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Emanuele Birarelli – Io proprio io vi racconto Rio

Io proprio io, vi racconto Rio Emanuele BIRARELLI

Senigallia (An) il 08/02/1981 Pallavolo – Centrale (Capitano della Nazionale)

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Pechino 2008 – 4° Classificato Londra 2012 – Bronzo Rio de Janeiro 2016 – Argento

Non essere favoriti dal pronostico ci ha dato forza e leggerezza E che onore giocare da capitano!

di Emanuele Birarelli

I Giochi Olimpici di Rio 2016 sono stati un'esperienza davvero inaspettata per me. Non perché fossero qualcosa che non avevo mai vissuto - era la mia terza Olimpiade e ringrazio di aver avuto la fortuna di disputarne tre - ma per le sensazioni che mi accompagnarono, me come immagino i miei compagni, che furono completamente diverse da quelle precedenti. Mi ricordo bene quanto nelle interviste precedenti alla partenza ripetessi ai giornalisti il refrain per cui "sarà un percorso ad ostacoli", "magari si vincerà una partita, poi si perderà male due giorni dopo e non dovremo perdere le nostre sicurezze", "vorremo giocare sempre magnificamente, ma non sarà scontato, e allora gestire la frustrazione sarà fondamentale”. Tutto passava dal sapere, dunque, che soffrire era la parola chiave. Dicevo questo perché così era stato a Pechino 2008 e a Londra 2012, almeno per me. Nulla di più distante da quello che poi successe. Il nostro a Rio fu un percorso pieno di vittorie fin dalla prima partita, sconfiggendo nel girone, difficilissimo, squadre che nel corso dell'estate stavano giocando molto meglio di noi. Arrivò poi il quarto di finale migliore che potessimo desiderare, contro l’Iran, squadra forte ma che a quel punto non temevamo più del dovuto. Questo instaurò un livello di fiducia così alto in noi che una volta arrivati i momenti più bui - un 25-9 rimediato in un set di una semifinale olimpica può fare molto male all’autostima di chiunque - eravamo convinti di poterci rialzare. É pur vero che poi, in finale, persa 3-0 dal Brasile di casa, non giocammo bene, ed un clamoroso episodio (anche arbitrale) a sfavore alla fine del secondo set, ci condannò a una sconfitta che fa male ancora oggi.

I ricordi belli, però, sono molti: mia moglie e mia sorella a tifare sugli spalti, l’emozione precedente alla sfilata d’apertura, la mensa gigantesca dove incontrare tutti gli altri campioni, i tennisti più forti al mondo che si allenavano nel campo proprio sotto la palazzina della delegazione italiana. Nei giorni di riposo, fra una partita e l’altra, gli

smartphone (e i social) rischiavano di far sì che ci chiudessimo ognuno nelle proprie stanze ed allora ricordo di aver convinto Sottile ad uscire dal Villaggio Olimpico per comprare una TV, grazie alla quale vedere tutte le competizioni dei Giochi. Se proprio un monitor deve aiutare il relax, meglio che sia lo stesso per tutti, pensai. Rischiammo di non tornare in tempo per la cerimonia d’apertura, ma il pericolo corso valse la pena, a mio avviso. Nel tempo libero ci trovavamo - nella zona living dell’appartamento dove vivevamo - a tifare tutti insieme gli altri connazionali in gara, come fossimo anche noi a casa, come milioni di italiani. Forse ci aiutò a vedere le cose più piccole di ciò che erano, il peso di quello che stavamo facendo poteva gravare sulle nostre spalle, ed invece volevamo rimanere leggeri, come quando alla partenza sapevamo di essere una buona squadra, ma non i favoriti. Tornando al nostro cammino olimpico, personalmente mi spaventai parecchio per un infortunio alla caviglia subito nella partita del girone di qualificazione contro gli Stati Uniti, ma che poi recuperai in soli tre giorni. Ancora zoppicante, rientrai contro il Brasile dopo pochi minuti, causa un altro infortunio, di Matteo Piano, mio compagno di stanza, e giocai soprattutto a muro, una delle migliori partite di tutta la mia vita. Rio ha avuto per me un’altra, grande particolarità. Il fatto che fossi Capitano della Nazionale in un momento così importante per il movimento pallavolistico italiano mi riempie tuttora di orgoglio. Non era stata un’estate semplice, tra gestione di qualche giocatore importante con problemi fisici a cui fare attenzione, qualche sconfitta di troppo nei match contro i top team mondiali e un gioco che non era quello sufficiente per arrivare a medaglia. Quando arrivammo a Rio, venivamo da un paio di settimane di preparazione in cui avevamo davvero alzato il livello di attenzione. Tutti c’eravamo un po’ messi in discussione e avevamo capito che era il momento di prenderci le nostre responsabilità, se non avessimo voluto perdere un’occasione che passa poche volte nella vita di un atleta. Mancava solo un po’ di consapevolezza nel fatto che le altre squadre non erano poi così distanti e che avevamo tutti gli strumenti necessari per batterle. Anzi, a volte partire un passo indietro nei pronostici ti può aiutare a sfruttare il fattore sorpresa. Ho un nitido ricordo di una riunione che sentii il bisogno di indire, al nostro arrivo a Rio, dicendo proprio questo. Il messaggio che volevo trasmettere ai miei compagni era che avevamo giocato oggettivamente male solo venti giorni prima alle finali di World League (avevamo perso male dalla Francia, 3-0, la stessa Francia che ora ci aspettava per la partita inaugurale del torneo) ed ora bisognava far sì che questo diventasse il nostro vantaggio, piuttosto che un fardello da portarci sulle spalle. Anche perché ce l’eravamo meritato lavorando duramente. Si arrivò dunque alla partita inaugurale, da giocare alle ore 9 di mattina nel tempio carioca del volley, il Maracanazinho. Orario impensabile. Ma sono cose che succedono solo ai Giochi Olimpici per via del calendario compresso. Considerando che il tragitto villaggiopalasport era di un’ora e mezza circa, immaginarsi quanto fosse una routine diversa dagli standard è molto semplice. La partita fu un po’ strana, tesa ovviamente, partimmo 8-0 per noi. Che quella Francia non riuscisse a fare 8 side-out di fila era, in quel momento, inimmaginabile. Forse fu quella partenza che innescò la miccia che tenne alta la nostra fiamma per 16 giorni incredibili. Poi la fiamma si affievolì, insieme alle nostre energie e ad un po’ di fortuna, nel giorno della finale, ma a ben pensarci quella fiamma è rimasta, trasformata in argento, e brilla ancora nei cuori di tutti noi.

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