BOLENTINO
INVERNO IN ROSA
TRAINA
LUNGO, CORTO O..
SURFCASTING
NODI DA SURF
5 Editoriale 6 Global@mail 16 Lungo, corto o.. 20 Nodi da surf 24 Vertical: effetto sorpresa 28 A pesca con le “molle� 32 Inverno in rosa 36 Gira che ti rigira 40 Un pesce al mese: il pesce serra 44 Quando il mare cambia 48 Salto nel vuoto di U. Simonelli
La posta dei lettori
di U. Simonelli
di D. Limone di D. Craveli
di D. Limone
di M. Prezioso
di U. Simonelli
di D. Limone e D. Craveli
di U. Simonelli di D. Craveli
Editoriale
V
iene da pensare che, per la pesca, quest’anno non sia iniziato sotto una buona stella, anzi, diciamo che gli ultimi tempi non siano proprio propizi per la pesca ricreativa in mare. In modo apparentemente inspiegabile (e, sottolineo, apparentemente), da più parti il dito è puntato sulle attività alieutiche in acqua salata in modo molto diretto, con attacchi decisi e mirati e con la inequivocabile intenzione di rendere quanto più difficile possibile la vita dei pescatori ricreativi. Probabilmente, il fatto di essere sotto attacco non è noto ai più, perché le notizie, per lo più frammentarie, non sempre sono accessibili a tutti, oltre al fatto che, come al solito, appartenendo ad un mondo “minore” come la pesca, l’informazione di settore non cavalca davvero le onde dei grandi media. Quindi, non aspettiamoci davvero di sentir Bruno Vespa una sera parlar di noi …. Analizziamo un attimo, per grandi linee, cosa è successo e cosa sta succedendo. Inizierei dalla pesca del tonno e dal valzer delle quote che più di una volta ci sono state scippate fino a ridurle a quantitativi ridicoli; poi, possiamo ricordare le “attenzioni” di Coldiretti Liguria che asseriva che i pescatori ricreativi fossero troppi, sottraendo così troppo pescato ai poveri professionisti. Ultimamente, non scordiamo il tentativo, quasi furtivo, non solo di introdurre una licenza di pesca in mare (sulla quale non ci sarebbe nulla di male se fatta con competenza, n.d.r) ma di metterci le mani in tasca per finanziare, col maltolto, i buchi economici dei professionisti. E, ancora, pochi sanno delle ultime restrizioni della pesca ricreativa in alcune delle aree marine protette: restrizioni, in termini di attrezzi e esche, che impongono il divieto di usare piombi guardiani e il saltarello coreano come esca, oltre al divieto di uso di altri strumenti di pesca e al prelievo di alcune specie, permessi invece ai professionisti. Non finisce qui, purtroppo, perché è di recente pubblicazione uno studio, compiuto nella penisola Iberica, che, con singolari quanto improbabili ragionamenti statistici, dimostra che il prelievo dei pescatori ricreativi impatta dal 10 al 50 % del prelievo della piccola pesca, strascichi esclusi. Si continua, nella relazione stilata dagli studiosi dell’Università di Girona e pubblicata su Reviews in Fisheries Science & Aquaculture, dimostrando anche il forte impatto ambientale, sempre ad opera del mondo ricreativo, per la dispersione del piombo da pesca, oltre che per il rischio nell’uso di esche alloctone potenzialmente pericolose per la disseminazione di virus nella fauna marina. Non entro ancora nei dettagli, perchè non servono e perché viene da incazzarsi sul serio e non ne abbiamo davvero bisogno. Tutto ciò, per rimanere buoni ed educati, almeno lasciatemelo definire grottesco. Studi decisamente molto più eminenti dimostrano che l’impatto del piombo è tutto da discutere e che le fonti di inquinamento pericolose per uomini e pesci non sono davvero i piombi da pesca che, per provenienza e lavorazione, in acqua rimangono tali e quali. Un esempio per tutti, i reperti archeologici in piombo che sono giunti ai tempi nostri, dopo millenni di immersione, in perfetto stato. Anche sulla pericolosità dei vermi ci viene un po’ da ridere. Sono decine di anni che infilziamo stirpi intere di coreano, ed oggi lo vietiamo nelle aree marine protette, mentre solo cento metri più in là va bene. Vorrei ricordare, a questi ricercatori dell’ultima ora, quanti danni senza che nessuno lo sia mai venuto pubblicamente a sapere, sono stati fatti all’ambiente con l’alimentazione dei tonni nelle gabbie di ingrasso con pesce infetto a basso costo proveniente dai mari asiatici …. E’ chiaro quindi che siamo in guerra, una guerra che i professionisti ci hanno unilateralmente dichiarato e dalla quale è difficile e forse impossibile difenderci se non decidiamo, tutti, di unirsi e darci voce. Ma solo questo non basta, perché dobbiamo far crescere anche la nostra immagine, isolando chi della pesca ricreativa ne fa uno strumento di prelievo illecito. Perché, se poi ci facciamo beccare su Facebook con tanti pesci pregiati sottomisura, prelevati illegalmente e ci facciamo mettere in gattabuia, ci rimettiamo tutti.
Umberto Simonelli
GLOBAL@MAIL Quale trecciato? Volevo chiedere al vostro esperto di Vertical, Craveli, che nei sui scritti rimane sempre vago su marche specifiche di prodotto, quale trecciati usa nel vertical e se ci sono particolari da tenere in considerazione nella scelta del multifilo. Grazie! Andrea
Carissimo Andrea, il trecciato è l’elemento che più di tutti influenza il nuoto delle esche, perché il suo attrito in acqua è determinante nell’azione dell’artificiale. Parlando delle scelte personali, che nulla tolgono alla qualità di altri prodotti, sono solito pescare con il Tuff Line XP da 65LBS se vado specificatamente a ricciole con esche non più leggere di 200gr. E’ un treccia che imbarca molta acqua, fa attrito, ma non teme confronti nei tiri alla fune. Quando invece vado in light, o profondo, e quindi uso trecce sottili ma resistenti, sono solito orientarmi su Sunline da 20 0 30Lbs, anche se costa parecchio. Anche Varivas ha prodotti eccellenti, ma non facili da trovare in Italia. Mi è capitato di usare anche il Whiplash Berkley senza mai rimpiangere troppo la scelta. Oggi, comunque, se vai su articoli qualificati, resistendo al fascino del low cost, difficilmente sbaglierai. Domenico Craveli
GLOBAL@MAIL Grandi manovre Gentilissimo Domenico Craveli, ti scrivo perché mi sono avvicinato alla tecnica dello slow pitch, convinto di togliermi le soddisfazioni che il vertical non è riuscito a darmi. Invece, mi ritrovo con tanto entusiasmo smorzato dagli insuccessi, come se i pesci non volessero più saperne di queste esche metalliche. Vedo sul web corazzieri e cernie catturate con facilità e mi deprimo, quando io, al di là di qualche parago, non riesco a tirare fuori un bel nulla. Grazie mille per l’eventuale risposta. Matteo (Ge)
Matteo, non lasciarti influenzare dal web o da quello che vedi in tv, perché le verità sono spesso molto diverse. I corazzieri e le grandi cernie, poi, sono prede comuni nelle acque meridionali specie se insulari. Questo però non deve farti perdere speranza e determinazione o farti pensare che in Liguria non sia possibile pescare a vertical.. perché in fondo, anche lo slow pitch, non è altro che un vj fatto con esche più compatte, come sempre e comunque abbiamo fatto. Quello che nel vj garantisce il successo, non è solo l’esca o l’attrezzatura in genere, ma la capacità di sondare i tratti di mare giusti. Ci si sofferma troppo sulle performance, sui movimenti e si trascurano le azioni corrette per affrontare uno spot. Ho amici liguri come te, che riescono a tirare pesci importanti nelle vostre acque con buona continuità; quindi il primo consiglio che ti posso dare è quello di migliorare l’approccio alle zone di pesca. Lì da voi, a profondità importanti, è possibile pescare grandi dentici, e so di pescatori che ad inchiku, anche a 180 metri, hanno fatto occhioni enormi. Quindi.. supera l’empasse, e prova su batimetriche profonde, vedrai che i risultati non tarderanno. Domenico Craveli
GLOBAL@MAIL Addio trasparenza.. Vorrei porre un quesito ad Umberto Simonelli, che da quanto ho capito è un esperto di nautica con mille risorse soprattutto per il fai da te. Il mio problema è quello di aver fatto realizzare dal tappezziere un tendalino nuovo per la mia barca; non mi lamento della realizzazione che devo riconoscere ben fatta. Quello di cui mi lamento è la perdita di trasparenza dei pannelli di kristal. In appena due anni si sono irrimediabilmente opacizzati, soprattutto in prossimità delle giunzioni col tessuto. Io ritengo che sia stata montata merce di scarsa qualità; il tappezziere dice che è un problema legato al sole e all’ossidazione e che non esiste rimedio, salvo che cambiare i pannelli. Mi piacerebbe avere un parere in merito. So già come andrà a finire, ma almeno voglio avere un confronto con qualcuno al di sopra delle parti. Gianluca L. Carissimo Gianluca, non sai neanche lontanamente quanto ti capisco. Anche io sono nelle tue stesse condizioni, malgrado abbia raccomandato al mio fornitore di usare un buon kristal. Di certo la qualità è determinante, così come lo spessore. Però se la barca, come la mia, è sempre in acqua, sotto al sole per tutto l’anno, devo ammettere che il fatto ci sta tutto. Per evitare a prescindere problemi del genere bisogna usare altri materiali diversi dal pvc, di produzione americana, molto costosi realizzati con materiali stratificati e indistruttibili, reperibili in lastre e non in rotoli. Le misure standard però generano, nel taglio, molto spreco che unito al costo del materiale fanno salire i conti. Puoi provare a rigenerare il trasparente lucidandolo delicatamente con il SIDOL, un vecchissimo prodotto usato per lucidare i metalli e soprattutto gli ottoni e l’argenteria. Lo stenderai uniformemente con un panno e poi appena asciugato passerai ad una azione di lucidatura con un panno morbido o meglio un platorello in lana di agnello montato su un roto orbitale che giri molto piano. Sarà meglio bordare le cuciture con del nastro carta per evitare di sporcare il tessuto. Il risultato può essere soddisfacente e magari consentire di rimandare la sostituzione. In ogni caso ti consiglio di applicare delle protezioni dal sole dei pezzi trasparenti ed evitare che questi entrino in contatto con i montanti metallici. Umberto Simonelli
GLOBAL@MAIL Non sono tutti uguali.. Gentile Michele Prezioso, le rubo qualche minuto per porle un quesito che forse le sembrerà banale, ma al quale vorrei una risposta autorevole come la sua. So da amici comuni che la conoscono e da quel che scrive, che Lei con i calamari è veramente imbattibile; un esperto vero. Vorrei che mi spiegasse una cosa riguardo ai pesciolini del tataki. Ne esistono una miriade in commercio, diversi per prezzo (anche se quelli più economici sembrano uguali), ma soprattutto per consistenza del corpo, colori e ovviamente grandezza. Se si dovesse dar retta a tutta la scelta ci vorrebbero centinaia di euro. Quali sono le cose importanti che rendono funzionante un pesciolino da tataki? Massimiliano (Le) Caro Massimiliano, la prossima volta ti prego di darmi del tu, perché altrimenti mi fai sentire troppo vecchio.. oltre al fatto che tra pescatori non devono esserci troppe formalità. Comunque io apprezzo molto l’educazione! Parliamo però dei pesciolini che ti stanno tanto a cuore. Sono d’accordo con te, la scelta presente sul mercato è quasi imbarazzante; purtroppo però le differenze tra vari modelli e soprattutto con quelli economici ci sono e come! Le differenze stanno nel movimento e nel bilanciamento oltre che nella qualità dei rivestimenti. Ma non ci fermiamo qui perché altri punti di grande differenza sono le parti metalliche, come gli agganci e soprattutto le corone di aghi, destinati, nei modelli più economici, a spuntarsi, ad arrugginirsi ed a corrodersi. Ma anche le cromie, sebbene simili o addirittura (apparentemente) uguali non danno gli stessi rendimenti. Purtroppo c’è poco da fare e i prodotti di qualità, sebbene un po’ costosi sono insostituibili; poi può succedere che capitino marche poco conosciute che invece funzionano alla perfezione. Comunque non è indispensabile avere assortimenti strabilianti, ma concentrarsi sui colori che vanno per la maggiore, senza dimenticare sia l’efficacia di un buon montaggio, che l’idoneità dei fondali a questa tecnica. Michele Prezioso
GLOBAL@MAIL Canne in attesa.. Spett.le Redazione, mi sono appassionato da poco al Surf Casting, e sono preso da questa tecnica e da questa nuova avventura quasi in modo maniacale. Sono caratterialmente un perfezionista, e mi piace approfondire ogni aspetto, anche il più banale, perché sono convinto che attraverso i dettagli passi l’incisività in pesca. Vorrei un consiglio da Dario Limone, su cosa mi consiglia di adoperare, se il tripode o i picchetti e quando scegliere una soluzione o l’altra. Marco
Caro Marco, ho trattato l’argomento non molto tempo fa’. Personalmente io prediligo i picchetti, perché sono più snelli e pratici; occupano meno spazio intorno alle canne e quindi consentono di allestire la serbidora più vicino alla postazione di pesca e di muoversi meglio intorno. Anche quando c’è il mare mosso o siamo alla ricerca di prede XXL, consiglio i picchetti, magari equipaggiati con bicchierino, per evitare che le canne in pesca vengano portate via dal mare mosso o da un grosso pesce. In caso di alghe o di onde alte, non distanti dalla riva, si possono impilare due picchetti uno nell’altro, cercando in questo modo, di sollevare ulteriormente la canna stessa per farla stare correttamente in pesca. Il tripode lo consiglio invece per la pesca a beach ledgering, con mare calmo o poco mosso o quando siamo su una spiaggia con sassi, dove è difficile infiggere i picchetti. Poi c’è anche da dire che sono entrambi dei sistemi validi e molto dipende da come ci si trova a proprio agio. Dario Limone
GLOBAL@MAIL Scelta di peso Domanda secca a piedi uniti per Dario Limone. Vorrei un consiglio sulla scelta di un piombo, che offra un buon compromesso per gittata e per tenuta sul fondo. Ho letto tanto in merito, ma forse non ho capito e sbaglio ancora qualcosa, perché ritengo che gli innumerevoli grovigli che sono costretto a gestire anche con mare non molto mosso, passino appunto per una scelta errata del peso e della tecnica. Grazie Agostino, Ladispoli
Caro Agostino, sarò veramente lapidario; escludendo i piombi con spike, per la mia esperienza i piombi d’elezione sono il TOMMY o lo SPORTENN realizzati e commercializzati dalla Fonderia Roma. Sono piombi ben bilanciati; non c’è sfarfallio durante il volo, anche con un lancio non eseguito perfettamente ed in quanto a tenuta sono davvero un ottimo compromesso. Buono l’ assetto in aria, anche lanciando in ground o in pendulum. Posso aggiungere qualche consiglio. Per eliminare o almeno limitare i grovigli se c’è turbolenza, una volta scelto il piombo, realizza un attacco del terminale un po’ alto, riservando la scelta del mini-trave solo alle condizioni di mare più soft. Ma i garbugli non solo da imputare al piombo, infatti anche all’azione della canna può essere attribuita la mancata tenuta sul fondo; se legge troppo il mare con la vetta, può causare, appunto, la spiombata. Dario Limone
GLOBAL@MAIL Doppiare o non doppiare Vorrei avere un chiarimento riguardo al perché doppiare o meno l’ultimo pezzo del terminale da vivo. Vedo che in alcune foto il terminale è dritto e in altre è doppiato. Io pesco prevalentemente con i calamari, che reperisco con facilità vivendo in Sardegna e in genere uso montature robuste. Però mi è venuto qualche dubbio rispetto alla visibilità. In effetti avendo registrato catture di dentici molto grandi, non ho mai avuto rotture del filo, sebbene io sia un pescatore col vivo con poca esperienza. Fino ad adesso ho imitato i miei maestri; però provenendo dal surf e dalla bolognese mi piace privilegiare la leggerezza. Grazie per la risposta e complimenti per la rivista. Raimondo Orru L’uso della doppiatura trova la sua giustificazione nella logica di aumentare la sicurezza rispetto alla rottura quando si ha a che fare con bocche dentute e taglienti come i dentici, o fortemente abrasive come le cernie ed anche le ricciole. Soprattutto se si prevedono pesci importanti. Il fatto di avere due capi ci da la possibilità che se se ne rompe uno l’altro possa farci concludere il combattimento; motivo per cui anche il nodo per realizzare il raddoppio è specifico e non deve compromettere la tenuta di ogni singolo filo. Però è anche vero che da meno morbidezza e naturalezza alle nostre esche. C’è da aggiungere anche che, in alcune condizioni, specialmente in basso fondale, scendere a fondo con uno 0,47 o uno 0,52 può fare moltissima differenza, ma si aumentano esponenzialmente i rischi di rompere. Ed è per questo motivo che quando decido di pescare particolarmente sottile, ovvero con fili che vanno dal 0,47 allo 0,57 , la doppiatura è d’obbligo. Quando le sezioni in gioco salgono, realizzo un terminale dritto per compensare al massimo la già naturale rigidità dovuta alla sezione de filo. C’è da aggiungere anche che con i cefalopodi la doppiatura penalizza poco il nuoto, mentre con i pesci la differenza può essere evidente; in questo caso, addirittura, se devo necessariamente raddoppiare, uso il più flessibile nylon invece del fluorocarbon. Perché come dici tu privilegiare la leggerezza è importante. Michele Prezioso
GLOBAL@MAIL Catalina, chi è costui? Salve a tutti, mi chiamo Giulio e, grazie anche a voi, sto diventando “quasi” un pescatore di traina con il vivo. E’ da poco che ho iniziato soprattutto perché da pochissimo sono riuscito ad avere una barchetta tutta mia. Sono avido di ogni insegnamento e di conoscere tutti i trucchi del mestiere. Quello che mi preme adesso è avere tutte le informazioni possibili sull’innesco Catalina; come si fa, quando si adopera e se è adoperabile su tutte le esche. Grazie. Giulio Ciao Giulio! Complimenti per la tua passione e soprattutto per il tuo piglio deciso e determinato ma anche per la tua curiosità. La voglia di sapere e di imparare, la sperimentazione e la personalizzazione della tecnica sono il vero spirito della pesca e l’unica ricetta magica che funziona; bisogna pescare col cuore e con la testa, cercando di ragionare in proprio senza limitarsi al così fan tutti. Bene, ciò detto, andiamo velocemente al dunque. Come saprai, questo tipo di innesco ha origini oltreoceano ed è stato pensato per innescare pesci importanti, destinati a predatori importanti ma soprattutto per ottimizzare l’azione degli ami circle. Da un po’, proprio in virtù di una ricerca costante di soluzioni evolute e innovative abbiamo iniziato a usare questa soluzione per insidiare lecce amia, ricciole ed anche dentici. Per questi ultimi lo strike deve essere gestito in modo particolare, ma la vitalità che l’esca mantiene in questo modo, rende l’inganno veramente micidiale. Dovrai procurarti un ago adatto, dei piccoli elastici o del filo cerato specifico, con il quale creare una briglia che passerai nel naso del pesce o appena sopra gli occhi senza ferire punti vitali. Io preferisco l’elastico che trovo più pratico e soprattutto facilmente reperibile. Ottimi quelli piccolissimi da cartoleria o meglio quelli colorati, usati dai ragazzi per realizzare bracciali intrecciati, che trovi nei negozi di giocattoli. Realizzerai una bocca di lupo che fisserai sull’amo, poi infilerai la parte libera con l’ago attraverso il pesce e una volta fuori, ruotando l’ago tra le dita, farai una piccola brillatura che svolgerà due funzioni: creare un’asola che blocca l’elastico sull’amo e accorciare la distanza dell’amo rispetto all’esca. Come vedrai il pesce rimarrà perfettamente vitale e si comporterà in acqua in modo più che naturale. Puoi innescare tutti i pesci classici e meno come fragolini e tanute, che saranno irresistibili per le ricciole. Per il dentice i sugheri e le occhiate andranno benissimo. Anzi, in questo modo, potrai usare con successo, anche le occhiate piccole che in genere non durano molto. Questo innesco fatto sul groppone poi, è micidiale per i tonni in drifting. Umberto Simonelli
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TRAINA
Di Umberto Simonelli
L
a scelta del terminale e soprattutto della sua lunghezza è una decisione generalmente molto
dibattuta. Infatti sono molte le richieste di chiarimento riguardo l’argomento che molti amici ci inoltrano. PRIMA DI TUTTO Una premessa importantissima va fatta per ribadire che, anche in questo caso non ci sono verità assolute; non c’è una misura “aurea”, per sezione o lunghezza, che ci consenta la costruzione di terminali infallibili. Più di una volta ci è capitato di essere oggetto di insistenti richieste da parte di appassionati pescatori, ma alle prime armi, per avere in regalo un terminale da dentice o da ricciola. O peggio vederne alcuni belli e confezionati in sfavillanti bustine nei negozi di pesca, scambiando
così il concetto di terminale da esca viva ben realizzato con quella di “ arma di cattura di massa”.
Modalità di costruzione e lunghezza sono uno dei crucci di molti pescatori; le scelte più adatte sono frutto di una serie di esperienze e ragionamenti..
CON LA TESTA SOTT’ACQUA Per capire come si comporta tutto il complesso in pesca bisognerebbe riuscire
ad
andargli
appresso,
pinne e maschera, come fossimo dei pesci. La costruzione, intesa come geometria e sezione dei fili, è determinante in acqua, generando andamenti e comportamenti influenzati dalla velocità, dalla corrente e dal tipo di esca; oltre che dalla velocità della barca. Quando si parla di corrente, poi , non si deve pensare solo a quella percepibile dalla superficie, ma anche quella che si genera solo per le variazioni del fondo. Infatti un impercettibile flusso d’acqua in presenza di una rapida risalita, di un avvallamento o del restringimento tra due sassi, può creare accelerazioni e Spesso un certo tipo di complesso pescante può essere decisivo per trasformare catture occasionali in catture mirate
flussi turbolenti che fanno assumere al complesso pescante comportamenti diversi. Spostamenti laterali, vibrazioni, innalzamento dell’esca e molto altro. Tutto ciò ripetiamo è frutto delle leggi della dinamica dei fluidi ma non solo. Perché se trainiamo esche ti taglia che nuotano, la lunghezza determinerà anche il grado di libertà di queste ultime. SOLUZIONI MIRATE Va da se che l’assetto del terminale e il suo comportamento , esca compresa, sono quindi in “balia” del mare. Ciò vuol dire che, pescando sul fondo, a seconda della conformazione del fondo dovremo
TRAINA
aggiustare la lunghezza. Anche il tipo di pesce insidiato, può richiedere terminalistiche mirate, a volte anche motivate dalla diffidenza e sospettosità delle prede , in una data situazione di profondità, spot, ora e luminosità.
La lunghezza della terminalistica influisce molto sul controllo dell’esca sia nell’azione di ricerca e della ferrata nel momento dello strike e nei primi momenti del combattimento.
TIPI DI AZIONI Un terminale molto lungo, su un fondo particolarmente rotto, con scogli spartiti e salti di profondità, sicuramente avrà nella media, un’azione meno incisiva e dettagliata, se si insidiano i predatori di fondo. Al tempo stesso però, se pescheremo su fondali relativamente poco profondi, sarà indispensabile far lavorare l’esca lontano dalla barca per evitare che i pesci percepiscano non solo il rumore, ma anche l’ombra della barca. Situazione da non sottovalutare perché i pesci smaliziati le percepiscono perfettamente. Al contrario se pescheremo molto profondo con terminali corti dettaglieremo meglio il fondo e la colonna d’acqua attenuerà ombre e suoni. LUNGO.. CORTO.. CHE VUOL DIRE? Specifichiamo che la lunghezza la calcoliamo dal punto zero della lenza che è quello dove la madre si connette al nylon; da qui in poi è tutto terminale, pre-terminale compreso. Chiarito questo cerchiamo proprio di parlare di misure, espresse in metri. In generale se il nostro obbiettivo saranno pesci light da ingannare con esche naturali morte, il massimo controllo delle passate lo otterremo anche con terminalistica cortissima, anche nell’ordine dei 5/6 metri. Ciò ci concederà l’opportunità di pescare con estrema precisione e oltre alle tanute potremo “convincere” prai e dentici di media taglia perché
più confidenti. La stessa soluzione sarà invece una scelta obbligata quando pescheremo su fondali molto impegnativi, dove una lunghezza eccessiva renderebbe il tutto incontrollabile.
Terminali corti, anzi cortissimi possono essere ideali per la cattura di prede così dette light, come questa bella tanuta, il cui approccio all’esca è complesso e per averne ragione c’è bisogno della massima sensibilità.
Se poi ci concentreremo su prede più strutturate e sospettose, come i dentici di taglia, ma il fondo sarà molto articolato tanto da richiedere lunghezze contenute, ma poco profondo, allungarci a 12/15 mt e più andrà benissimo; e per allontanarci dalla barca basterà usare un guardiano appena più leggero e mollare più filo in acqua. Quando il fondo ce lo consente, perché privo di asperità, o pescheremo a mezz’acqua, allora il complesso pescante potrà arrivare ad essere anche lungo una trentina di metri; ma attenzione perché allo strike il pesce avrà molta libertà e la nostra reazione avrà un ritardo, soprattutto se pescheremo a mezz’acqua. I predatori di taglia XXL, sono sempre molto sospettosi e guardinghi e l’inganno deve essergli proposto nel modo migliore e qui il terminale gioca un ruolo primario.
SURFCASTING
NODI da SURF
di Dario Limone
I
nodi, specie quando il gioco si fa duro, sono il punto di forza… i punti nevralgici, del nostro complesso pescante. Nel surf, sono più di uno i punti di giunzione che concorrono congiuntamente alla buona riuscita della pescata, e possiamo addirittura dire che per ogni tipo di collegamento esiste un nodo
specifico appositamente studiato. Il nodo, per definizione, è un “ locus” di minor resistenza , perché in ogni caso deforma la sezione del filo, creando dei punti di possibile pre-frattura. Molto spesso ci innamoriamo della forma “estetica” di una legatura o della sua esecuzione che ci viene bene e in modo facile; in alcuni casi si può rischiare, peccando così di superficialità, di indebolire la lenza perché il nodo scelto è inadatto allo scopo. Naturalmente, non serve conoscerne chissà quanti tipi; basta acquisire dimestichezza con quei quattro o cinque più adatti ed il gioco è fatto.
Se nello stacco del lancio sono sicuramente le spire dello shock leader ad assorbire buona parte della tensione, anche le legature che uniscono i vari tratti di filo, sono sottoposti ad un carico significativo. Una sollecitazione che si ripete ad ogni lancio per tutta la sessione di pesca.
SOTTO SHOCK Nel surf casting moderno, l’uso dello shock leader è praticamente una soluzione imprescindibile a parte qualche estremo caso, ed il nodo , con il quale colleghiamo due lenze di diametro spesso molto diverso, deve essere in grado di reggere allo shock improvviso del lancio, di passare agevolmente tra i passanti della canna e, soprattutto, di avere una forma conica e compatta affinché non diventi un sicuro appiglio per alghe in sospensione, oltre che generare minor attrito possibile. Un dettaglio dell’Allbright. A scopo dimostrativo sono state scelte lenze colorate. Il nero rappresenta lo shock leader, ed il rosso la lenza più sottile in bobina
Uno dei nodi più collaudati è l’Allbright Special e il suo omologo opposto il Revers, anche se c’è chi usa una sorta di variante del TonyPena senza doppiare la lenza della bobina.
DOVE C’È UN OCCHIELLO.. Dove c’è un occhiello c’è sempre o quasi un’Improved Clinch. Questa semplice legatura,
che
si
esegue
passando
nell’occhiello dell’amo o della girella, e twistando per 4/5 spire il capo in risalita sul dormiente, per poi farlo ripassare nell’asola a ridosso dell’occhiello stesso, è sicuramente una delle più usate in assoluto. Si esegue facilmente anche in condizioni di luce precaria e con mani
bagnate, la procedura praticamente è eseguibile alla “cieca”, cosa che aiuta di notte, e poi, mantiene un
SURFCASTING
carico di rottura altissimo, non a caso, molti trainisti, lo usano specialmente nella pesca alle ricciole. UNI Per quanto viene usato potrebbe essere considerato l’ABC dei nodi. Praticamente è il nodo più istintivo che un pescatore possa eseguire. Ha una buona tenuta, sebbene non eccezionale, ma è compensata dal fatto che riesce bene praticamente sempre, anche senza eccessiva perizia, cosa che capita sovente quando la velocità d’azione impone soluzioni rapide e sicure. Solitamente viene usato nello stesso campo di applicazione dell’Improved Clinch. La sua versione bilaterale, ossia l’Uni to Uni, viene utilizzata per unire due spezzoni di lenza, indispensabile la dove in emergenza, dopo un garbuglio o una rottura, è necessario ricucire rapidamente un trave danneggiato o un terminale ingarbugliato. CompeTITIoN E’ il nodo cosiddetto della “pallina” , usato nelle gare di lancio tecnico o quando il pascolo è veramente lontano da riva. Con la fiamma di un accendino si surriscalda l’estremità del filo dello shock leader, fino ad ottenere una pallina cristallizzata. Si lega l’estremità della lenza madre con un nodo uni,e lo si fa scorrere sullo shock leader fino ad intercettare la pallina stessa; a questo punto si assucca con cura. Il vantaggio è l’esiguo volume, che offre poco attrito in aria durante il lancio, e la buona tenuta; parametri indispensabili per fare lunghe distanze. ReAlIzzARe CoN CURA Al di là del tipo di legatura scelta, è la sua corretta esecuzione a garantire la tenuta, meglio un nodo non eccessivamente performante, ma fatto bene, che uno complicato fatto male. Bisogna sempre evitare le sovrapposizioni delle spire ed effettuare un buon serraggio delle stesse. Tutti i nodi prima di essere assuccati, vanno lubrificati bene con la saliva, per evitare, che l’energia termica prodotta dall’attrito bruci il filo. Per stabilizzare il nodo, e mantenere ferme le fibre anche sotto trazione, il modo è quello di inglobarlo in una goccia di colla ciano-acrilica.
I nodi sono decine,
che hanno forme e finalità diverse; ma quando se ne conoscono bene, quattro o cinque , si è in grado di coprire la quasi totalità delle situazioni.
Una grande preda si può perdere per mille motivi, ma non è accettabile da parte del pescatore che un bel pesce vada via perchè un nodo inadatto ceda
JIGGING
VERTICAL Di Domenico Craveli
M
olti si chiedono se i pesci hanno imparato a riconoscere il jig e, probabilmente, per molte specie, come ad esempio le ricciole e i dentici, è così. I più creativi parlano di memoria genetica, i più realisti invece sostengono che un uso intensivo di uno specifico tipo di
artificiale, ripetuto insistentemente nello stesso spot, rende i pesci abulici verso quell’inganno, a meno che.. l’esca non li “sorprenda” e scateni una reazione incontrollabile. Ricciole, un branco di bei pesci staziona su un fondale di 40 metri nei pressi di una formazione rocciosa in mezzo ad un’area piatta e sabbiosa. Sono lì da almeno un mese, vengono marcate sull’eco
Le ricciole sono pesci così curiosi ad abitudinari, che possono diventare da preda facile, ad oggetto di paranoie, diventando imprendibili con qualsiasi tecnica o esca
nitidamente
con
grande
regola.. ma se si tende di prenderle succede una cosa strana, molto strana, tanto che potreste dubitare anche sull’affidabilità di chi
vi scrive. Praticamente, alla prima cala, e solo alla prima cala, sia esso jig o inchiku, l’artifciale viene sistematicamente aggredito o colpito, cosa che spesso determina la cattura di un solo pesce. Insistendo con l’azione di pesca, nulla più succede: nemmeno un inseguimento, e le ricciole ritornano in stasi come nulla fosse. Se si “buca” la prima cala, possono iniziare le paranoie. Abbiamo provato con tutto a sedurle, con i kabura, con i siliconici, ma nulla. Abbiamo invece ottenuto più strike, solo nel momento in cui, andando a vuoto al primo tentativo, siamo andati via, e ci siamo tornati dopo un’ora, sempre consapevoli di avere una e una sola cartuccia a disposizione. Questo scenario estremo, che mortifica e frustra il pescatore, è servito a darci una visione diversa del vertical, inquadrandolo in quella che è forse la sua vera dimensione, molto vicina allo spinning, dove capita sovente di vedere pesci insensibili ad ogni sorta di esca proposta. Come agire
Nella foto Massimo Sanna, uno tra i primi, insieme a chi scrive, ad aver studiato e ratificato il comportamento dei pesci nei confronti dei jig, e il loro processo di assuefazione verso questi artificiali in zone con particolare pressione alieutica.
Se chi pesca a spinning, si dice debba muovere più le gambe che le braccia, chi pensava che con il vj si risparmiasse carburante a dispetto della traina, si ritrova con un modus operandi obbligato. Ossia, alla luce di quanto detto, quello che oggi può dare risultati continuativi a vj è un approccio strategico agli spot, ossia una volta individuati i nostri target , sparsi su un tratto di mare più o meno ampio, si prova a calarvi su senza soffermarsi più di tanto. Una due discese e via. Credo che siano definitivamente finiti i tempi in cui in ampie sessioni di scarroccio si jerkava come dei tarantolati aspettando la “botta”. Oggi ci dobbiamo comportare come i cecchini. A caccia di stanziali Quando le ricciole latitano, i nostri tentativi sono maggiormente orientati a dentici e cernie, pesci per i quali l’effetto sorpresa diventa non fondamentale, ma molto di più. Considerando che questi frequentano scogliere sommerse spesso conosciute da tutti, capirete quanto il loro grado di allerta possa essere alto. Infatti, se in zone poco sfruttate tutto quello che fa rumore genera curiosità ed attrazione, in settori di mare tartassati, ogni elemento invasivo viene associato ad un pericolo da
JIGGING
evitare. Quindi, se un pinnuto riesce a controllare l’iniziale istinto reattivo, che lo avrebbe portato ad una improvvisa aggressione.. è finita, quel pesce, in quella sessione, in quel preciso punto, è diventato imprendibile, e quindi conviene cambiare posta!
Quando si pesca in zone rocciose, dove l’eco ci segnala attività, è sempre meglio fare ugualmente pochissime cale e spostarsi se non dovesse succedere nulla. Meglio tornare dopo qualche ora che insistere e “rovinare” momentaneamente lo spot
SURFCASTING
E
’ una nuova tendenza, quella di
utilizzare
equipaggiati
travi con
e
minitravi
delle
molle,
che soprat tut to in condizioni di pesca ultra light, of frono qualche possibilità in più di spiaggiare un grosso pesce con una lenza sot tilissima. La funzione dell’ammor tizzatore in pesca è quella di at tutire il carico violento e istantaneo che
generano
le
testate
del
pesce
allamato. Soprat tut to quando si usano
di Dario Limone
terminali ulteriore la
rot tura
sot tili,
si
precauzione del
filo
aggiunge per
una
prevenire
stesso.
Tra
gli
elementi che concorrono usualmente ad ammor tizzatore,
diminuendo
il
carico
di trazione su filo e nodi durante il recupero, vi sono all’unisono l’elasticità della
canna,
che
si
piega
in
modo
progressivo ed immediato; la frizione del mulinello, pronta a slit tare alla bisogna e l’allungamento elastico della lenza sot to trazione. E se ciò non bastasse? Tutto questo però, quando si pesca davvero leggeri, potrebbe non bastare, in particolar modo quando il pesce va spiaggiato e compie le sue ultime evoluzioni nel gradino di risacca. In questi frangenti, avere un “ammortizzatore” supplementare potrebbe evitare spiacevoli sorprese; ed ecco che qui l’ingegno “partorisce” la soluzione: una molla integrata sul trave, che lavora in compressione. Ma per far si che tutto funzioni davvero, non basta una molla qualunque (tipo quelle delle penne a scatto)
Una bella spigola è stata spiaggiata senza grossi
SURFCASTING
problemi grazie alla molla inserita sul mini-trave
ma un accessorio pensato e calibrato per tale scopo. Si tratta di molle elicoidali in acciaio aisi 316, progettate e tarate per assecondare le testate del pesce sulla battigia, dove generalmente si perdono le prede più grandi. Il vantaggio di questi ammortizzatori è la loro leggerezza, il poco ingombro e l’eccezionale resistenza. Non interferiscono con la dinamica rotatoria degli snodi ed anzi la facilitano. Qualche merito me lo prendo In
modo
perdere
scherzoso la
modestia
contraddistingue,
e
senza
che
confesso
mi che
trovo molto gratificante il realizzare accessori che poi possono dav vero rappresentare una valida soluzione a specifiche problematiche.
Anni di ricerca e di prove, sperimentazione di piccoli accessori realizzati con un materiale nobile ed eterno come l’acciaio AISI316, hanno por tato a rendere scientifiche e funzionali soluzioni che molti usano ma che non sempre lavorano a dovere. La molla calibrata degli ammor tizzatori, ad esempio, rappresenta una semplice quanto ef ficace soluzione al problema
Minitravi equipaggiati con le molle calibrate, che si possono utilizzare anche per “clippare” i terminali
BOLENTINO
E’
il re del bolentino costiero invernale, signore del divertimento ma anche un vero pezzo forte a tavola. Parliamo del fragolino o, più propriamente, del Pagellus Erythrinus, appartenente alla famiglia degli sparidi, capace di colonizzare i fondali da pochi metri a oltre i 150. E’ considerato un grufolatore per eccellenza, viste le sue abitudini nel frequentare fondali fangosi. Ma l’esperienza ci ha insegnato che le convinzioni comuni non sempre corrispondono a verità, svelandoci una seconda vita di questo animale, capace di una aggressività predatoria senza pari, di cui impareremo anche i vantaggi.
di Michele Prezioso
BOLENTINO
Il re e le sue abitudini
Una bella pescata dell’autore: conoscenza dei fondali, esche adeguate e attrezzature all’altezza sono indispensabili per le giuste soddisfazioni.
La presenza di formazioni rocciose incrementerà
ulteriormente
le
risorse alimentari possibili per il nostro sparide che non disdegna di cibarsi anche di piccoli pesci, svelando così un’indole predatoria sconosciuta ai più. Infatti, non di
rado
L’americano
nell’apparato
è
un’ottima
digestivo
esca,
che
sollecita gusto e olfatto dei fragolini, grazie al rilascio si siero e sangue.
dei
grandi
esemplari
abbiamo
rinvenuto piccoli pesci; un indizio prezioso per insidiare con successo i fragolini.
Le esche migliori Le esche giocheranno un ruolo determinante per la cattura del pagello, non solo perché ce ne sono alcune più gradite di altre ma anche perché, sebbene tutte valide, hanno impieghi diversi in condizioni diverse. Una discriminante importante è la profondità e l’altra è la pesca ancorati o a scarroccio. Diciamo che nelle prime fasce d’acqua le esche di elezione sono soprattutto gli anellidi in genere, come il
coreano, il muriddu, la cordella e l’americano . Ma saranno altrettanto valide esche come le cozze
Il paguro è un’altra esca straordinaria per i pagelli, difficile da reperire, ma che assicura una marcia in più alla battuta
e i bivalvi in genere, cannolicchio compreso, fino, e soprattutto, al magico paguro. Quando la profondità si fa veramente importante, cambieremo completamente boccone e opteremo per i gamberi di paranza, innescati interi e non sbucciati, per le strisce di calamaro battute e per quelle di oloturia opportunamente lavorata: esche più adatte queste ultime, per pescare fondo ed in scarroccio, che quindi aggiungono all’attrattiva odorosa anche quella del movimento, a patto che sia moderatissimo.
BOLENTINO
Le lenze consigliate
La pasturazione è un’altra “finezza” da non trascurare; grazie a pasturatori molto funzionali è possibile far arrivare il brumeggio anche a profondità elevate
Anche qui lo spartiacque sarà dato dalla profondità e dal movimento. Quando pescheremo all’ancora, la parola d’ordine sarà la leggerezza e quindi useremo terminali mono amo, con ami beak del 6 su 120 cm di svolazzo in fluorcarbon dello 0,21/ 0,26 che caleremo in acqua con pochissimo piombo, da 15 a 25 gr per scendere fino a 40 metri. Questa soluzione renderà l’esca fluttuante, libera di stendersi in corrente in modo naturale e sarà questo che sedurrà anche gli esemplari più grandi e sospettosi. Anche l’intramontabile jolly napoletano ad uno o due ami (uno sotto al piombo e l’altro sopra) potranno dire la loro, regalando qualche coppiola. Quando scenderemo in profondità, il jolly potrebbe ancora essere un terminale valido, ma potremo optare per altre montature: da un lungo svolazzo con piombo scorrevole ad una soluzione a due ami a bandiera, su un trave da 0,37, con due braccioli lunghi una trentina di centimetri e distanziati tra loro cinquanta. Gli ami consigliati sono del 2 a gambo lungo per innescare agevolmente i gamberi o la striscetta. E’ bene, per avere una buona selettività ed evitare esemplari sottomisura, usare sempre ami importanti. Questo ci eviterà di fare strage d’innocenti ed essere costretti a continui recuperi.
Canne e mulinelli Per fondali fino a 50 metri consigliamo canne lunghe circa 3,5 metri con vettini in grado di gestire fino a 60 gr equipaggiate con muli da 4000/5000 e caricati con multifibra dello 0,13 ed una quindicina di metri di nylon dello 0,28 prima del terminale. Per pesche profonde le canne, sempre della stessa lunghezza ma più rigide per ferrate improvvise e potenti, dovranno poter gestire fino a 150 gr di piombo, con mulinelli da 7000 con multi dello 0,18 e preterminale dello 0,40 lungo una ventina di metri. Le canne migliori in commercio, secondo la nostra esperienza, sono le Talaxa 6600, le Gorilla Boat, le Atlantis e le Genetic, mentre per i mulinelli le nostre preferenze vanno ai Ryobi Arctica, agli Shimano Twin Power, ai Camria Ly della Tica e ai Ryobi Halley.
ARGOMENTI
di Umberto Simonelli
N
ella realizzazione di qualsiasi calamento, le girelle sono un elemento essenziale. Nate per
il compito di scaricare le torsioni, sono comunque gli elementi di connessione più impegati. Ne esistono moltissimi tipi, ognuna prevista per uno specifico impiego e realizzata con diversa tecnologia, ma hanno tutte un comun denominatore che è quello di sfidare l’attrito. Una questione di attrito L’attrito è croce e delizia della meccanica, della fisica ed anche della pesca. Senza attrito non staremmo in piedi, ma molte cose sarebbero anche più facili: ad esempio, le nostre barche consumerebbero meno carburante e le nostre girelle scaricherebbero
bene
ogni
torsione. In fisica l’attrito che
Le girelle moderne più classiche, quelle a barilotto, che sono praticamente presenti in ogni montatura. Anche qui la qualità fa la differenza.
blocca la nostra rotazione si chiama
radente,
significativo
di due superfici che si sfiorano. Infatti, in tutte le girelle le parti
interne, facenti capo agli occhielli, sfregano sull’interno del barilotto. L’attrito che ne consegue è tanto maggiore quanta maggiore è la trazione che si esercita sui fili. Quando subentrano le sfere. Sulla
scorta
tecnica
dei
a
sfera,
costruite girelle
della
cuscinetti
sono
state
anche
delle
provviste
cuscinetti;
prodigi
di di
micromeccanica, che al di là della novità tecnica, non
hanno
avuto
il
successo risolutivo che si pensava. Malgrado ogni Un’ampia gamma di girelle a sfera. Una tecnologia complessa per lavorazioni e materiali. Le prestazioni sono eccellenti solo nei modelli più evoluti e costosi.
sforzo
tecnologico,
la
presenza delle sfere non ha risolto il problema,
anzi, l’ossido, la sporcizia e i residui dell’acqua di mare ne compromette maggiormente la funzionalità; infatti spesso queste girelle dopo un fermo prolungato vanno sbloccate e lubrificate. Dinamica del problema
La trazione che si genera nel momento dello strike, procura un attrito notevole a causa del quale non sempre la girella riesce a fa scaricare le torsioni; cosa che succede solo quando la tensione diminuisce.
La torsione del terminale viene generata dalla rotazione dell’esca, a sua volta causata dal moto o dalla corrente o dal pesce allamato. In ogni caso, vuoi per la lunghezza del terminale o per la sua esigua sezione, il nylon si carica come una molla, ma non succede che il momento di torsione arrivi alla girella scaricandosi e tutto ciò perché la frizione tra le parti in rotazione aumenta sotto carico. E non c’è sistema che tenga: difficilmente si riescono a ridurre gli attriti in modo sufficiente. C’è girella e girella Il principio con cui sono concepite, salvo che per
le girelle con cuscinetti a
ARGOMENTI
sfera, è sempre lo stesso. I
due
anelli
ispessimento
hanno sulla
un
parte
che entra nel barilotto, da cui
non
possono
uscire
perché quest’ultimo viene, così come si dice in gergo, “imbutito”; ovvero le tue estremità vengono richiuse, riducendo
la
sezione.
A
questo punto subentra la qualità a determinare la capacità di ruotare. Migliore
Per aumentare la possibilità di rotazione sotto trazione, una soluzione adottata dai costruttori è quella delle girelle multiple; in questo modo si distribuisce il carico su più punti di rotazione
è la finitura dei pezzi, privi di asperità e ben levigati, e maggiore saranno resistenza e capacità di ruotare. Girare a tutti i costi
Ecco una piccolissima girella capace di sostenere carichi di trazione di ben 70 lb, pari a circa 35Kg. Materiali e lavorazione speciali, assicurano queste prestazioni
Per garantire la massima capacità di scarico delle torsioni, la soluzione adottata
è
generalmente
quella
di ricorrere alle girelle multiple: una sorta di trenino, pensato per distribuire il carico su più superfici e quindi anche gli attriti. Ma un’altra valutazione che molti non fanno, rispetto alla facilità di scarico, è che, paradossalmente, le girelle che meglio assolvono alla loro funzione sono quelle più piccole. Purtroppo le dimensioni vanno di pari passo con la robustezza ed il carico di rottura. Oggi non è più così, perché esistono in commercio girelle con elevatissimo limite di fatica, incredibilmente piccole. Lavorazione e soprattutto il materiale fanno la differenza.
Un paragone particolare. Teoricamente gira meglio una girella piccola piuttosto che una grande. Poiché in quella piccola le superfici di contatto sono piccolissime e di conseguenza gli attriti. Un pò come succede negli orologi dove il bilanciere, appoggia su una superficie piccolissima e durissima costituita da un rubino
Punti di giunzione Non possiamo trascurare, in questa sede, la funzione che maggiormente svolgono le girelle, ovvero quella di giunzione tra madre e terminale, tra piombo e lenza, come derivazione di un bracciolo e via dicendo. Quindi, troviamo girelle a T, girelle su moschettone e chi più ne ha più ne metta. Sebbene considerate molto spesso, ma a torto, materiale di consumo, se ne trascura la qualità. Oltre alla robustezza, vanno verificati i materiali e le tecnologie di costruzione e, ovviamente, l’uso per cui sono concepite.
Connessione, rotazione e scarico delle torsioni : la grande missione delle girelle!
L’ossidabilità del metallo, per esempio, è fondamentale; la rottura è sempre in agguato e le sollecitazioni sulle girelle, malgrado quel che si possa pensare, non sono trascurabili. Gli anelli saldati di alcuni tipi, addirittura mobili, che aumentano i gradi di libertà di movimento, a volte sono soggetti alla corrosione e sul più bello si aprono. Quelle con gli anelli trapezoidali, sebbene studiate per favorirne il passaggio negli anelli della canna, costringono i nodi ad assuccarsi in modo non naturale.
SURFCASTING
Un pesce
IL PESCE
di Dario Limone e Domenico Craveli Foto di Antonio Addotta
S
pietato killer del sotto-riva, è tra i pesci sportivi più insidiati a surf casting. A lui, abbiamo dedicato ampio spazio sulla nostra rivista, ma in questa scheda, vogliamo affrontare alcuni aspetti inediti, cose poco note, allontanandoci dagli schemi standard.
Cavetto e vivo, oppure trancione di muggine, queste erano fino a poco tempo fa le esche top per catturare questo predone. E ancora lo sono, ma esistono delle nuove sperimentazioni che possono portare a fare la differenza nei confronti di un animale famelico, ma tutt’altro che sprovveduto, perché se è vero che quando è in frenesia attacca qualunque cosa, è anche vero che spesso diventa imprendibile.
e al mese:
E SERRA Spot
Ogni tratto di mare è un potenziale settore da “serra”. Oramai non esistono
spiagge immuni alla sua presenza, lo sanno bene le mormore e le piccole orate, che oramai vivono un’ esistenza da fuggitive. Sembra un paradosso, ma solitamente, le zone da serra sono popolate da orate di grandi dimensioni, che pascolano con maggiore tranquillità perché la taglia è garanzia di non essere mangiati; quindi, tutti quegli arenili che garantiscono auree prede XXL e pochissimo pesce di misura piccola, sono aree anche da grandi serra.
Acqua torbida di foce e mare mosso, un connubio che quasi sempre porta in caccia i pesci più grossi. Una canna ripartita, equipaggiata con un rotante è quanto di meglio si possa avere tra le mani con un grosso pesce famelico, dall’altra parte che scalpita
Esche E’ fondamentale che le esche siano di primissima qualità e fattura. Un trancio ben fatto, magari sanguinolento vivido, è superiore al vivo in molti casi
SURFCASTING
Tra le new entry per questo famelico predone, ci sono sicuramente le lecce stella, e i gronghetti di sabbia (spesso infestanti nelle notti di pesca). Per quel che riguarda invece i tranci, oltre a quello di muggine, che a volte ci portiamo già pronto congelato sulla montatura metallica, è bene realizzarli con pesci vivi o freschissimi direttamente in loco, perché il sangue “fresco” rappresenta un’attrazione alla quale non sanno resistere. I serra poi gradiscono, specie in inverno, il filetto di cefalopode. Una bella e corposa striscia di seppia o calamaro è in grado di regalare risultato anche superiore al vivo.
Un grande esemplare catturato in una notte invernale. Anche in condizioni di estremo freddo, situazione più adatta alle spigole, è invece frequente incontrare grossi serra
Attrezzature I serra possono essere combattuti e vinti con qualsiasi attrezzatura da surf casting, senza particolari problemi. Le cose si complicano se cerchiamo il pesce della vita, ossia animali che posso raggiungere gli 8/10 chilogrammi di peso. In quel caso una canna con potenza 200gr, meglio una tre pezzi, un bel rotante o un potente fisso con un buon 0.35 in bobina è indispensabile, anche perché le stesso zone sono frequentate dalle lecce, e lì poi davvero, il gioco si fa duro, ma lo vedremo insieme.. nel prossimo appuntamento.
NAUTICA
di Umberto Simonelli
Q
uando capita che il mare, malgrado previsioni rassicuranti, si metta di traverso, la navigazione di rientro può farsi impegnativa e a tratti anche pericolosa se lo scafo con cui siamo in acqua non è all’altezza della situazione.
Sebbene si navighi anche a bordo di scafi di buone qualità marine, trovarsi in difficoltà è più facile di quel che si possa pensare, soprattutto nei mesi freddi e se le distanze sono ragguardevoli. Analizzeremo, quindi, tutta una serie di argomenti, dalla conduzione della barca alla prudenza, per rendere le nostre navigazioni più sicure. Prevedere è sempre meglio che scappare E’ consigliabile, prima di ogni battuta invernale e soprattutto se c’è da percorrere qualche miglio, un’accurata consultazione dei vari siti di meteorologia: un incrocio dei vari dati può dare delle indicazioni la cui attendibilità è maggiore. Infatti, le previsioni vengono elaborate usando fonti
dati di diversa provenienza da sito a sito. Quindi, abituarsi a “leggere” le informazioni meteo e interpretandole alla luce di esperienze già sperimentate è un modo prudente di andarsi a divertire. Malgrado tutto Quando la calma lascia il posto ad una ventilazione che cresce, diventando sempre più forte, è il momento di valutare se le condizioni di navigazione sono ancora sicure per la nostra barca
Quando, malgrado ogni attenzione, quella lieve brezza che doveva essere destinata a svanire nelle ore più calde si trasforma in un vento sempre più sostenuto è bene non indugiare e riporre le armi per fare dietro front. In estate qualche secchiata si tollera ma in inverno, anche se le temperature non sembrano essere fredde come quelle di una volta, è tutt’altro che gradevole ed una crisi di ipotermia è sempre dietro l’angolo, togliendoci lucidità e capacità di reazione. I venti invernali, una volta, erano prevalentemente libeccio e maestrale ma, oggi, le condizioni sono molto cambiate. Rimangono comunque fisse alcune regole riguardo alla velocità con cui le condizioni del mare cambiano, legate alle condizioni locali e alla direzione dei venti. Quelli dai quadranti di nord sono più freddi e densi e per questo sono in grado di generare onde molto più rapidamente di quelli dei quadranti da sud, mediamente più caldi. Quindi, i “tempi di salita” del mare variano ma le conseguenze sono sempre impegnative. Da dove viene il mare Ci potremo quindi trovare il mare che, secondo la nostra rotta, può interessare punti specifici dello scafo: mare di prua, di poppa, al mascone o al giardinetto. Ovviamente, ciò è indipendente dal quadrante di provenienza, ma dipende dalla rotta. Ogni situazione può essere grave: tutto dipende dalla forza del mare e dalla velocità del vento; tradotto in parole povere, dall’altezza delle onde e dalla barca che abbiamo. Ma ad ogni situazione corrisponde comunque un preciso comportamento ed una specifica conduzione della barca.
Il mare di prua tende a far alzare la barca che ricade con forti impatti sull’onda : in questo caso è bene abbassare al massimo i flap o trimmare in negativo al massimo il motore
Di prua Quando ci troviamo con mare di prua, formato e con vento teso, l’andatura si presenta assai poco
confortevole e la planata spesso impossibile, con il rischio di saltare fuori dall’acqua o infilare la
NAUTICA
prua nell’onda. Se le condizioni sono gravi, non c’è altro da fare che attraversare l’onda in modo diagonale per evitare l’impatto frontale, lavorando molto con la manetta del gas. In sostanza si sale e si scende cavalcando l’onda. Se si può planare, allora una buona soluzione è quella di regolare il trim del motore, o del piede poppiero, in negativo, in modo che la prua sia schiacciata verso il basso. Un ulteriore aiuto può essere dato anche dai flap che, tirati giù, possono ulteriormente contribuire a tenere bassa la prua limitando il beccheggio e quindi l’impatto sull’onda. Di poppa
Il mare proveniente da dietro, tende a far alzare la poppa con la conseguenza di abbassare la prua che può infilarsi nell’onda
Quando il mare ci spinge di poppa, il rischio grave, con onde formate, è “l’ingavonata”, ovvero la discesa precipitosa della barca sull’onda e l’impatto con quella seguente, con la prua che tende ad infilarsi sott’acqua; la barca si può inabissare e girare di lato con conseguenze veramente gravi. Se il mare è forte bisogna navigare a zig zag cavalcando l’onda, limitando così l’accelerazione in discesa e risalendo, offrendo al mare il mascone. Anche qui si lavora di motore, accelerando in salita per decelerare in discesa, per poi ridare gas. Il gioco deve tendere a tenere il più possibile alta la prua, sfruttando l’effetto del motore. Con piede poppiero o fuoribordo mettere il trim in positivo può aiutare tanto. Quando il mare non è molto alto, tenere una andatura costante e il motore in coppia aumenta il comfort. Mascone e giardinetto Spostando l’angolo di trim, si può correggere l’assetto in navigazione dello scafo
Quando il mare è di giardinetto o di mascone, la situazione è meno grave, sebbene non si debba mai abbassare la guardia. Andando di giardinetto il mare ci sospinge e l’ingavonata è meno probabile: con una guida che assecondi le onde, salvo l’effetto toboga e un po’ di rollio, la situazione è generalmente gestibile. Anche il mare di mascone, che colpisce la barca sul lato dritto o sinistro della prua, è meglio gestibile di un mare dritto di prua e ci impone una guida molto lavorata. Comune a queste due andature è la necessità di tenere il motore in coppia. Guidare con il mare mosso è inevitabilmente impegnativo, fisicamente e psicologicamente; ma chi va per questi mari..
Con il mare al mascone o giardinetto la navigazione è meno difficile da gestire, ma è importante “guidare” molto la barca e tenere in coppia il motore
La normativa europea prevede, ai sensi della Direttiva 94/25/CE e con le modifiche apportate dalla Direttiva 2003/44/CE del Parlamento Europeo, che gli scafi, in pratica quelli marcati CE, debbano avere delle precise caratteristiche costruttive in grado di consentire navigazioni sicure con condizione di mare e di vento ben precise. Ecco qui di seguito le relative categorie: •A (ALTO MARE): progettate per la navigazione in alto mare, in cui la forza del vento può essere superiore a 8 (scala Beaufort) e l’altezza delle onde superiore a 4 m. •B (AL LARGO): progettate per crociere d’altura in cui la forza del vento può essere pari ad 8 (scala Beaufort) e l’altezza delle onde può raggiungere i 4 metri •C (IN PROSSIMITA’ DELLA COSTA): progettate per crociere in acque costiere, grandi baie, estuari, fiumi e laghi in cui la forza del vento può essere pari a 6 (scala Beaufort) e l’altezza delle onde può raggiungere i 2 metri • D (IN ACQUE PROTETTE): progettate per crociere su piccoli laghi, fiumi e canali, in cui la forza del vento può essere pari a 4 (scala Beaufort) e l’altezza delle onde può raggiungere i 0,50 m.
JIGGING
L
La continua ricerca di spot poco sfruttati, ci porta inesorabilmente ad doverci spingere su fondali sempre più profondi, per individuare settori di mare popolati da pesci che possono ancora reagire in maniera aggressiva nei confronti dell’inchiku, senza snobbarlo come
spesso spessoaccade accadesusubatimetriche batimetricheinferiori. inferiori. Quando Quandoapprocciammo approcciammoqualche qualcheanno annofafalalatecnica tecnicadell’inchiku, dell’inchiku, i i 40/50 40/50 metri metri erano erano le le quote tipo dove doveintensificavamo intensificavamoi nostri i nostritentativi. tentativi.Poi Poiman manmano manosiamo siamoarrivati arrivatiaiai 70, 70, poi poi ai ai 90… 90… ed infine ai 100. 100.Oggi Oggiinvece invecemolti moltiappassionati appassionati sisi spingono spingono oltre, a quote quote comprese compresetra trai i130 130e ei 150 i 150 metri, metri,
di Domenico Craveli che rappresentano le soglie dell’abisso, e dove è possibile incontrare le nostre prede di sempre, ma anche piacevoli e “pesanti” sorprese. Sfatare i falsi miti Pensare alle profondità marine come le altitudini di una montagna, dove a quote diverse corrisponde un tipo preciso di vegetazione, fino ad arrivare al deserto nevoso della vetta, è un errore fondamentale
I dentici sono pesci che possono frequentare anche
JIGGING
profondità importanti. L’esemplare della foto è stato catturato a 130 metri mentre si tentavano paraghi
perché ci fa immaginare uno scenario molto
diverso
da
quello
reale.
I
pesci hanno una mobilità “verticale” infinitamente diversa da quello che solitamente siamo soliti pensare. Le ricciole si spingono fino ad oltre 300 metri (spesso le trovano attaccate ai naselli allamati sui palamiti di profondità), i dentici sono stati presi insieme ai gamberi con lo strascico, e i fragolini, attaccati ad una lenza da occhioni a 350 e passa metri. Gli input ci sono… quindi spingiamoci nel profondo, se ad altre quote non riusciamo ad avere risultati. Attrezzature Pescare leggero è fondamentale per raggiungere senza grossi problemi profondità importanti
Per pescare profondi è necessario alleggerire il sistema pescante al massimo, specialmente il trecciato in bobina. Pensare di scendere a 150 metri con un 30lbs, se c’è un po’ di corrente è utopia. La “pancia” che si verrebbe a creare sulla verticale renderebbe pressoché ininfluente ogni nostro movimento sull’esca. Quindi 20lbs massimo e leader del 50. Per gli inchiku, andare su grammature 130/160gr, forma ad ogiva. Parti metalliche troppo ampie e spiattellanti ed octopus voluminosi, ostacolerebbero la discesa.
Un Inchiku dalla forma affusolata è quanto di meglio si possa utilizzare per velocizzare la discesa. In assenza di corrente ogni modello potrebbe invece andare bene
Se proprio si vuole, ma si snatura un po’ la tecnica, si può aggiungere su un amo dell’assist un pezzetto di esca naturale, ossia una striscetta di cefalopode, oppure un tocchetto di pesce appena sezionato e sanguinolento.
Pesci Fare una panoramica di quello che si potrebbe catturare è impossibile, basta però considerare che in base alle zone le prede possibile sono tutte quelle che l’ecosistema mediterraneo permette. Dai
Sorprese
dal
profondo.
Questo
sciabola di dimensioni significative, è
stato
aggredito
durante
il
recupero da un grosso totano che, stando ai segni lasciati, poteva tranquillamente superare i 10kg di peso.. potete immaginare cosa abbia provato l’angler mentre si contendeva con un essere così preistorico la cattura..
san pietro agli sciabola, dai paraghi ai corazzieri, passando per fragolini XXL ed occhioni. Dentici e cernie poi sono più comuni
di
immaginiamo,
quanto anzi,
i
dentuti da 10kg e passa, spesso capitano proprio su queste batimetriche. Insomma.. che provare!
non
resta
CONDIVIDI CON NOI LE TUE EMOZIONI
e delle tue avventure di pesca... ...e anche tu sarai protagonista!
Copertina parlante Angler : Domenico Craveli Preda : Spigola (dicentrarchus labrax) Periodo di pesca : Gennaio Ora della cattura : 20:30 LocalitĂ : Nicotera Marina (Vibo Valentia) Tecnica: Surf Casting Esca : Seppia Condizioni meteo: Perturbazione da NW, mare montante forza 3 Terminale: Short rovesciato in FC 0.38 - amo 1/0 beack Fondale : Fango adiacente zona detritica e foce
FOTO: Fotocamera : Nikon D100 Esposizione : Manuale Tempo di scatto : 1/125 sec Diaframma : F/6 Modo di misurazione: Multi-zona Matrix