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IL COSTO DEI FONDI IN ITALIA A CHE PUNTO SIAMO?
Icosti dei prodotti continuano ad esser i più alti d’Europa. Infatti, Il rapporto ESMA intitolato “Performance and Costs of Eu Retail Investment Products” dimostra come i costi medi dei fondi di investimento offerti alla clientela in Eurolandia si aggirino intorno al 1%, mentre in Italia sono attorno al 2 per cento. Una delle peculiarità del mercato italiano, che in parte spiega queste diseconomie, è il fatto di essere rimasto un ambiente banco-centrico in cui non è prevista la separazione tra attività creditizia ed attività di asset management. Ne è prova che la quasi totalità degli asset manager nazionali sono captive, cioè distribuiti esclusivamente dalla rete di banche che ne possiedono la proprietà. Un altro dato
Il Costo E La Performance Dei Fondi Ucits
che testimonia la scarsa attenzione alla qualità dell’offerta è il fatto che nessun asset manager italiano abbia la capacità di collocare suoi prodotti al di fuori del territorio nazionale, diversamente da player stranieri, europei e non, che trovano spesso terreno fertile nell’essere collocati invece in Italia. Infine, considerando come la remunerazione dell’attività di vendita di fondi risulti anche quattro volte superiore alla remunerazione dell’attività propria di gestione degli asset, si conferma come gli investimenti delle fabbriche prodotto siano indirizzati prevalentemente alle attività che stanno a valle della gestione.
In questo contesto, il legislatore europeo ha il mandato di assicurare le migliori condizioni affinché il risparmio sia investito in maniera proficua. Questa missione trova origine, sin dall’inizio degli anni 2000, nella necessità di assicurare sostenibilità di lungo termine ai sistemi pensionistici e sanitari degli Stati membri. Le proiezioni condizionate dal cosiddetto “silver tsunami”, cioè il veloce invecchiamento della popolazione, indicano infatti una sempre più scarsa con- tribuzione pensionistica a fronte di un aumento esponenziale delle prestazioni. In tutto questo, il legislatore europeo ha deciso di rendere più efficiente il sistema del risparmio, da un lato, e dell’investimento, dall’altro. Così devono essere letti i tentativi proposti sia con la normativa MiFID I del 2007 che la successiva MiFID II del 2018 di promuovere, da un lato, un’azione persistente di educazione finanziaria e, dall’altro, di indirizzare l’industria del risparmio verso condotte più rispettose degli interessi del cliente.
Le Normative Europee
Con MiFID I si è cercato di interporre tra il risparmiatore e chi propone prodotti di investimento una figura indipendente, il consulente, che dovrebbe assicurare completa indipendenza dal proponente e, di conseguenza, piena condivisione degli interessi del risparmiatore.
Con MiFID II si è puntato su un altro aspetto, responsabilizzare il proponente circa le indicazioni di investimento fornite al cliente. In primis vincolando, per il proponente, l’ammissibilità delle commissioni di retrocessione, la parte di guadagno più ricca e facile da ottenere, all’accrescimento del valore dei servizi offerti al cliente, a seguire, prevedendo il divieto di produrre e ricevere ricerca ed analisi gratuita con l’obiettivo di limitare i conflitti di interesse potenziali ed, infine, disponendo come l’utilizzo di analisi documentate, originali, oggettive e concludenti assicuri l’accrescimento di valore dei servizi offerti (e quindi la possibilità di trattenere lecitamente i rebates) fissando il criterio della proporzionalità tra investimenti e rebates.
In aggiunta, si è previsto recentemente anche l’obbligo di indicare ai clienti i motivi di uno switch di portafoglio, meglio se l’indicazione deriva da misurazioni di convenienza di carattere quantitativo fornite da terze parti con incentivate dal proponente.
Dibattito Sui Rebates
Nelle ultime settimane il dibattito sul tema della difesa del risparmiatore si è incendiato. La proposta della commissaria ai Servizi finanziari della comunità europea, Mairead McGuinness, che consistente nel vietare tout court la percezione di rebates, ha fatto uscire allo scoperto tutti i protagoni- sti del mercato, in particolare in Paesi come l’Italia dove le retrocessioni da collocamento di fondi rappresentano oltre 2/3 del volume d’affari per la maggior parte delle reti bancarie e gli asset manager sono captive.
È nato dunque un quotidiano fuoco di sbarramento rappresentato da dichiarazioni ed analisi che indicano nella cancellazione dei rebates un autogol da parte del legislatore. Le motivazioni vanno dalla difesa del piccolo risparmiatore che non avrebbe la capacità di fruire dei servizi di consulenza di cui fruisce oggi, al rischio che il sistema attuale si possa disgregare fino ad indicare il fallimento di tale modello nei Paesi che da più di dieci anni lo hanno adottato (Olanda e Gran Bretagna).
Alcuni fini osservatori, tuttavia, sottolineano come le argomentazioni contrarie alla proposta della commissaria McGuiness siano povere di contenuti. Ad esempio, che i risparmiatori vengano privati degli attuali servizi di consulenza suona quantomeno bizzarro, dicono. Infatti, da che mondo è mondo il consulente (legale, fiscale, tributario, sanitario e via dicendo) deve essere pagato esclusivamente dal cliente di cui tutela gli interessi, non da una casa di produzione che ha interesse a fargli collocare un bene, magari a fronte di un budget incentivante. L’osservazione che il sistema attuale si possa disgregare, risulta in linea con gli obiettivi della Commissione che, evidentemente, dopo avere visti falliti i tentativi del legislatore di questi vent’anni, ha deciso di alzare la pressione. Infine, pare che sia falso sostenere che in Olanda e Gran Bretagna il cambiamento sia fallito; i dati della Commissione dimostrano il contrario ed il fatto che i costi dei prodotti per i risparmiatori risultino, in quei Paesi, dimezzati rispetto a quelli italiani ne sarebbe la prova.
In conclusione, pur sapendo che sono già attuali regole che dovrebbero favorire l’efficiente gestione del risparmio, molti analisti rilevano che l’industria è fino ad oggi riuscita ad evitare il rinnovamento che la Commissione europea ritiene urgente da vent’anni. Forse è arrivato il momento di riconoscere le ragioni del legislatore. Ci auguriamo che l’industria abbia un atteggiamento conciliante per alimentare percorsi di rinnovamento che rendano per davvero sostenibile il sistema di gestione del risparmio nel rispetto della aspettative del legislatore che, ricordiamo, riguardano sia il favorire una maggiore consapevolezza nel risparmiatore di quanto sia importante integrare le prestazioni sanitarie e pensionistiche garantite dagli stati membri, sia una organizzazione dell’industria dell’asset management più rispettosa degli interessi del risparmiatore pur salvaguardando la sostenibilità economica del mercato.
GIOVANNI PAPINI Country Head