Intervista a Diego Gabutti, ItaliaOggi 10 ottobre 2017

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Martedì 10 Ottobre 2017

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Diego Gabutti in Controluce – Le grandi firme di ItaliaOggi a colloquio con Goffredo Pistelli

Mio merito? Mi scelse Montanelli Dopo aver letto un mio libro sull’iper sinistro Bordiga

di assenteismo da Guinness D. Leggere ma anche capisce benissimo essere GOFFREDO PISTELLI dei primati, quel mattino si la Einaudi, con Giulio che scrivere. R. Anche quello un po’ tiranneggiava tutti. suoi «Controluce», su Ita- presentarono tutti al lavoro. D. Sarà stato un probleR. Del loro passaggio in compulsivamente. A metà liaOggi, sono carotaggi nel quella casa editrice, «F&L», degli anni ’70, con un amico, Belpaese, nei suoi vizi, nelle ma trovargli qualcosa da come si firmavano, hanno Paolo Pianarosa, scrivemsue infinite incrostazioni di fare. R. Probabilmente. Io mi scritto altre cose bellissime. mo un libretto, Adorno sorfurbizia, protervia, arroganza, Come quando raccontarono ride, che uscì per le edizioni o più semplicemente, nella occupai di questa situazione, che una sera, a cena con Ei- settantasettesche Erbavoglio. sua idiozia che, come un bene davvero curiosa, con qualche naudi, arrivò la notizia di un Nel libro polemizzammo durarifugio, non cala mai di valore. battuta. E il telefono del digolpe, in non so quale paese mente con l’edizione Einaudi Diego Gabutti, torinese, clas- rettore, l’indomani, squillò. africano, e l’Editore ordinò a di Minima moralia e col suo se 1950, giornalista raffinato Lui, però, non me ne fece Fruttero e a Giulio Bollati, curatore, Cesare Cases. Anma senza birignao, ogni giorno mai parola. Un signore, apaltro commensale, di correre cora trent’anni dopo, in un vede quello che noi, assuefatti, punto. Pensi che quando, se a fare un telegramma di pro- articolo, il povero Cases se ne non vediamo, e provvede, coi ne andò, nessuno andò nella testa, forse all’Onu, a nome lamentava: «Un libretto scritsuoi corsivi, a sanzionare con sua stanza a salutarlo. Io, to da due giovani sciagurati». della casa editrice. l’arma antica dell’ironia. È che mi ero mosso da Torino, D. Stupendo, einaudia- Aveva ragione lui. quella che consente al titolista fui praticamente l’unico. Diego Gabutti D. Senta, lei nel 1968, no al cento per cento. di estrarne il succo con due riD. Il Giorno era un gran R. Solo che loro partirono, aveva diciotto anni. Come ghe spesso esilaranti, del tipo: giornale ma, a quell’epo«Vuoi vedere che questo libro ca, chi lo dirigesse, doveva un’altra dissidente, la tedesca non sapendo bene cosa fare o lo visse? R. Per quanto mi riguarda, Clara Zetkin, mentiva cosa scrivere, e poi giunti alle sulla rivista Quaderni ogni volta che apriva boc- Poste centrali, si accorsero di il ’68 ebbe il merito, ripeto, di piacentini non è stato Io nel ’68 avevo diciotto anni. ca, mentre Bordiga… ah, non avere neppure i soldi per spalancare una biblioteca impubblicato per caso dalle Per quanto mi riguarda, il ’68 Bordiga era un comunista farlo, il telegramma. Quindi mensa. A casa mia, quella di Edizioni dell’Asino?», oponesto, e non mentiva mai. tornano indietro e l’Editore onesti commercianti, di libri pure, «Chi viene attaccato ebbe il merito di spalancare una Dopodiché… dalla Ditta diventa subito s’affaccia in pigiama dalla non ce n’erano molti. Col ’68 biblioteca immensa. A casa mia, D. Dopodiché? statista, suo malgrado. finestra di casa e lancia loro cominciammo a girare con la quella di onesti commercianti, borsa piena di volumi, anzi R. Dopodiché le sue ana- dall’alto qualche banconota. Costoro portano fortuna ai di libri non ce n’erano molti. lisi non stavano in piedi, nemici e sfiga a se stessi. D. La partitura di una serviva a far colpo sulle raCol ’68 cominciammo a girare gazze. naturalmente. Idem le sue commedia. È il loro karma». E spesso con la borsa piena di volumi, anzi D. I suoi com’erano? previsioni storiche. Come Gabutti recensisce libri R. Più o meno. Peraltro, per R. Gente che parlava piei Testimoni di Geova, che tornare ai loro libri, sono stati che il mainstream editoserviva a far colpo sulle ragazze ogni tanto stabiliscono la molto copiati. Tutta l’ambien- montese in casa ma non coi riale ignora ma, appunto, data esatta della fine del tazione gnostica di A che pun- due figli: il dialetto era una per ignoranza. Lo fa senza cosa del passato. Sono scominutile sfoggio di quella cultu- fare i conti con la politica mondo, Bordiga aveva calco- to è la notte… lato che ci sarebbe stata una ra che, invece, emerge carsica- politicante. D. …in cui gli Eoni della parsi molto presto, purtropmente a ogni riga. R. La direzione era democri- rivoluzione mondiale nel 1975, Apocalisse si mescolano po. D. Lo consideravano Domanda. Gabutti, lei è stiana e la vicedirezione socia- quando per fortuna era già alla mafia e a un’inchiesta un’emancipazione, l’itaun giornalista di lungo cor- lista. O viceversa. Però fior di dei Carabinieri… so. Come ha cominciato? R. …tutta quella am- liano. professionisti, intendiamoci. L’Italia è stata un’invenzione a R. L’Italia è stata un’invenRisposta. Ah, è stata colpa bientazione si ritrova ne D. Scusi, ma torno a tavolino, ed è cresciuta piena di di Bordiga. Il Pendolo di Foucault zione a tavolino, ed è cresciuta Bordiga, perché un giallo D. Bordiga Amadeo, uno su quel personaggio midi Umberto Eco, così piena di difetti, ma non è stata difetti, ma non è stata una cattidei padri fondatori del Par- nore della storia comunicome l’Ebreo errante una cattiva invenzione, e non va invenzione, e non tutti i suoi tito Comunista Italiano? de L’amante senza fis- tutti i suoi difetti sono così tersta? Per il suo internaziodifetti sono terribili, alla fine. R. Precisamente. Avevo nalismo entrò in rotta di sa dimora, riemerge, ribili, alla fine. Sono incantato dal lato ridicolo D. Dove abitavate? scritto un libro, un giallo, che collisione con Stalin e lo anni dopo, nel Romandella politica, un aspetto della R. In centro, in via Accasi intitolava «Un’avventura di stalinismo che permeava zo dell’ebreo errante di scena italiana che, da TangentoAmadeo Bordiga», uscito per anche il Pci. Jean D’Ormesson, am- demia Albertina. Da bambino Longanesi. Erano i primi anni bientazione veneziana e andavo al cinema Metropol, R. Da giovanissimo, pratipoli in avanti, si è ingigantito ’80, l’editore, Mario Spagnol, camente un ragazzino, negli tutto. non lontano da casa mia. Non si trovò a passare un fine setti- anni del liceo cioè, fui marxiD. Ma lei fu marxi- c’è più o forse è diventato a luci mana con Indro Montanelli e sta-leninista, Libretto rosso e morto da anni e non gli toccò sta? Oggi, leggendola, non rosse, non ne ho idea. Io, per gliene allungò le bozze. Monta- tutto, solo che mi veniva da ri- giustificarsi con i seguaci della si sarebbe immaginato. un caso, fui il primo spettatore nelli finse di leggerle. R. Sì, prima marxista-le- all’inaugurazione della sala e dere e allora, per un po’, diven- sua setta. Previsioni e analisi a D. Come finse di legger- tai un marxista snob e scoprii parte, era e rimane divertentis- ninista, come le dicevo, e poi il titolare, considerandomi una le? il bordighismo, la più divertente simo da leggere. L’ho messo in marxista snob. Marxismo a sorta di mascotte, mi ha poi fatR. Massì, non credo che lo delle dottrine politiche. Bordiga un giallo perché il genere to sempre entrare gratis. avesse letto davvero, o che leg- scriveva di politica come Gadda mi è sempre piaciuto. Leggo D. Che pacchia. Il priSono cresciuto nel centro di Torigere, me o altri, gli piacesse. dei delitti della Via Merulana: e rileggo Rex Stout, automo film? no. Da bambino andavo al cineSta di fatto che mi invitò a col- neologismi à gogo, napoletani- re delle avventure di Nero R. Il nostro agente laborare al Giornale, dove fui smi, battute. Praticamente un Wolfe… nel romanzo c’era all’Avana, che capolavoro. ma Metropol che non era lontano anche Wolfe, come pure il inviato culturale e capii, pian marxista-corsivista. D. Tratto dal libro di da casa mia. Ora non c’è più. regista Fritz Lang. Stout, piano, quale fosse il mio scopo D. Personaggio curioso. Graham Greene. Io, per caso, fui il primo spettanella vita: scrivere corsivi. Da R. Al VI esecutivo allargato tra parentesi, è stato il prinR. Che lo sceneggiò. Non tore all’inaugurazione della sala. allora non ho fatto altro. del Comintern, come racconta cipe dei giallisti. so quante volte lo vidi. Così E il titolare, considerandomi una D. Poi al Giorno. Edward H. Carr nella sua come vidi decine di volte D. Da torinese, sperasorta di mascotte, mi ha poi fatto R. Sì, con la direzione di storia della rivoluzione russa, vo mi dicesse Fruttero e West Side Story, che fu proLino Rizzi, un gran signore. Bordiga affrontò Stalin a muso Lucentini. grammato per sei mesi. sempre entrare gratis Ho scoperto solo dopo che il mio duro. La sera prima era stato a D. Una pellicola che R. Beh certo, anche loro. primissimo corsivo gli aveva cena con Trotzky, che doveva Soprattutto A che punto è la fece epoca. Shakespeacreato problemi con Ciriaco avergli raccontato tutti i pette- notte, che fu il vertice del loro parte, fu un periodo di lettu- re reloaded, musica, la granDe Mita, che se n’era lamen- golezzi moscoviti, tipo Il Ballo produzione… re straordinarie: tutto Marx, de New York: c’era tutto. tato, non poco. al Kremlino di Malaparte. R. Mi impressionarono gli D. Anche meglio de La più o meno, ma anche infiniti D. Addirittura? In quegli Nei verbali dell’Internazionale, Donna della domenica, più altri libri, perchè un libro tira Sharks. George Chakiris, un anni far arrabbiare il leader si legge che Stalin, vecchio se- celebrata grazie alla traspo- l’altro, come le ciliege. Leg- attore da due soldi, la cui cardi Nusco (Av) poteva essere minarista, reagì stizzito a una sizione filmica… gere alla fine è quello che ho riera s’interruppe quasi subito, un rischio. E poi al Giorno, sua domanda: «Non avrei mai R. Non c’è dubbio. A che pun- soprattutto fatto in via mia. nel film era Bernardo, il capo editato dall’Eni ossia dalle pensato che un comunista po- to è la notte è stato un capolavo- Allora lo facevo con spirito dei portoricani, e portava una Partecipazioni statali… tesse parlarmi così. Che Dio vi ro della letteratura italiana del quasi compulsivo, da nerd. giacca nera con la fodera rossa R. Era il 1986 e la Fiat aveva perdoni». Col passare degli anni, ti rendi di raso, roba da vampiri. Altro secolo scorso. acquisito l’Alfa Romeo. Era sucD. Un uomo diretto. D. Ci sono pagine indimen- conto di come le tue ossessioni che le rock star degli anni successo che all’Alfasud di PomiR. Credo che a Stalin in fon- ticabili, come le esilaranti non stiano in piedi. Ma che im- cessivi. gliano d’Arco, abituata a tassi do piacesse. Una volta disse che di una casa editrice che si porta? È bello passarci. continua a pag. 8 DI

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Alla sua sinistra ci sono circa trenta formazioni, gruppi e gruppuscoli in lotta fra di loro

Renzi apre ma nessuno risponde Il centrosinistra largo, nasce invece molto stretto DI

GIUSEPPE TURANI

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rmai siamo in campagna elettorale, e, come a carnevale, ogni scherzo vale. In questi giorni c’è una grande eccitazione per una specie, appunto, di scherzo. Matteo Renzi ha dichiarato che «I nemici non sono quelli che se ne sono andati» e allora tutti a scrivere: ha spalancato una porta verso Bersani & C., ecco nascere finalmente il «centro sinistra largo», all’insegna dell’unità. I meglio informati dicono che la dichiarazione di Renzi sarebbe avvenuta dopo una telefonata di Prodi che appunto questa apertura suggeriva. Ma perché dico che siamo di fronte quasi a uno scherzo? Renzi ha spalancato la porta a tutto ciò che sta alla sinistra del Pd, ma attraverso quella porta non passerà quasi nessuno. Le formazioni politiche a sinistra del Pd (o che tali si dichiarano) sono circa una trentina, ma nessuna di loro si metterà con

il Pd. Molto probabilmente, alla fine, solo Giuliano Pisapia accoglierà l’invito di Renzi. Gli altri no. L’Mdp ha già detto che nemmeno ci pensa e ha già litigato con lo stesso Pisapia proprio su questo. Ma perché non accettano l’invito di Renzi? La risposta è semplice. Con l’arrivo di Renzi, il Pd ha subito una sorta di mutazione genetica. Ha lasciato cadere tutto quello che di ottocentesco e novecentesco c’era nei suoi programmi e si è trasformato in un partito di tipo liberal-democratico. Attento cioè alle questioni sociali, ma anche al funzionamento della società, alla competizione e al merito. Tutta roba che ai novecentisti non interessa. Per loro il da farsi è elementare: il popolo ha dei bisogni (tanti), lo Stato provvede e poi mette tasse per finanziare gli interventi. Altro non serve. Per tutti costoro, una trentina appunto di formazioni politiche, il Pd di Renzi non è un possibile alleato, ma un’ere-

FULMICOTONE

La griffe passa ai francesi

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DI

CARLO VALENTINI

n hotel dal nome storico per l’alta cucina e l’accoglienza: Fini. Se lo sono presi i francesi. Che mettono così la parola fine a una vicenda familiare che in tempi dove neppure si immaginava MasterChef portava in alto nel mondo la bandiera della cucina italiana. Alla morte del fondatore, Telesforo Fini, il business era diviso in tre parti: il ristorante, gli alberghi, l’azienda che produceva prodotti alimentari, a cominciare dai tortellini. La prima ad essere venduta è stata l’azienda, poi uno degli alberghi, mentre il ristorante era in declino. Nel 2004 il tentativo di un colpo di reni: i due figli del fondatore tentano di rilanciare il ristorante e trasformare l’attiguo hotel in una location ultralussuosa. Un’iniziativa sostenuta attraverso un mutuo dalla Banca sia, un pezzo della destra, una bestemmia. Come del resto hanno già detto a proposito del francese Macron. Il centro sinistra largo, quindi, alla fine sarà stretto: il Pd più pochi vo-

popolare di San Felice. Ma dopo l’apertura in grande stile è arrivata la débâcle e gli affari sono andati a rotoli. Adesso la banca metterà all’asta l’immobile (ristorante più uno degli hotel) per rifarsi delle rate non pagate. E un altro albergo, in via Emilia Est, vicino al Policlinico (dove hanno soggiornato, tra gli altri, Michael Douglas, Gorbaciov, Berlusconi e Pavarotti) se lo sono presi i francesi di B&B Hotel, catena controllata dal private equity fund Pai Partners, che pagherà oltre 300 mila euro l’anno d’affitto a un’altra banca, la Bper, anch’essa coinvolta nelle vicende familiari dei Fini. Scomparirà dalla facciata l’insegna prestigiosa di Fini per far posto al brand della catena. De profundis per una griffe che aprì la strada alla riscossa della cucina italiana e alla quale dovette inchinarsi perfino la celebre Guida Michelin. Adesso i francesi, dopo l’inchino, sono diventati i padroni.

lonterosi aperti al nuovo. E la sinistra a sinistra del Pd farà quello che ha sempre fatto: grandi documenti grondanti amore per il popolo e nessuna idea su come fare per

farlo stare un po’ meglio. E il nuovo, se ci sarà, dovrà farsi strada attraverso il Pd. Magari senza fare nuovi debiti, visto che ne abbiamo già tanti. Uomini & Business

SEGUE DA PAG. 7 D. Negli stessi anni, Torino si riempiva di immigrati in arrivo dal Sud. R. Un’assimilazione veloce, consumata in pochi anni. Faceva specie, decenni dopo, sentire che in Lombardia c’era ancora, o di nuovo, la questione dei terun. Torino e l’Italia in genere ha assimilato rapidamente anche la prima emigrazione degli anni 90, quella degli albanesi, dei polacchi e dei rumeni. Non ha assimilato invece gli islamici dell’ultimo periodo, ma penso che i musulmani siano intrinsecamente inassimilabili. D. Non posso non chiederle dalla Fiat, cresciuta a dismisura, poi entrata in crisi. R. Ci lavorava una mia nonna. Oggi c’è la Fiat-Chrysler. Stupisce che la Torino del ’900 non sia stata ribattezzata Torino-Fiat. Tempo fa ho letto il Diario italiano di Melville, Biblioteca del Vascello), che ci passò nel 1857, di ritorno da Gerusalemme. D. E che cosa scriveva? R. «Torino è più regolare di Filadelfia. Le case son tutte d’un taglio, d’un colore, della stessa altezza. La città sembra tutta costruita da un solo imprenditore e pagata da un solo capitalista». D. Una profezia. Qualcuno ha raccontato di una Torino che, dopo la crisi, si è reinventata, a partire dalle Olimpiadi invernali di qualche anno fa. R. Ma no, è una città vuota, senza anima. Ha bisogno di una ragione di esistere, figurarsi. Quelle che lei riferisce sono «magate», così le avrebbero chiamate F&L. La credulità alto-borghese assume forme ben più volgari di quella popolare. D. Nei suoi corsivi lei spesso si occupa di politica e di politici. R. Sono incantato dal lato ridicolo della politica, un aspetto della scena italiana che, da Tangentopoli in avan-

ti, si è ingigantito. Non che mancasse neppure prima. Come dimenticare il parlar pomposo di Sandro Pertini? D. Poi sono venuti altri. R. Beh, certo Di Pietro e Berlusconi. Anche Craxi fu, a suo modo un po’ buffo, con tutti quei suoi cimeli garibaldini. Ma dopo di lui, come sappiamo, è andata sempre peggio. Non di meno credo che l’Italia sia un po’ meglio della sua espressione politica: il nostro problema è che c’è sempre qualcosa di peggio alle viste. Gli italiani si sono adattati anche a Mussolini, perché c’era di peggio in giro: Bordiga. Una volta Giovanni Guareschi lo scrisse. D. E cioè? R. Invece di tenersi una monarchia laica e liberale, come aveva fatto lui, al referendum istituzionale gli italiani avevano scelto una repubblica confessionale. Insomma i nostri sistemi politici sono sempre stati inferiori ai compiti e alle attese. D. Lei fu anche messo all’indice dal Sacro Blog di Grillo. Quale maestà lese? R. Ah ricordarselo! Sarà stato qualcosa tipo De Mita. Si figuri che Matteo Salvini… D. Che Salvini? R. Mi ha minacciato di querela per aver chiosato il suo viaggio coreano da Kim Jong-un, che è poi l’unico uomo grasso della Corea del nord. Avevo scritto che il leader leghista aveva una passione per i tiranni e che, potendo, tecnologia aiutando, sarebbe anche salito su un’astronave per rendere visita all’Imperatore Ming di Mongo, il nemico di Flash Gordon nei vecchi fumetti. S’offese, il poveretto. D. Ma lei che ha anche una cultura filmica, la politica, oggi, non le ricorda qualche scena, qualche pellicola. Chessò, il bar di Guerre Stellari. R. Vede, l’Italia degli anni 60-70,

l’Italia dei Dino Risi, de Il sorpasso, l’Italia di Mario Monicelli e di Vittorio De Sica, era un’Italia che si poteva raccontare con profitto e vantaggio. Dagli anni 80 in poi viviamo in un’Italia semplicemente inenarrabile, l’Italia di Christian De Sica e dei cinepanettoni. Io non leggo la narrativa italiana attuale, ma i Parise, i Gadda, gli Arpino raccontavano un paese magari sgangherato ma solido, reale. Oggi un romanziere italiano può scrivere solo del nulla. A Luigi Di Maio, quando gli hai dedicato dieci righe di un corsivo, hai già dato anche troppo spazio. Mentre l’America di Donald Trump invece si può ancora raccontare. D. Perché? R. Perché Trump costruiva grattacieli, le sue Tower ci sono ancora. Di Alessandro Di Battista che si può dire? Chi è? A che serve? D. Eppure li votano, Gabutti. R. Sì, ma non votano Grillo, come se fosse Nelson Mandela, votano per allegria, diciamo. D. Insomma, è stato un lungo declino, quello della politica. R. Non solo. Anche del giornalismo, basta guardare i talk show: ci sono cose inconcepibili non dico 40 anni fa, ma anche solo 15 o 10 anni fa. D. Diamo una nota positiva: vede segnali di speranza, da qualche parte. R. Forse nel fatto che l’Italia e gli italiani, alla fine, non somiglino alla descrizione che ne fanno i loro rappresentanti deboli, cioè i politici. Penso a un’Italia corsivista, in qualche modo. È andata così, di male in peggio, ma, io credo, che ci fermeremo a un passo dal precipizio. D. Cosa sta leggendo? R. Io divago abbastanza, anzi non faccio che divagare. In genere leggo saggistica straniera: attualmente La casa dei morti (Daniel Beer, Mondadori),

una storia della Siberia sotto gli Zar. E poi una storia dell’Impero ottomano. Sto leggendo, va da sé, anche molti fumetti di supereroi. D. Invece, in genere, non si legge più. R. Si dice che i giovani non lo facciano. Che si scambino solo messaggini. Ricordo che mio nonno Giovanni, un vecchio partigiano comunista, quando io leggevo Nembo Kid non capiva come funzionasse il fumetto né che cosa ci trovassi nelle storie ridicole dei supereroi. È sempre stato così. Io non capisco la musica che ascoltano i miei nipoti 14enni, i miei genitori non capivano la mia. I ragazzi non leggono ma fanno altre cose, che io capisco poco, o non capisco affatto, ma immagino non siano meno importanti di quelle che impegnavano i loro genitori, nonni, trisavoli eccetera. D. Cosa la disgusta, oggi? R. Non tollero l’incompetenza, l’ignoranza spavalda degli intellettuali da talk show, da giornalone, questo modo cashmere di guardare le cose, questo populismo chic. Più intollerabile di quello in canottiera, che non è meno fasullo ma che almeno è simpatico, ruspante. D. Chiudiamo con una cosa che, invece, le piace, nell’ultimo periodo. R. Leggere libri Adelphi. D. Prego? R. Per molti anni non l’ho fatto, considerandola roba snob. Era una forma di controsnobismo. Troppa Krisis, tutta quella gnosi, e quell’Austria-Ungheria. Poi ho capito che Adelphi, in questo paesaggio di rovine culturali, nell’Italia di Grillo e di Roberto Saviano, è la sola realtà culturale che si tiene alla larga dalla cattiva attualità: grandi giornalisti, grandi scrittori e poeti, americani, francesi, inglesi, italiani pochissimi, quasi nessuno, libri di storia, un catalogo che ha un’idea apocalittica, dunque realistica, del 900. twitter @pistelligoffr


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