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La storia di Maria Bertazzoni Federica Fontana
La storia di Maria Bertazzoni
Nota biografica
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Maria Bertazzoni è nata a Milano nel 1935; il padre Egidio era insegnante di lettere alla Scuola del Libro della Società Umanitaria e la madre Giuseppina era insegnante elementare in una scuola statale di Melegnano. Maria è figlia di quello che potremmo definire un Giusto, un uomo che ha perso la vita per essersi opposto al fascismo, senza armi ma con ostinazione. È una di quelle che si definiscono vittime collaterali, che ha subìto tutti gli orrori del fascismo “di riflesso”, rimanendo in seconda fila.
Prima ancora che lei nascesse, Egidio aveva rischiato il confino, perché le sue posizioni politiche erano note. Rifiutò di tesserarsi fino al 1940; per dare stabilità alla famiglia Giuseppina decise di iscriversi al Fascio.
La prima di tante lettere di minaccia al padre arrivò nel 1941, dopo che Egidio ebbe uno scontro con un importante uomo fascista del paese. Dopo un’udienza vinta, si vide comunque ritirare la tessera di iscrizione al Fascio.
Nel 1943 i bombardamenti su Milano distrussero anche parte della Società Umanitaria: questo fu il pretesto per il mancato rinnovamento della cattedra di Egidio. In realtà le ragioni erano politiche. Maria era contenta di passare del tempo col padre, però anche lei aveva delle responsabilità: in casa ascoltavano in segreto Radio Londra, e se la bambina si fosse fatta sfuggire quest’informazione l’intera famiglia sarebbe stata in grande pericolo.
Una notte del gennaio 1944 circa venti soldati portarono via Egidio, senza un mandato ufficiale. Dicevano che sarebbe tornato un’ora dopo, in realtà fu arrestato. Lo trattennero nell’edificio della questura, che ospitava una Legione Autonoma Mobile, insieme ad altri detenuti politici; li picchiavano e davano loro scarsissimo cibo.
Un giorno, senza preavviso, lo trasferirono a San Vittore. Dopo un lungo silenzio concessero a Egidio di scrivere una lettera alla famiglia; molto più tardi, quando il suo nome comparve finalmente negli elenchi dei detenuti, Maria e sua madre andarono a fargli visita. Giacomo, il fratello di diciassette anni, restò a casa perché poteva essere arrestato.
Egidio venne rilasciato, ma meno di un mese dopo, il 29 febbraio 1944, fu arrestato nuovamente. La famiglia non lo rivide mai più.
Egidio venne portato prima a Reichenau e poi a Mauthausen.
Maria restava spesso a casa da sola e al suono delle sirene portava nel rifugio una valigetta.
La storia di questa famiglia è raccontata da Maria nel libro Memorie di una vita offesa del 2017. Dopo la morte di Giacomo nel 1994 venne in possesso della valigetta che portava con sé nel rifugio sotto casa, ma sono passati molti anni prima che sia riuscita a condividere la sua storia.
Nota dell’autore
Ho realizzato una serie di tavole sulla storia di Maria Bertazzoni. Ho voluto rappresentare i momenti più importanti della vicenda della famiglia: dal licenziamento del padre, con una analessi sull’annullamento della sua tessera del Fascio, fino al primo arresto. Mi sono fermata al primo arresto perché un racconto lungo sarebbe stato dispersivo e la narrazione avrebbe perso di intensità. Infatti, pur omettendo ulteriori episodi della vicenda, il messaggio risulta chiaro e incisivo. L’impaginazione non è tradizionale; spesso volutamente le vignette non rispettano gli standard in quanto a distanza tra loro e lungo i bordi delle tavole. Ho cercato di dare l’impressione che il racconto si sviluppasse da solo, che le vignette e le didascalie si poggiassero in maniera autonoma sul foglio, come se la storia stessa avesse vita propria. La quantità di vignette nelle singole tavole aumenta col procedere del racconto, e l’ordine diminuisce. Ho voluto restituire la crescente tensione emotiva e il senso di smarrimento anche dal punto di vista grafico. Maria Bertazzoni è l’unica componente della famiglia ancora in vita, ed è grazie a lei che la sua storia è arrivata a noi. Per queste ragioni sono assenti dialoghi, l’unica voce è quella della signora Bertazzoni, nelle didascalie, che racconta la vicenda come una voce fuoricampo. La voce potrebbe essere tanto di Maria bambina, quanto di lei adulta. I verbi sono al passato, spesso remoto, per rimandare anche al tempo che le è stato necessario per accettare di rivivere e raccontare questi episodi. Le ombre sono marcate e caratterizzano i volumi. Gli occhi sono appena accennati, così come il resto della fisionomia dei personaggi. Con questi espedienti la scena acquista più drammaticità e appare ancora di più come un ricordo. Il solo occhio “caratterizzato” presente costituisce l’unico elemento dell’ultima vignetta, in dettaglio, inquadratura di per sé drammatica. La scelta di una palette cromatica in bianco e nero è stata comune, all’inizio del progetto, per conservare una certa solennità.