimuoverli dal buco coperti di termiti aggrappate, effettivamente “pescando” le termini. Gli scimpanzé usavano anche ramoscelli di alberi, ai quali strappavano le foglie, per renderli più efficaci: una forma di modifica degli oggetti che è l’inizio rudimentale della produzione di utensili: confutando così (demolendo?) la qualifica che per secoli ha distinto gli umani (Sapiens) dal resto del mondo animale, in quanto “Fabbricatori di attrezzi”. A questo proposito, il paleontologo e archeologo keniota-britannico Louis Leakey (Louis Seymour Bazett Leakey; 1903-1972), il cui impegno è stato fondamentale nel dimostrare che gli esseri umani si sono evoluti in Africa, ha annotato che «Ora dobbiamo ridefinire l’Uomo, ridefinire un concetto o accettare gli scimpanzé come umani». In contrasto con i comportamenti pacifici, che Jane Goodall andava rilevando, ha anche individuato un lato aggressivo della natura degli scimpanzé. Ha scoperto che cacciano e mangiano sistematicamente primati di dimensioni inferiori alle loro, come i colobi (Colobus Illiger, scimmie della famiglia Cercopithecidae, sottofamiglia Colobinae). Ha osservato un gruppo di scimpanzé cacciatori isolare una scimmia colobo, in alto, su un albero, e bloccare tutte le possibili vie di fuga; poi, uno scimpanzé si è arrampicato e lo ha catturato e ucciso. Ogni scimpanzé partecipò al banchetto, prendendo parti della carcassa e condividendole con altri membri della spedizione, in risposta a comportamenti di elemosina. Ancora, Jane Goodall ha rilevato anche una tendenza all’aggressione e alla violenza all’interno della comunità. In particolare, le femmine dominanti uccidono deliberatamente i giovani di altre femmine, per mantenere il proprio dominio, arrivando perfino al cannibalismo. Esplicitamente: «Durante i primi dieci anni di studio, avevo creduto che gli scimpanzé di Gombe fossero, per la

maggior parte, piuttosto più simpatici degli esseri umani. Poi, abbiamo scoperto che gli scimpanzé potrebbe essere brutali; che loro, come noi, hanno un lato oscuro della propria natura».

Eticamente, Jane Goodall si è anche distinta dalle convenzioni tradizionali in auge nei suoi primi anni di studio, nominando gli animali dei quali si è occupata, invece di assegnare a ciascuno di loro una cifra. All’epoca, la numerazione era una pratica pressoché universale, e si teorizzava che fosse necessaria per rimuovere se stessi ricercatori dal potenziale attaccamento all’argomento affrontato.

Già... Jane Goodall. ■ ■

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