Intervista a Giampaolo Pansa, ItaliaOggi 9 settembre 2017

Page 1

PRIMO PIANO

Giovedì 7 Settembre 2017

7

Per Giampaolo Pansa invece l’Italia rischia l’anarchia: un paese dove non comanda più nessuno

Ritorno del fascismo? Ridicolo È una balla della sinistra che si inventa l’avversario dove il maresciallo Tito torturava i suoi ex compauardi Pistelli gni colpevoli di essere rimache questo libro sti fedeli a Stalin. Finendo è di un’attuali- uccisi da sicari che credevatà pazzesca: in no compagni di lotta e non questo Paese non comanda carnefici. D. E poi racconta il più nessuno e siamo tutti vinti: dalle nostre stupidag- caso di antifascisti catgini, dalla nostra ignoranza, tolici e a socialisti, che dalla nostra incultura, dalla rifiutavano di sottometnostra paura di impegnarsi, tersi ai comunisti. E, come nel passato, tante dalla nostra strafottenza». Giampaolo Pansa torna storie di fascisti e di loro a parlare degli sconfitti della congiunti, finiti male, guerra di liberazione, anche malissimo, a volte ben se, praticamente, non ha mai oltre la fine delle ostilismesso, da quando, nel 2003, tà. La mia domanda è: ce uscì appunto Il sangue dei n’è ancora bisogno? R. Scherza? Qui continua vinti (Sperling). Stavolta si tratta de Il mio viaggio fra una grande bugia, negando i vinti, che è oggi in libreria che vi fu guerra civile e rifiuper Rizzoli, da tempo il suo editore. «E che non In Il viaggio fra i vinti, lascio, sa. Pur avendo avuto una grossa offerta Pansa continua la sua coragda un’altra casa», dice al giosa ricognizione sulla guerra telefono, questo monfercivile italiana da cui escono rino classe 1935, giornasconfitti, fra i partigiani, lista di razza superiore, più quelli rossi che quelli bianche ha girato tante redazioni, «devo avere avuto chi. Due volte vinti infatti un avo nomade», e che ora sono i partigiani rossi si è accasato a La Verità. della Garibaldi Come accade spesso, complici le sei interviste precedenti in occasione tando le responsabilità, gradi altrettanti lavori, la con- vi del Pci, in quelle vicende. versazione va dal libro, alla Se nessuno dice o scrive più biografia, all’attualità, più e niente, non si saprà più nienpiù volte. te di quello che accadde fra il Domanda. Pansa un al- 1943 e il 1948. tro libro sui vinti, però alD. Le prime bugie chi le largando il tiro: non solo ha dette? gli sconfitti della RepubR. Ah si figuri, il primo fu blica sociale italiana. Luigi Longo, che firmò la Risposta. Vede, gli storici prima storia generale della patentati, per così dire… Resistenza, Un popolo alla D. Che però negli anni macchia. In realtà, la fece le hanno dato dei ricono- scrivere a Guglielmo Peirscimenti, dopo l’iniziale ce, affidandogli un pacco di ostracismo. Per esempio documenti, e riservandosi accettando l’espressio- l’ultima revisione. «Ho eline «guerra civile», prima minato gli ultimi residui di tabù. azionismo», disse chiudendo R. È vero. Però continuano il lavoro. a sostenere che i vinti della D. Anche lei, che fece la guerra civile italiana sono sua tesi di laurea sui parsoltanto neri, i fascisti della tigiani fra il Monferrino e Repubblica sociale. Invece… la Liguria, ricorda nel liD. Invece? bro d’essersi imbattuto in R. Invece il punto di vista più di una reticenza. che ho maturato negli anni è R. Beh certo, mi raccontadel tutto nuovo. Come spiego rono solo le pagine luminose, in questo viaggio, compiuto quando provavo a chiedere insieme a Adele Grisendi qualche dettaglio di fatti con(sua compagna da molti anni, troversi, quando gli obiettavo ndr), tra gli sconfitti dobbia- che «insomma, sembravano i mo collocare anche i bianchi soci del circolo del golf», quelli e soprattutto i rossi. si irrigidivano. «Questo è meD. Partigiani che rifiuta- glio non scriverlo», dicevano. vano l’egemonia del Pci o Oh, Pistelli, una tesi di laurea che, riparati all’Estero, le di 800 pagine. Mica scherzi. città il caso di Fiume, scoD. Scienze politiche a Toprono «compagni» quasi rino, poi divento un libro peggiori dei fascisti com- della Laterza nel 1967. battuti. R. Le racconto solo questo: R. Esatto, due volte vinti il rettore, Mario Allara, era sono i partigiani delle Ga- un liberale di destra, e chiaribaldi, riparati in paesi ramente infastidito dall’argodell’Est, per sfuggire alla mento della tesi. Si impuntò giustizia italiana del Dopo- quando vide che era dedicata guerra. Molti di loro finirono a una donna, la mia fidanzarinchiusi in gulag disumani ta e futura moglie. Sbottò: «È come Goli Otok, l’Isola Calva, davvero irrituale». La cosa DI

GOFFREDO PISTELLI

«G

Giampaolo Pansa era avvertita come una spavalderia: «Non si può», ripeteva il magnifico. D. E che successe? R. A risolvere la questione fu Luigi Firpo. D. Grande intellettuale della Torino laica. R. Fu un grande repubblicano, teneva un corso sugli scritti giovanili di Karl Marx, insegnava dottrine politiche. Intervenne con quella sua corporatura gigantesca, la toga sulle spalle e con voce tonante: «Rettore», disse rivolto ad Allara, «meglio una ragazza che una puttana». Finì che ebbi 110 e lode e dignità di pubblicazione. D. Vengo all’oggi, Pansa. Un altro libro revisionista: proprio ora che tutti vedono fascismi pronti a riattecchire. Che si discute una legge per colpire anche i cimeli. R. Questa del ritorno del fascismo, mi creda, è una cosa ri-di-co-la. D. Addirittura? R. L’Italia rischia di peggio, rischia l’anarchia, rischia di diventare il Paese dove non comanda più nessuno, del populismo più becero, altroché. D. Già ma qualcuno pensa che il populismo sia l’anticamera del fascismo. R. Ma no, ma no. Il populismo, semmai porta a un regime militare, se solo avessimo un Esercito forte. Quella del fascismo imminente è una balla della sinistra in crisi e s’inventa l’avversario, l’allarme. Figurarsi, descrivono Forza Nuova come se fosse il Terzo Reich e sono due gatti. No, mi creda… D. Le credo… R. Qui il problema è il Paese non governato, un’Italia che non si legge sulle gambe. E che lo sarà sempre di più. Tutti vinti, a partire da Matteo Renzi. D. Che lei definiva «il bullo». R. E poi il superbullo. Un signore che politicamente oggi è finito. D. Ma c’è anche Marco

R. Sì, di quando lui con questa austerità tutta cuneese… D. Ironizza, Pansa? Una cosa fra piemontesi? R. No, perché mai? Anzi, su Cuneo si fan battute, il militare eccetera, ma i cuneesi c’hanno i loro modo, formale, sono spesso dei sopracciò. E sono furbi, molto furbi. D. Ricordiamo cosa le disse, l’allora direttore. R. Che avrei dovuto scrivere per i miei lettori di un tempo, ossia quelli di Repubblica. Ma che cazzo ne sapeva lui, mi scusi? D. Scusata e comunque era il direttore. R. Sì, sotto la cui direzione, Repubblica ha perso una quantità assurda di copie, diciamo. D. È stata crisi per tutti. Nessun altro a Repubblica la maltrattò? R. Pistelli, io sono buono e pacifico, lo può chiedere ad Adele. Ma non amo tenere la coda fra le gambe e non sono mai spocchioso. Però neppure incazzato, a priori. D. Il Pci-Pds-Ds non fece mai i conti con quella pagina, come non li fece, anni dopo, con la caduta del comunismo. Forse sistemare le questioni con la storia avrebbe fatto bene al Paese… R. Precisamente. Quello di quegli anni è stato un frutto malato di quegli anni. Si arrabbiarono tutti, perché descrivevamo i comunisti per quello che erano: non chierichetti, ma gente che ammazzava, violenI rossi, espatriati nei paesi tava, torturava. Insomdell’Est per sfuggire alla giustima non le opere di bene zia italiana del Dopoguerra, fidel cardinal vattelapesca. Finché… nirono spesso in gulag disumani D. Finché? finendo uccisi da dei sicari che R. Finché prendevo di loro credevano fossero compamira, come giornalista, gni di lotta per il comunismo la Democrazia Cristiae non loro carnefici na… D. …la Balena bianca fu un suo conio… D. Contro quel primo liR. Sì, oppure quando poi bro del 2003, lei lo ricorda passai a occuparmi di Silvio anche in questo volume, a Berlusconi… Botteghe Oscure, sede del D. …al quale non risparPci divenuto Pds, si tentò miò nulla… una controffensiva, ma R. Ecco, fino ad allora, sono vana. piaciuto alla sinistra e ai suoi R. Sì, c’è un capitolo in cui giornali. Poi, dopo, non più. una funzionario del Partitone D. La pagina più comrosso, come lo chiamavo io, che movente di questo ultimo racconta come fosse breve- libro, secondo me, è quella mente organizzato un ufficio che riguarda Giorgio Mo«X», incaricato di contrastarlo. relli, giovanissimo partiLe copie vendute, a migliaia e giano cattolico di Reggio migliaia, spazzolarono via tut- Emilia, nome di battaglia to. Più che il partito la conte- Solitario. stazione fu spinta abbastanza R. Ed era lo pseudonimo da Repubblica. con cui, assieme a Eugenio D. Il suo ex giornale, di Corezzola, liberale, scriveva cui era stato vicediretto- su La Penna, un foglio che le re, pochi anni dopo la fon- cantava giuste ai garibaldini dazione. Mentre lei stava e comunisti, tanto che alla fine all’Espresso, comunque gli spararono, a Morelli, ferennel gruppo. Eppure lei ri- dolo gravemente a un polmone corda appena un rimbrotto di Ezio Mauro. continua a pag. 8 Minniti, l’attuale ministro degli Interni, che potrebbe fare il premier nella prossima legislatura, secondo alcuni, disposti a tutto, pur di far tornare il Rottamatore a Palazzo Chigi. R. Già Minniti, uno a modo. Ma mi spiega lei, perché uno così si mette a fare il censimento delle case sfitte per darle agli immigrati? D. Mi pare si trattasse di immobili, e non di abitazioni, da usare eventualmente nell’emergenza migranti e profughi. R. No, no, si parla di case, adesso. Allora è ufficiale, che vogliono perdere le elezioni! D. Lei ha case sfitte, Pansa? R. Ma figuriamoci, noi viviamo fra qui, nella Toscana del Sud, ma la prego di non mettere il nome del paese, e Roma, dove abbiamo l’altra abitazione. Sfitto un bel niente. D. La casa toscana, mi disse una volta, è stata comprata coi proventi dei libri. R. Pistelli, Il sangue dei vinti ha fatto un milione di copie, sono una quantità pazzesca e poi c’è tutto l’indotto dei «derivati», come Sconosciuto 1945. Oh, derivati buoni, non come quelle cose che hanno avvelenato la finanza. Quando morirò, mi ricorderete per questo lavoro, come il povero Gastone Moschin per Amici Miei.


8

Giovedì 7 Settembre 2017

PRIMO PIANO

In 10 anni la capitalizzazione delle società pubbliche francesi a -54% (5 volte più del Cac)

C’è Macron ma manca la grandeur Rischia gli errori di Prodi-Ciampi su Telecom Italia DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO

I

cinesi di China Eastern Airlines e gli americani di Delta Airlines nel capitale di Air France-Klm sì; gli italiani della Fincantieri, che sono i migliori costruttori di navi al mondo nel capitale dei Cantieri STX di Saint-Nazaire no. E non è l’unica contraddizione della politica economica del presidente Emmanuel Macron e del suo governo, nonostante la presenza di un liberista dichiarato come il ministro dell’economia Bruno Le Maire (viene dalle file del partito repubblicano che oggi sta all’opposizione seppur con tanti mal di pancia). Le Maire, dopo aver dato prova di diplomazia al Forum Ambrosetti di Cernobbio e dopo aver illustrato in senato, ai primi di agosto, la strategia di dismissione delle tante partecipazioni pubbliche (un’ottantina di aziende, dal nucleare alle lotterie), lunedì prossimo tornerà a Roma per raccontare ancora una volta ai suoi interlocutori italiani, il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan e quello dello sviluppo Carlo Calenda, il famoso progetto dell’«Airbus del mari» (Fincantieri e Naval Group insieme nel business globale della cantieristica militare) ma senza chiarire il punto-chiave di un eventuale accordo (come ha scritto ieri il direttore di ItaliaOggi, Pierluigi Magnaschi, nel suo editoriale): chi comanda, chi è «à la manette» come si dice qui in Francia, e con quali regole di governance. Il tema della governance, oltre a quello della maggioranza azionaria si capisce, è la cartina di tornasole di una politica industriale che il primo quotidiano economico francese Les Echos non ha esitato a definire «sans fil ni direction». Che cosa vogliono i francesi? Liberarsi delle partecipazioni non strategiche (per esempio, la Française des jeux, che gestisce tutte le lotterie e genera 130milioni di euro di dividendi l’anno)? Oppure fare cassa (come nel caso del 20% di Air France ceduto ad americani e cinesi per 750 milioni di euro su cui diremo qualche parola più avanti)? E che cosa si nasconde dietro la solita definizione di «azienda strategica»? E ancora, chi decide che cosa è strategico e che cosa no all’interno di un kombinat industrial-finanziario (l’Ape, Agence des partecipations de l’Etat) che somiglia tragicamente alla nostra vecchia Iri e sulla cui gestione il nostro Macron, né ora che è presidente né in passato quand’era ministro dell’economia e aveva tutti i dossier più incandescenti (Cantieri di Saint Nazaire compresi) ha mai detto una parola?

Il presidente «jupitérien» non può non sapere, per esempio, che il valore dell’Iri francese, considerando solo le società quotate in Borsa (dall’Edf, elettricità e nucleare all’AdP, Aeroporti di Parigi, fino alla Renault e alla Psa-Peugeot per un totale di 14 aziende), è sceso dai 148,5 miliardi di euro di capitalizzazione del 2008 ai 57,8 miliardi di oggi, il livello più basso della sua storia. Insomma, solo le quotate (perché nella «pancia» dell’ApE c’è molto altro, una sessantina di aziende non quotate come Ferrovie e Poste) hanno perso, in dieci anni, il 54% del loro valore, quasi cinque volte di più dell’indice Cac40, sceso del 12% nello stesso periodo. Se, poi, passiamo a considerare i dati di bilancio dell’ApE scopriamo che dieci anni fa tutte le sue controllate generavano 13,9 miliardi di utili (e quindi un dividendo importante per il Tesoro), mentre oggi quegli utili si sono trasformati (e non certo per un arcano maleficio) in 10 miliardi di perdite. In una situazione del genere pensare di avere delle chances per gestire i Cantieri di Saint Nazaire e restare alla guida di altri colossi industriali è solo un riflesso condizionato, un riflesso pavlovian-gaullista da parte di chi ragiona immaginando una grandeur che non c’è più. E che, ora, prova a giocare d’astuzia (ma si tratta di astuzie di corto respiro) come nel caso,

ricordato prima, di Air France che, due giorni fa, il 5 settembre, ha deciso di cedere il 20% delle azioni a Delta e China Eastern per 750mlioni di euro, a un prezzo inferiore a quello di Borsa (10 euro contro i 13 circa della quotazione di martedì e anche questa svalutazione è significativa della mancanza

Emmanuel Macron di strategie e della necessità di rimpinguare comunque le casse della compagnia di bandiera), nel convincimento che i nuovi azionisti, americani e cinesi, si accontenteranno di fare gli «sleeping partner», senza avere voce in capitolo. Non sarà così, ovviamente: i rappresentanti dei piloti l’hanno già scritto in una lettera di fuoco inviata ai vertici della compagnia e un osservatore indipendente, il Cabinet Proxinvest, una società di consulenza finanziaria tra le più conosciute, non ha mancato di osservare, in un paper inviato ai suoi clienti, che «la belle opération», come l’ha definita il pdg di Air France, Jean-Marc Jannil-

lac, è in realtà «un petit cadeau fait aux nouveaux entrants», un grazioso regalino fatto ai nuovi azionisti stranieri. I quali, tra un paio d’anni grazie alla Loi Florange del 2014, immaginata dal legislatore con l’obiettivo di dare stabilità alle aziende quotate, potranno avere lo stesso peso dell’azionista pubblico che, al momento, pesa per il 17,6% ma ha diritti di voto pari al doppio (detto tra parentesi, la Loi Florange è la stessa che ha permesso a Vincent Bolloré di diventare il primo azionista di Vivendi e di decidere l’acquisto di Havas nonostante l’opposizione delle minoranze). Nell’attesa di vedere Macron e Le Maire alle prese con cinesi e americani che ben presto vorranno dire la loro sulla gestione di una compagnia aerea che regge a fatica, vale la pena interrogarsi sulla strategia di queste bizzarre privatizzazioni «à la française» presentate, sabato scorso in senato, dal capo del governo Edouard Philippe (altro repubblicano, ex braccio destro di Alain Juppé passato al campo macronista) come la grande occasione per «céder des parties de capitaux publiques» e utilizzare le risorse (la cifra che circola è di 10 miliardi di euro) per finanziare un fondo pubblico destinato all’innovazione. Se fosse così (la vendita di pezzi di aziende pubbliche in cambio di quattrini) Macron e il suo governo farebbero lo stesso

SEGUE DA PAG. 7 D. Per i postumi di quella ferita mofirma. Risponde che non ci pensa nemmerirà. Lei, nel libro, scrive che spirò a no, che non conta la firma in copertina ma 21 anni, l’età in cui molti nostri giovasul contratto (risate sullo sfondo). ni sono dei bamboccioni. D. Ah però, per una ex dirigente delR. Giovani così non torneranno mai. A la Cgil, non male... meno che non si abbatta su di noi un tsuR. Grisendiii, dice Pistelli che sei atnami o qualcosa di terribile. Non so, che taccata al danaro. Ma no, glielo spiego io: questa faccia a patata gli editori vogliono un mal cotta del coreano autore solo, detestano Kim, o come si chiama, le doppie firme o i liContinuo a scrivere su questo non ci tiri un’atomica bri anonimi, tutto qua. tema, dice Pansa, per sconfigin testa. Allora, forse, Adele è bravissima e gere la grande bugia. E cioè la qualche Morelli lo generosa, senza di lei negazione che vi fu una guerra vedremmo levarsi, da tutti questi lavori non civile e il rifi uto delle responqualche parte. Sennò ci sarebbero stati. E sabilità gravi del Pci. Fra poco restiamo qui a litigare con lei stiamo scrivensui vaccini, sulle case do un altro libro che non si saprà più niente di quei sfitte, sulla rinascita uscirà l’anno prossimo, momenti del fascismo. se Dio vorrà. D. Anche in questo D. Certo che vuolibro, c’è molto della le, anche se lei non sua compagna Grisendi, scrittrice a ci crede troppo. sua volta, cui lei tributa pagine afR. Insomma, se Dio vorrà, Pistelli: il fettuosissime. Ma perché Adele non prossimo 1° ottobre compio 82 anni. firma? D. Auguri, in anticipo. R. Grisendiii (alza la voce per farsi sentwitter @pistelligoffr tire, ndr), dice Pistelli che devi mettere la © Riproduzione riservata

errore che, agli inizi degli anni 90, fecero Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi (il primo presidente del consiglio, il secondo ministro del Tesoro), cedendo senza un progetto, un’idea, una visione Telecom Italia solo per fare cassa e s’è visto com’è finita (prima a Telefonica spagnola, poi ai «capitani coraggiosi» bresciani, Gnutti e compagnia, ora alla francese Vivendi in un mirabolante gioco dell’oca finanziario che ha distrutto la più bella azienda telefonica d’Europa). Certo, si può fare cassa seguendo il modello di Engie, l’azienda pubblica che gestisce le reti del gas (ex Suez-Gaz de France, presente anche in Italia e azionista importante della municipalizzata romana Acea), che martedì scorso ha ceduto sul mercato il 4,1% del capitale (100 milioni di azioni al prezzo di 13,9 euro) incassando 1,4 miliardi (un altro miliardo era arrivato a gennaio con la cessione di un altro 4%). Si potrebbe continuare, per dire, con il 19,7% di Renault e il 14% di Psa-Citroën, con il 14% di Safran (azienda di componentistica aeronautica), con il 13,4% di Orange, l’ex monopolista telefonico, con il 50,4% di Aéroports de Paris (soprattutto dopo la cessione degli scali di Lione, Tolosa e Nizza (quest’ultimo ai Benetton). Ma questo è l’esatto contrario di quel che deve fare uno Statoazionista quando lancia un programma di privatizzazioni. Il quale deve sempre accompagnarsi (lo ha ricordato più volte il quotidiano Les Echos facendo intervenire sulle sue colonne i migliori economisti di Francia) a un disegno di politica industriale che deve stabilire, a priori come si diceva prima, che cosa è strategico per il Paese e che cosa no. Per dire, France Télévisions, la Rai francese, è strategica? Sncf, le ferrovie, è strategica? Airbus è strategica? Saint-Nazaire con le sue navi da crociera è strategica? Martin Vial, il grand commis che ora guida l’Ape, l’Iri francese, dopo essere stato direttore generale delle Poste, ha inviato a Macron una lista dettagliata delle 80 aziende controllate dallo Stato, ma ha evitato di dire quali sono strategiche e quali no. Che è la scelta politica decisiva per il futuro dell’economia francese tuttora dominata dalla mano pubblica. Manca «une feuille de route», non c’è una strategia, ha ammesso lo stesso patron dell’Ape riprendendo il giudizio, severissimo, della Corte dei Conti. Con le vendite spot (Air France, Engie…) e con le manovre di corto respiro (Cantieri Stx) Macron non va lontano. @pippocorsentino © Riproduzione riservata


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.