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La storia di Lea Garofalo Yara Amigoni

La storia di Lea Garofalo

Nota biografica

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Lea Garofalo nasce il 24 aprile 1974 a Petilia Policastro ed è stata una testimone di giustizia.

Decide di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco e per questo sottoposta a protezione dal 2002. Lea, interrogata dal Pubblico Ministero Antimafia Salvatore Dolce, riferisce dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo. Inoltre, Lea attribuisce la colpa dell’omicidio di Floriano Garofalo al cognato, Giuseppe, e all’ex convivente, Carlo Cosco, fornendone anche il movente.

Nel 2006 viene estromessa dal programma di protezione perché l’apporto dato non era stato significativo in quanto ritenuta collaboratrice non attendibile. La donna si rivolge allora prima al TAR e poi al Consiglio di Stato: nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma (sempre come collaboratrice di giustizia e mai come testimone), ma nell’aprile del 2009 decide all’improvviso di rinunciare a ogni tutela e di ritornare a Petilia Policastro, dove riallaccerà i rapporti con l’ex compagno Carlo Cosco.

Il 5 maggio 2009 si presenta a casa sua Massimo Sabatino sotto mentite spoglie, recatosi sul posto per rapire e uccidere Lea Garofalo. La donna riesce a sfuggire all’agguato grazie all’intervento della figlia Denise e informa i carabinieri dell’accaduto ipotizzando il coinvolgimento dell’ex compagno.

Il 20 novembre del 2009 Cosco chiama Lea a Milano, con la scusa di parlare del futuro della loro figlia Denise. La sera del 24 novembre, approfittando di un momento in cui Lea rimane da sola, Carlo la conduce in un appartamento che si era fatto prestare per quello scopo. Ad attenderli in casa c’è Vito Cosco detto “Sergio”. In quel luogo Lea viene uccisa, il suo cadavere sarà portato a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Lì verrà poi carbonizzato.

Ho deciso di raccontare l’intera vita di Lea Garofalo in quanto questo avrebbe permesso ai lettori di comprenderne in pieno il carattere forte e risoluto.

Credo infatti che se una persona non conosce le esperienze di un’altra non può capirne in pieno i sentimenti e le decisioni.

Riguardo alle soluzioni grafiche, in generale ho deciso di prediligere tonalità chiare perché, nonostante sia una storia dal finale infelice, è comunque una storia che dà speranza e racconta la forza di una donna che non ha voluto abbassare la testa di fronte alla criminalità. Il tratto è minimalista e a volte espressionista.

A episodi descritti realisticamente, con inserti topografici puntuali e immediati per accompagnare il lettore nei luoghi di Lea (l’ospedale, il palazzo di giustizia di Milano, il castello sforzesco) ho alternato vignette evocative, dalle tonalità più scure, per enfatizzare la violenza e la crudeltà di alcuni episodi, come nella prima tavola, in cui ho voluto riprodurre in un angolo la sagoma del suo corpo, per indicare che nonostante lei non esistesse più, la macchia di odio e violenza lasciata dal suo assassinio non se ne sarebbe mai andata. In alcuni casi ho introdotto ambientazioni d’invenzione, come quando Lea incontra Carlo Cosco; ho deciso che questo sarebbe avvenuto in un parco perché i parchi sono comuni e quella era una cosa normale: Lea era ormai una ragazza e guardava il ragazzo di cui era innamorata come ogni altra ragazza innamorata avrebbe fatto in vita.

Alcuni stati d’animo sono stati evocati da oggetti, come nell’ultima tavola dedicata alla vendetta, rappresentata con una pistola perché le pistole sono simbolo di morte e il metallo con cui sono realizzate é freddo, come la vendetta della mafia su Lea, una vendetta compiuta dopo anni. L’ultima vignetta richiama chiaramente la prima: il fuoco che ha bruciato per giorni il corpo di Lea Garofalo, ne ha disperso nell’aria le ceneri ma non il ricordo.

Yara Amigoni

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