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PRIMO PIANO
Martedì 26 Luglio 2011
Divieto del sovrintendente di ricavare un bar sul belvedere del Museo in piazza Duomo a Milano
Sul Novecento non si bevano drink
Si vedono minacce laddove ci sarebbero solo delle opportunità DI
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GOFFREDO PISTELLI
l ristorante sul belvedere del Museo? Niet. Accade a Milano, nella nuovissima struttura dedicata al Novecento nel palazzo dell’Arengario e che non è valsa a Letizia Moratti la rielezione a sindaco. Il sovrintendente Alberto Artioli ha infatti liquidato in un fiat la richiesta del ristorante “da Giacomo”, che già impiatta cotolette alla milanese ma anche pietanze al tartufo bianco all’ultimo piano del museo, dopo aver vinto un concorso comunale. Il ristoratore toscano Giacomo Bulleri, con insegne anche nell’elegante via Sottocorno, aveva chiesto alla direttrice della galleria, Marina Pugliesi, di allargarsi sul belvedere dell’edificio, la veranda, che sta in cima alla struttura progettata dagli architetti Peregalli e Rimini. Non è chiaro se l’imprenditore avesse prospettato un aggiornamento dei canoni e quindi maggiori introiti del museo ma la disponibilità della direttrice è stata appunto frustrata dall’autorità ultima del Sovrintendente. Artioli infatti sembra essersi subito adeguato al diktat di Stefano Boeri, assessore alla Cultura,
che giorni fa aveva esternato alla sua maniera in materia di utilizzo delle piazze più belle del centro. Frustrato dal fatto che il sindaco Giuliano Pisapia gli ha contingentato gli interventi nella sua materia di elezione (nel senso dei desiderata) e cioè l’Expo 2015, Boeri ha cominciato a fare la faccia feroce su argomenti dove sa che non sarà smentirà due secondi dopo. «Non faremo gli affittacamere a pagamento», aveva
ringhiato, preannunciando la linea dura, «non si vedranno più installazioni incongrue con il valore della piazza e delle architettura che la circondano». Artioli probabilmente s’è adeguato. D’altra parte siede anche lui al tavolo ad hoc, voluto da Boeri. Gli altri membri sono il responsabile dei trasporti, Pier Francesco Maran, l’assessore al Commercio, Franco D’Alfonso, e quello dello Sport, Chiara Bisconti. Boeri ha chiamato l’arciprete del Duomo,
Stefano Boeri
monsignor Luigi Manganini e il direttore della Fabbrica, Benigno Visconti. Proprio l’arciprete s’era infuriato, a Natale scorso, quando l’assessore al Commercio della Moratti, Maurizio Cadeo, aveva offerto il cuore di Milano ai gioiellieri di Tiffany, che ci avevano messo in un bel temporay shop dove, a migliaia, i cittadini avevano scelto di portare le loro tredicesime. Monsignore aveva parlato di sacrilegio, forse ancor di più di quando, un anno prima, la piazza era stata occupata per la preghiera dai musulmani milanesi, ma la boutique del gioiello, con albero di Natale annesso, era stata realizzata lo stesso. Artioli invece s’era scagliato con la Torre di luce, grande istallazione luminosa prevista dal Led festival sponsorizzato politicamente dallo stesso Cadeo, che doveva sorgere nella piazza di fronte alla cattedrale, più o meno nello stesso periodo. “Inopportuna”, aveva detto anche in quell’occasione, negando il benestare e ottenendo che l’opera fosse spostata sul retro del Duomo, spalleggiato per l’occasione dall’assessore alla Cultura d’allora, il teatrante Massi-
miliano Finazzer Flory. Erano state evidentemente giudicate “opportune” dal Sovrintentendente altre iniziative di vario genere che, negli ultimi anni, avevano trasformato la piazza in un suk, dalle mostre di auto d’epoca al museo del rock del dj Red Ronnie, peraltro anche consulente del sindaco Moratti nello stesso periodo. Ma per la teoria degli opposti estremismi dell’arredo urbano, la piazza Duomo e quanto la circonda sembrano ora passare dalla stagione fieristica, in cui il criterio principe era l’introito per le casse comunali e la visibilità del singolo assessore, alla pulizia un po’ sovietica di Boeri che, col suo passato di militante dell’extrasinistra, sa come interpretare. Il no alla allargamento del ristorante all’Arengario, pronunciato da Artioli ma in qualche modo suggerito dallo stesso assessore, la dice lunga. Business e cultura insieme? Orrore, anzi “ovvove”, ripetono all’unisono i Boeri boys, dai solotti in cui amano ritrovarsi a criticare il sindaco Pisapia, il cementificatore dell’Expo. © Riproduzione riservata
E GUAI A CHI PARLA DI PRESUNZIONE DI COLPEVOLEZZA PER GLI UNI E DI INNOCENZA PER GLI ALTRI
Papa è colpevolissimo. Penati invece è innocentissimo DI
DIEGO GABUTTI
Come la nebbia in Val Padana, anche gli scontri in Val di Susa, un fenomeno atmosferico tipico sia delle mezze stagioni che di quelle intere, sono diventati un classico della nostra metereologia. *** Temo, invece, che non diventeranno mai un classico della nostra climatologia politica e nemmeno una costante della nostra scena pubblica, come gli acquazzoni estivi e l’abitudine di portarsi dietro l’ombrello quando il cielo si copre di nuvoloni scuri, le adunanze (ad usum tigì della sera e talk show a seguire) dei leader del cosiddetto ma più che altro sedicente Terzo Polo: Pier Ferdinando Casini dell’Udc e quell’altro tizio (come si chiama? ma sì, il cognato di Giancarlo Tulliani, l’amico d’Italo Bocchino) che presiede la camera dei deputati e guida i due o tre futuristi ancora su piazza alla conquista di Palazzo Chigi. No, mi sbaglio, scusate. Quello che vuole conquistare Palazzo Chigi è Nichi Vendola (già «compagno», oggi «amico», non so, oppure «fratello») mentre Coso al più si ripromette il bivacco dei suoi manipoli nelle aule sorde e grige delle istituzioni democratiche imbelli. *** «Mezzo secolo fa, quando i reparti del KGB deportavano cittadini dagli stati baltici che l’URSS aveva invaso e soppresso, c’erano anche i filatelici tra le categorie sociali da prelevare» (Iosif Bodskij, Profilo di Clio, Adelphi 2003).
Alfonso Papa — così ha deciso la procura che l’ha tratto in arresto — non potrà votare in aula, né tanto meno partecipare alle sedute del parlamento, come aveva chiesto. Potrebbe inquinare con la sua presenza fisica (ma possiamo star sicuri che inquinerebbe anche per posta o in teleconferenza e persino via piccione viaggiatore, come nelle storie di Paperino) il risultato delle votazioni parlamentari. Da quel bandito che è, le farebbe pendere dalla parte della maggioranza. *** Ancora una quindicina o una ventina d’arresti e (come per magia, senza bisogno di ribaltoni) il sole tornerà a splendere sulla repubblica. *** Ma Alfonso Papa — da magistrato, dall’altra parte della porta della prigione — che cosa rispondeva alle persone che aveva fatto arrestare quando gli chiedevano di poter tornare a casa la sera per dare il bacio della buonanotte ai bambini o anche per farsi una doccia e guardare un po’ di tivù o per passare una serata con gli amici, cose molto più importanti che votare di persona leggi ad personam? Rispondeva «prego, s’accomodi» o «ma mi faccia il piacere»? *** Mentre il piquattrista (e magistrato senza stipendio) Alfonso Papa, colpevolissimo fino a prova contraria, se ne sta dietro le sbarre a ripassarsi il codice penale, il vicepresidente della Regione Lombardia Filippo Penati, già braccio destro di Pier Luigi Bersani, accusato d’aver
intascato tangenti in tempi sia remoti che recenti, si dimette dalla vicepresidenza della regione ma non dalla carica di consigliere regionale né tanto meno dallo stipendio e rimane insomma dov’è, innocentissimo — lui, Penati — fino a prova contraria. Si va avanti così da più di vent’anni, presunzione di colpevolezza per gli uni ma non per gli altri, e sia anatema su chiunque osa parlare di più pesi e più misure. *** «Poi la macchina delle calunnie si volse contro Giuliano, tratto di recente in giudizio a Milano (lui, che sarebbe diventato un imperatore memorabile). Capitava però a volte che i ricchi, battendo alle porte delle case dei potenti comprassero l’assoluzione pagando somme ingenti, mentre i poveri erano condannati in modo sconsiderato. Così la verità veniva nascosta dalla menzogna e il falso ebbe forza a volte di vero» (Ammiano Marcellino, Storie, Mondadori 2001). *** Secondo il Cavaliere, che non ricorre agli eufemismi per buona educazione né per timidezza ma per arruffianarsi gli alleati insolenti e sleali, il ministro Roberto Maroni è «un po’ discolo». Se dopo averlo tramortito due volte in aula, prima mandando Alfonso Papa in galera e poi bruciando il provvedimento antispazzatura della maggioranza, Maroni l’avesse anche preso a schiaffi e pugni, il Cavaliere si sarebbe rialzato da terra e, asciugandosi il sangue dal naso, avrebbe detto con un bel sorriso: «Be’, Bobo, oggi sei un po’ nervosetto».
Ci sono due Leghe, una pro e una anti, una ormai mezza decisa al ribaltone e l’altra dura, berlusconiana fino alla morte, come piace credere agli opinionisti, che per lo più tifano Maroni contro Bossi, il primo «costola della sinistra», il secondo un troglodita? Oppure c’è una Lega sola, sempre eguale, sempre la stessa, che prende per il cecio amici e nemici, elettori e giornalisti, cittadini e valligiani, recitando in eterno la commedia del druida buono e del druida cattivo? *** Due soli sono autorizzati a recitare una parte nella commedia celtica: Maroni e Bossi (tra un po’, mangiata qualche altra pagnotta, forse anche il Trota). Gli altri leghisti, chiamati ogni giorno in causa nei talk show, devono limitarsi a dire che nella Lega non ci sono divergenze, che tutti seguono ciecamente il Capo (Maroni più di tutti) e che la lega ha una parola sola, quella del capotribù. Dicono la verità, ma come capita a tutti i bugiardi non sono creduti. Bobo e l’Umberto sorridono. *** «Questa invasione del cervello da parte d’espressioni preconfezionate (gettare le fondamenta, compiere una radicale trasformazione) può essere evitata soltanto se si è costantemente in guardia contro di esse, altrimenti ogni frase fatta anestetizzerà una parte della nostra mente» (George Orwell, La politica e la lingua inglese, in Nel ventre della balena e altri saggi, Rizzoli 1996). © Riproduzione riservata
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Mercoledì 27 Luglio 2011
Il sindaco di Firenze propone di rifare la facciata di San Lorenzo come la volle Michelangelo
Matteo Renzi spiazza ancora tutti
La riqualificazione di un sito provoca reazioni polemiche DI
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GOFFREDO PISTELLI
l rottamatore per eccellenza è diventato costruttore: di facciate rinascimentali addirittura. A Firenze, il sindaco Matteo Renzi, destrutturatore attivo del Pd e della politica nazionale in genere, non cessa di stupire. L’altro ieri, in consiglio comunale, ha annunciato un progetto che, per certo, lo consegnerà per un bel po’ alle pagine culturali di tutto il mondo: riprendere l’antico progetto di Michelangelo Buonarroti per rifare l’antica facciata della basilica di San Lorenzo, una delle chiese più antiche della città e arrivata incompiuta fino ai giorni nostri. Renzi, che interveniva in consiglio per spiegare la riqualificazione di tutta la centralissima piazza, a due passi da Duomo e Battistero, adiacente al bellissimo Palazzo Medici Riccardi, dove il sindaco stesso mosse i primi passi da presidente provinciale. Una riqualificazione controversa: il primo cittadino vuole infatti sfoltire la giungla di bancarelle che cinge d’assedio la chiesa e sfigura permanentemente la piazza che, a sera, quando i commercianti ripongono le loro strutture mobili nei fondi della zona, si mostra
a fiorentini e turisti in tutto il suo splendore. E spiegando la sua dura linea che prevede il taglio di almeno 80 ambulanti (su 254), Renzi ha spiattellato la sua idea: un referendum cittadino per decidere se riprendere il progetto michelangiolesco e ridare, oltre 500 anni dopo, un volto a San Lorenzo. Una proposta che, come accade spesso, non spiazza solo le opposizioni, abituate a ringhiargli contro anche quando fa battaglie tipicamente di destra (vedi invettiva contro gli impiegati fannulloni), ma anche la maggioranza. Renzi ha infatti scippato un vecchio cavallo di battaglia del suo compagno di partito, l’exsocialista poi diniano e ora piddino Eugenio Giani, attuale presidente del consiglio comunale. Giani da tempo vagheggiava di una facciata di plastica o di tela da anteporre ai mattoni smozzicati della basilica, una sorta di mega poster che riproponesse i disegni che messer Michelagnolo aveva realizzato per la facciata in marmo richiesta da papa Leono X, Giovanni de’ Medici, figlio del grande Lorenzo.
Macché poster e poster, ha tagliato corto l’enfant prodige della politica italiana, qui si fa la facciata di marmo come l’autore del David l’aveva pensata. Non prima, ovviamente, d’aver chiamato a raccolta i fiorentini. Pronto a lanciare il dibattito culturale ma anche sollecito nel ricordare che la facciata di Santa Maria del Fiore, la cattedrale appunto, è stata ultimata nell’Ottocento. E mentre il giovane sindaco si accinge a far sognare la città, dando un respiro internazionale alla sua politica ma soprattutto portando i suoi amministrati a riprendere a sognare, le opposizioni balbettano
una piccata risposta sulle famiglie dei commercianti da mandare a casa. Come se i fiorentini credessero davvero a una soppressione degli ambulanti e non, magari, una loro ricollocazione in altra area. Forse senza la rendita di posizione, cosa cui le destre fiorentine dovrebbero combattere, di trovarsi nel cuore di una delle città più belle del mondo a costo zero. «Proposta imbarazzante», ripetono i pidiellini Marco Stella e Stefano Alessandri, consiglieri comunali. Renzi intanto gongola: conosce la sensibilità dei suoi amministrati all’im-
Matteo Renzi
Un paese intinto nel buonismo è diventato ricettacolo di delinquenza internazionale
Oslo, c’è del marcio se un assassino all’ingrosso rischia solo 21 anni DI
GIANCARLO LOQUENZI*
C’
è del marcio in Norvegia e non solo nella testa di Anders Behring Breivik. C’è del marcio in quel paese se il massacratore di Utoya, lo stragista di Oslo, che oggi porta sorridente il peso di 76 morti violente, alla tenera erà di 53 anni sarà di nuovo in circolazione. In quel paese aperto e civile non si può stare in carcere per più di 21 anni, non sarebbe politicamente corretto, consono alla buona educazione e ai buoni sentimenti. L’isolamento e il freddo fanno forse ritenere di essere immuni dai virus del mondo, indenni dalla follia e dall’odio, neutri o neutrali davanti alle grandi faglie dei tempi terribili che viviamo. O forse, più semplicemente, in quel paese non si è riusciti ad immaginare un crimine che meritasse più di 21 anni. E oggi che l’hanno subito non lo sanno riconoscere.C’è del marcio in un paese che vuole linciare l’attentatore, farlo a brandelli con la furia della folla assetata di vendetta, mentre i giudici si preparano, nel peg-
Anders Behring Breivik giore dei casi, a tenerlo in una confortevole cella per vent’anni. C’è qualcosa che non funziona in un paese dove il carcere di Bastoy, che contiene i peggiori criminali, viene così descritto da un recente articolo del Time: «I prigionieri vivono in singoli chalet di legno dipinti a colori sgargianti, vanno a cavallo, possono fare il barbecue, hanno il cinema, lettini solari e due piste da sci a disposizione». Il direttore di Bastoy, Arne Nilsen, racconta
il Time, fa un patto con i nuovi arrivati: «Se scappate cercate di fare una telefonata per farci sapere che state bene, così evitiamo di mandare l’elicottero». La prigione di Halden, dove sembra possa essere trasferito Breivik, spiega ancora il Time «è stata costruita per somigliare a un piccolo villaggio, così che i prigionieri si sentano ancora parte della società. Le celle hanno televisioni flat screen e frigo bar e sono a due letti così che i detenuti possano ricevere ospiti». Il direttore di Halden ha appena stanziato un milione di dollari per fornire il carcere di opere d’arte. C’è qualcosa che non va se poi i criminali di mezza Europa, e non solo, vanno a fare i loro affari in Norvegia: il peggio che gli possa capitare è una pena più bassa che in qualsiasi altro paese comunitario da scontarsi in una sorta di Grand Hotel.E c’è del marcio anche nelle parole del padre dell’omicida. Un padre che non vede il proprio figlio da quando questi aveva 16 anni e vive ritirato nella campagna francese. Poi vede la faccia del suo ragazzo, invecchiato, magari vi intravede se stesso alla sua
età, e la prima cosa che dice è questa: «Come ha potuto andare lì e uccidere così tante persone innocenti, e pensare che tutto è ok? Avrebbe dovuto togliersi la vita anche lui». Non è stato elegante, non è stato coerente: si fosse ammazzato forse sarebbe stato «tutto ok»? E la seconda cosa che dice è anche peggio: «Dovrò vivere con questa vergogna per il resto della mia vita, la gente mi collegherà sempre a lui». Non una parola per il dolore delle famiglie, queste sì collegate per sempre al carnefice dei loro figli e parenti, ma solo la preoccupazione per la vergogna. C’è del marcio in un paese dove la vergogna, l’onta di essere additati alle spalle, è più spaventosa del crimine.E c’è del marcio in un paese che coltiva nostalgie neonaziste e forse le tollera magari in nome della privacy o di qualche altro nuovo diritto d’opinione o di rimpianto. Non c’è voglia di dare lezione alla Norvegia, non ne avremmo diritto e non ne abbiamo il pulpito. Ma se si immagina di vivere nel mondo dei Teletubbies il risveglio può risultare fragoroso. * l’Occidentale
magine della città. Uno dei suoi primi atti di governo fu infatti demolire la passerella della Stazione Centrale, progettata dall’architetto Cristiano Toraldo di Francia negli anni ’80 e detestata da tanti, al punto che nel 1999, pochi lo ricordano, anche il candidato sindaco del centrodestra, Franco Scaramuzzi, ex-rettore e presidente dei Georgofili ne mise in programma l’abbattimento.E Renzi, pur giovane, ricorda ancora la proposta di ripavimentare piazza Signoria, sostituendo la pietra serena col cotto dell’Impruneta, restituendo la piazza com’era fra il ‘400 e il ‘600. Un dibattito che tenne banco per un bel po’ fra i fiorentini a metà degli anni ’80 , quando si doveva procedere alla ripavimentazione per la straordinaria manutenzione, con politici e critici d’arte ad azzuffarsi, finché la Sovrintendenza impose di nuovo la pietra. Ma certo, con con tutto il rispetto per la buonanima di Massimo Bogiankino, sovrintendente del Maggio musicale che i socialisti vollero a fare il sindaco in quegli anni, ora a Palazzo Vecchio c’è un politico che dimostra di mixare marketing e idealità con un’abilità di molto ma di molto maggiore. © Riproduzione riservata
Borghezio: Breivik ottimo Su Facebook c’è una pagina dedicata alle Perle di Mario Borghezio, l’europarlamentare della Lega Nord che tra i suoi vanti recenti ha quello di avere definito il boia di Srebrenica, alias Ratko Mladic, «un patriota» senza che nel suo partito si levasse una parola di dissenso. Ma ieri, quando dal senno del leghista sono fuggite voci che richiamar non vale, una grande parte del popolo del Carroccio lo ha abbandonato al suo destino. Sì, perchè dire che le idee di Anders Behring Breivik, cioè dell’assassino di quasi 80 persone, «sono al 100% condivisivibili e in qualche caso ottime» è sembrato troppo a tutti. Tanto che il ministro della semplificazione, Roberto Calderoli, non ha esitato a dissociare il partito dalle «farneticazioni di Borghezio». Lui, però, non ha perso la sua simpatica bonomia: «Per sostenere certe posizioni servono i coglioni, direi da leghista, un po’ di coraggio, dico da persona educata». Dica pure, onorevole Borgheivik. Giampiero Di Santo © Riproduzione riservata
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Giovedì 28 Luglio 2011
L’austero sindaco leghista di Verona ha deciso di fi nanziare la sua squadra di calcio
Anche Tosi va a tarallucci e vino
770 mila euro dalla municipalizzata Agsm (100% del Comune) DI
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GOFFREDO PISTELLI
l sindaco più amato d’Italia dopo Matteo Renzi, il leghista veronese Flavio Tosi, fregato dalla sua passione calcistica. Il primo cittadino, forse l’esponente del Carroccio più lanciato a livello nazionale, tanto da permettersi di attaccare a testa bassa gli alleati pidiellini ogni qualvolta gliene danno il pretesto, si è infatti scottato con la questione del momento, i costi della politica, a causa del suo notoriamente sfegatato tifo per l’Hellas, storica società scaligera, scudettata negli anni 80 e poi declinata fino alla C1 nell’ultimo decennio. Arrivato quest’anno in B riaccendendo grandi entusiasmi cittadini, il Verona ha trovato un ricco sponsor nella controllata comunale Agsm Spa, la multiutility gas e acqua, di cui Tosi è di fatto il padrone visto che Palazzo Barbieri, sede municipale, detiene il 100% delle azioni. Tosi, che ha un
FISSATO E BOLLATO
passato da brigatista gialloblù ovvero di ultrà del tifo veronese, ha presentato in pompa magna ieri l’accordo insieme al suo assessore allo Sport, Federico Sboarina (Pdl), e il presidente di Agsm, Paolo Paternoster, che per l’appunto è leghista come il primo cittadino. Per l’occasione ha invitato la stampa nella Sala degli Arazzi del suo municipio, con tanto di gonfalone scaligero sullo sfondo. Ma i 700mila euro che la municipalizzata ha destinato al
Flavio Tosi DI
PIERRE DE NOLAC
z Ennesimo tonfo a piazza Affari. Non sarà tutta colpa del dito medio della scultura di Maurizio Cattelan?
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama parla alla nazione. Il guaio è che non lo ascolta più nessuno. z
z Il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani si schiera contro la macchina del fango. Un altro luddista di sinistra. z A Torino il sindaco Piero Fassino ha deciso di accendere la Mole Antonelliana, simbolo della città, per dare un messaggio di solidarietà all’emergenza siccità in Africa orientale. Il progetto si chiama “Red alert”: e poi dicono che non ci sono più i “rossi”. z «Ho presentato una proposta di legge per l’abolizione dei pedaggi sulle autostrade e sui raccordi autostradali gestiti direttamente dall’Anas”. Il deputato romano del Pdl Mario Baccini sogna di diventare il prossimo sindaco di Roma. z Ormai Woody Allen si addormenta ogni giorno sul set romano del film Bop Decameron. Ha imparato subito l’usanza cittadina della pennichella. z Il 31 luglio, a Capalbio, il cartellone estivo prevede un doppio appuntamento letterario con Walter Veltroni, autore de L’inizio del buio e Federico Moccia con L’uomo che non voleva amare. Preparate i fazzoletti. E pure gli amuleti. z Alla cerimonia del ventaglio per il presidente del Senato Renato Schifani ieri c’era il direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Il numero uno di palazzo Madama però voleva cancellare l’incontro, per la morte del militare David Tobini in Afghanistan. Comunque, la sala Zuccari di palazzo Giustiniani presentava bandiere listate a lutto, e non c’è stato il rinfresco come nelle precedenti occasioni. z Un altro delitto a Roma, in pieno giorno. Pronta una sottoscrizione per far riprendere le dirette di “Porta a porta”. z Telefono Azzurro ieri sera a Roma, nello spazio Cremonini a Fontana di Trevi, ha presentato il nuovo logo dell’associazione, firmato da Giugiaro Design. Applausi al fondatore Ernesto Caffo da parte dei parlamentari azzurri.
calcio in un momento in cui le manovre e i tagli impongono ritocchi sensibili alle tariffe, non sono andati giù a molti. A cominciare dal consiglio d’amministrazione, tutto di nomina politica, della stessa Agsm che lunedì aveva messo ai voti la proposta di Paternoster. Ci sono volute due ore piuttosto animate e un voto a maggioranza per staccare l’assegno calcistico, secondo i desiderata del sindaco. A favore, anche un altro leghista, Italo Bonomi, e il vicepresidente Mirco Caliari, pidiellino di provenienza forzista. Astenuto invece un altro consigliere in quota Pdl, Fabio Gamba, ex-aennino, e contrario Marco Burato del Pd, ché la multiutility sarà pure una società per azioni ma le vecchie regole consociative, con le minoranza rappre-
sentate negli organi, le rispetta eccome. Arrabbiatissime ovviamente le opposizioni in città che accusano Tosi di utilizzare di fatto danari pubblici per smerigliarsi ulteriormente l’immagine, considerando quanto sia amata nella città di Giulietta e Romeo, la squadra gialloblù. Pd e Idv annunciano interrogazioni a Giulio Tremonti in persona, invocando un articolo del decreto ministeriale 78, emanato l’anno scorso proprio dallo Sviluppo economico, e che vieta agli enti locali ogni possibilità di sponsorizzazione. Secondo il deputato veronese dell’Idv, Antonio Borghesi, che annuncia un’altra interrogazione ma stavolta al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, compagno di partito e referente politico di Tosi, il fatto che Agsm sia una società privata è una mera foglia di fico, essendo integralmente di proprietà comunale. Non solo, la società calcistica sarebbe oltrettutto già debitrice del Comune, per l’utilizzo del Bentegodi, lo stadio cittadino.
L’ultimo degli arrabbiati è ovviamente Luca Campedelli, detto anche «signor Paluani» essendo il produttore dei famosi pandori e storico presidente del Chievo calcio, l’altra squadra cittadina, nata nell’omonimo quartiere veronese. Dal 2000, la piccola società è stata protagonista di una vera favola calcistica: bilanci in attivo, ingaggi minimi, bel calcio e ottimi piazzamenti. Quando ha saputo dell’attivismo del sindaco-tifoso per sponsorizzare l’Hellas è sbottato: «Tutti i politici veronesi, tre anni fa, bloccarono la sponsorizzazione della Regione al nostro club. Adesso hanno cambiato idea». Ma il Chievo di Campedelli, seppure in serie A, non è neppure paragonabile per numero di tifosi dell’Hellas Verona, che pure milita nella serie inferiori. Gli stessi che si recheranno alle urne, nella primavera prossima, per eleggere il nuovo sindaco. O per confermare l’uscente, munifico benefattore dello sport cittadino. © Riproduzione riservata
Non ci sono scorciatoie alternative per apprendere un lavoro
L’apprendistato chiave di volta dell’occupazione ANTONIO LOMBARDI*
zioni e dalla società, pedine ultime di un sistema che… «tanto non cambierà mai». Il tutto condito ia libera all’intesa per il Testo Unico dalla solita fastidiosa retorica che in Italia mansull’apprendistato. Sette articoli per ca la meritocrazia e che per fare fortuna occorre normare e rilanciare lo strumento occufuggire all’Estero. pazionale fortemente orientato alla forVoglio esortare i nostri ragazzi a comprendere mazione che accompagnerà i giovani nel delicato che devono essere proprio loro gli artefici del campassaggio tra il mondo della scuola e quello del biamento nel nostro Paese! La mia generazione lavoro. Mi sforzo di essere fiducioso e ottimista, ha iniziato a lavorare e a costruirsi un futuro perché le cifre non sono confortanti. La disoccupriva di protezioni sindacali, accordi e intese. pazione giovanile sfiora il Abbiamo studiato e lavo30% e l’aumento del tasso rato insieme senza poter di dispersione e abbandono contare su ammortizzatoscolastico non lascia presari sociali, contratti di soligire nulla di buono. darietà e sostegni di altro Ben venga allora il rigenere, senza mai sentirci lancio dell’apprendistato degli eroi, semplicemente che consentirà ai nostri con la voglia di fare e di ragazzi di formarsi, impafarcela! rare un mestiere, un arte e Non sto dicendo che non di entrare in contatto con abbiamo commesso anche il mondo del lavoro.Tanto noi i nostri errori e che più che oggi sono le azienabbiamo consegnato nelle de stesse a non trovare mani dei giovani «il migliopersonale sufficientemenre dei mondi possibili» (a te formato e specializzato, voler scomodare Voltaire). per non parlare poi di quei So bene che di sbagli ne lavori socialmente poco apabbiamo fatti, ma voglio Il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi petibili che vengono quasi esortare i nostri ragazzi a esclusivamente affidati agli stranieri. rimboccarsi le maniche, a farsi le ossa inizialmenA fronte di questo però, esiste l’esercito dei te anche con attività lontane dai propri titoli di NEET (Not in Education, or in Employment or studio. Ben consapevoli che ormai il mito del poin Training) più di 2 milioni di giovani che non sto fisso è diventato anacronistico e che il lavoro studiano, non lavorano e non sono impegnati in alnon va solo cercato, ma a volte anche inventato cun processo formativo. Completamente fuori dal imparando a presagire e anticipare le esigenze mercato del lavoro, forze passive, inutilizzate. di un mercato assai mutevole. Ma c’è di più, i giovani sono talmente rassegnaNon sarà facile, ma in fondo anche questo è ti e sfiduciati da smettere addirittura di cercarlo crescere. un lavoro! Si sentono abbandonati dalle Istitu* Presidente Alleanza Lavoro DI
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Venerdì 29 Luglio 2011
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A Campi Bisenzio, sobborgo fiorentino, è bufera dopo che si è deciso di azionare le ruspe
Il Pd spiana lo stadio dei partigiani Il sindaco ha deciso: villette al posto dello storico impianto DI
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GOFFREDO PISTELLI
l cemento più che la memoria. A Campi Bisenzio, 42mila abitanti, sobborgo fiorentino, uno dei comuni della grande Piana che si estende fra il capoluogo e la città, il sindaco post-comunista Adriano Chini, oggi disciplinato piddino, annuncia l’abbattimento dello stadio e la realizzazione di villette a schiera e nuova viabilità. Tutto nella norma, salvo il fatto che quello stadio e pure la squadra che ci gioca (serie D calcistica) sono intitolati a un campigiano illustre, il partigiano Lanciotto Ballerini, ucciso nel ’44 dai repubblichini, combattendo da solo pur di salvare i compagni. L’altro ieri, in consiglio comunale, il primo cittadino ha annunciato che le ruspe entreranno in movimento a settembre e che sull’area caleranno 3mila metri cubi di cemento, dopo un’asta pubblica dei terreni, mentre la squadra «partigiana» traslocherà in un altro campo cittadino per poi avere, a breve, un altro piccolo stadio. Chini, 61 anni, è tornato alle responsabilità amministrative nel 2008, dopo essere stato protagonista alla fine degli anni ’80, da segretario cittadino e poi da sindaco del Pci-Pds. Anni incandescenti politicamente, perché proprio nel Nord-Ovest, nelle aree confinanti con Campi, si doveva sviluppare Firenze con un grande progetto urbanistico legato anche a Fiat e Fondiaria. Progetto che la giunta fiorentina di sinistra abortì a seguito di una secca telefonata dell’allora segretario pidiessino Achille Occhetto all’assessore all’Urbanistica del tempo, Stefano Bassi. Occhetto, dando ascolto alle sirene ambientaliste, aveva ordinato lo stop. Ma si trattava appunto del secolo scorso. Oggi gli amministratori del Pd sono invece molto bulding oriented, ben disposti cioè a modellare col cemento e le varianti di Pgt le cittadine che sono loro affidate. Perché gli oneri di urbanizzazione servono a rimpinguare le casse comunali svuotate dai patti di stabilità e perché l’edilizia rimane sempre un gran volano di consenso, fra proprietari di terreni che diventano edificabili e le aziende costruttrici (o da queste parti più spesso le coop) che lavorano al ritmo della bolla immobiliare italiana. Ne sanno qualcosa nel Senese, terra ben più rossa della splendida argilla dei sui campi. Negli ultimi anni, Italia Nostra e altre organizzazioni ambientaliste hanno denunciato la furia edificatrice di numerosi comuni. Per la bella Monticchiello, nel cuore della Val d’Orcia senese, s’era scomodato addirittura Alberto Asor Rosa, urlando contro lo scem-
pio mentre, in quel di Casole d’Elsa, a un tiro di schioppo dalla stupenda San Gimignano, s’era mossa la magistratura a indagare sul moltiplicarsi miracoloso delle volumetrie di molte ristrutturazioni. Difficile che per l’abbattimento dello stadio Lanciotto Ballerini si muovano gli ambientalisti: la pianura in cui sorge, fra il fiume Bisenzio e il Centro commerciali I Gigli, che è stato a lungo il più grande d’Italia, non ha particolare pregio paesaggistico, anche se a pochi chilometri sorge un’oasi naturalistica paludosa. Forse potrebbe farlo l’Associazione nazionale partigiani italiani-Anpi. Nell’annunciare la decisione, Chini non pare essersi soffermato troppo sul dettaglio che le tribune
presto sgretolate dalla pala artigliata del bulldozer portano il nome della medeglia d’oro. Di certo non si lamenta il presidente della squadra di calcio, Nello Bini, che ha diramato una nota zuccherosa: «Abbiamo collaborato volentieri con l’amministrazione», ha detto, «per rendere più vivibile e moderna Campi, anche perché la struttura è vecchia e in prospettiva, c’è in costruzione un campo che conserverà il nome Lanciotto Ballerini». Precisazione quest’ultima che serve probabilmente a scongiurare polemiche cittadine, magari per l’intemperanza dei compagni di Sinistra e libertà che sul cemento, un po’ in tutta la Toscana, hanno dato battaglia ai sindaci Pd del segretario Pier Luigi Bersani. © Riproduzione riservata
E nel partito di Bersani si litiga pure per la Tirrenica DI
GOFFREDO PISTELLI
Ci mancava solo l’autostrada a dividere il Pd toscano. Non bastavano i sindaci arrabbiati per l’astensione parlamentare sulla cancellazione delle province, né le polemiche, anche queste infra-piddine, sull’auto-blu del segretario regionale, ora il partito di Bersani litiga sulla futura «Tirrenica», che prolungherà l’A12, ora ferma a Rosignano (Livorno) fino a Civitavecchia, attraversano la Maremma livornese e grossetana. E sono proprio i maggiorenti piddini di questi territori che, nei giorni scorsi, non appena la Società autostrade tirrenica-Sat (93% Autostrade per l’Italia, 5,5 Autostrade liguri e il resto sfarinato fra province e camere di commercio di Grosseto e Viterbo) ha presentato il progetto definitivo, ad aver incrociato i comunicati stampa, come fossero sciabole. Il deputato Luca Sani, 45enne albergatore di Massa Marittima (Gr), di cui era stato giovane sindaco comunista nel 1985, ha minacciato subito manifestazioni in tutta la Maremma, a capo dei sindaci arrabbiati per il tracciato dell’arteria che, secondo Sani, «creaerà forti disagi soprattutto a Orbetello». Pochi chilometri più a nord, laddove la pianura maremmana passa sotto le insegne della provincia di Livorno, c’è invece il sindaco di Piombino, il piddino Gianni Anselmi, che il progetto lo difende eccome, al punto di cacciare seduta stante dalla sua giunta Idv e Sel che avevano osato criticare. Il suo municipio ha infatti sottoscritto con la Sat, presieduta dall’avvocato dalemiano Antonio Bargone, un importante protocollo che porterà alla città che s’affaccia sul golfo di Follonica una nuova strada di collegamento fino al porto, vitale per le acciaierie dei Lucchini che danno lavoro a tanti piombinesi. Anselmi, piglio pragmatico, ha cacciato Sergio Giorgi, assessore agli Affari generali dipietrista e Marco Chierichei, assessore all’Ambiente di Sel. Avevano definito l’autostrada «un furto per i contribuenti». © Riproduzione riservata
Pier Luigi Bersani
È SEMPRE PIÙ SIMILE A UN ROMANZO DI SPILLANE
Il paese dove le pupe son bionde e i revolver son pien Sui muri di Mosca, tempo fa, erano timo blockbuster superoistico: Capiapparsi dei manifesti cinematografici tan America, il primo vendicatore. C’è «détournati», alla maniera dei situaqualcosa, nella Russia postsovietica, zionisti. Vladimir Putin vi appariva che partecipa insomma dell’incredibinei panni di James le, del prodigioso. SolBond (anche se in tanto la letteratura a realtà questo zar in sensazione e i peggiosedicesimo è piuttori fumetti, dove tutti sto il ritratto sputas’azzuffano con tutti, to dell’attore Vladek parlano la stessa linSheybal, che intergua della Russia neopretava Kronsteen, stalinista dell’«amico il campione di scacPutin», cioè l’amico chi e stratega della del Cavaliere, come Spectre, in 007 Dalla lo definisce FranceRussia con amore). sca Mereu nel suo Putin farebbe la sua serrato racconto defigura anche col mangli anni del potere tello a ruota e i capelli putiniano (L’amico impomatati e il gran Putin, Aliberti, pp. pallore del Conte 352, euro 18,00). CeVladimir Putin Dracula. Sarebbe ankisti impuniti, stamche un ottimo Igor in una locandina pa imbavagliata a raffiche di mitra, «détournata» di Frankenstein (meglio capitalismo gangsteristico, tribunali ancora di Frankenstein Junior, dove asserviti e, come nella vecchia canIgor voleva essere chiamato «Aigor» zone del Quartetto Cetra, un paese e Frankestein «Frankenstìn»). adesso uscito dritto dritto dai romanzi di è la volta di Dimitri Medvedev che Mickey Spillane, dove «le pupe son veste i panni di Capitan Russia nel bionde e i revolver son pien». © Riproduzione riservata détournement delle locandine dell’ul-
Isole Tremiti trivelle in stand-by DI
ANTONELLO DI LELLA
In stand-by le trivellazioni della Petroceltic Italia nei fondali marini a largo delle isole Tremiti. La società ha annunciato che attenderà fino alla sentenza definitiva del Tar del Lazio, prevista il 22 marzo 2012, prima di avviare nuove attività finalizzate alla ricerca di idrocarburi nel tratto di mare antistante le Diomedee. Il tribunale sarà chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento, previa sospensiva, del decreto con cui il ministero dell’Ambiente, il 29 marzo scorso, ha espresso parere favorevole di compatibilità ambientale per le trivellazioni a largo delle coste di Abruzzo e Molise. Il ricorso presentato da numerose associazioni ambientaliste lamenta il mancato coinvolgimento nella procedura di Via della regione Puglia e del Parco Nazionale del Gargano, l’assenza di un approfondimento sui rischi di incidenti e sulla possibilità di effetti dannosi causati dalla tecnica di ispezione Air Gun. © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO
Sabato 30 Luglio 2011
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Il filone riguarda i piani generali del territorio: sotto la lente dei pm le delibere di ampliamento
Un’inchiesta fa tremare la Brianza Desio e Giussano nel mirino di una tangentopoli locale DI
GOFFREDO PISTELLI
N
essuno si è accorto che c’è un filone di centrosinistra nella nuova Tangentopoli brianzola che ha coinvolto molti esponenti del Pdl. Riguarda Giussano, importante centro del distretto mobiliero, governato fino a due anni fa da liste civiche in cui figuravano gli esponenti di punta dell’attuale Partito democratico. L’attenzione è stata infatti calamitata dall’ennesima tegola giudiziaria caduta sulla testa dell’ex-assessore regionale all’Ambiente, Massimo Ponzoni, già maggiorente pidiellino dell’area, nonché coordinatore provinciale con la benedizione di Roberto Formigoni, e già al centro del troncone politico dell’inchiesta Infinito, sulla penetrazione delle ndrine calabresi, che aveva portato allo scioglimento anticipato, un anno fa, del consiglio comunale di Desio. La Procura di Monza, la stessa che indaga Filippo Penati a Sesto, ha infatti «avvisato» il 38enne, desiano, Ponzoni per corruzione e peculato relativamente a fondi per il ventennale dell’alluvione in Valtellina gestiti da assessore alla Protezione civile. Ma fra le pieghe di questa nuova inchiesta spunta appunto un filone che riguarda l’aggiustamento dei piani generali del territorio di due grandi centri, Desio e, appunto, Giussano, per la quale è indagato l’ex-sindaco Franco Riva, da non confondersi con l’attuale primo cittadino, Gian Paolo Riva, Pdl. Per i piani in questione, la Procura ha messo sotto la lente delibere che hanno determinato l’aumento di volumetrie di alcune ristrutturazioni e il cambio di destinazione, da agricoli a edificabili, di altri terreni. Il commercialista Franco Riva,
ex dc fondatore di liste civiche, nella sua seconda legislatura alla guida la città simbolo del leghismo aveva infatti firmato, con la consulenza di docenti del Politecnico di Milano, un Pgt con volumetrie record, circa 500mila metri cubi, che avrebbero dovuto portare la popolazione cittadina a oltre 50mila persone, dalle 24mila attuali. Un piano che Lega e Pdl contestarono duramente e che il successore ha smontato con la variante approvata il 25 luglio scorso. Un piano che, al contrario, la sinistra sostenne non con i suoi partiti, Ds e Margherita, supporter di Riva nel mandato precedente, ma con gli eletti della lista civica Giussano democrati-
ca, tra cui l’assessore all’Istruzione Roberto Munarin, attuale coordinatore cittadino del Pd, e Pierluigi Elli, assessore al sociale di quella giunta e candidato sindaco piddino nella successiva (e perdente) tornata. Pd che era pubblicamente intervenuto contro il nuovo sindaco Pdl quando, come primo atto del suo governo, aveva annunciato di voler fermare il controverso progetto di un mega outlet da 13mila metri quadri alle porte della città, approvato dalla vecchia giunta, esattamente dirimpetto a un ipermercato fra i più grandi della Brianza. Una vicenda che, pochi mesi dopo lo stop annunciato dal «nuovo» Riva, era finita dentro la
già citata inchiesta Infinito, con l’ipotesi che la società francese Altarimi e il suo rappresentante italiano, Filippo Duzioni, un bergamasco con residenza in Calabria e uffici in Giussano, avessero corrotto lo stesso Ponzoni con 220mila euro affinché intervenisse sull’operazione, anche se appunto la città era governata dal centrosinistra. E se i passaggi sono tutti ancora da provare, vero è che il nome del sindaco uscente del centrosinistra, era spuntato nel bel mezzo delle trattative per formare la giunta provinciale che doveva governare Monza, nel giugno del 2009. Al campione dell’edilizia giussanese – che volava così alto
da affidare all’archistar Mario Botta il progetto di un centro congressuale nel centro città – si offriva, su proposta del Pdl coordinato proprio da Ponzoni, addirittura l’assessorato alla Pianificazione territoriale. Troppo per il neopresidente Franco Allevi, ex-aennino, e troppo per la Lega che aveva combattuto l’ex-sindaco nella sua Giussano: bloccorano un’iniziativa che avrebbe fatto impallidire i trasformismi più celebrati. Oggi, cantano vittoria anche se, nella stessa inchiesta, stavolta per Desio, è finito il numero due della giunta, il pidiellino Tonino Brambilla. © Riproduzione riservata
VATICANEIDE - SALTA IL VICARIO GENERALE
A fari spenti arriva la svolta sui Legionari di Cristo DI
ANDREA BEVILACQUA
La svolta sui Legionari di Cristo, il cardinale Velasio de Paolis l’ha servita a fari spenti, in una giornata d’estate, quando si pensava che l’impasse che il Vaticano da tempo stava subendo intorno al rinnovamento del gruppo di preti e laici nato grazie al prete pedofilo padre Marcial Maciel Degollado non si sarebbe mai sbloccato. E invece, pochi giorni fa, è arrivata la notizia dell’allontanamento di padre Luís Garza Medina dal vertice dei Legionari. «È la svolta che può cambiare il futuro di questa tribolata congregazione», ha scritto recentemente il vaticanista Sandro Magister. A metà luglio è stata una lettera del direttore generale della stessa Legione, Álvaro Corcuera, a comunicare che dal 1 agosto Garza non sarebbe più stato vicario generale. Garza si trasferisce a New York come direttore territoriale di Stati Uniti e Canada. In sostanza a Garza resta in mano esclusivamente la cura delle vergini consacrate associate al movimento collaterale Regnum
Christi, ma solo in via provvisoria, fino a quando la visita apostolica che ha indagato anche su tale movimento, e che è da poco terminata, sarà tradotta dalle autorità vaticane in decisioni operative. Via Garza, nessuno del vecchio gruppo di potere della Legione è più al sicuro. Perché avere in qualche modo solidarizzato fino all’ultimo con l’indegno fondatore Degollado e l’essere stati messi al comando proprio da lui, rende queste persone per forza di cose inadatte a guidare la ripartenza della Legione su basi radicalmente nuove. Il cardinale Velasio De Paolis ha dato prova di una estrema cautela, prima di prendere la decisione del 15 luglio. Per un anno ha proceduto col passo da tartaruga tipico della curia romana, di cui è un perfetto esemplare. Il suo procedere era così lento che a un certo punto ha cominciato a deludere anche i più pazienti. Mentre al contrario i capi della nomenklatura, Garza, Corcuera e sodali, presero a ostentare una crescente sicurezza. A Corcuera faceva comodo l’amicizia, da lui ben coltivata, col penultimo segretario
personale di Joseph Ratzinger, l’arcivescovo tedesco Josef Clemens, numero due del pontificio consiglio per i laici. Da questo legame Corcuera ricavava l’illusione che il Papa fosse dalla sua parte. A Garza parve un grande successo il tappeto rosso che le autorità vaticane gli stesero quando gli affidarono la promozione e il discorso conclusivo di un pomposo «Executive Summit for the Business World», tenuto in Vaticano dal 16 al 18 giugno alla presenza del segretario di stato Tarcisio Bertone e di altri cardinali. Poco dopo, infatti, in un’intervista del 27 giugno alla Catholic News Agency, Garza si disse sicuro di restare in carica come vicario della Legione almeno fino al futuro capitolo generale, quello che deciderà sui nuovi statuti, previsto tra il 2013 e il 2015. Ma a inizio luglio De Paolis ha sparigliato le carte. Il messaggio che ne è uscito è che l’allontanamento di Garza è stata una decisione autonoma sua e delle autorità vaticane, non il cedimento a una confusa pressione della base. © Riproduzione riservata
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PRIMO PIANO Nella diatriba sul trasferimento dei ministeri al Nord
Maroni si smarca
Non difende Bossi ma Napolitano DI
ANTONIO CALITRI
N
to non è piaciuta l’assenza dalla foto ricordo con il suo capo e con Roberto Calderoli, Michela Vittoria Brambilla e Giulio Tremonti. E men che meno l’assenza dal dibattito e nessuna difesa all’iniziativa di Bossi. Anzi, visto questo assordante silenzio, alcuni rumors dicono che giovedì sono partite diverse telefonate alle redazioni politiche per ricordare ai giornalisti che lo stesso Maroni aveva inaugurato un ministero a Milano nel 2003. Notizia apparsa sulla testata on-line Linkiesta il che ha permesso al Corriere della Sera di riprenderla e pubblicarla senza prendersi
ella nuova guerra dei ministeri al nord contro il presidente della Repubblica, avviata da Umberto Bossi per cercare di riprendere consensi sul territorio, spicca l’assenza di Roberto Maroni. Che oltre a smarcarsi dalle posizioni del Senatur sulla fedeltà a Silvio Berlusconi, emersa con il voto sull’arresto del Pdl Alfonso Papa, adesso si schiera i difesa di Giorgio Napolitano. Dando un’altra botta al già diviso Carroccio, diviso tra quelli «impresentabili» che stanno con premier e i «puri» col capo dello Stato. Dopo l’inaugurazione farsa delle sedi distaccate dei ministeri delle riforme e della semplificazione a Villa Reale e la disputa tra Quirinale e Governo, con la lettera del presidente al premier, nella Lega dei veleni, adesso l’attenzione è tutta sul ministro dell’Interno. A molti dirigenti Roberto Maroni del parti-
il merito di includere Maroni nelle inaugurazioni distaccate. Prima delle elezioni amministrative il Carroccio sembrava tutto schierato in difesa di Napolitano contro gli attacchi del premier e del Pdl. Anzi Bossi era diventato uno dei più forti difensori della presidenza della Repubblica. Dopo la batosta alle amministrative, il capo della LegaNord ha deciso di ascoltare chi gli suggeriva di abbandonare l’abito istituzionale e di tornare ai vecchi cavalli di battaglia che tanto piacciono alla base. E sono ripartiti gli attacchi al presidente della Repubblica già dall’inizio di luglio sulla questione deln la spazzatura napoletana. Con Bossi che, rispondendo all’appello di Napolitano, disse: «La spazzatura di Napoli resta a Napoli» e «ci volevano fregare ma io e Calderoli li abbiamo fermati, anche se il presidente della Repubblica ha firmato e ha detto che non è abbastanza, la sua è concorrenza sleale, perché lui è napoletano». In questa nuova svolta però, un pezzo della LegaNord, quella di Maroni, non ha seguito il capo e di colpo si potrebbe ritrovare in una posizione politica privilegiata rispetto allo stesso Bossi. © Riproduzione riservata
Adesso i leghisti contestano perfino il Tricolore e l’Inno di Mameli
Pdl e Lega danno un calcio all’alleanza in Veneto DI
O
GOFFREDO PISTELLI
rmai Pdl e Lega, in Veneto, sono separati in casa. Non passa giorno senza che le cronache cittadine si riempiano di contumelie, avvertimenti e accuse incrociati. Una volta tocca, per il Carroccio, al sindaco veronese Flavio Tosi, un’altra al governatore Luca Zaia, un’altra ancora ai fratelli Giorgetti, Alberto e Massimo, ai vertici regionali del Pdl il primo e del veronesi il secondo. Ma da quando, lunedì, scorso la multiutility scaligera Agsm, presieduta dal segretario cittadino della Lega (sic) Paolo Paternoster, ha varato una sponsorizzazione di 700mila euro alla squadra di calcio del sindaco di Verona, l’Hellas, la guerra è deflagrata. Proprio Paternoster aveva accusato di scorrettezza gli alleati, per il fatto che un consigliere pidiellino s’era astenuto e molti consiglieri comunali, nei giorni successivi, avevano alimentato le polemiche. Nel chiosare i distinguo e i dubbi del Pdl, sia il sindaco sia il presidente della municipalizzata Flavio Tosi si sono fatti
scappare battute cattivelle su Silvio Berlusconi in persona. «Una volta non ne sbagliava una», ha detto il sindaco, «adesso è l’esatto contrario» mentre il presidente Agsm, nella sua veste di segretario leghista, ha rincarato la dose dicendo che il presidente del Consiglio ha «ha ormai una certa età, forse è il caso che si prenda un po’ di riposo». Per tutta risposta, Massimo Giorgetti e Aldo Brancher hanno precipitosamente convocato per ieri gli stati generali del Popolo della libertà che, in un partito destratturato come quello berlusconiano, sono il massimo della collegialità. Obiettivo: condannare le intemperanze leghiste. E mentre i pidiellini annunciavano l’adunata, nel consiglio comunale scaligero si consumava un’altra rottura, dai toni più goliardici, ma che dà il polso dei rapporti nell’alleanza. Alle note dell’Inno di Mameli fatte risuonare nella sala di Palazzo Barbieri a dal Coro del Baldo, la compagine leghista rimaneva ostentamente seduta per poi affidare a Enzo Flago la sparata secessionista. «Io amo una sola bandiera, la bandiera veneta, su cui campeggia la scrita Pax», ha urlato nel microfono, facendo saltare in piedi gli ex-aennini Stefano Ederle e Lucia Cametti, stessa componente degli arrabbiatissimi Giorgetti. © Riproduzione riservata
Sabato 30 Luglio 2011
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Nel 2004, quando lei, Bersani, “favorì l’incontro” Gavio-Penati, lei non era ministro delle attività produttive visto che allora governava Berlusconi. Lei era un semplice europarlamentare. A che o e il presi titolo lei “favoriva l’incontro” fra un costruttore privato presidente della Provincia? E perché l’incontro avvenne in gran segreto? Non c’è nulla di male se un costruttore e il presidente della Provincia, soci in un’autostrada, s’incontrano: purchè lo facciano alla luce del sole negli uffici della Provincia e, al termine, diramino un comunicato per informare i cittadini del tema trattato e delle decisioni prese. Nella massima trasparenza. Invece Penati incontra Gavio in un hotel romano, tra il llusco e il brusco. E se sappiamo di quell’incontro, e del suo ruolo di facilitatore, è solo grazie alle intercettazioni del pm di Milano. Le pare normale? Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano. Le crisi economiche, come le malattie, sembrano una delle condizioni dell’esistenza delle società dove il commercio e l’industria dominano. Si possono prevedere, addolcirle, difendersene fino a un certo punto, facilitare la ripresa degli affari; ma sopprimerle è ciò che fino a qui, malgrado le più diverse combinazioni, non è stato dato a nessuno. Clèment Juglar(1819-1905) medico e statistico con la passione per l’economia, maestro di Schumpeter : «Des crises commerciales et de leur retour pèriodique» (Ed Guillaumin). Renato Farina, come intervistatore di Francesco Cossiga ha dato il suo peggio. Ci sono nomi inventati, date confuse, dialetti sardi straziati. A Farina si può perdonare tutto ma Saltabranca no! Il nome dello storico direttore antifascista della Nuova Sardegna nel dopoguerra è Arnaldo Satta Branca. Pasquale Chessa. L’Espresso. L’economia ci insegnava che l’imprenditore arricchisce se stesso creando lavoro, migliorando la vita di tutti, ma oggi, nel mondo globalizzato della tecnica, questo non è più vero perchè il progresso tecnico ha consentito la nascita di smisurate potenze economiche che prendono senza dare. E gli Stati non hanno ancora imparato a fronteggiarle. Si comportano come i medici del passato che sapevano fare solo salassi che indebolivano ulteriormente il malato. Francesco Alberoni. Corsera. C’è in queste tre grandi maschere della politica italiana (Bossi, D’Alema e Berlusconi) lo stesso fascino malinconico dell’androide di «Blade Runner» che conserva intatto il suo senso di onnipotenza superomistico, ma che, allo stesso tempo, sa che nessuno potrà alterare quello che è scritto nel suo destino: la data di scadenza. Luca Telese. Il Fatto. Il Giornale e Libero sono l’uno l’inserto satirico dell’altro. Marco Travaglio. Il Fatto. Non ho difficoltà ad ammettere di trovare sempre interessanti gli articoli di Marco Travaglio anche quelli in cui vengo preso in giro. Ma per attaccare me non c’è bisogno di inventare (...). Ad ogni modo complimenti a Travaglio per l’abilità con cui riesce a sfottermi anche gratuitamente. Vittorio Feltri. Il Fatto. Ancora adesso intorno ai villaggi accecanti dove fu ucciso il poeta Garcìa Lorca, tutto tace. Ma l’omertà non c’entra. E’ colpa del caldo. Nel pomeriggio africano, vedi muoversi solo panni stesi al sole i moscerini sopra gli arbusti di timo. Per le strade, nessuna forma di vita bipede torna a manifestarsi prima delle sette di sera. Sbollita la vampa, smaltiti i postumi della pennica extralarge. Marco Cicale. Venerdì. In questi ultimi trent’anni in tutto il mondo sono nati il Cirque du Soleil, sono nati Bèjart, Alvin Ailey, compagnie di ballo strepitose. E noi siamo ancora alla Fracci che dirige il Teatro di Roma. Bisognerebbe spazzare via una valanga di incompetenti e incapaci che in questi anni, sorretti dal cosiddetto aiuto pubblico, hanno solo segato le gambe al teatro, alla lirica, alla musica. Pelando e teorizzando, ma poi c’è voluto un francese come Stèphane Lissner, sovrintendente e direttore artistico della Teatro alla Scala per rompere r Scala, finalmente gli schemi che ci hanno paralizzato e per avere, ad esempio, il coraggio di portare dei registi nuovi, di chiedere al regista di Le Cirque du Soleil di venire alla Scala. Luca Barbareschi. Il Giornale. I poveri sono delle persone come noi, salvo che non hanno soldi. Coluche «Pensèes et anecdotes» (Le Cherche Midi). Una battuta di Piazzesi: «Io alle razze superiori non ci credo. Ma a quelle inferiori, sì». Indro Montanelli: “I conti con me stesso” (Rizzoli). © Riproduzione riservata
Martedì 2 Agosto 2011
PRIMO PIANO
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Espulso il senatore vicentino Filippi: è un attacco al sindaco di Verona, il maroniano Tosi
Lega, in Veneto è guerra intestina È scoppiata una lotta senza quartiere per guidare il Carroccio DI
GOFFREDO PISTELLI
L
otta senza risparmio di colpi per guidare il Carroccio nel Veneto. Venerdì scorso il consiglio nazionale, cioè regionale, del partito di Umberto Bossi ha messo alla porta il senatore vicentino Alberto Filippi. Anche se non è stata resa nota la motivazione ufficiale, tutto fa pensare che il motivo scatenante sia l’inchiesta giudiziara che vede coinvolto lo stesso parlamentare e la sua azienda, la Unichimica, per false fatturazioni. Nel 2006, avrebbe sponsorizzato una squadra di calcetto di Arzignano, nel Vicentino, con cifre ingenti, con l’accordo dei beneficiari di gonfiare le fatturazioni per restituire, in nero, le somme eccedenti. In più i colleghi di partito gli avrebbero rinfacciato un conflitto di interessi per aver cercato di ottenere l’autorizzazione ad aprire un centro commerciale a Montecchio, vicenda che aveva creato problemi alla Lega. Il senatore ovviamente smentisce: la sponsorship era reale anche perché riguardava un territorio, quello di Arzignano, in cui Filippi e i suoi familiari, impren-
ditori chimici, facevano affari con le grandi concerie. E sul centro commerciale, ricorda che l’autorizzazione, alla fine, è stata negate. Il vero motivo dell’espulsione, dichiara, il senatore è politico: Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso e segretario della Lega dal lontano 1998, e i trevigiani che con lui guidano il partito, come Manuela Dal Lago e Giampaolo Dozzo, l’hanno voluto colpire per attaccare il suo riferimento politico, il maroniano sindaco di Verona, Flavio Tosi, in forte
Flavio Tosi
ascesa, e che non ha nascosto il suo desiderio di puntare alla guida del partito. Filippi, che passa al gruppo misto di Palazzo Madama, annuncia fedeltà alla maggioranza e di voler continuare a dar battaglia in seno alla vecchia Liga veneta ora Lega Nord. Per singolare coincidenza, lo scontro politico fra i lumbard veneti arriva nel momento di maggior tensione fra il partito e il Pdl. Nelle stesse ore in cui si regolavano i conti leghisti, i fratelli Massimo e Alberto Giorgetti, leader ex-aennini del Popolo della libertà, spalleggiati da l’ex-azzurro, deputato bellunese e già sottosegretario, Aldo Brancher, attaccavano a testa bassa lo stesso Tosi. Il sindaco e il segreterio leghista della sua città, Paolo Paternoster, si erano fatti scappare qualche battutaccia pubblica sulle capacità politiche attuali di Silvio Berlusconi, ennesimo episodio
di una schermaglia che dura da tempo e che aveva ripreso vigore con la polemica suscitata dalla sponsorizzazione concessa dalla multiutilty comunale, presieduta dal Paternoster, al Verona calcio. Sul punto, i pidiellini giorgettiani avevano dato battaglia. Ma agli stati generali convocati sabato per la pubblica condanna - colpo di scena - molti ex-forzisti non si sono presentanti e alcuni di loro, hanno presentato un documento che, nei fatti, solidarizzava col sindaco. Firmatari, tra gli altri, il vicesindaco Vito Giacino, l’assessore Vittorio Di Dio, il presidente del consiglio comunale Pieralfonso Fratta Pasini, cui han dato man forte, dalla provincia, il capogruppo Alberto Bozza, il presidente del consiglio, Antonio Pastorello e gli assessori Fausto Sacchetto e Giuliano Zigiotto. Tosi s’è goduto lo spettacolo, ridacchiando alle accuse di quanti giurano da tempo che stia facendo campagna acquisti (e la terminologia calcista è più che mai adeguata al momento) nello schieramento alleato. O ex-alleato ormai.
Così sognano i futuristi Filippo Rossi sindaco di Viterbo e Umberto Croppi primo cittadino di Roma. Così sognano i vertici di Futuro e libertà. Rossi non perde occasione di presentarsi nella città dei papi con iniziative culturali e manifestazioni varie, Croppi incontra protagonisti della vita romana ed è pronto a inaugurare la sede della sua associazione «UnaCittà», a settembre. Rossi a Viterbo si è anche presentato alla manifestazione contro la chiusura del centro antiviolenza donne, Erinna, dopo aver pubblicato su il futurista.it una campagna per salvare la struttura e combattere il fenomeno dello stalking e dei maltrattamenti contro l’altra metà del cielo. Mario Nuzzi © Riproduzione riservata
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MAI DISGRAZIA AVEVA TANTO RALLEGRATO I GAZZETTIERI DI SANGUE BLU. I FONDAMENTALISTI ISLAMICI SONO INNOCENTI
Praticamente leghista. O meglio, un berlusconiano norvegese
C
DI
DIEGO GABUTTI
i avete fatto caso? Non si sono mai letti articoli così soddisfatti. Mai disgrazia aveva tanto rallegrato i gazzettieri di sangue blu. Dio c’è, ragazzi! Gli islamisti sono innocenti! Dietro l’attentato c’era un fondamentalista cristiano! «Uno schifoso fanatico di destra» (Michele Serra)! «Un disgustoso vigliacco» (Adriano Sofri)! Un razzista! Un militarista! «Un farabutto»! Praticamente un leghista o meglio ancora un berlusconiano norvegese! *** «Gli uomini dalle misure energiche, gli uomini davanti ai quali noi non siamo che miserabili moderati, non son già nuovi nel mondo: ogni era di rivolgimento ha avuto i suoi; e la storia ci insegna che non furon mai buoni, se non ora adaccozzare un romanzo, ora a rovinar le cause più gravi dell’umanità» (Camillo Cavour, Scritti e discorsi politici, Libro Aperto 2010, p. 125). *** A differenza di Walter Veltroni, che voleva andare in Africa (ma non c’è andato) per recitare la parte del grande stregone bianco, più come Nino Manfredi in Riusciranno i nostri eroi che come un frate comboniano nell’Africa centrale, Nichi Vendola andrà a Salvador de Bahia, casomai non gli riuscisse di «entrare in questo tempo storico» (come straparla lui) dalla porta dei vip, cioé quale leader nazionale del centrosinistra, per «scrivere libri, imparare, studiare». Sa il cielo che ha bisogno di imparare e studiare come delle brioches che mangia. Quanto
ai libri da scrivere, un consiglio spassionato: lasci stare. Piuttosto ne legga finalmente qualcuno un po’ sensato. *** Anche il Trota ha sgarrato? È stato davvero portato in Regione, dove ballano stipendi principeschi, da un’operazione coperta, di dossieraggio e ricatto, che ha spezzato le gambe ai suoi avversari per spianare la strada a lui, il figlio di Conan il Barbaro? Noi non ci vogliamo credere, naturalmente. Ma se davvero ci fosse stata la combine, se davvero il Trota occupasse abusivamente e per così dire di sfroso il posto pubblico da nababbo che gli è stato appioppato più dall’Intelligence della Lega che dagli elettori padani, che cosa succederà adesso? Si arriverà alla resa dei conti? Dovrà restituire annate intere di stipendio? C’è da tremare al pensiero che Rosmundo Bossi debba bere nel cranio di suo padre. *** E chi avrebbe organizzato questa operazione segreta? Chi c’è a capo del KGB lumbard? Io punterei, ma posso sbagliare, su Roberto Cota, il presidente della Regione Piemonte, con quella sua faccia inconfondibile da «intelligence service», come dice motteggiando la barzelletta famosa? *** «Ciò che nella politica continuamente mi attira e mi dà da pensare è il fatto che la politica esista. La considero una maniera di risolvere le questioni serie della vita tanto efficiente quanto lo è il gioco dei tarocchi; e dato che esistono persone che vivono del gioco dei tarocchi, il politico di professione è senz’altro
un fenomeno plausibile. Tanto più se riesce a vincere sempre a spese di coloro chenon partecipano al gioco. Ma non è forse giusto che lo spettatore di una partita a carte debba pagare se lo stare a guardare pazientemente i giocatori di carte rappresenta tutto il contenuto della sua esistenza?» (Karl Kraus, Politica, in La muraglia cinese, Lucarini 1989). *** Come ha notato Francesco Damato sul Tempo di Roma, il segretario democratico ha indetto una conferenza stampa non per spiegare al paese il pasticciaccio brutto di Filippo Penati, il suo braccio destro finito sotto inchiesta per tangenti, vuoi per negare gli addebiti che gli vengono mossi, vuoi per prenderne le distanze, ma per alludere alle malefatte (per ora ipotetiche) di Marco Milanese, il braccio destro di Giulio Tremonti. *** Un ministro, Renato Brunetta, dà del cretino a un contestatore durante un incontro pubblico. È probabile, con le opposizioni che corrono, che il contestatore sia effettivamente un beota, ma l’altro è il ministro della funzione pubblica e ci sono funzioni publiche, qualcuno lo dica a Brunetta, che esigono compostezza. Si comincia dando del cretino a un contestatore e si finisce presentandosi alle cene ufficiali in bermuda e sui trampoli. *** Giulio Tremonti chiede scusa al Corriere per aver dormito tre sere a settimana a casa altrui. Oltretutto, a quanto pare, pagando, e pagando caro; cosa che non depone a favore della generosità dell’ospite (il suo braccio destro, mica
un conoscente alla lontana o un parente bisognoso). Ma come? Mi dici: «Non andare in hotel. Con quel che costa! No, vieni da me. Mi casa es tu casa» e poi mi presenti un conto di 4.000 euro al mese? Non si scusi il ministro dell’Economia (con il Corriere, poi). Chieda scusa quel pitocco di Marco Milanese! *** Finirà che anche Bersani dovrà chiedere scusa, oltre che a Libero e al Giornale, accusati di aver scatenato una «campagna di fango» contro il grande, glorioso e giusto Partito democratico, anche al Fatto quotidiano, che non si è comportato meglio, e che per questo è stato o almeno si è sentito a sua volta minacciato di querela. Non che l’idea delle querele sia poi così stupida: niente Oro di Mosca da oltre vent’anni, anche per le tangenti non è più aria, quindi si può sempre provare a finanziare il gran partito dei lavorator multando l’intera stampa nazionale per le sue attività antipartito. *** «In questo periodo invernale della storia russa la letteratura mi appare nel suo complesso come qualcosa di signorile che mi turba: sollevo con trepidazione la pellicola di carta cerata sopra il berretto invernale dello scrittore. Nessuno ne ha la minima colpa e non c’è da vergognarsi di nulla. La belva non deve vergognarsi della sua pelliccia. È la notte che gliel’ha fatta. È l’inverno che l’ha vestita. La letteratura è una belva. Il suo pellicciaio è la notte e l’inverno» (Osip Mandel’stam, Il rumore del tempo, Einaudi 1970). © Riproduzione riservata
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Martedì 2 Agosto 2011
PRIMO PIANO
Il senatur evita attacchi diretti su consiglio di Berlusconi. E così a cadere sono i fedelissimi
Terra bruciata intorno a Maroni
I tentativi nel Carroccio di isolare il ministro dell’Interno DI
ANTONIO CALITRI
N
on c’è tregua per Roberto Maroni nella LegaNord. Se gli attacchi personali da qualche giorno sono stati fermati, sembra dietro consiglio di Silvio Berlusconi a Umberto Bossi, da via Bellerio si torna a fare terra bruciata intorno al ministro dell’Interno, partendo dalla periferia: due parlamentari maroniani finiti nel mirino, il senatore Alberto Filippi già saltato e il deputato Giacomo Stucchi potrebbe essere il prossimo a cadere. Il pugno di ferro di Bossi contro Maroni non paga. Anzi, rischia di fare il gioco del ministro che in questo modo riuscirebbe a distinguersi da quella parte della LegaNord considerata dall’opinione pubblica nazionale più rozza e forcaiola e gli permetterebbe di trasformarsi in un leader politico di primo piano, addirittura ben accettato anche al Sud (proprio per la guerra al Senatur). «Non creare un nuovo mostro politico» gli avrebbe suggerito il Cavaliere in uno degli ultimi colloqui. Non che Berlusconi voglia difendere Maroni, anzi. Sarebbe partita
proprio da palazzo Grazioli la richiesta di isolarlo, evitando però lo stesso errore fatto con Gianfranco Fini. Sembra che questa volta Bossi abbia ascoltato il consiglio, cambiando così strategia in corsa. Non più attacchi al «bravo ragazzo» Maroni ma fare terra bruciata intorno a lui. Partendo da lontano. La prima testa è caduta venerdì scorso e ufficialmente non è collegata direttamente al Bobo ministro. Si tratta del senatore e industriale vicentino Filippi, fedelissimo del sindaco di Verona, Flavio Tosi, a sua volta principale esponente della lega maroniana in Veneto. Dallo scorso febbraio il senatore risulta indagato per false fatturaRoberto zioni legate alle Maroni sponsorizzazioni tra l’azienda di famiglia e la squadra di calcio a 5 di Arzignano. Accusa che comunque riguarderebbe il periodo tra il 2003 e il 2006, quando il senatore era fuori dal parlamento. Alle prime frizioni tra Maroni e il cerchio magico, il segretario veneto della LegaNord, Gian Paolo Gobbo, aveva chiesto provvedimenti contro Filippi, seppur ufficialmente slegati sia dalla guerra
al ministro («la richiesta muove da questioni interne al partito, non dalle vicende giudiziarie di Filippi, in merito alle quali attendiamo chiarezza dalla magistratura») sia dalle questioni giudiziarie. Venerdì scorso, nel consiglio federale annunciato a sorpresa solo qualche giorno prima per comunicazioni da fare, c’è stato il blitz. Mentre tutti gli occhi erano per la sospensione di Mario Borghezio a seguito delle frasi sulle stragi norvegesi, lo stesso consiglio ha espulso Filippi che, annunciando ricorso ai probiviri, afferma che «c’è una nuova generazione che sta facendo bene ed un’altra che, se fosse in azienda, sarebbe già stata mandata in pensione», non nascondendo i sospetti di regolamenti dei conti interni alla Lega: «Con Maroni ho parlato a lungo, Bossi… in questi mesi aveva ben altre preoccupazioni che Filippi». E ora, sferrato il primo pugno, il cerchio magico ha messo nel mirino anche Stucchi, il deputato che Maroni vorrebbe far diventare capogruppo al posto di Marco Reguzzoni. E che lo stesso numero uno dei deputati leghisti avrebbe deciso di sfidare apertamente e non più tramite il ministro che lo protegge.
Solo 60€ per la villa storica Viareggio, sindaco sotto accusa DI GOFFREDO PISTELLI I 50 anni del sindaco? Si festeggiano in comune, alla modica cifra di 60 euro. Succede a Viareggio dove Luca Lunardini, Pdl, è bersagliato dalle interrogazioni dell’opposizione. Per il compleanno ha scelto Villa Borbone, splendida residenza comunale con parco annesso. Tutto nella norma, il sindaco ha pagato quanto un privato cittadino. Le poche decine di euro sborsate per affittare per un giorno l’ex-residenza di caccia che la duchessa di Lucca, Maria Luisa Borbone, fece costruire dall’architetto Lorenzo Nottolini nell’800, sono effettivamente il canone previsto dall’amministrazione. La stessa che, proprio nei giorni scorsi, per far fronte a patti di stabilità e manovre, ha aumentato l’addizionale Irpef e le tariffe dei rifiuti urbani, non senza dimenticare di ritoccare molte altre tasse comunali. Evidentemente il canone della villa era sfuggito agli occhiuti funzionari. E, forse, il ritocco avverrà prossimamente. Intanto, smaltita la festa – un’ottantina fra amici e parenti, con balli e canti per 180 euro di diritti Siae – il sindaco dovrà prepararsi a rispondere alle interrogazioni di Antonio Battistini, capogruppo Pd in comune, che attacca sull’opportunità di una mossa simile in periodo di tagli e chiede «perché si continui ad affittare una villa d’epoca, pubblica, a prezzi inferiori a quello di un garage». Il consigliere vuole anche sapere chi abbia pagato i custodi in servizio domenica sera, giorno festivo. La vittoria pidiellina a Viareggio nel 2008, al ballottaggio, contro il candidato di Pd e Sel, Andrea Palestini, fu storica: al medico andò oltre il 61% dei consensi. Suscitando l’entusiasmo del senatore Marcello Pera, lucchese, che elogiò pubblicamente il neosindaco, dichiarandosi sicuro che avrebbe rilanciato la «capitale» versiliese. © Riproduzione riservata
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Dibattito sulle scelte del Pdl e della Lega Il viceministro va all’attacco su aeroporti e piano trasporti
Una finanziaria Castelli, leghista a metà di stampo socialista tra lotta e governo DI
FRANCO MORGANTI*
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a ragione Francesco Perfetti, che in una lettera di qualche giorno fa a «Il Tempo» qualificava come «socialista» la manovra di Tremonti. Se escludiano infatti il ticket sanitario, tutta la manovra fiscale è di impronta dirigista. Del resto sia Tremonti che Sacconi e Brunetta sono ex-socialisti e non ci sarebbe da stupirsi. Si comincia con l’aumentare l’Irap, un’imposta introdotta da Vincenzo Visco che si è rivelata una mannaia per le imprese: quelle che non raggiungono, come utile prima delle tasse, il 3% e hanno più del 60% di costi del personale, vanno in rosso con questa imposta, che purtroppo non si applica agli utili ma al valore aggiunto, costi del personale compresi. Si colpisce poi il deposito titoli con una tipica imposta patrimoniale: più hai risparmiato, più hai scelto la Borsa come allocatore del risparmio, più sei punito. Si colpiscono poi gli emolumenti variabili dei dirigenti finan-
ziari, ma non degli altri: chissà perché il dirigismo di Tremonti colpisce Passera e non Marchionne. Torna il bollo caro per le auto di grossa potenza, una manovra del passato che ha solo depresso il mercato auto. Ci si può consolare con la speranza che un governo di colore politico opposto, cioè più vicino al «socialista», abolisca il valore legale del titolo di studio, di conseguenza i concorsi a cattedra, abolisca le licenze di commercio sostituendole con un esame di conformità, consenta di aprire un’impresa in 24 ore senza esser sottoposti a infinite gabelle, tolga valore legale agli ordini professionali, consenta di vendere i farmaci da banco nei supermercati e negli autogrill, riprenda le privatizzazioni delle quote di Enel, Eni e Finmeccanica, metta fine alle aziende «in house» di comuni, province e regioni, riduca le imposte per spingere all’emersione, consenta la detrazione fiscale di molte spese per la casa e la persona. Ho fatto un sogno? * da Società libera
DI
È
SERGIO LUCIANO
la Lega di lotta e di governo che prende coscienza di sé, un po’ ironicamente un po’ amaramente, sulla bocca di Roberto Castelli, viceministro per le Infastrutture, che a Cortina d’Ampezzo, guest-star in un convegno di Cortina InConTra, la spara grossa, ed è ben consapevole di starla sparando grossa: «Per rispondere a questa domanda», dice, quando gli chiedono come mai il governo abbia negato alla Singapore Air Lines uno scalo a Malpensa sulla rotta SingaporeNew York, «devo passare dall’essere leghista di governo all’essere leghista di lotta». E spiega che accettare la richiesta della grande compagnia cinese avrebbe significato fare un dispetto Roberto all’Alitalia, che ha su Roma la Castelli base dei propri collegamenti internazionali e non gradisce che Malpensa irrobustisca la propria capacità competitiva. «Per questo genere di fenomeni sono sempre stato contrario a fare un piano nazionale dei trasporti», rincara Castelli, vestito da montagna, con pantaloni scamosciati e polo di lana con inserti in pelle. «Ogni piano nazionale che si faccia a Roma, penalizza le altre parti d’Italia. E mi fermo qui, perchè se vado avanti, finisco con il mettermi in difficoltà con qualche collega di governo». Ma poi non è vero, che si ferma. Anzi, va avanti:
«Dal primo dicembre scade l’esenzione dalla normativa antitrust che era stata concessa all’Alitalia all’epoca della fusione con Air One sulla tratta Roma-Milano. Dicono che verrà chiesta una proroga al governo? Be’, io sono contrario, la Lega è contraria. Sarebbe ora che anche su quella tratta ci fosse più concorrenza, che la si smettesse di pagare 300 o 400 euro, forse la rotta più cara d’Europa se non del mondo». Tagliente, il viceministro: «Il piano degli aeroporti? Vale lo stesso discorso di prima. Penso per esempio che in Lombardia ci siano un paio di aeroporti di troppo, o almeno uno». E giù di piatto: «Bisogna fare questo benedetto Cipe, che deve sbloccare la Tangenziale esterna di Milano. Mi appello da questa sede a Silvio Berlusconi e a B, che lo facciano! È stato rinviato da ieri al 3 agosto, che si svolga, senza la Tem non ha senso anche la Brebemi, già autorizzata, perché sbucherebbe nei prati! E sia la Tem che la Brebemi verranno costruite con soldi privati! Ma che si autorizzino!». Infine, una gelata per i gestori aeroportuali, compresa la Sea, che pure sta lavorando per quotarsi in Borsa: «È vero, le tariffe aeroportuali sono basse, ma il Cipe, per ragioni socio-politiche, ha deciso di rinviare questi aumenti. Ne abbiamo già dovuto varare tanti... Sarebbero stati gli ennesimi, non era il momento». Viva la faccia. © Riproduzione riservata
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Mercoledì 3 Agosto 2011
PRIMO PIANO
Il sindaco di Asiago denuncia la legge del Carroccio: ora sarà tutto un fi orire di scavi
In Veneto la Lega non è federalista Azzerati i poteri dei comuni sui cacciatori di cimeli storici GOFFREDO PISTELLI
tosto che il moschetto interrati, non esitano a imbracciare piccone e pala. «Con ederalisti a Roma, centralisti in il poco personale a nostra disposizione», Veneto: l’accusa è del sindaco di ha detto il sindaco, «facciamo già fatica Asiago (Vicenza), Andrea Gios, a svolgere controlli su una zona mon48 anni, commercialista ed extana molto ampia, in zone altamente campione di hockey, a capo di una lista frequentate da turisti, o ai controlli di civica di centrodestra. Il primo cittadino routine tra boschi e pascoli, figuriamoci si scaglia contro una norma sui recuse dobbiamo occuparci anche di dozzine peranti, vale a dire i cercatori di cimeli di recuperanti». Gios, oltre che con la che, specialmente in estate, brulicano Liga, se la prende anche con il Pdl, dal sull’Altipiano di Asiago, teatro degli quale si sarebbe aspettato «più consiscontri più cruenti della derazione per la gente Grande Guerra. di montagna e per la Il progetto di legge, gente che vi abita». presentato alcuni mesi Mentre il presidente fa da alcuni consiglieri della Comunità montaleghisti, capeggiati da na, Lucio Spagnolo, Vittorino Cenci, 53 paventa l’arrivo, non anni, di Noventa Vicentanto degli appassiotina, è infatti diventato nati di storia militare, norma da pochi giorni, ma di cercatori commerciali veri e propri, disciplinando l’attività spinti dalle elevate di ricerca con tanto di quotazioni del rame patentino, come accade che, come si sa, è conin molte regioni per i tenuto in alta percencercatori di funghi.La tuale nell’ottone dei legge azzera di fatto il bossoli del munizionapotere dei singoli comento. muni di regolamentare Che si ripresenti o di vietare tout court Andrea Gios quindi il fenomeno l’attività di ricerca che tipico degli anni ’50 invece ora potrà essere e ’60, celebrato dal fi lm di Ermano svolta persino con l’uso dei metal deOlmi, I recuperanti, (sceneggiato da tector, anche se gli oggetti recuperabili Mario Rigoni Stern), di povera gente saranno «solo quelli a vista» e si vietano che cercava i proiettili inesplosi per le attività di scavo. ricavarne metallo pregiato e polvere Il sindaco annuncia di voler impuda sparo. «È incredibile che a proporre gnare il provvedimente che «a tutti gli tale scelleratezza», ha dichiarato Spaeffetti appare come una concessione a gnolo al Gazzettino, «sia la Lega Nord scavare ovunque, creando disastri ad un che da sempre rivendica rispetto degli territorio che fatichiamo sempre più a usi, dei costumi, della storia e della salvaguardare». Sì perché è noto a tutti tradizione locale». che gli infoiatissimi cacciatori di cimeli, ©Riproduzione riservata quando fiutano la gavetta, l’elmo, piut-
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DI
Emiliano fa la spiaggia davanti alla sede di Vendola DI
ANTONIO CALITRI
Una spiaggia popolare davanti al buen retiro presidenziale di Nichi Vendola. Per disturbarne la quiete, più che per permettergli di fare un bel bagno rinfrescante. Il nuovo progetto del sindaco di Bari, Michele Emiliano, per permettere ai baresi di recuperare il rapporto con il mare, toglie il sonno al governatore della Puglia. E viene vissuto da entrambe le parti come l’ennesimo sgambetto o un nuovo pretesto della lunga lotta tra i due nemici fraterni della sinistra pugliese. La presidenza della Puglia è un palazzetto sul lungomare, distaccato e distante dai grigi immobili che ospitano il consiglio e gli assessorati regionali. Dalla stanza del governatore, ricca di vetrate, si gode una delle più belle viste della città e del mare che lambisce il capoluogo mentre a meno di un chilometro, dove sorgevano gli ecomostri di Punta Perotti, c’è la prima spiaggia cittadina, inquinata ma affollata e rumorosa dalle prime ore del mattino fino a tarda sera. Ebbene, Emiliano ha deciso di allargare quella spiaggia fino a sotto le vetrate di Michele Vendola. «ChiedeEmiliano rò agli uffici tecnici del comune», ha annunciato il sindaco, «di verificare la
possibilità di realizzare una spiaggia davanti alla regione e non perché mi ci debba trasferire io, ma perché con i vecchi frangiflutti si sono creati dei sedimenti di sabbia che potrebbero essere utilizzati come nuovi spazi per la balneazione». Annuncio che mirava a far percepire a Vendola l’intento di abbellirgli quel tratto di costa davanti alla sua sede, quasi un regalo. Dall’altra parte, però, l’iniziativa è stata accolta con freddezza e non tanto perché Vendola crede che davvero il sindaco voglia portarsi avanti bensì perché quel tratto disturberebbe la quiete del luogo. Già perché lì il mare è fortemente inquinato. E allora perché realizzare una spiaggia artificiale dove non si potrà fare il bagno ma che creerà prima il caos per i lavori necessari e poi, una volta funzionante, rumori, schiamazzi e difficoltà di parcheggio per tutta l’estate? ©Riproduzione riservata
QUANDO NON È LA GIUSTIZIA A GUARDARE NELL’ABISSO MA L’ABISSO A GUARDARE LA GIUSTIZIA
Un libro per chi sa solo gridare: «In galera, in galera!» È il momento di studiare strumenti sanzionatori più calibrati sul tipo di offesa prodotta
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DI
DIEGO GABUTTI
ulla bandiera dei pasdaran che hanno fondato la seconda repubblica sulle gogne e sulle corde insaponate c’era (e c’è) una scritta: «In galera! In galera!» Come la morte, alla cui ombra siamo tutti incamminati come criminali avviati ai campi di lavoro, anche la galera, per l’opinione forcaiola, è la grande eguagliatrice. Ai ceppi il criminale! All’inferno chi ha peccato! È la stessa opinione che, di fronte al massacro di Oslo e dell’isola dei cannibali, s’indigna e pesta i piedi sui giornali perché la pena prevista, per il mangiatore d’uomini neonazista che ha assassinato a fucilate decine di giovani e di giovanissimi, è di soli 22 o 23 anni di carcere (un carcere, s’aggiunge, forse neanche tanto duro). Ma come? Tutto qua? Quello prima piazza una bomba, poi imbraccia il fucile automatico e parte per la caccia grossa d’esseri umani, e se la caverà con così poco? Soltanto 23 anni? No, si merita minimo tre ergastoli a pane e acqua, tuonano i misericordiosi. Ma quale ergastolo, a morte, a morte, nessuna pietà, ululano come lupi man-
nari i cattivisti. Be’, non è un bel vedere, diciamolo, e neppure un bel sentire. Consiglierei perciò a tutti, ma in particolare a quanti non militano nei ranghi di chi tifa per la galera egauagliatrice come per una specie di partito politico fortemente identitario, la lettura d’un libro magari difficile, magari un po’ tecnico, eppure straordinario: Giustizia assoluta e pena relativa (Liberilibri, pp. 184, euro 16,00) di Silvia Cecchi, magistrato a Pesaro e scrittice. Se gli opinionisti con la bava alla bocca, prima di dar fuoco alle polveri del prossimo editoriale sugli «schifosi fanatici di destra» o sul politico corrotto di turno, ne leggessero qualche pagina, magari in pantofole, davanti a una tazza di camomilla, ci guadagnerebbe il clima della repubblica. Viviamo nell’ombra delle carceri, vale a dire della punizione eguale per tutti, da quando la modernità ha stabilito che l’amministrazione della giustizia non distingue crimine da crimine o criminale
da criminale quando passa alla sentenza. Possono esserci delle aggravanti, oppure delle attenuanti, ma alla fine quanti si sono resi responsabili d’un reato sono eguali non di fronte alla legge ma di fronte al codice penale, che prevede per tutti, in sostanza, una pena sola: la reclusione. Un killer di mestiere, che uccide nel nome della mafia o milita in una banda
di terroristi, un assassino mosso dall’interesse o dalla brama di potere, va incontro alla stessa pena che tocca, scrive per esempio Silvia Cecchi, «al quarantenne dentista che i testimoni ci dipingono come professionista competente, gentile e scrupoloso, come fratello responsabile che si è fatto carico per vent’anni dell’educazione e sistemazione dei fratelli minori e figlio affettuoso» e che «uccide la sua ultima fidanzata ventinovenne preso nel vortice disperante e contingente d’un ennesimo fallimento affettivo» e tenta «subito dopo di morire lui stesso». Che ci fanno fianco a fianco, nello stesso stabilimento carcerario, un tale che ha ucciso in una vampa di passione (e che un quarto d’ora dopo non farebbe niente a nessuno, e così un quarto d’ora prima) e il trafficante internazionale di cocaina o lo stupratore o il ladro in guanti gialli o il tizio che ha mancato di rispetto a un vigile urbano al semaforo? ©Riproduzione riservata
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Giovedì 4 Agosto 2011
PRIMO PIANO
Al vaglio un taglio del budget e il tracciato in quei territori attraversati dall’arteria
Tirrenica, guerra nel Pd toscano
Primo round a chi non vuole l’autostrada, ma la partita è aperta DI
I
GOFFREDO PISTELLI
l Pd antiautostradale batte il partito della Tirrenica. Almeno per ora. Dopo che la settimana scorsa, il sindaco di Piombino, Gianni Anselmi, aveva cacciato due assessori dalla giunta critici verso la futura RosignanoCivitavecchia, mentre tutti i suoi compagni del Grossetano annunciavano le barricate contro, il governatore Enrico Rossi, uomo forte del partito, ha scelto di schierarsi con i maremmani. Alla conferenza di servizi che si è aperta ieri presso il ministero delle Infrastrutture, l’assessore Luca Ceccobao ha messo sul tavolo tutte le ragioni dei comuni coalizzatisi intorno al deputato grossetano del Pd Luca Sani. E se solo nel giugno scorso, il governatore Rossi aveva rilasciato dichiarazioni entusiastiche, annunciando «tutto l’impegno per il risultato migliore, fermo restando di ralizzare l’autostrada sul
tracciato dell’Aurelia, di cui si, visti i tempi di crisi, sulle si parla da 40 anni», la rivolta strade litoranee. dei suoi amministratori locali Non solo, da Firenze si prelo ha indotto ad abbracciare senta una lista di comuni la la causa degli insorti. cui viabilità locale deve essere La foglia di fico dietro la migliorata, contestualmente quale Rossi alla costrue Ceccobao zione della parrebbeTirrenica, ro volersi comuni che nascondere sono, e non è è il taglio un caso, tutti sul budget in Maremdell’opera ma. Da rifadeciso da Sat re, secondo Spa: da 3,8 la Regione, il miliardi a tracciato in due soltanto, quei territori, per cantieri come Albinia, in funzione Fonteblanda dal 2012 al e Orbetello, 2017. In quein cui l’autosto quadro, la strada attraRegione ha verserebbe fatto sapere le cittadine di chiedere stesse. un’esenzione «La confedei pedaggi renza dei serEnrico Rossi per i residenvizi è appena ti, più ampia cominciata», dei 15 chilometri previsti, e ha detto ieri Ceccobao, 41 incentivi al trasporto pesante anni, senese della provincia, per scongiurare che si riverche solo un giorno prima ave-
va invece dato sfogo a un certo entusiasmo «autostradale» festeggiando su Facebook l’apertura della terza corsia nel tratto fiorentino dell’A1: «Un’ottima notizia per gli automobilisti», aveva scritto,
«significa meno code, meno stress e meno inquinamento. Adesso dobbiamo proseguire con le terze corsie sugli altri tratti dell’A1, fino a Valdarno, e sull’A11». © Riproduzione riservata
Sottopasso alta velocità a Firenze firmato l’accordo «Una firma importante, con l’adesione convinta di tutti» è corso a dichiarare Enrico Rossi, presidente toscano, annunciando l’accordo di ieri a Firenze per il sottoattraversamento cittadino dell’Alta velocità, firmato dai vertici di Regione, Provincia e Comune con quelli di Tav e che porterà al capoluogo circa 90 milioni per potenziare viabilità e collegamenti con l’hinterland. L’enfasi riguarda il sindaco Matteo Renzi, che da tempo aveva manifestato la sua contrarietà per l’ubicazione e il progetto della stazione fi rmato dall’archistar Norman Forster, salvo ripensarci nei giorni scorsi, avute garanzie sui ritorni per la città. Ma la sottolineatura del consenso è servita, a Rossi, per scacciare le ombre di un conflitto interno dopo che, lunedì, l’assessore all’Urbanistica, Anna Marson (indipendente vicina all’Idv), aveva bloccato il voto sul protocollo. Marson, 54enne, trevigiana, professore di Urbanistica a Venezia, uffi cialmente lo aveva fatto perché la pratica richiedeva un approfondimento e non un voto last-minute.
A Firenze polemiche sulla commemorazione Dietro le multe l’ennesimo scontro tra governatore e sindaco
I «repubblichini» imbarazzano il Pdl DI
I
GOFFREDO PISTELLI
nsomma, l’Italia va a rotoli, il governo scricchiola, il Pdl traballa e qui si alzano polveroni celebrando i repubblichini? Deve aver ragionato così, Gabriele Toccafondi, 38 anni, deputato fiorentino alla notizia che il centro sociale Casaggì, eredità aennina dura, confluita nel Pdl, commemorerà a Trespiano, non tanto genericamente i caduti della Rsi, ma proprio i cecchini che, l’11 agosto ’44, spararano su partigiani, soldati alleati e, secondo molte fonti, sui civili. Toccafondi, ciellino atipico, l’ha scritto sulla sua pagina Facebook: «Gli ideali che muovono le persone non sono tutti uguali e non si può rendere onore a tutti. Il Pdl parteciperà alle manifestazioni istituzionali per la liberazione». Manifestazioni a cui prenderà la parola, quest’anno, l’arcivescovo emerito di Firenze, Silvano Piovanelli, invitato dal sindaco Matteo Renzi. Presenza storica, la prima volta in città per un uomo di chiesa, che ha fatto mormorare l’associazione nazionale partigiani e che forse ha spinto i centrosocialisti di destra ad alzare il volume della controcelebrazione. Ma Toccafondi non molla: «Perché commemorare chi sparava sui quelli che ci stavano liberando?». Non è
strappo da poco. Casaggì esprime un consigliere comunale, Francesco Torselli, e uno regionale, Giovanni Donzelli, che è pure dirigente nazionale Pdl. Non solo, il centro sociale, fra una commemoriazione di Pound, un congresso su Giovanni Gentile e una campagna contro gli Americani guerrafondai, è cresciuto in tutta la provincia fiorentina, aprendo sedi, da Calenzano al Mugello, e si è allargato in tutta la Toscana, anche quella più rossa. Ma la presa di posizione del coordinatore è stata così decisa che anche un vecchio ex-missino come il senatore Achille Totaro, suo vice alla guida del Pdl ha smussato subito i toni. Arrabiatissimo invece il sindaco che annuncia multe per l’attacchinaggio selvaggio della commemoriazione. © Riproduzione riservata
Rossi e Renzi litigano anche sui souvenir trash
L
DI
ANTONIO CALITRI
a guerra contro i venditori di souvenir di cattivo giusto iniziata a Pisa, allargatasi alle principali località turistiche della Toscana, più che colpire i venditori di paccottiglia mira dritta al presidente Enrico Rossi. Con Matteo Renzi, regista fantasma di un’alleanza di sindaci. Una notizia estiva, come le multe che sta facendo il comune di Pisa ai venditori di gadget con il disegno della torre pendente trasformata in simbolo fallico, nasconde una strategia politica per una nuova battaglia tra i soliti Renzi e Rossi. Infatti, la notizia che dovrebbe dare quei cinque minuti di notorietà nazionale al primo cittadino di Pisa, Marco Filippeschi, che ha deciso di utilizzare il pugno duro ovvero di multare di 500 euro l’esposizione di gadget di cattivo gusto, è stata subito fatta propria da Firenze. E non direttamente da Renzi, che questa volta ha deciso di restare in seconda linea un po’ per dissimulare il vero obiettivo, un po’ perché la sua presenza poteva essere ingombrante per i suoi colleghi e farli fuggire. Infatti, è stato il suo fidatissimo vice, Dario Nardella a prendere l’assist di Filippeschi e aprire il fronte prima sotto palazzo Vecchio e poi, trasformarlo in questione regionale. Puntando subito a una santa alleanza delle cinque località toscane tutelate dall’Unesco cioè Firenze, Pisa, Pienza, Siena e San Gimignano Matteo Renzi «per chiedere a
Regione e governo poteri speciali» sul commercio. E che si tratta di un’operazione avallata da Renzi (che ufficialmente non ha messo voce nella vicenda) lo dimostra il fatto che è stato già annunciato un primo incontro dell’asse delle cinque toscane dell’Unesco, subito dopo le ferie, una riunione operativa per tracciare una strategia comune per pretendere i poteri. «Vorremmo più qualità per nostre città-gioiello, ma abbiamo le armi spuntate» ha detto Nardella. Una dichiarazione subito smentita da Rossi che ha sentito odor di trappolone e ha cercato subito di disarmare il suo antagonista scrivendo sulla sua pagina di Facebook che «viene spontaneo replicare all’amico e compagno Nardella, che chiede alla Regione di battere un colpo al fine di individuare le modalità di limitazione di alcuni prodotti in vendita sulle bancarelle. Intanto, le leggi regionali ci sono già. Basta leggerle per scoprire che la nostra legge n. 28 del 2005, all’art.98, comma 3, dice che i Comuni possono introdurre, nei mercati, limitazioni alla vendita di particolari prodotti. Il Comune, se vuole, ha quindi tutti gli strumenti per agire… Se invece si deve fare altro ancora siamo ben contenti di ricevere proposte e suggerimenti». Costringendo il vicesindaco fiorentino ad ammettere che «è vero che, in materia di commercio, la Regione consente già ai comuni di fare regolamenti specifici, nel caso nostro e di Pisa ci sono regole che vietano l’esposizione di prodotti che sono offensivi del decoro, delle convinzioni religiose o sensibilità culturali. Questo lo applichiamo». Ma poco importa, la riunione ci sarà e sarà solo il primo atto, perché dopo il commercio, ci dovrebbero essere altri temi che le cinque e altre città che si vorranno aggiungere all’asse, potranno recriminare unite contro Rossi. E mentre il governatore sarà impegnato contro una massa critica più grande della sola Firenze, Renzi potrà pensare tranquillamente ai suoi progetti. © Riproduzione riservata
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PRIMO PIANO
Giovedì 4 Agosto 2011
Attacco a Caldoro: prendete esempio da noi al Nord
Zaia, l’ultrà veneto Il governatore: no ai rifiuti di Napoli DI
P
SERGIO LUCIANO
iù roco e smozzicato che mai, Umberto Bossi l’aveva detta chiara: «I rifiuti di Napoli glieli abbiamo messi in quel posto», e non si riferiva a una discarica. Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, è troppo più educato del suo leader, non ci vuole molto, per parafrasarlo, ma rifiuta a sua volta i rifiuti di Napoli: in Veneto non ce li vuole e lo sbatte in faccia chiaro e tondo al suo collega Stefano Caldoro, governatore della Campania. «Guarda, la partita dei rifiuti l’abbiamo studiata assolutamente bene e all’idea di prenderci i rifiuti di Napoli diciamo di no, abbiamo sempre detto no e continueremo sempre a dire di no», gli dice dal palco di Cortina InConTra per un «faccia-a-faccia» Nord-Sud. E mentre Caldoro non sa come rispondere, Zaia lo attacca: «Tutto inizia nel ’94, con Ciampi presidente del consiglio, che con un decreto proclama lo stato d’emergenza per i rifiuti in Campania. Da allora non è cambiato nulla, e Caldoro che è lì da un anno non c’entra niente. Ma è così: lui c’ha il guaio dei rifiuti, io quello dell’alluvione». E giù riferimenti e citazioni crudeli: «Nel 2008 ero stato appena nominato ministro quando Berlusconi volle riunire a Napoli il primo consiglio dei
ministri della nuova legislatura: fissò la soluzione dell’emergenza a Napoli. Dopo un po’, in un altro consiglio, ricevemmo la visita del commissario straordinario Bertolaso. E qualcuno gli domandò: perché ci chiede l’esercito per gestire l’emergenza rifiuti a Napoli, quando c’è un’azienda pubblica con un migliaio di dipendenti che dovrebbe occuparsene? Ci spiegò che non tutti quei dipendenti si presentavano all’appello. Si dedice di mandare l’esercito, si decisero tante altre cose». E qui Zaia teorizza, forse inconsapevolmente, l’irrealtà del federalismo solidale vagheggiato dalla riforma Calderoli: «Dal ’94 a oggi la situazione napoletana anziché risolversi è sempre peggiorata. Penso che sia venuta l’ora di dire ai napoletani che la partita la devono risolvere affrontando seriamente la raccolta differenziata, come fanno altre tre province campane, per esempio Salerno che ha parametri di eccellenza. Noi in Veneto abbiamo 19 impianti di compostaggio, 14 discariche, 3 inceneritori. Il 60 per cento dei nostri rifiuti viene differenziato e quindi valorizzato. Di questo dobbiamo ringraziare tutti i cittadini, che quando vent’anni fa venne varata la nuova organizzazione si sentirono come travolti da una rivoluzione, ma tennero duro e fecero il loro dovere, anche a
costo di sacrificare le loro abitudini. È stato un sacrificio per chi governava dire ai cittadini di dotarsi dei vari contenitori per differenziare, un sacrificio, un lavoro per i cittadini gettar via i rifiuti in modo così ordinato, ma l’hanno fatto e lo fanno. Ed oggi dovrei dirgli, dopo che hanno fatto questi sacrifici, che devono portarsi a casa i rifiuti di Napoli non differenziati, i rifiuti di una città che dice: abbiamo la spazzatura in strada, l’abbiamo gettata giù dalla finestra, fate qualcosa?». Caldoro balbetta una difesa, e ricorda che il saldo import-export dei rifiuti industriali tra la Campania e le altre regioni è passivo, cioè in Campania vengono scaricati rifiuti industriali del Nord in quantità molto e maggiore di quelli campani che vengono scaricati al Nord. Implacabile il governatore veneto lo fredda: «A Caldoro come a Nichi Vendola ho ricordato che il saldo import-export di rifiuti del Veneto è attivo, cioè trattiamo molti più rifiuti di quanti ne produciamo. Nell’insieme, siamo già al servizio delle regioni del Sud. Più di così no. La nostra è una posizione di indisponibilità, assoluta e netta. Abbiamo chiare le sfide che il Sud deve affrontare e le rispettiamo, ma portarci a casa i rifiuti di Napoli, assolutamente no». © Riproduzione riservata
In Veneto è rissa infinita tra Lega e Pdl Alberto Giorgetti, sottosegretario alla Finanze, c’è andato già duro: «Siete i ruffiani di Tosi», ha dichiarato al Corriere Veneto. Giorgetti, coordinatore regionale così come il fratello Massimo, assessore di Zaia, lo è di Verona, rappresenta l’ala ex-aennina del Pdl veneto. Quella che venerdì scorso aveva inteso mostrare i muscoli contro Flavio Tosi, sindaco scaligero della Lega, maroniano in grande ascesa. Ma quella prova di forza, gli stati generali, convocati per chiedere che il sindaco e il Carroccio chiedessero pubblicamente scusa per alcuni apprezzamenti a Berlusconi, s’era trasformata in una mezza Caporetto a causa, non solo della defezione di molti ex-forzisti, ma anche dalla decisione di molti di loro, capeggiati dal consiglie regionale Davide Bendinelli, di diffondere un documento pro-Tosi. E sono proprio questi, a guadagnarsi, l’appellativo di mezzani che, seppure nella città di Giulietta e Romeo, non è proprio un complimento. Ma al di là del bon ton, l’accusa che il Giorgetti-sottosegretario muove ai suoi colleghi di partito è quella di volerlo attaccare, su mandato dell’avversario leghista, alla vigilia del congresso del Pdl, che il nuovo segretario nazionale Angelino Alfano ha calendarizzato per novembre. «Un attacco strumentale nei miei confronti, orchestrato da persone succubi di Tosi», ha scandito Giorgetti. Gli strali del sottosegretario sono tutti per il vicesindaco di Garda, Bendinelli, un tempo molto vicino al deputato, e già ministro nonché sottosegretario, Aldo Brancher, che anche venerdì scorso aveva incarnato l’ala lealista degli ex-azzurri, sostenendo i Giorgetti. Probabilmente, al sottosegretario non è andato giù che il giovane politico gardese gli avesse rinfacciato un tentennamento all’epoca in
cui Gianfranco Fini aveva lasciato il partito del predellino per fondare Fli. Circostanza smentita da Giorgetti. «Quella di Verona è una questione nazionale e non locale», ha ribadito il sottosegretario, «se Bendinelli fosse stato nella sede del partito, se ne sarebbe accorto di persona. Il problema», ha proseguito, «che frequenta poco il partito e, quando lo fa, sta zitto». Tuttavia, malgrado i toni duri, Giorgetti non si è sbottonato su eventuali provvedimenti disciplinari contro i firmatari del documento tosiano, come per esempio il deferimento ai probiviri del partito. La querelle ha per sfondo anche le prossime elezioni amministrative a Verona, in cui il Pdl, leggi Massimo e Alberto Giorgetti, reclemeranno la candidatura a primo cittadino, per se o per un berlusconiano. Uno scenario, in cui i vertici del Pdl, temono che il sindaco leghista più amato d’Italia punti ad alimentare una fronda pidiellina, magari con ricompense politiche attuali o future, per blindare la sua ricandidatura. In ogni caso, lo scontro quotidiano, comincia ad spaventare anche le opposizioni. Il timore, nel Pd, è che le spaccature del centrodestra, fra Pdl e Pdl, fra Lega e Lega (dove Tosi è inviso allo stato maggiore del partito, che sta col sindaco di Treviso, Giampaolo Gobbo), finiscano paradossalmente per avvantaggiare lo stesso schieramento. Cioè che le dinamiche interne all’alleanza - fra buoni e cattivi o sedicenti tali - assorbano l’elettorato incerto, oscurando l’alternativa. Tant’è vero che Gian Pietro Dal Moro, deputanto veronese del Pd molto legato a Enrico Letta, è corso a dichiarare: «Vedrete, faranno pace». Goffredo Pistelli. © Riproduzione riservata
PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Siamo rimasti in pochi (con gli amici dell’Istituto Bruno Leoni, Ibl) a difendere il contribuente tartassato (non gli evasori!), mentre i media stanno tutti dalla parte dei tartassatori; orientano demagogicamente l’opinione pubblica contro la Casta e i «ricchi», distogliendola dal vero problema, che è politico: i costi di uno stato sovradimensionato; riesumano la cultura politica anticapitalistica e antimercato, il cadavere putrefatto dell’egualitarismo pauperista (già affossatore del socialismo reale) che mortifica lo sviluppo e ridurrà l’Italia a una sorta di Terzo mondo europeo. Piero Ostellino. Corsera. Per rendere più pulita la politica bisognerebbe tagliare la mano pubblica che si infila nell’attività economica. Ma a sinistra si difendono municipalizzate, Asl, Cda degli enti e province come se fossero elementi di socialismo. È fatale che, mentre si serve il popolo, qualcuno ci faccia la cresta. Antonio Polito Corsera. Ieri catto-comunisti, oggi catto-consumisti, gli abitanti di Varsavia nei week-end si riversano nei centri commerciali. La classe media fa acquisti nel futuribile Zlote Tarasy, un centro commerciale con duecento negozi su quattro piani, a due passi dal mastodontico e plumbeo Palazzo della Cultura, regalo di Stalin al fedele alleato polacco. E proprio lì accanto prende forma il grattacielo residenziale di lusso Zlota 44, la nuova creazione dell’archiatra di origine polacca Daniel Libeskind che è anche il progettista della torre elicoidale nel distretto Citylife di Milano. Flavia Capitani. Venerdì. Umberto Bossi dopo una prima vita passata a fingere di essere medico (usciva da casa, come ha raccontato la sua prima moglie, con la valigetta e non era laureato) è diventato un leader. Luca Talese. Il Fatto. Il controllo di se stesso e delle proprie pulsioni era, per gli antichi greci, una prova di potere e una garanzia di libertà. Soprattutto se si vogliono esercitare delle alte responsabilità. Come del resto consiglia Socrate, in Nicoclès, a chi governa: «Offri la tua moderazione come esempio per gli altri, ricordando che i costumi di un popolo assomigliano a quelli di coloro che lo governano». Christine Brusson, scrittrice. Le Monde. Oggi funzionano caricature e imitazioni, ma non mi piacciono. Sento dire: guarda quanto è bravo, lo fa uguale! Ma se lo fa uguale non m’interessa, preferiscono l’originale. Prendiamo ad esempio Lapo Elkann: per quanto siano geniali i suoi imitatori, resta sempre migliore di loro. Fa ridere per quel che dice. Fanno ridere i suoi prodotti. Dovrebbe fare i soldi vendendo cd in cui spiega le sue invenzioni. Diego Abatantuono, attore, Panorama. Saint Laurent si occupava di cose alte come la moda, mentre Bergè metteva la sigla Ysl su accessori e profumi più facilmente vendibili. Infatti si guadagna più con i poveri che con i ricchi perché i poveri sono più numerosi. Camilla Baresani. Io Donna. i «Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti». Quando Ginevra attacca il ritornello di Malarazza, lamento siciliano contro lo sfruttamento padronale, Margherita (Hack, ndr) non resiste: si solleva dalla poltrona e si mette ad agitare il bastone a ritmo. La scena è lo spettacolo L’anima della terra. (…) Hack si dedica alla musica cosiddetta «impegnata» perché, si sa, lei non ha solo il sacro fuoco della scienza, ma anche quello della partecipazione attiva alla vita sociale e politica del Paese (tanto che la rivista MicroMega ha da poco lanciato un appello per la sua nomina a senatrice a vita).Valentina Murelli. L’Espresso. Una democrazia, quella italiana, in cui un terzo dei cittadini rimpiange la passata dittatura, l’altro attende quella sovietica, e l’ultimo è disposto ad adattarsi alla prossima dei democristiani. Leo Longanesi. È stata indetta una mostra d’arte nella quale i vari artisti si faranno rappresentare da un oggetto che amano: Carrà da un pallone (foot-ball), De Chirico da un tempietto greco-romano in cartapesta, Soffici da un cipresso o da un pagliaio, Leo Longanesi da un paio di baffi e da una croce di cavaliere, Morandi ha spedito un lume a petrolio, De Pisis una conchiglia souvenir. Bartoli, da Roma, aveva mandato una serva scelta fa quelle che passeggiano al Pincio la domenica mattina, ma poi, avendo dei sospetti sulla sua leggerezza, l’ha richiamata telegraficamente indietro. Mino Maccari. La salute è tutto, purché ci sia il resto. Roberto Gervaso. Il Messaggero. © Riproduzione riservata
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Venerdì 5 Agosto 2011
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Una tegola da 5 milioni rischia di abbattersi sui bilanci della regione. Il Pd si dissocia, ma a parole
E la casta dei pugliesi non molla 54 consiglieri rivogliono da Vendola i soldi tagliati nel 2010 DI
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ANTONIO CALITRI
a casta pugliese non ci sta a rinunciare al rimborso per i tagli praticati dalla giunta di Nichi Vendola nella precedente legislatura. E in un mese, a chiedere il maltolto si è passati da tre a 54 consiglieri regionali. Con il macigno da 5 milioni di euro che rischia di abbattersi presto sui disastrati conti della regione, nonostante molti partiti avevano ufficialmente rinunciato a ogni pretesa su quei 63 mila euro che il governatore aveva decurtato dal 2007 alle buste paga dei suoi consiglieri. Senza però averne il potere. Come aveva raccontato ItaliaOggi lo scorso 14 luglio, tre consiglieri pugliesi non rieletti nel 2010, fattisi due conti tra buste paga e liquidazione avevano chiesto di riavere quei soldi tagliati ingiustamente. Questo perché nel 2007 la Corte Costituzionale aveva accolto i ricorsi contro le leggi regionali di Toscana e Campania e aveva dichiarato incostituzionale la norma contenuta nella Finanziaria dell’anno precedente che imponeva la decurtazione del 10% agli stipendi dei consiglieri di tutte le regioni. Tutti fecero marcia indietro tranne la Puglia che ha continuato ad appli-
care il taglio. Con Vendola che si era pure vantato di campagna elettorale di essere stato l’unico governatore ad aver ridotto gli stipendi dei consiglieri. E invece adesso rischia di doverli restituire con gli interessi. Non solo a quelli dell’opposizione o a quelli meno controllabili perché non rieletti, ma anche a quelli della sua stessa maggioranza. Infatti, mentre il Pd a metà luglio dichiarò ufficialmente di rinunciare a ogni pretesa, i consiglieri si affrettavano a depositare la richiesta di rimborso. Che non hanno più
ritirato. Compreso l’attuale senatore Alberto Tedesco. Nel frattempo il presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, ha chiesto un parere all’avvocatura regionale che ha giudicato fuori termine la domanda di rimborso, che doveva essere presentata entro due mesi da quella sentenza. Così tra parere contrario dell’avvocatura, l’impegno del governatore sui suoi di Sel e del capogruppo Antonio Decaro per il Pd, sembrava che la minaccia fosse stata disinnescata. E invece il flusso delle domande è aumentato e manca davvero poco per fare l’en plein delle 70 richieste. Che secondo le stesse indicazioni dell’avvocatura, non potranno avere i rimborsi direttamente ma potranno affrontare la strada del Tar che potrebbe dar loro ragione.
Nichi Vendola
Se Verona polemizza con la città campana, Legnago no
Ieri, mentre la politica pensava già alle vacanze, Decaro ha tentato di mettere una pezza almeno per i democratici specificando che «le richieste di rimborso degli arretrati da parte di alcuni consiglieri del Partito democratico erano state presentate prima che il gruppo consiliare del Pd decidesse, all’unanimità, di rinunciare ai rimborsi. Alla rinuncia, evidentemente, si sono uniti anche i consiglieri che avevano fatto domanda sull’apposito modello prestampato». Fatto sta che non risultano ancora le rinunce ufficiali. E Introna, che si era preso il compito di contrastare la valanga delle richieste, adesso inizia a ridimensionare il comportamento dei suoi colleghi dicendo che «si potrà discutere a lungo e a ragione sull’opportunità politica di sollecitare il rimborso delle indennità tagliate, ma è ingiustificato chiamare furbetti i consiglieri regionali che hanno inteso esercitare un diritto soggettivo. Ed è anche ingeneroso, nei confronti di pubblici amministratori democraticamente eletti e giuridicamente legittimati da una sentenza della Corte Costituzionale».
Bersani tra i profughi Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani visiterà nella tarda mattinata di oggi l’isola di Lampedusa. Un arrivo che, nelle intenzioni dell’ex ministro per le attività produttive, servirà a puntare il dito contro le politiche migratorie del governo Berlusconi, mentre si attendono ancora conferme sull’ennesima tragedia del mare che avrebbe provocato decine di morti, sono cominciati i primi trasferimenti di migranti da Lampedusa verso altri centri d’accoglienza in tutta Italia, imbarcando sul traghetto Moby Fantasy 1150 profughi da smistare a Porto Empedocle, Napoli, Cagliari e Genova. Permettendo così lo svuotamento del centro di primo soccorso e accoglienza dove fino a ieri mattina erano ospitati complessivamente 1408 immigrati. Stefano Di Giovanni
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Alitalia spa e Servizi, scatta l’operazione rimborsi
La Lega e Salerno, Fantozzi sborsa dopo l’odio gli affari cento milioni di euro DI
GOFFREDO PISTELLI
C’
è Salerno e Salerno, così come c’è Lega e Lega. Se a Verona, il Carroccio polemizza, a Legnago, Bassa Veronese, con i campani si fanno gemellaggi e affari. Poche settimane fa, infatti, il sindaco scaligero, Flavio Tosi, del Carroccio, aveva replicato duramente al suo omologo salernitato, Vincenzo De Luca, Pd, arrabbiatosi con l’allenatore del Verona calcio, Andrea Mandorlini. Al raduno della squadra, davanti a migliaia di persone fra cui Tosi, il trainer aveva intonato «Ti amo terrone» all’indirizzo dei rivali della Salernitana e a Salerno non l’avevano presa bene, sindaco in testa che aveva protestato, rintuzzato dal suo collega veronese. A Legnago, invece i leghisti guidati da Roberto Rettondini, 55 anni, geometra, con la città campana fanno eventi e scambi culturali. Nulla di strano se, nella cittadina che dette i natali ad Antonio Salieri, il caso non fosse diventato politico, col Pd che parla di parentopoli e conflitti di interessi. Motivo dello scandalo la rassegna canora «Stella per una notte», talent show canoro che si tiene da due anni a Salerno e che, dall’anno scorso, viene bissato in quel di Legnago. A scagliare la prima pietra Damiano Ambrosini, capogruppo Pd a Legnago.
Ambrosini, classe ’67, professore di liceo che usa sempre toni kennediani, stavolta ha scritto al compagno di partito De Luca in maniera piuttosto dura: l’operazione, per quanto esaltata dai leghisti, nasconderebbe un conflitto di interessi non da poco: l’ideatore salernitano dell’evento, tale Massimo Galdi, sarebbe cognato della consigliere delegata per la cultura di Legnago, Ester Bonfante. La signora, che smentisce la parentela, sempre secondo l’arrabbiatissimo Ambrosini, altri non sarebbe che la moglie del maggiorente leghista cittadino nonché presidente del collegio dei revisori del comune, Luciano Giarola, la cui sorella, Letizia, con la sua cooperativa ProEventi, organizza la versione basso-veronese dell’evento. «Dopo regolare bando di gara», sottolinea l’interessata. Della manifestazione - 38 aspiranti cantanti e pizzaiolo-acrobatici in arrivo dalla Campania - non si conosce il budget ma si sa, per ammissione degli organizzatori, che gode anche di un contributo della Provincia di Verona, il cui assessore alle Manifestazioni locali e tempo libero, leghista, si chiama Marco Ambrosini. Dicitencello vuje ora agli elettori leghisti, arrabbiati per i costi della politica, che questa storia è diversa. ©Riproduzione riservata
I
l Giudice Delegato della procedustati approvati tutti gli stati passivi ra di Alitalia Linee Aeree Italiane parziali relativi ai dipendenti e corriSpA., a seguito di specifica istansposti loro acconti sul dovuto, commiza del commissario Straordinario, surati alle disponibilità delle diverse ha dichiarato l’esecutorietà dello stato società in procedura». Tra qualche giorno partiranno le passivo parziale avente ad oggetto le lettere di avviso per i domande tempestive dipendenti interessati presentate dai lavoraa questo primo grande tori dipendenti. Tale anticipo: parliamo di adempimento consencirca 2.400 dipendenti tirà l’erogazione di un di Alitalia Servizi e di acconto anche ai lavora8.200 per Alitalia Litori ammessi allo stato nee Aeree. passivo della procedura Nella seconda metà di Alitalia Linee Aeree di settembre, sarà boItaliane, com’è accadunificato ad ognuno deto per tutti i dipendengli interessati il 50% ti delle altre società del proprio Tfr. La cifra del Gruppo. In pratica complessiva, Servizi+Az i giudici hanno riconoLinee Aeree, è di circa sciuto le posizioni di credito dei dipendenti. 100 milioni di euro. Per Alitalia Servizi era Da questo anticipo di avvenuto il 18 luglio Tfr sono esclusi (lo imposcorso. ne la legge) i dipendenti Si tratta di un primo in cassa integrazione, in Augusto Fantozzi fondamentale passo per quanto non hanno interrisarcire i migliaia di dipendenti (con il rotto il rapporto con Az in a.s. tfr) di Az Linee Aeree e in questo caso si Questo anticipo coinvolge quindi i tratta di un acconto pari al 50%, come dipendenti Cai (ex Alitalia), quelli anstabilito dal commissario straordinario dati in pensione e i dipendenti usciti Augusto Fantozzi. dalla cassa integrazione perché hanno «In questo modo», spiega Fantozzi in trovato un lavoro indipendentemente una nota, «con il 26 settembre saranno da Cai.
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Venerdì 5 Agosto 2011
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Ciak anche a Vipiteno. La cifra stanziata è di 97 mila euro
Alto Adige, film G8 ok Sarà finanziata la pellicola sulla Diaz GOFFREDO PISTELLI
zieranno infatti, a giorni, le riprese di Diaz – Dont’clean up nche l’assessore della this blood, diretto da Daniele Sudtiroler Volkspartei Vicari (Il passato è una terra finanzia il film sui fatti straniera), con l’interpretazione del G8 del 2001. Thodi due volti noti della nouvelle mas Widmann, 52enne, bolzavague cimematografica italianino doc, giornalista e assessore na, Elio Germano e Claudio alle Attività produttive nella Santamaria, consacrati al giunta provinciale guidata da grande pubblico da Romanzo Luis Durnwalder, ha infatti criminale. destinato al Il film è già film sulla lununa case histoga notte della ry di markescuola Diaz ting: la pellicola e sul durissidi cui forse si è mo intervento parlato di più dei poliziotti (anche con un contro chi si sito dedicato trovava all’inwww.diazilfim. terno, la belit) senza che la somma di sia ancora in 97mila euro. produzione. Che c’azzecE non per un ca l’Alto Adige tam tam, ma coi le violenze per scelta della di quella notcasa produttrite di tregenda ce, la Fandango che il dirigendi Domenico te della Mobile Procacci, proElio Germano Michelangelo duttore cinemaFournier definì al processo di tografico con la sua Fandango, «macelleria messicana»? Poco, ha iniziato un’abile politica di salvo che alcune scene dovrancomunicazione, con articoli di no essere girate a Vipiteno, denuncia del fatto che nessuno quindi valorizzando il territovolesse finanziarne i ciak. rio provinciale a fini turistici, «Diaz, il film che nessunell’ottica delle film commisno vuole», scriveva il regista sion, in questo caso la Business stesso sull’Espresso ai primi Location Sudtirol, spuntate un di giugno. po’ come funghi in molte regioni E il settimanale spiegava con italiane. tono grave: «Sono scappati tutNella città altoatesina initi: Rai, Mediaset, distributori, DI
A
banche, istituzioni, privati. La pellicola della Fandango sul massacro del G8 è oggetto di un incredibile boicottaggio». Mentre la versione online dell’articolo veniva cliccata 3mila col tasto «mi piace» di Facebook, noto meccanismo di diffusione virale del web 2.0. Procacci stesso, il 21 luglio, nell’anniversario dei fatti genovesi, annunciava da Cannes che il film, le cui riprese erano iniziate a Bucarest, si sarebbe effettivamente fatto, anche grazie ai soldi della rumena Mandragora Movies e della francese Pacte. Non sapeva forse, a quella data, che la munifica provincia altoatesina, recentemente alleata al centrosinistra ma che non è propriamente una forza politica noglobal, gli avrebbe dato quasi 100mila euro, cifra interessante in una stagione di tagli, quantunque l’Altoadige, così come il Trentino, goda di una grassa autonomia. A Bolzano però non tutti hanno accolto con entusiasmo. Donato Seppi, 58 anni, ex-ufficiale alpino, e consigliere provinciale di Unitalia, versione cittadina della Destra sociale, annuncia un’interrogazione: «Credo che la provincia possa investire gli stessi soldi in altri progetti o in film di altro genere. Inoltre penso che trattando di fatti accaduti a Genova, l’Alto Adige c’entri poco». © Riproduzione riservata
Ormai si litiga su ogni passaggio della bozza. È scontro
Lega e Pdl, in Veneto c’è lo statuto della discordia GOFFREDO PISTELLI
è pesante», ha dichiarato Leo Padrin, consigliere Pdl, accusando la Lega di «antisportività». o statuto come terreno di scontro, l’enneAnche perché poi, la proposta è stata ritirata, simo, fra Lega e Pdl in Veneto. A qualche e hanno votato a favore della bozza 17 consiglieri giorno dall’approvazione della bozza che (Pdl, Lega, Udc, Idv e Pd), con la sola astensione andrà in aula a settembre, la gestione del consigliere vendoliano. dell’ultima parte dei lavori, col ritiSul punto della riduzione dei ro o la proposta di emendamenti in «parlamentari regionali», gli uocorsa, sta alimentando le polemiche mini di Bersani erano stati peralnel centrodestra. tro chiari: demagogico, aveva detto Se Luca Zaia, governatore, per Laura Puppato, secondo la quale, sbloccare l’impasse, due settimane il Veneto è già sottorappresentato fa, aveva ritirato alcune sue propoa livello nazionale con un deputato ste, come il voto di fiducia, in dirittuogni 62mila abitanti e poco a livello ra d’arrivo la Lega ha tento un blitz regionale, con un consigliere ogni sul taglio del numero dei consiglieri, 92mila cittadini. proponendo una riduzione drastica Quel che è certo che, alla rida 60 a 30 membri. presa, quando la bozza dovrà Il capogruppo Federico Caner ha diventare definitivamente la gettato nel panico gli alleati lancianCarta fondamentale del Veneto, do l’idea a poche ore dall’approvazioil clima sarà arroventato, e non Luca Zaia ne, per poi ritirarla successivamente. solo per la guerra guerreggiata Una manovra che è stata letta dai fra Carroccio e Pdl ma perché le pressioni del mondo produttivo, Confartigianato pidiellini come il tentativo di addebitare a loro, in in testa, per tagli concreti alla politica sono forti: tempi di pathos intorno ai costi della politica, l’im«In aula vedremo chi vuole veramente il taglio o popolarità del rifiuto. Insomma, per qualche giorno, chi fa finta», ha dichiarato sibillino il capo degli l’opinione veneta ha avuta netta la percezione che i artigiani veneti Giuseppe Sbalchiero. difensori delle poltrone fossero i berlusconiani, non © Riproduzione riservata altri. «Quello che è successo in commissione statuto DI
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
La verità è che con Gavio, Pier Luigi Bersani ci parlò da esponenp te dei Ds che si faceva da intermediario presso un altro esponente dei Ds. Un affare di partito, insomma. E Bersani non deve, per la sua storia e per la sua responsabilità, confondersi con tutti quei politici che rispondono, sdegnati, ai sospetti, lasciando cadere qua e là qualche data o qualche cifra inesatta, sperando che nessuno se ne accorga. Antonio Polito. Corsera. stro venne Quando nel 2009 il senatore pugliese Paolo De Castro messo in lista dal Pd per le europee, a ereditare il seggio romano da senatore fu proprio lui, il cenerentolo Alberto Tedesco, quello che si salva sempre quando la situazione sembra ormai disperata: dimessosi a febbraio da assessore perché finito sotto inchiesta a Bari per gestione poco trasparente negli appalti della sanità regionale, a luglio si ritrovò, in un battibaleno, senatore. «Che dovevo fare? Appena avuta la notizia dell’indagine mi dimisi subito da assessore», spiega Tedesco, «poi però la nomina di De Castro mi portò a Roma. Direi che il Pd ha sempre saputo chi sono». Chiara Paolin. Il Fatto. I procuratori che usano i loro poteri di indagine per carpire i segreti delle vite private dei politici e poi li passano ai giornali prima di una formale incriminazione sono sordidi. Nicholas Lemann. New Yorker. La presunzione di innocenza è sacrosanta e deve valere per tutti, persino per i politici. Ma tentare di usare la class action come parafango, come fa Pier Luigi Bersani, è ridicolo. Davide Trulli. Il Foglio. L’ondata di vendite che è arrivata dai fondi pensione americani, dagli hedge fund di tutto il mondo e soprattutto dagli investitori tedeschi ha travolto l’argine alzato dalle grandi banche e assicurazioni italiane. Ora siamo soli, in balìa del mercato, impotenti di fronte agli schermi a guardare i nostri risparmi che perdono di valore, secondo dopo secondo. Superbonus. Il Fatto. La paura non è una cosa di cui vergognarsi: è la ripugnanza del nostro corpo di fronte a ciò per cui non è fatto. Gabriel Chevallier. La Paura (Adelphi). Il governo Berlusconi-Tremonti ha cancellato il vincolo di tracciabilità con il quale Vincenzo Visco aveva imposto che si dovesse p g pagare con assegno, carta di credito o versamento bancario ogni prestazione sopra i 100 euro, con una draconiana misura anti-evasione. L’ironia della sorte vuole che, se tale norma non fosse stata cancellata, ora Tremonti non si troverebbe in difficoltà con i 4 mila euro dati mensilmente a Milanese per l’appartamento romano. Luca Talese. Il Fatto. Mar immaginava un futuro fatto di macchine a vapore Come Marx sempre più grandi, così i nostri forcaioli hanno un solo ritornello: costruire più carceri, sempre più capienti. Guido Vitiello. Il Foglio. Purtroppo c’è una fetta minoritaria di dipendenti pubblici che, se lavorasse in un’azienda privata, durerebbe un’ora prima di essere spedita con un calcio nel sedere, mentre nel pubblico si q fa forza del fatto di non poter essere licenziata. C’è quindi chi lavora male, si ritiene un intoccabile e crede di essere il padre padrone dell’ufficio, con atteggiamenti irrispettosi verso i cittadini e di supponenza con la gente. Andrea Franceschi, sindaco di Cortina d’Ampezzo, litigando con i sindacati per il trasferimento di una dipendente del suo Comune. Il Gazzettino. La saggezza è una virtù della vecchiaia ed è concessa solo a chi, da giovane, non è stato né saggio, né prudente. Hannah Arendt. Il Corno d’Africa ci sembra inoffensivo e quindi riteniamo che lo si possa ignorare senza rischiare qualche vendetta né pagare altro che il prezzo del rimorso. Ma esso potrebbe anche essere un’anticipazione del nostro avvenire collettivo: la somalizzazione dell’Occidente. Christophe Barbier. L’Express. Non ci sono guerre giuste o guerre ingiuste perché l’essenza di ogni guerra è ficcare un’arma nelle budella di un uomo, rallegrandosi della sua morte. Ingeborg Bachmann. Diario di guerra (Adelphi). Il fenomeno del body building, culturismo, per bambini sta diffondendosi negli Usa. Palestre e fitness club, alle prese con la crisi, cercano nuovi mercati e il più promettente è quello dei bambini fra i 6 e gli 11 anni le cui iscrizioni sono raddoppiate negli ultimi cinque anni. Massimo Gaggi. Corsera. © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO Un consiglio a Berlusconi? Ritrovi il vecchio coraggio
Vendere Eni e Poste
La ricetta di Galan contro la crisi DI
SERGIO LUCIANO
«V
endere le Poste, vendere l’Eni, vendere le aziende municipalizzate, vendere la valanga di partecipaioni azionarie che lo Stato ancora possiede ovunque!». Il ministro della cultura Giancarlo Galan non si smentisce: il ruolo di «eretico» del governo, nel senso provocatorio e anticonformista, gli si attaglia e lo ribadisce dal palco di Cortina InConTra, spiegando le ragioni delle sue recenti polemiche verso alcune scelte, e mancate scelte, del governo e verso il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Al quale vorrebbe «spacchettare» il ministero, ridividendo in Finanze e Tesoro: «Ma lo penserei anche se su quella sedia non ci fosse lui». Insomma, un ministro più di lotta che di governo. Ma quando in serata si apprende che il governo introdurrà nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio, plaude senza riserve: «Era un criterio sacrosanto, dettato da Quintino Sella. Era stato abbandonato un po’ da tutti, ma i comuni veneti l’hanno sempre conservato». «Questo Paese», dice Galan, «ha ereditato un debito pubblico enorme e non siamo riusciti a reagire come avremmo dovuto: abbiamo meno libertà, meno liberalismo, troppo Stato, poco mercato di quanto dovremmo. È mancata una parte importante della rivoluzione liberale. Da parte del centrodestra ma anche del centrosinistra. Se mettiamo insieme tutte le
Giancarlo Galan liberalizzazioni datte dal centrosinistra, basta un fogliettino. Quella delle farmacie è stata una marchetta alle Coop!». E giù la ricetta: «Privatizzazioni, si è detto. Poi: abolire le province, accorpare i piccoli comuni, liberalizzare e semplificare la vita dei cittadini. Senza toccare gli investimenti in cultura e ricerca e senza più toccare le pensioni». Dilagante Galan: «Se fossi un bravo politico dovrei dire che la legislatura finirà nel 2013, ma mi sento di affermare che sia più logico prevedere la scadenza del maggio 2012». Lo sfidante da sinistra? «Mah! Nichi Vendola è stato il governatore più disastroso per la sua regione. Pier Luigi Bersani mi è simpatico, ma a capo del Politburo è stato un disastro. Rosy Bindi? Allora non ci sarebbero dubbi sull’esito del voto». Il bersaglio preferito è Tremonti, però, con una premessa: «Devo dire la verità, è meglio,
se no poi si devono ricordare le balle che si sono dette ed è una fatica bestiale! Ebbene, rispetto a Tremonti la mia non è simpatia o antipatia, è una visione diversa. Io sono un liberale, lui è un socialista, posizione rispettabilissima ma diversa dalla mia». E sul fisco: «Ripeto, bisogna rispacchettare il ministero dell’Economia in Finanze e Tesoro. Non è una posizione solo mia, è una proposta di legge presentata da Antonio Martino, per esempio. Io sono convinto che quando l’imposta è bassa, si pagano più tasse: l’ha fatto Reagan, l’ha fatto la Gran Bretagna e ha funzionato. Tremonti non la pensa così. Io penso che si debba concedere un vantaggio fiscale a chi fa donazioni a favore del patrimonio culturale, Tremonti è convinto che ci si rimetterebbe con l’Iva. Io sono convinto che una rivoluzione liberale si possa fare anche e soprattutto in un momento di crisi, gli statalisti dicono di no, Tremonti dice di no». «Un consiglio da dare a Silvio Berlusconi? Guardatemi qui sul bavero la spilla di Forza Italia, quella del 1994», dice ancora Galan. «Gli direi di ritirar fuori l’immenso coraggio di cui è capace, la sua grande capacità innovativa, gli direi di rifare quello che fece a Vicenza in quella famosa assemblea degli industriali dove cambiò da solo il corso della campagna elettorale. Il momento è eccezionale, serve qualcosa di eccezionale. Se prevale lo spirito della manovra che abbiamo approvato, credo che resteremo in balia dei mercati». © Riproduzione riservata
Il governatore della Lombardia furioso contro il leghista Boni
Ticket sanitario, anche Formigoni perde le staffe DI
«S
GOFFREDO PISTELLI
baglia Boni. È un po’ di volte che sbaglia»: Roberto Formigoni non ha preso benissimo l’altro ieri, l’ennesima esternazionae del presidente del consiglio lombardo, il leghista Davide Boni. L’esponente lumbard aveva criticato senza troppi peli sulla lingua la decisione annunciata dal governatore di voler applicare la maggiorazione sui ticket sanitari, disposta dall’ultima manovra tremontiana. Boni, prendendo a esempio il suo compagno di partito Luca Zaia, che governa il vicino Veneto, ha sparato a palle incatenate contro il piano più alto di Palazzo Lombardia: «Prima di mettere le mani in tasca ai cittadini si deve aspettare», aveva dichiarato alla stampa cittadina. Una presa di posizione dura, che rinnova, dopo un po’ di mesi le fibrillazioni fra governatore e Lega. Tattica la decisione del Carroccio di delegare la clamorosa protesta a un elemento di punta, come Boni, ma fuori dalla giunta, che diversamente si sarebbe tradotta come un’avvisaglia di crisi. Tant’è vero che Boni ha attaccato il livello politi-
co dell’intervento, salvando quello tecnico (meno ticket agli esami di routine, per non penalizzare o i pazienti cronici), gestito dal compagno di partito Luciano Bresciani, assessore alla Sanità. Formigoni, sempre più lanciato nella corsa alla leadership del Pdl, non ha gradito per niente, come tradisce l’ironia piuttosto greve delle sue dichiarazioni a caldo: «Gli consiglio di utilizzare queste settimane di vacanza per studiare la politica, le leggi e l’economia», ha detto a Boni, precisando che «il contributo deve essere applicato dalle Regioni per legge nazionale» e che «quelle che non lo applicheranno saranno incriminate per danno erariale e pagheranno i cittadini». Il governatore ha poi aggiunto un passaggio, «una Regione che non rispetta le leggi si pone fuori dalla costituzione», che pare fatto apposta per il collega Zaia, non nuovo a tirate secessioniste. Anche se, fra quanti hanno dichiarato di non voler applicare questo dispositivo della manovra, c’è anche l’Emilia-Romagna del piddino Vasco Errani, che della Costituzione, come quelli del suo partito, ha fatto una sorta di mantra politico. © Riproduzione riservata
Sabato 6 Agosto 2011
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
L’astuto Bersani, sul referendum sulla legge elettorale proposto dall’Idv, non contento di aver boicottato e ignorato i referendum sul legittimo impedimento, acqua e nucleare, salvo cavalcarli quando si rischiava di vincerli e metterci il cappello quando si sono vinti, sta ripetendo quel tragico errore per tenere insieme il Pd che è diviso, tanto per cambiare, su cinque o sei posizioni. D’Alema, all’inseguimento di Casini, tifa per il proporzionale. E il maggioritario Veltroni, che era addirittura fra i promotori, ha cambiato idea: come sempre, è pro «ma anche» contro. Marco Travaglio. Il Fatto. Se fossi al posto di Bersani, non dormirei sonni tranquilli. Il rischio è che la leadership del Partito democratico venga presa da una signora con quattro palle: Rosy Bindi. Un ipotetico governo delle sinistre guidato da lei e dal compagno Nichi Vendola n non farebbe dormire in pace neppure me. Giampaolo Pansa. Libero. I politici lavorano troppo poco, si dice. Ma i parlamentari sono mille, i consiglieri regionali, a occhio e croce, 1.500; quelli provinciali qualche migliaio, gli eletti nei comuni superano, probabilmente, i 100 mila. E solo a Roma ci sono in circolazione anche 400 consiglieri circoscrizionali. E che deve fare tutta questa gente? Meglio, molto meglio che stiano in ferie a lungo. Chicco Testa. Il Foglio. La rabbia ugualitaria, che inevitabilmente cresce in un periodo di crisi economica e di stretta, viene indirizzata tutta contro il mondo politico e risparmia il sistema economico-finanziario, aggirando le questioni fondamentali delle ingiustizie sociali, dello sfruttamento, dell’evasione fiscale e dei superstipendi. Piero Sansonetti. Gli Altri. L’Udc romana ha sospeso la campagna di tesseramento dei militanti per via delle irregolarità riscontrate. Non figurava nemmeno un indagato. Gianni Bernardini, Web. Il paradosso è che, presa globalmente, la zona euro è in una situazione nettamente migliore rispetto a quella degli Stati Uniti e del Giappone. Essa ha un deficit di bilancio consolidato del 4,5% del pil circa, quest’anno, contro il 10% circa nei due altri grandi paesi che ho preso a riferimento. Jean-Claude Trichet, presidente della Bce. Le Point. Negli anni, i due paesi europei più forti, la Francia e la Germania, hanno, anche loro ripetutamente, violato i parametri di Maastricht, ma a nessuno è passato per l’anticamera del cervello di sanzionarli. D’altronde, se i nostri virtuosi tedeschi e cugini francesi sbarellassero e arrivassero a un deficit al 6% (anziché del 3), che facciamo? Li cacciamo dall’Unione Europea? È un po’ come per la California negli Usa. La California (che, da sola, è la settimana potenza del mondo in termini di pil) è oltre ogni ragionevole parametro sul debito pubblico. Non è in default, è di più. Manca la parola. Ma a nessuno viene in mente di minacciarne l’espulsione dagli States, né di restituirla al Messico. L Lanfranco Caminiti. Gli Altri. Ho rinunciato a rifare l’umanità. Fabrizio Rondolino. Il Giornale. Il Signor Nuovo Ricco ha comperato un 4x4 enorme, bello come un camion. È molto alto. Il Signor Nuovo Ricco, che invece non è molto alto, fa fatica a sali salirci dentro. Ma quando si è installato al volante, egli supera tutti, diventa grande. Può guardare tutti gli altri dall’alto in basso. La sua vetturona ha sei cilindri in linea, una cilindrata di 2926 centimetri cubi, 24 valvole e una potenza di 177 cavalli a 4 mila giri. Ci vuole tutta questa potenza per tirare il suo scooter di mare con il quale, ogni anno, impedisce ai piccoli crostacei di fare la siesta. Jean-Louis Fournier. Les Mots del Riches et le Mots des pouvres. (Editions Anne Carrière). Bisogna essere mediocri per essere benvoluti da tutti. Oscar Wilde. I krapfen del Tigullio erano i più buoni del mondo alla fine degli anni Cinquanta. L’avrei ripetuto tanti anni dopo a mia figlia, trascinandola per le vie di una città morta; stanchi e accaldati non trovammo traccia di krapfen, il paradiso era sparito. Umberto Silva. Il Foglio. © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO Milano, l’assessore Maran (Pd) mette nei guai Pisapia
Tornano le siringhe Piazza Vetra riaprirà alla movida GOFFREDO PISTELLI
provvedimenti restrittivi, salvo forse nell’ultimissimo periodo, a movida? Spostiamola nel ma nella zona dell’Arco della Parco delle Basiliche. Il Pace, altro pezzo di Milano amapiù giovane assessore deltissimo dai giovani nottambuli. la giunta Pisapia, il pidLa giunta di centrodestra stendino Pier Maran, classe 1980, tava coi divieti, un po’ perché scalda il dibattito politico milaall’interno prosperava un’ala nese raffreddato dagli insistenti liberal impersensibile ai limiti acquazzoni agostani. Toccando (fu l’assessore morattiano Edoun tema che, da ardo Croci a sempre, divide bocciare la ztl l’opionione pubantimovida blica meneghinel già citana fra tolleranti to Arco della e intolleranti, pace) un po’ duri e morbidi, per non espordecisionisti e si agli attacchi possibilisti: le dell’opposizionotti fracassano ne. in certe zone à la Quando, per page della città. esempio, nel Una da semgennaio di un pre contestatisanno fa, inausima riguarda gurando l’anle colonne di S. no giudiziario Lorenzo, cuore il procuratore Pier Maran medievale della generale Rugcittà, vicino alla gero Pesce basilica omonima e a due passi parlò di aumento delle denunce da S.Ambrogio. La piazza è da per schiamazzi notturni e l’exanni teatro di chiassosi assemaennino De Corato osò ricollebramenti che fanno la gioia dei garli alla liberalizzazione delle locali sorti come funghi e esallicenze commerciali attutata da tato la vocazione modaiola di Pierluigi Bersani nel Prodi II, Corso di Porta Ticinese, via che quest’ultimo si prese del fascista la incrocia, la quale nel tempo ha senza se e senza ma. Ad accusarvisto fiorire le insegne dei brand lo fu Filippo Penati, allora canpiù apprezzati dagli under 30. didato alle regionali contro RoNotti lunghissime che, con la berto Formigoni. «De Corato si bella stagione, diventano infinirivela anche in questa occasione tamente bianche per i residenti, con le sue dichiarazioni contro la riunitisi sin qui inutilmente in movida un inguaribile fascista comitati di protesta. Tra loro e mostra una vena autoritaria», anche il critico televisivo del aveva detto l’ex-sindaco di Sesto, Corsera, Aldo Grasso, che non «inoltre emerge anche una certa ha esitato a usare le colonne nostalgia per il coprifuoco, quandel suo stesso giornale, tanto do mostra fastidio per il fatto che doveva essere esasperato, per a Milano, come del resto in tutte denunciare il caos che nelle ore le principali città del mondo, ci notture regna sovrano. E subito siano zone nelle quali i giovani dopo, viste inutili le sue pur auamano incontrarsi». Assimilato torevoli denunce, ha annunciato il «vietato vietare» degli anziache vendeva la case cambiava ni del suo partito, il Maran ha quartiere. escogitato un piano: spostare i La giunta di Letizia Moratti, ragazzotti caciaroni col bicchiere col vicesindaco-sceriffo Riccarin mano, nei parchi della Basido De Corato, ha sempre esilica di S.Lorenzo nell’adiacente tato a intraprendere la via dei piazza Vetra che alle 22, chiude DI
L
i cancelli, impedendo l’accesso ai parchi. È troppo giovane l’assessore, per ricordare che quei giardini sono stati, negli anni ’80 e ’90, il tragico teatro del peggior spaccio/consumo di eroina e balordaggini varie che, al mattino, lasciavano un’eredità di siringhe, profilattici usati e deiezioni umane sui giochi di bambini. Maran pensava alla maturità quando, nel 1999, Gabriele Albertini impose la recinzione di tutta l’area (copiandola da quelle dei parchi di Londra) guadagnandosi la sua salva di accuse d’autoritarismo da parte della sinistra rocchettiera. Ma un anno dopo, venne anche il ringraziamento di tanti. Infatti, da quando Maran fa politica, ha visto il piccolo parco cittadino, a ridosso dell’antica chiesa e fino al Museo Diocesano, rifiorire a letteralmente, diventando meta di mamme con bambini, badanti coi vecchietti, impiegati in pausa pranzo e studenti della vicina Cattolica a ripassare sotto gli alberi. Insomma, l’assessorino ha visto un parco “normale” e gli pare impossibile che non ci si possa andare a bere una birra, a notte fonda. E forse era preso dalla campagna elettorale quando, nel maggio scorso, il suo compagno di partito Massimo Cacciari, scandalizzato dal caos delle Colonne, aveva suggerito per l’antico luogo nientemeno che la recinzione «come fece Albertini per Piazza Vetra», senza che nessuno osasse cucirgli addosso una bella camicia nera. Insomma il giovin assessore ha perso un’occasione per stare zitto ed ha messo nei guai il sindaco Pisapia anche per la sua dichiarata difesa del verde di cui però sinora non si è visto traccia. Anzi. Se le idee dell’assessore Pier Maran dovessero prendere piede, non solo non si estende il verde ma si rende impraticabile il poco che c’è in centro a Milano con la birrizzazione notturna del Parco della Basiliche.
Firenze, dietrofront di Renzi sullo stop al traffico DI
ANTONIO CALITRI
Dopo aver conquistato apprezzamenti in Italia e all’estero per la drastica chiusura del traffico delle principali strade del centro storico fiorentino, in sordina, Matteo Renzi fa retromarcia. A solo un mese dall’entrata in vigore dei divieti, le tante proteste giunte a palazzo Vecchio costringono il comune ad allentare le maglie permettendo l’ingresso serale ai ciclomotori e ai bus turistici e sin dal pomeriggio delle auto dei residenti. La grande rivoluzione no-traffic di Firenze che doveva essere allargata al resto del centro storico si scioglie come neve al sole agostano. E giovedì prossimo arrivano in consiglio comunale le modifiche. Colpa delle proteste giunte a palazzo Vecchio per la chiusura di piazza Pitti e via Tornabuoni, ed ecco che questa volta a metterci la faccia non è il primo cittadino ma l’assessore Massimo Mattei, che dopo aver ascoltato i suoi concittadini ha deciso di cambiare. Aperture presentate come minime, ha spiegato Mattei anticipando che «le recenti pedonalizzazio-
ni sono state una scommessa vinta, i cittadini si sono presto abituati alle novità e hanno capito che le intenzioni dell’amministrazione non vogliono penalizzare la residenza in centro ma migliorarla. Non di meno, in queste settimane di rodaggio abbiamo verificato sul campo le criticità, incontrando anche i residenti, e stiamo apportando un piano di modifiche» ma che di fatto, stravolgono la rivoluzione di Renzi. Già perché aprire ai motorini, spesso rumorosi e inquinanti, dalle 21 alle 9 de mattino, significa mettere a rischio la Movida che in questi giorni è stata davvero tranquilla con le strade che sono diventate il regno dei pedoni. E che dire dell’apertura alle auto dei residenti già dalle 16 – 16,30 fino alle 9 del mattino. E infine, permessi facili anche per i pullman che potranno accompagnare i turisti di nuovo fin sotto gli alberghi. Se non si tratta di dietrofront su tutta la linea, per lo meno di ridimensionamento della chiusura che riguarda ormai solo la fascia dalle 9 alle 16. © Riproduzione riservata
Martedì 9 Agosto 2011
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Chi si salverà dall’apocalisse prossima ventura della Seconda Repubblica? Non B., le cui performance al bunga-bunga, per quanto penose (soprattutto per le ragazze) sono comunque migliori di quelle dell’ultimo suo discorso alla Camera. Non Bossi, che ha deciso di perire con lui, abbracciato al suo cadavere politico. Non Tremonti, avviato sul viale del tramonto per casini di case. Non i Responsabili, o come diavolo si chiamano: basta guardarli in faccia. Ma anche gli oppositori appaiono tutti impallati, ingessati, imbalsamati. Bersani e D’Alema li possiamo salutare con una prece, grazie alle gesta dei loro fedelissimi Morichini, Pronzato, Penati &C. Piercasinando è un simpatico trasformista, ma basta dare un’occhiata di fianco a lui per notare Cesa e sentirsi male. Rutelli non pervenuto. Fini ha sbagliato tutte le mosse, tranne una (mollare B.). Vendola si dibatte tra un’immagine di leader movimentista e una realtà di governatore parecchio sgangherato. Di Pietro oscilla fra un passato di tribuno di piazza e una concorrenza grillina che lo spinge a cercare voti fra i centristri in fuga. Marco Travaglio. Il Fatto. All’epoca di Tangentopoli, nell’aprile 1993, l’ex presidente p della Montedison) Eugenio Cefis venne interrodell’Eni (poi gato come testimone dal sostituto procuratore Pier Luigi Maria Dell’Osso. Il verbale di Cefis è a disposizione di chiunque. Lo pubblicammo sull’Espresso il 6 luglio 1993. Claudio Rinaldi gli diede un titolo acchiappante: «E Suslov mi disse: pagate il Pci». Dovrebbero leggerlo quanti continuano a credere che il partitone rosso e i suoi eredi odierni siano sempre st stati verginali, illibati e non abbiamo mai incassato tangenti. Giampaolo Pansa. Libero. Non saprei dire chi è stato il miglior dirigente Rai con cui ho condiviso questi anni. In compenso non ho dubbi sul peggiore: Massimo Liofredi, sotto la cui guida Raidue rischia di diventare un negozio senza clienti. Se si fa festa per l’8% di share, allora siamo messi bene. Raidue ha perso la sua identità, il suo target giovanile, è andata a prendere il pubblico di Raiuno. E, negli ultimi due anni, (direzione Liofredi ndr) è stata perpetrata, a danno della rete, una vergognosa desertificazione culturale (...). Liofredi non riusciva a gestirmi. Aveva capito che non gli avrei permesso di impormi personaggi indecenti, e comunque inadatti alle nostre trasmissioni (...). Liofredi adesso ha fatta causa per mobbing alla Rai perché è stato trasferito al canale per i bambini? La causa per mobbing avrei dovuto farla io per quello che ha fatto passare a me, ma non solo a me, in questi due anni, e per i colpi mortali che ha inferto al target di Raidue. Simona Ventura. Vanity Fair. I mercati finanziari avevano definito i paesi allegramente spendaccioni come appartenenti al «Club Med» (e cioè Italia, Spagna, Grecia e Portogallo) quando tra i fuori di testa arrivarono anche gli irlandesi e la contabilità pubblica approssimativa non era più un privilegio dell’area dell’olio e del vino ma pure dei fabbricanti di birra Guinness. Lanfranco Caminiti. Gli Altri. Le sigle che hanno firmato l’appello allo sviluppo sono rappresentative delle corporazioni che hanno, di fatto, fino ad oggi, bloccato l’azione di riforma necessaria a fare dell’Italia un paese con un’economia competitiva: ossia le corporazioni che hanno costruito il capitalismo corporativo italiano e continuano a essere impegnate a difesa dell’esistente. Ernesto Felli e Giovanni Tria, economisti. Il Foglio. Molti di coloro che ora incensano Indro Montanelli sono gli stessi che, negli anni Settanta, lo consideravano un reazionario da mettere al bando. È giusto infatti ricordare che cosa la sinistra (e buona parte della stampa borghese che a quella sinistra si accodò) disse e scrisse di Montanelli in quegli anni che furono quelli della violenza in piazza, del terrorismo, delle bombe. Quando le Brigate rosse spararono alle gambe Montanelli (2 giugno 1977) «soltanto i miei vecchi amici-nemici Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca ebbero il coraggio di manifestarmi la loro solidarietà», raccontò Montanelli in un’intervista nel 1985. Michele Brambilla. La Stampa. Il paradiso non esiste tranne che in rari casi, nei momenti magici della musica. Quel pomeriggio, il paradiso scese sulla terra. Ciò che fece ascoltare non fu solo di una bellezza immortale, fu come se Youri Egorai avesse dato corpo all’eternità. Jan Brokken. Nella casa del pianista (Iperborea). © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO
Mercoledì 10 Agosto 2011
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Troppi gli ostacoli sulla riforma, a cominciare dalla modifica costituzionale del bicameralismo
Impossibile sfoltire il parlamento
Tutti dicono di volerlo fare ma a rischio sono solo i senatori a vita DI
MARCO BERTONCINI
C
he la riduzione del n u m e r o d e i p a rlamentari sia una delle proposte più popolari, più immediate, più gradite alla gente, si deduce dall’incessante rivendicazione che un po’ tutti i partiti compiono della primogenitura di questo o quel progetto mirante a contenere la quantità di deputati e senatori universalmente reputata superiore al necessario. Anzi, c’è anche chi, come la Lega e il Pdl, rivendica la riforma costituzionale del 2005, che prevedeva un numero inL’aula della Camera dei Deputati vero non tanto contenuto di parlamentari (518 deputati intendimenti di tati e senatori, potrebbe entraelettivi, in luogliare, potare, comre in vigore perfino prima di go degli odierni primere. Natale. 630, e 252 seSul Corriere delIl fatto è, invece, che questa natori, in luogo la Sera il senatore intesa non c’è. Sarebbe oltredegli attuali Stefano Ceccanti, modo semplice prevedere che 315 elettivi), costituzionalista del i deputati fossero, poniamo, ma che venne Pd, ha giustamente 300, e i senatori 200. Ma suaffossata dalla rilevato che, ove susbito spunterebbero le discusconsultazione sistesse una vasta sioni e i distinguo, che blocpopolare conferintesa, tale da concherebbero un iter celere del mativa dell’antare sui due terzi dei provvedimento di revisione no successivo. parlamentari, la ricostituzionale. Stefano Ceccanti E poi, democraforma costituzionale A parte la questione, tutt’altici e dipietristi e per ridurre, già dalla tro che insignificante, del centristi esaltano i rispettivi prossima legislatura, deputanumero (c’è chi punterebbe,
Non lascerà il partito, ma anzi affila le armi per il congresso
Pdl, la Biancofiore ricuce lo strappo grazie ad Alfano GOFFREDO PISTELLI
cialista, e fondatore della Nuova forza Italia, che l’avrebbe insultata pubblicamente. Un segnale che a spilla di Forza Italia sulla camicia turchese Biancofiore ha accolto con interesse, annunciando di e il complimento vibrato all’indirizzo dell’exvoler ricorrere ai probiviri del partito contro uno dei guardasigilli, ora segretario Pdl, Angelino più acerrimi nemici in loco, il capogruppo comunale Alfano: «Con lui rinascono gli Azzurri». Così Paolo Bertolucci, che ha recentemente dato inizio Micaela Biancofiore, 39enne bolzanina, deputaalla procedure per farla decadere dal suo seggio in to eletto però in Campania, già vestale consiglio comunale, dove non si sarebbe forzista dell’Alto Adige e di cui rimane mai presentata (pur senza dimettersi), memorabile il comizio con Silvio Berpreferendo la Camera e, talvolta, anche lusconi a Bolzano in cui lui fece il dito ad Arcore, dove nel dicembre scorso ha medio ai contestatori e i complimenti a festeggiato il suo compleanno a fianco lei,per il cognome che ricordava l’inno del premier. Con Alfano, quello che lei dc. La Biancofiore, da tempo in rotta col aveva definito «una gabbia» è tornato a partito di cui sarebbe peraltro coordinaessere un partito interessante, tanto che tore provinciale, fino a dire «me ne vado la Biancofiore si sta attrezzando per i con Scajola» quando l’ex-ministro semcongressi che dovranno tenersi entro l’8 Micaela brava voler mettersi in proprio, esalta dicembre. «Dobbiamo decidere ancora i Biancofiore ora il nuovo corso angeliniano. Lei, che nomi dei candidati per la segreteria cosolo un paio di mesi fa era data in uscita munale e provinciale», ha spiegato, «ma certa dal partito del predellino, per formare, almeil mio gruppo sarà unito mentre gli altri si stanno no nelle due province autonome, Forza nazionale, dividendo». E per corroborare i suoi, ha annunciato, raggruppamento gemello al Forza Sud di Gaetano per settembre, un convegno cittadino che sarà intitoMicicché, l’altro ieri ha convocato la stampa per lato, con la consueta vena polemica anti-sudtirolese, consegnare alle cronache locali il suo hic manebimus «Forza Italiani». Al quale, la Biancofiore si dice sioptime, qui restiamo ottimamente. cura, «parteciperà mezzo governo e mezzo partito». Al suo fianco, il suo schieramento personale: il Purché non accada come per l’effetto Berlusconi consigliere regionale, Maurizio Vezzali, e quello sulla Borsa italiana, quando la deputata euforica comunale, Enrico Lillo, gli stessi con cui doveva per l’apertura del Ftse milanese in positivo il giorfare il nuovo partitino del Nord. «Quello di Alfano», no dopo il discorso del premier alla Camera, aveva ha detto, «sarà il partito dei valori e delle idee, ma esaltato l’autorevolezza del premier e invocato le anche delle regole e delle sanzioni». E ha citato il scuse di Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersarichiamo che proprio dal neosegretario ha fatto a ni. Peccato che alla chiusura l’indice segnasse un Giancarlo Lehner, altro ex-forzista bollente, sodisastroso meno 5%. DI
L
care la funzione del Senato (il almeno a parole, a dimezzaSenato federale, o la Camera re l’odierna struttura, e chi, delle Regioni, o quel che alinvece, si accontenterebbe di trimenti si volesse stabilire), una sforbiciatina), bisognele discussioni si rebbe risolvere il accenderebbero, problema della rapanche perché non presentanza degli si tratterebbe italiani all’estero. solo di diminuire Non toccarla? riil numero degli durla? sopprimerla? abitanti di palazModificare il princizo Madama, bensì pio stesso delle cirdi modificare la coscrizioni estero di stessa formazione Camera e Senato? delle leggi. Ci sono i senatoSono tutti, come ri a vita, non quelli si vede, comodi oggi in carica, ma Roberto Calderoli bastoni da frapquelli previsti dalporre alla riforma la Costituzione. costituzionale. Se veramente Sopprimerli? mutarli in desi volesse ridurre il numero putati a vita? diminuirli di dei parlamentari, non ci sanumero? rebbe altra via, per arrivare Similmente c’è la questione in tempo con una riforma codei senatori di diritto a vita, stituzionale in vigore prima cioè gli ex presidenti della Redella prossima legislatura, pubblica: a parte quelli odierche trovare un’immediata inni, che prevedere per quelli tesa per la semplice riduzione futuri? Che dire, poi, della numerica rispetto ai parlagaranzia di un minimo di sementari esistenti, riduzione natori, oggi previsto in sette che riguardasse pure le rapper ciascuna regione, con ecpresentanze estere e i minimi cezioni per la Valle d’Aosta di senatori per ciascuna regio(uno) e per il Molise (due)? ne. Ogni altra proposta correInoltre, ostacolo formidabile rebbe il rischio, che potrebbe a qualsivoglia celere discusessere artatamente ideato, di sione sui tagli delle Camere, non arrivare in porto. c’è il bicameralismo perfetto. © Riproduzione riservata Se, infatti, si volesse modifi-
TORNA DI MODA «HO VISTO UN RE»
Povero presidente e poveri gli autisti Era in «Ho visto un re», la canzonetta di Dario Fo, che «il re piangeva seduto sulla sella, piangeva tante lacrime perché l’imperatore gli aveva portato via un bel castello di trentadue che lui ne ha». Adesso è il turno del presidente della repubblica, che non piange sulle auto blu perdute soltanto perché Marco Reguzzoni, capogruppo del Carroccio alla camera, non gliene ha ancora portata via nessuna delle quaranta che lui ne ha, ma ha soltanto minacciato di farlo. Giorgio Napolitano non piange, ma ci tiene a precisare che le auto blu parcheggiate nel garage del Quirinale, a disposizione della presidenza della repubblica sono soltanto trentacinque. Che Regazzoni, più veloce della luce, gliene abbia già sequestrate cinque, o che non sappia contare? No, sono sempre state trentacinque, non una di più, assicura il presidente. E queste poche automobili di rappresentanza non sono tutte adibite al diporto della Sua Eccellenza. Alcune di queste automobili sono riservate, chissà perché, all’esclusivo trasporto di capi di stato stranieri, altre due auto «sono veicoli storici utilizzati solo in particolari occasioni», poi ci sono «tre Lancia Thesis blindate per ragioni di sicurezza e usate alternativamente per esigenze di manutenzione» e, alla fine della fiera, restano a disposizione del Quirinale soltanto «ventiquattro autovetture, tra cui due pulmini utilizzati per abbreviare i cortei nei trasferimenti collettivi». Un presidente della repubblica, del resto, mica può spostarsi in bicicletta o sullo skateboard, specie quando non è più un giovanotto, benché porti bene i suoi anni? Di qui tante lacrime, in caso di ridimensionamento del parco macchine, da bagnare anche i trentacinque autisti quirinalizi. Povero presidente, e poveri anche gli autisti. © Riproduzione riservata
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Giovedì 11 Agosto 2011
Per potabilizzare la sua lotta, il sindaco leghista di Cittadella (Pd) chiama così il kebab
Infilzati i cibi cotti da asporto Bitonci è anche anti-borsoni, sbandati, accattoni eccetera DI
GOFFREDO PISTELLI
K
ebab? Fora! Massimo Bitonci, 46enne vulcanico sindaco leghista di Cittadella, nel Padovano, s’è giocato la carta del panino tipico degli arabi da politico consumato: ai primi d’agosto. Ha atteso il tempo delle ferie, per annunciare l’ennesimo provvedimento che, oltre a regolare la vita dei suoi amministrati, punta a una certa visibilità mediatica del suo ideatore che il Carroccio vuole sindaco di Padova al prossimo giro. Sì perché il primo cittadino, oltre che deputato leghista, è l’uomo che il segretario federale della Liga, Gian Paolo Gobbo, ha già designato per la città del Santo. Stavolta l’onorevole-sindaco, che negli anni ha firmato ordinanze anti-borsoni per colpire i venditori abusivi, antisbandati per allontanare i non residedenti che avessero redditi
inferiori a 5mila euro, antiaccattonaggio e, ultimamente, antipornografia per i giornalacci esposti in edicola, ha puntato dritto contro il kebab per vellicare la pancia razzista dell’elet- t o r e v e n e t o, aggiungendo
Massimo Bitonci
nel provvedimento un riferimento a «cibi cotti da asporto», per schermare ogni accusa di xenofobia: sotto la tagliola amministrativa possono ricadere anche le pizze a trancio, mentre sono fatti salvi i panini tradizionali e i gelati. Alle accuse d’essere un sindaco anti-immigrazione, il commercialista col passato da giocatore di rugby fa come sempre spallucce. A queste accuse è ormai corazzato e comunque sono il sale del ritorno mediatico cui ogni sparata del genere mira. Quanto ai motivi ufficiali che il sindaco-deputato utilizza, il decoro è sempre ai primi posti. La bellezza di Cittadella, borgo medievale stretto in una suggestiva cinta muraria, gliene offre un motivo plausibile. Tanto bella (e strategica) che nei secoli, Ezzelino da Romano e Cangrande della Scala e i da Carrara se l a c o n t e s e r o, finché non arri-
varono i Dogi a metterci sopra il Leone di Venezia. Bitonci, nel gioco delle parti mediatico, avrebbe avuto un altro elemento per contestare le accuse di razzismo se avesse letto le dichiarazioni del vicesindaco di una città certo più bella e famosa della sua, Firenze. All’indomani dell’ordinanza anti-kebab di Bitonci, Dario Nardella, vice di Matteo Renzi, protagonista nell’ultimo decennio del Pd fiorentino (fu assessore alla Cultura anche nella giunta di Leonardo Domenici) se n’è uscito con un’intervista al Corriere Fiorentino, dorso locale del Corsera, in cui annuncia nuovi vincoli ai commerci cittadini: «In tutto il castrum romano», ha detto Nardella, «si potranno aprire solo negozi e attività artigianali tradizionali, introdurremo gli stessi vincoli che ora ci sono sul Ponte Vecchio e in via Tornabuoni. Cultura e decoro», ha concluso, «passano anche dall’identità del tessuto commerciale». Tradotto significa, no (anche) al kebab nel centro (e magari
sì al lampredotto, il taglio di trippa bollita servito a Firenze in gustosi panini). Solo che Nardella, 36enne di Torre del Greco, arrivato nella città del giglio da universitario, è uno che ha studiato violino e diritto costituzionale, che ha fatto il consigliere di Vannino Chiti e masticato cultura assessorile, insomma uno che il politicamente corretto lo pratica “h24”. Ecco perché i suoi niet, a differenza di quelli di Bitonci, non fanno notizia. © Riproduzione riservata
DECRITTAZIONI di Marco Cobianchi - Ignazio La Russa: «Berlusconi non ha nessuna lamentela nei confronti di Casini». Voleva dire: - Casini ha sempre accuratamente evitato che Berlusconi potesse avere qualche lamentale nei suoi confronti.
Passando da militanti a sostenitori, perdono il diritto di voto
Gara d’appalto in regione da 2 milioni
Degradati 20 leghisti dal Carroccio veneto
Il governatore Zaia compra 1800 sim
GUIDOBALDO SESTINI
40% dei voti all’ultimo congresso provinciale della Lega-Liga. Lovat, 39 anni, considerato uno dei primi on è finita con l’espulsione del senatore vi«rottamatori» del Carroccio, era stato sbattuto fuocentino Alberto Filippi la guerra leghista ri da Gobbo senza troppi complimenti, parrebbe su in Veneto. Gian Paolo Gobbo, segretario proposta della stessa Dal Lago. “nazionale” secondo il vocabolario federaliNei giorni scorsi, anche Massimo Malaspina, già sta del Carroccio, che conobbe in quest’area una delle assessore in quel di Chioggia (Venezia) ha ricevuto prime grandi espasioni con la Liga Veneta, ha cominuna raccomandata firmata dal segretario nazionaciato a usare il pugno di ferro proprio ad Arzignano le. Ma a differenze dei 20 degradati di Arzignano, nel Vicentino, area di influenza di Filippi. l’assessore epurato s’è visto comminare tre mesi di Usando i poteri statutari, il sindaco di Treviso sospensione dal partito per le sue dichiarazioni ha scritto una bella raccomandata a una ventina critiche alla stampa locale. A fine luglio, la predi iscritti leghisti, annunciando loro un singolare sidente provinciale Francesca Zaccariotto, degradamento: da militanti a sosteavvenente sindaco di San Donà del nitori. Differenza di non poco conto e Piave per i lumbard, gli aveva già che avvalora la tesi che l’operazione, tolto l’assessorato alle Attività procome già prima quella contro Filippi duttive: «È venuto meno il rapporto peraltro al centro di un’inchiesta giufiduciario», aveva dichiarato secca. diziaria, sia una battaglia della guerra Malaspina però un’idea sulle sue didi Gobbo contro Flavio Tosi, sindaco sgrazie se l’è fatta: «A Venezia come maroniano di Verona, che non nascona Treviso stanno prendendo di mira de le sue mire sui vertici regionali del l’area tosiana». partito. Ma anche a Rovigo non si scherza: E i venti degradati non sono dei Matteo Ferrari ed altri cinque lesemplici militanti padani, di quelli che ghisti polesani sono stati destinatari fanno folclore nella spianata bergamasca di altrettante lettere di sospensione. Gian Paolo Gobbo di Pontida o prendono in pulman per an«Non ne conosco le motivazioni», ha dare a fare la ola all’ampolla d’acqua del spiegato l’interessato, «ma sono fiMonviso. Fra loro, c’è il vicesindaco Alessia Beviducioso che si risolverà». Ferrari, con i cinque epurandi è stato protagonista della lotta alla lacqua, l’assessore Enrico Marcigaglia e anche gestione provinciale di Antonello Contiero, altri consiglieri comunali del Carroccio. gobbiano della prima ora. Un intervento chirurgico, insomma. Che Gobbo Ma la sua non è una punizione come tante: e i suoi non spiegano ancora, chiusi in uno stretto Ferrari è il consorte del deputato rovigino Emariserbo ma assicurando di agire secondo le regole nuela Munerato. Qualche militante leghista, del partito. Per lui parla la fida Manuela Dal Lago, parafrasando il detto popolare, ha decrittato deputato, e notabile leghista nel Vicentino: «Stiamo così gli intendentimenti del durissimo Gobbo: mettendo ordine», ha detto sibillina. parlare a marito, perché moglie intenda. Lo stesso era stato, nel febbraio, con Davide © Riproduzione riservata Lovat, portavoce del gruppo di Roberto Grande, DI
N
DI
GOFFREDO PISTELLI
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a carica delle 1775 sim ha fatto arrabbiare molti. Si tratta delle schede di telefonia mobile che Regione Veneto ha messo a gara il 2 agosto scorso, per una base d’asta di 2 milioni e 160mila euro. Stiamo parlando dello stesso governo regionale la cui maggioranza, fino a pochi giorni prima, s’era azzannata politicamente su uno dei passaggi centrali del futuro statuto: il dimezzamento dei consiglieri regionali da 60 a 30. Sul tema leghisti, fautori del taglio, e pidiellini se le erano cantate di santa ragione, con i berlusconiani che avevano accusato gli uomini del governatore Luca Zaia di gioco scorretto, avendo tentato un blitz che, a loro dire, serviva solo a lasciare il Pdl il cerino accesso della partitocrazia più deteriore, in un momento in cui la gente non parla d’altro che di ridurre i costi della politica. S’erano dunque da poco sopite le polemiche che il governo regionale deliberava una gara che pareva arrivare da un altro secolo per tempistica scelta, da vecchio governo democristiano. Accompagnata da una relazione del vicepresidente Mario Zorzato, con delega agli affari generali, che recitava tra l’altro che «l’amministrazione ha posto sempre una particolare attenzio-
ne alla comunicazione sia interna che esterna volta al continuo miglioramento nell’erogazione dei servizi ai cittadini e alle imprese» e che «l’utilizzo della telefonia mobile va certamente in tale direzione, perché consente la piena connettività in mobilità e garantisce una pronta e costante reperibilità». Ma quasi 1.800 telefoni per una regione che ha 12 assessori e 280 dirigenti sono apparsi troppi alle opposizioni. Scatenati, al riguardo, la capogruppo Pd, Laura Puppato, e il consigliere Piero Ruzzante, autore anche di un’interrogazione: «Tagliare», hanno ripetuto all’unisono aggiungendo che «in un’azienda privata non ce ne sarebbero così tanti». Zorzato s’è difeso attaccando: «E chi paga i telefonini dei consiglieri regionali?», ha chiesto retoricamente. Ma poi ha giurato che tutte quelle sim ci vogliono eccome: «Quasi 465 sono inserite in computer per monitoraggi», ha chiarito «mentre gli altri 1.310 sono affidati a persone», fra dirigenti e dipendenti con posizioni organizzative. «E poi», ha assicurato il vice-Zaia, «molti di quei cellulari possono chiamare solo numeri dell’amministrazione». Ogni telefonino, ha protestato il vicepresidente, costerà solo 22 euro all’anno, molto di più, giura Zorzato, di quelli usati dai gruppi consiliari che ora attaccano la sua delibera.
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Venerdì 12 Agosto 2011
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La capogruppo Rozza rappresenta i milanesi normali, non quelli radical chic, alla Stefano Boeri
Le micro moschee dividono il Pd
La sindacalista contro la vice sindaco, già della Caritas DI
GOFFREDO PISTELLI
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algrado il cognome, siciliano di Ragusa, Carmela Rozza sulle tante micromoschee, che la giunta di Giuliano Pisapia vuol aprire a Milano, è stata fin troppo elegante. Da capogruppo del Partito democratico a Palazzo Marino s’è limitata a comunicare il suo dissenso dal governo comunale sul tema con una dichiarazione soft: «Avrei evitato di aprire un caso estivo», ha detto, «mi sarei mossa con maggior prudenza, partendo dal dialogo col territorio». Cinquantuno anni, infermiera professionale, un passato da sindacalista che l’ha portata dalla sanità ai trasporti fi no a occuparsi di casa, la Rozza da consigliere comunale ha sempre battuto le periferie, magari i grandi caseggiati dell’Aler, costruendo la propria popolarità nel confron-
La Lega tuona, basta arabi Non ne può più. Perché i milanesi rischiano di diventare «minoranza in casa propria». La Lega Nord a Milano torna sulle barricate contro la giunta Pisapia: «Rom, islamici e immigrati, queste le categorie alle quali Pisapia sta dedicando ogni tipo di attenzione, arrivando a trasformare Milano in una città araba a maggioranza islamica e regalando alloggi popolari a nomadi ed immigrati», attacca Davide Boni, presidente del Consiglio della Regione Lombardia. Una battaglia non nuova quella della Lega contro immigrati e nomadi. Questa volta a scatenare Boni, l’ipotesi di apertura di centri islamici a Milano. «Aspettiamo di capire», continua, «quando toccherà finalmente ai milanesi ricevere almeno una parte delle attenzioni che questa amministrazione sta prestando a tutti tranne a chi in questa città ci vive e lavora da anni». Sebastiano Luciani ©Riproduzione riservata
to quotidiano con quei milanesi che vivono lontano dal Quadrilatero della moda. Il verticisimo della giunta, incarnato dal vicesidaco Maria Grazia Guida, sul tema scottante dei centri islamici, non le piace: «Meglio sentire i consigli di zona», ha chiarito. Non che i parlamentini dei quartieri siano la quintessenza della rappresentanza ma, ins o m ma, un dialogo con gli abitanti di una certa zona, pri-
Giuliano Pisapia
ma di far risuonare la voce del muezzin a richiamare alla preghiera è questione di metodo, democratico come il partito in cui militano entrambe. Arrivando da versanti completamente diversi. Se infatti la Rozza proviene dalle battaglie della Cgil, la Guida, invece, 56enne, reatina, trapiantata a Milano da bambina, viene dalla trincea del volontariato ambrosiano, fino a diventare direttore della Casa della Carità, cuore pulsante della Caritas di don Virginio Colmegna. Una storia che le fa dire su una partita scottante come questa: «Siamo per una cittadinanza inclusiva», che significa evidentemente portare nell’area della legalità quanti più cittadini possibile. Incontrando, lunedì scorso, una pattuglia di rappresentanti delle comunità islamiche milanesi, capeggiati dall’arcinoto e talvolta discusso Abdel Hamid Shaari, portavoce della moschea di Viale Jenner, la Guida ha declinato la linea della giunta: regolarizzare i tanti e piccoli luoghi di culto musulmani
LA SETTIMANA VISTA DA VINCINO
Vincino da il Foglio in città, facendone altrettanti spazi «idonei e dignitosi». Di grandi moschee, sul modello romano, se ne parlerà in seguito. E di rinforzo, l’assessore al Benessere, Chiara Bisconti, parte della delegazione insieme al collega Marco Granelli che si occupa di sicurezza, ha ricordato che «le palestre devono servire a far ginnastica», allundendo alla stagione in cui il Comune stesso concedeva i centri sportivi di via Iseo e di
Le lotte intestine ma non solo tra ex pci rischiano di far saltare Sel
Il sostegno al Pd costa caro ai vendoliani di Ancona DI
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GIOVANNI BUCCHI
ficialmente raccontiamo alla gente» tuona Paolinelli, che una volta dimessosi ha raccontato nella sua lettera aperta il famoso episodio incriminato, indicando il colpevole nella persona di Eugenio Duca, consigliere comunale di Sinistra per Ancona – Sel ed ex deputato Pds-Ds dal 1994 al 2006. La lite scoppiò in seguito a un rovente dibattito in sala tra i delegati del partito, ma fu nella piazza di Falconara davanti a numerosi cittadini che i due si sono affrontati con parole poco amichevoli, fino alla spinta con tentativo di sgambetto. In realtà, all’origine dei dissidi interni ai vendoliani anconetani qualche motivazione politica (per fortuna, viene da dire) pare esserci. Duca infatti negli ultimi mesi sta sostenendo la risicata maggioranza di centrosinistra del sindaco pd Fiorello Gramillano, rimasto in bilico dopo l’uscita dalla giunta dell’Idv. Sel, per mano di Duca, è diventata quindi la stampella del Pd insieme ai rutelliani dell’Api, e la cosa non è piaciuta a tutti all’interno del partito, a quanto pare soprattutto a Paolinelli. Come se non bastasse, lo stesso Duca avrebbe fatto sorgere un paio di circoli vendoliani ad Ancona senza aver ricevuto il permesso dagli organismi superiori di Sel.
na spinta con tentativo (mancato) di sgambetto rischia di far saltare per aria il partito di Sinistra ecologia e libertà ad Ancona. Il fatto è accaduto il 28 maggio scorso all’ultima assemblea provinciale degli iscritti a Falconara Marittima, ma la vittima lo ha reso noto da pochi giorni, non prima di aver abbandonato il partito sbattendo la porta. Il coordinatore provinciale dei vendoliani Claudio Paolinelli si è infatti dimesso dalla carica con una lunga lettera nella quale parla di «delusione enorme» per un soggetto politico che «dietro la bella copertina con cui ci presentiamo nascondo una realtà molto diversa». Le quinte vendoliane celano le solite lotte intestine, le correnti ereditate da chi è traghettato dal Pci fino al Sel, giochi di potere per occupazioni di poltrone e quant’altro. «Tutto l’opposto Nichi Vendola di quello che uf-
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via Valvassori Petroni per il Ramadan. Oltre alle prevedibili levate di scudi dell’opposizione – l’ex-vicesindaco Riccardo De Corato e il leghista Matteo Salvini su tutti – alla schiera dei dissenzienti capaggiata dalla Rozza, s’è subito aggiunto il consigliere provinciale Roberto Caputo, ex-forzista arrivato nel Pd dalla porta della Margherita. A sostenere la Guida si sono invece schierati subito due piddini importanti del governo Pisapia: Stefano Boeri, assessore alla Cultura, e Pierfrancesco Majorino, che ha la delega al Welfare. Come nel suo stile, l’archistar ha affidato a Facebook il suo pensiero in materia: «A Milano per anni si sono tollerate le catacombe, luoghi insicuri per chi le abita e per chi vive nei loro pressi. Benissimo ha fatto la Giunta ad aprire un confronto con le comunità islamiche. Non c’è tempo da perdere, per tornare nel mondo normale». Majorino, cresciuto a pane e pds-ds, usa toni suadenti: «Non capisco lo stupore di Carmela», ha detto flautato al Corsera, «perché non capisco cosa voglia dire essere cauti: ricevere le comunità è un ottimo punto di partenza. Anche perché per chiudere le porte di faccia agli islamici bastavano quelli di prima». La Rozza non dà segni di cedimento: da brava sindacalista sa bene che le trattative sono lunghe ed estenuanti. Parla di mail e sms di plauso, giunti in quantità. E non ci provino a ferirla montando su un caso personale, alludendo al fatto che a lungo si fosse parlato di lei come vicensindaco-donna per Milano. Una che sul suo profilo Facebook ha scritto d’aver fatto la badante e la colf nei suoi primi anni milanesi, non coltiva certi risentimenti piccoloborghesi. ©Riproduzione riservata
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Sabato 13 Agosto 2011
Il caso della vice del sindaco pd di Rimini è finito in tribubale. Il Comune replica: tutto ok
C’è conflitto di interessi in Riviera
La Lisi da assessore elargisce fondi alla coop di cui è referente DI
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GIOVANNI BUCCHI
ino a pochi giorni prima di diventare vicesindaco, guidava un’associazione di volontariato e una coop sociale che nel 2010 ha ricevuto oltre 200mila euro di contributi dal Comune. Poi si è trovata a guidare proprio l’assessorato alle politiche sociali che gestisce quegli stessi finanziamenti pubblici. Succede a Rimini, e la protagonista di questa vicenda finita in Tribunale si chiama Gloria Lisi, 34 anni, nominata dal neo sindaco pd Andrea Gnassi sua vice dopo la vittoria al ballottaggio di fine maggio. Tuttavia per la Lisi, giovane madre prestata alla politica, la strada nei palazzi del potere della riviera s’è fatta sin da subito in salita. A mettergli i bastoni
PILLOLA di Pierre de Nolac
Nella Maremma rossa è caccia alla pantera nera. L’animale ha un colore politicamente scorretto per la zona.
LA SETTIMANA VISTA DA VINCINO
Andrea Gnassi, sopra a sinistra, con Pier Luigi Bersani tra le ruote ci ha pensato l’ex candidato sindaco del Pdl, Gioenzo Renzi, mai domo nonostante la sconfitta elettorale. Renzi ha presentato un’interrogazione in consiglio sulla vicenda: la Lisi fino a metà giugno è stata vicepresidente dell’associazione di volontariato cittadina Madonna della Carità nonché presidente dell’omonima coop sociale. Si tratta di due enti vicini alla Caritas diocesana che curano, tramite i Piani di zona, diversi interventi sociali per conto del Comune, che in cambio gli sborsa quattrini. Se nel 2010 i fon-
Padova dice no a mister best-seller DI
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GOFFREDO PISTELLI
tampa gli instant book del New York Times, tutti gli Harry Potter d’Europa e, a breve, un’enciclopedia per la Pravda dalle pagine profumate, in stabilimenti modernissimi, dove è in grado di confezionare un libro in 24 ore ma per l’Università di Padova non è degno di una laurea honoris causa. Fabio Franceschi, 42 anni di Camposampiero (Pd), guida 220 trentenni nella più avveniristica tipografia d’Italia, la Grafica Veneta di Trebaseleghe, con cui ha fatturato l’anno scorso tanti euro, 130 milioni, un po’ meno dei volumi stampati, che sono 140, e che ne fanno il secondo industriale di settore in Europa.Il preside di Scienze politiche dell’ateneo patavino, il professor Gianni Riccaboni, aveva pensato che un’attività di così alto livello meritasse il riconoscimento che l’accademia dà a quanti dimostrino sul campo un’eccellenza scientifica. E per una facoltà che ha, al suo interno, un corso di Economia internazionale, un drago dei commerci con l’Estero come Franceschi, che esporta in tutto il mondo, un po’ di competenze dovrebbe aver mostrato di possederle. E invece per ben due volte nel corso di quest’anno, il consiglio di facoltà di Scienze politiche ha fatto muro in un modo così risoluto da consigliare il preside di non mettere nemmeno ai voti la proposta. L’ultimo no degli accademici patavini che, negli anni scorsi, hanno laureato tra gli altri industriali come Vittorio Tabacchi, patron di Safilo, Valerio Giordano Riello, re dei condizionatori, e ad Antonio Carpené, dell’omonimo spumante, ha destato una certa curiosità, in città e nel Veneto. Sulla stampa locale alcuni ricercatori di Scienze politiche hanno dato corpo all’opposizione a mister best-seller. «Dovremo cercare finanziatori ovunque», ha dichiarato Francesca Vianello, sociologa, «però ci sono tantissimi modi per farlo, ma la laurea honoris causa non è fra questi». Altri ricercatori, che hanno voluto mantenere l’anonimato, sono andati persino a intervistare gli operai di Franceschi: «Alla fine abbiamo pensato che non c’era nessun motivo per concedere la laurea». Non usano il congiuntivo ma hanno idee molto chiare. Una sortita che ha fatto infuriare letteralmente il sindaco di Trebaseleghe, che d’ospitare le Grafiche venete va giustamente fiero. Lorenzo Zanon, pidiellino, ha scritto al Corriere Veneto una lettera risentita, pubblicata il 7 agosto scorso. Franceschi, scrive il sindaco, «paga lo scotto di non essere stato arrestato per possesso di stupefacenti e di pagare le tasse in Italia». Franceschi non fa alcuna polemica, anzi. L’altro ieri, quando le statistiche parlavano di 180mila giovani veneti che non studiano né lavorano, ha lanciato alla Regione la proposta di un voucher di 600-800 euro al mese per garantire un anno di lavoro nelle aziende, calcolando in 70 milioni il fabbisogno. «D’altra parte», ha osservato a chi gli ricordava i tagli di bilancio, «ne spendiamo 120 anni ogni anno per riparare i marciapiedi».
di pubblici erogati in loro favore erano stati oltre i 200mila euro, nel 2011 sono già stati finanziati due progetti rispettivamente da 147mila e 42mila euro per centri operativi della Caritas e accoglienza agli immigrati. Di più: nella determina dirigenziale del Comune del 15 luglio scorso, con la Lisi già vicesindaco da un mese, è sempre lei a figurare come referente per l’associazione Madonna della Carità nel progetto per immigrati. Il Comune ha sempre replicato a Renzi che è tutto in regola, ma il pidiellino non è rimasto fermo e
Vincino da il Foglio ha mosso le sue truppe: tre cittadini a lui vicini hanno fatto ricorso al Tribunale di Rimini contro la nomina, avvenuta il 17 giugno, e l’1 settembre (data dall’udienza) toccherà al giudice decretare il verdetto. Secondo il Comune, la Lisi si è dimessa dalle sue cariche private il 16 giugno, cioè il giorno prima di diventare vicesindaco,
mentre secondo i ricorrenti e Renzi le dimissioni sono state ratificate solo il 21. Insomma, i giorni di presunto conflitto di interesse sarebbero solo quattro, ma è la questione di opportunità politica a far discutere più di tutte. La Lisi, dice Renzi, si troverà a dover decidere se finanziare o meno le associazioni di cui faceva parte.
PROVINCIA DI LATINA
I pagamenti all’ente ora si fanno online È attivo il servizio che permette di effettuare i pagamenti direttamente online in maniera semplice e sicura: basta collegarsi allo sportello virtuale presente all’indirizzo http://www.provincia.latina.it/PagaOnLine/ e selezionare il tipo di pagamento da effettuare, da quelli riguardanti la caccia, la pesca e i funghi alle agenzie di viaggio, dall’autotrasporto per conto proprio alle concessioni. Il servizio di pagamento online è infatti esteso a tutti i settori della provincia di Latina per semplificare il più possibile la vita dei cittadini. L’eliminazione del bollettino postale cartaceo permette, infatti, di cancellare in un solo colpo tutte le problematiche legate alla gestione dei pagamenti postali (trasmissioni mancanti o errate, erronea lettura dei dati presenti nel bollettino ecc.). La possibilità di pagare gli importi dovuti (a qualsiasi titolo) all’ente direttamente dal portale della Provincia di Latina consente agli utenti di non doversi più recare negli uffici postali e dover compilare manualmente i bollettini, riducendo nettamente in tal modo la possibilità di errore. Inoltre l’utente può eseguire il pagamento in completa mobilità, ovunque si trovi. Una volta eseguito il pagamento, il sistema permette di stampare una ricevuta (che viene peraltro inviata all’indirizzo mail dell’utente). Il sistema dei pagamenti online denominato «Demos», affiancato a Informanet (già attivo da tempo), completa il progetto teso allo sviluppo e al potenziamento delle azioni rivolte alla semplificazione amministrativa e all’innovazione tecnologica, in linea con il Piano di azione per l’e-government, che punta a informatizzare l’erogazione di servizi ai cittadini e alle imprese, e al contempo a consentire l’accesso telematico ai
servizi della pubblica amministrazione e alle sue informazioni. Ricordiamo che la Provincia di Latina è stata la prima in Italia a sottoscrivere nel 2008 il protocollo di intesa con il ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione per l’avvio del piano sperimentale E-Gov 2012. «Il nuovo servizio di e-government che consente i pagamenti online», spiega il presidente Armando Cusani, «è un altro risultato del processo di ammodernamento dei sistemi informatici e di comunicazione interni che comporta la predisposizione di sistemi telematici e digitali con lo scopo di rendere più veloci, trasparenti e semplici le forme di rapporto tra i cittadini e la pubblica amministrazione. Anche in questo caso», aggiunge il presidente Armando Cusani, «la Provincia di Latina registra un nuovo primato: è tra le prime in Italia, se non la prima in assoluto, a estendere la possibilità di pagamento online per tutti i settori di competenza dell’ente». «Il pagamento elettronico dei servizi resi dalla Provincia di Latina», commenta l’assessore allo sviluppo economico Silvio D’Arco, «rende evidente l’enorme potenzialità di un sistema che permette a ogni utente di accedere a beni e servizi indipendentemente dalla sua localizzazione. Le transazioni si possono inoltre sviluppare lungo tutto l’arco della giornata senza interruzioni e in tempo reale. Un sistema», conclude l’assessore allo sviluppo economico, «facile e sicuro, certificato da VeriSign, azienda leader a livello mondiale nei servizi legati alla sicurezza su internet». Everardo Longarini portavoce del presidente della Provincia di Latina Armando Cusani
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PRIMO PIANO
Sabato 13 Agosto 2011
Il sindaco di Udine,Honsell, beniamino di Fabio Fazio in tv, è montato su tutte le furie
Strano, il Pd contro un’occupazione Ma la ragione è perché gli okkupanti dovevano essere altri DI
GOFFREDO PISTELLI
P
iù inciucio che algoritmo. È quello che, secondo il Pdl udinese, il sindaco Furio Honsell, brillante matematico, già rettore, alla guida del capoluogo friulano grazie al centrosinistra, sta cercando con i centri sociali cittadini. Quelli del Centro sociale antogonista-Csa non danno tregua al professore: l’altro ieri hanno occupato - senza grandi effetti speciali: è bastato spingere un cancello arrugginito – l’ex-macello comunale, abbandonato da tempo. Honsell, serafico scienziato cui Fabio Fazio, facendone ospite fisso al suo Che tempo che fa, tirò un’eccezionale volata per le amministrative nel 2008, stavolta sembra aver perso le staffe: «Questo è un reato», ha detto, promettendo tolleranza zero. Minaccia che si è concretizzata, quando in via Sabbadini, dopo la Digos, si è presentata anche una pattuglia dei vigili a identificare il leader degli occupanti, Paolo De Toni, anarchico dai modi urbani malgrado i processi subiti per le precedenti occupazioni di via Volturno e dello Scalo ferroviario.
Furio Honsell con Fabio Fazio Una durezza che non convince il Pdl locale, che subodora la manfrina appunto, forse perché il dialogo fra sindaco e area antogonista, per ammissione stessa dell’ex-rettore, non si è mai interrotto: «Con il Csa abbiamo discusso più volte di come trovare una soluzione legale», avea ricordato Honsell nella stessa giornata dell’occupazione, «purtroppo gli spazi proposti nella serie di incontri che abbiamo avuto non andavano bene, ma stiamo continuando a lavorare». «La scelta del luogo da parte
degli occupanti dimostra che le nostre preoccupazioni sono fondate», ha protestato Vincenzo Tanzi, vicecoordinatore cittadino del partito del predellino, «dietro la ristrutturazione dell’edificio si nasconde la volontà di questa amministrazione di voler consegnare l’exmacello agli occupanti». A mettere sulla pista il pidiellino è stata forse un’improvvida dichiarazione dell’assessore alle Politiche giovanili, Kristian Franzil: «Esistono altri gruppi della stessa ispirazione con i quali abbiamo avviato
un rapporto proficuo, perché hanno presentato dei progetti articolati per l’utilizzo degli immobili». Insomma i futuri inquilini dell’ex-macello non saranno De Toni e i suoi – che lo stanno ripulendo «senza arrecare disturbo ai cittadini» e promettono un ristorante vegetariano dove si ammazzavano vacche e maiali – ma altri antagonisti, probabilmente col pallino del recupero architettonico. Su Udine Pdl e Lega, che governano regione e provincia, hanno acceso i fari da tempo, malgrado anche qui, anche se non come nel vicino Veneto, i rapporti fra le due forze vadano talvolta oltre la normale dialettica fra alleati. Malgrado la recente batosta di Trieste, che il centrosinistra ha strappato col nuovo sindaco Roberto Cosolini, il centrodestra è deciso a far saltare l’ex-rettore, tanto da aver “rimpastato” ai primi di luglio la giunta provinciale del presidente Pietro Fontantini con due nuovi assessori esterni, Adriano Loan e Luca Marcuzzo, «per dare un’adeguata rappresentanza alla città di Udine», come aveva dichiarato il coordinatore regionale Pdl,
Isidoro Gottardo. Honsell, da parte sua, ostenta tranquillità. Genovese, classe 1958, arrivato a Udine dopo un lungo peregrinare accademico, dalla Normale a Stanford a Parigi, ha già incassato dalla sua maggioranza la ricandidatura per il 2013. A dispetto dello humor che dispensa di frequente – uno dei due libri divulgativi che ha scritto si intitola Algoritmo del parcheggio – è uno che le durezze della politica le ha imparate dentro l’università, come dimostra la sua successione all’ateneo friulano, lasciato, con qualche affanno finanziario, a una sua fedelissima, Cristina Compagno. Nelle elezioni del maggio 2008, il neosindaco Honsell mosse tutte le sue pedine accademiche perché andasse a lei, e non al preside di Ingegneria, l’ermellino da rettore. Lo sfidante sconfitto si chiama Alberto Felice De Toni, come il leader del Csa che gli occupa oggi l’ex-macello. Provò a mettersi in mezzo ai suoi calcoli, così come oggi l’anarchico fa con l’area comunale destinata a un altro centro sociale. De Toni che ritornano. Per il matematico con la fascia tricolore, un altro algoritmo da scovare. © Riproduzione riservata
PRIMA IL SALUTO FASCISTA, POI IL DITINO ACCUSATORE, ORA LE ORECCHIE ABBASSATE DA COCKER FIFONE
Anche il coso... sì, il Mascellino, ha nostalgia di casa DI
N
DIEGO GABUTTI
on sembra vero, ma adesso anche coso... sì, il leader futurista, Mascellino, sente nostalgia di casa. Tanta da incaricare Italo Bocchino, il suo Yanez de Gomera, di tentare una manovra di riavvicinamento al Popolo delle libertà, vedi mai che il Cavaliere, politicamente malridotto dalla crisi e dal tracollo eletttorale, non lo riaccolga a braccia aperte ammazzando, per l’occasione, un vitello grasso o due. Prima il braccio levato nel saluto romano, poi il ditino alzato del Cofondatore offeso e ora le orecchie abbassate in segno di resa, da cocker fifone. *** Come gli assassini, anche l’informazione intimista e scandalistica ritorna sempre sul luogo del delitto. E allora può capitare che Jacqueline Kennedy Onassis, a diciassette anni dalla morte e cinquant’anni dopo i fatti, indichi come mandante dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy (assassinato a Dallas nel 1963 da un cecchino castrista, Lee Harvey Oswald) il vicepresidente dell’epoca, Lyndon Baines Johnson, che riformò l’America più di quanto JFK si fosse mai sognato di fare, come nei romanzi e nei film di fantapolitica dell’epoca. *** Può anche capitare che Jacqueline racconti d’essere stata l’amante di Gianni Agnelli. JFK si spupazzava Marylin Monroe, per non citare che la più
celebre e più bella delle sue amanti, e la Signora Kennedy poteva ben consolarsi ricorrendo, diciamo così, alle consulenze dell’Avvocato. Niente di male, anzi ben fatto, benché infrattarsi dietro un cespuglio con l’Avvocato sia una cosa e vantarsene un’altra. Sbaglierò, ma io non incoraggerei Sergio Marchionne a chiedere, dopo il fido delle banche, anche l’attenzione di First, Second and Third Ladies *** Notiamo qui di passaggio che in Italia l’Avvocato si limitava a pretendere dallo Stato cassa integrazione a gogò e generosi sconti fiscali. Non risulta che si sia mai preso anche delle libertà con le signore dei potenti (metti la Signora Fanfani, non so, oppure la Signora Lama) come in America. *** «L’idea orwelliana dei vecchi numeri dei giornali ristampati senza fine — la cosa è sotto gli occhi di tutti — può avere metamorfosi inattese» (Jan Zabrana, Tutta una vita: duepunti Edizioni 2009). *** Luisella Costamagna, che con Luca Telese conduce In onda su La7, riesce a conciliare l’accento di Macario e Gianduia col birignao strascicato dei salotti bene romani e milanesi. E parla solo lei; Telese tace, sbalenghito. *** Riuscirà Renato Brunetta, di cui tesserò un giorno o l’altro l’elogio, a riformare il mondo «in tre mesi», e standoci dentro largo, come ha dichiarato
burbanzoso al Giornale? Brevilineo, oltre che in altezza, anche nella quarta dimensione, il tempo, il ministro della funzione pubblica non dorme mai. *** «In una città della Georgia, nel 1956, le autorità, dopo una telefonata da Mosca, fecero saltare in aria una colossale statua del Padrone. Per uno strano caso, dopo l’esplosione rimasero sul piedistallo solo i giganteschi stivali. Non fu assolutamente possibile rimuoverli. I turisti presero addirittura l’abitudine di farsi fotografare su quello sfondo. Si disse che nella notte in cui Stalin fu rimosso dal Mausoleo gli stivali avessero camminato da soli per la città e fossero tornati sul piedistallo al sorgere dell’alba» (Viktor Zaslansky, Il dottor Petrov parapsicologo, Sellerio 1992). *** Tempo di crisi, e anche il premier inglese David Cameron, come Zapatero, è rientrato in anticipo dalle vacanze. Nel suo caso, naturalmente, la crisi non è soltanto economica ma sociale: Londra è in fiamme, i tumulti si stanno allargando ad altre città, lo spettro del nichilismo sferraglia per tutta Albione le sue catene. Dite che basterebbe devastare i supermercati, incendiare le chiese e dare battaglia alla polizia in Piazza del Popolo o in Piazza del Duomo per fare rientrare tutti i nostri onorevoli da mari e monti e ville e crociere e villaggi turistici di mezzo mondo? Io direi di provare, non fosse che per vedere come reagiscono, se prenotando un volo di ritorno o spegnendo la sveglia e tornando a russare.
*** Indymedia, il sito web dei refrattari irriducibili che parlano per massime da cioccolatino rivoluzionario, come il Libretto Rosso del Presidente Mao e le «liste» di Roberto Saviano, invita gl’«indignados» e i ribelli e gl’insurrezionalisti e gli allucinati e chi più ne ha più ne metta di tutto il continente a unirsi, immediatamente e senza indugio, alla festa inglese. London calling, da titolo d’una canzonetta dei Clash, è diventato uno slogan guerrigliero e un appello alla rivoluzione permanente, come gl’Indirizzi dell’Internazionale ai tempi di Marx e di Germinale, il grande romanzo d’Émile Zola. Se Lenin pensava che il socialismo consistesse nel potere dei Soviet più l’elettrificazione, e il Dux faceva di «libro e moschetto» l’ambo da giocare al Lotto della storia, la rivoluzione secondo Indymedia è un cocktail Molotov di romanticismo, frasi fatte e testoterone. *** Un ragazzo, ripreso dalle telecamere, ha il volto coperto di sangue e viene circondato, in piena battaglia di Londra, mentre volano pietre e pallottole di gomma, da altri manifestanti, che sembrano volerlo soccorrere e consolare. Invece gli svuotano lo zainetto e gli rubano il portafoglio. *** «Ognuno avrà eguali diritti in Paradiso. Questo è il vero Stato assistenziale» (Winston Churchill, in D. Enright, Il sorriso del bulldog, Liberilibri 2008). © Riproduzione riservata
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Mercoledì 17 Agosto 2011
Sarebbe come se a Venezia avesse tirato giù le saracinesche lo storico Caffè Florian
Ha chiuso il Pedrocchi di Padova Il Pd furibondo perché era gestito dalla Compagnia delle Opere DI
GOFFREDO PISTELLI
N
ell’Italia chiusa per ferie, le serrande abbassate di un caffè, seppure storico, attizzano la polemica politica. È il Pedrocchi di Padova che sta nel cuore della Città del Santo da 180 anni. La società che l’ha avuto in concessione dal Comune fino dal 1994 con un canone simbolico in cambio della ristrutturazione (valore 1 milione) e della gestione museale, ha deciso di chiudere l’area ristorazione fino al 21 agosto, ufficialmente per effettuare le necessarie manutenzioni, pur garantendo l’apertura della parte storica e le visite relative, per la gioia dei turisti, e la tranquillità dell’assessore alla Cultura, Andrea Colasio. Ad arrabbiarsi per il cappuccino negato a schiere di tedeschi e austriaci che magari fanno visita, nel dirimpettaio ateneo, alla Cattedra di Galileo, è piuttosto l’opposizione pidiellina alla giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Flavio Zanonato.
È stato l’ex-candidato sindaco a Venezia chiudesse Florian». del centrodestra, Marco Marin Più che la gestione, in realtà, ad aprire le danze, definendo la obiettivo della polemica è il gechiusura «urtistore, la Caffè cante». Quanto Pedrocchi2001 bastava per lanSrl (subentrata ciare il suo cola La Cascina) lega di partito, ma soprattutMatteo Cavatto la galassia ton, autore di economicoun’interrogaziopolitica di apne all’assessopartenenza: re al Patrimio, la Compagnia Marta Della delle Opere Vecchia. Ma il del Nord-Est, più polemico di le cui prime tutti milita nel iniziative ecocampo piddino: nomiche nacsi tratta dell’exquero in città assessore alla grazie ad alcuFlavio Zanonato Cultura, Giuni neolaureati liano Pisani ciellini come che, nell’ultima tornata, ZanoEzechiele Citton, Igino Gatnato ha relegato alla presidenti e Graziano Debellini. Con za della commissione, malgrado la loro cooperativa, la Sacchetti, nella sua chilometrica pagina cominciarono a prendere in gedi Wikipedia si presenti come stione alberghi su tutte le Alpi filologo classico, filosofo e storiper mandare in agosto migliaia co dell’arte, uno che spazia da di discepoli di don Giussani in Plutarco a Marsilio Ficino alla vacanza-ritiro. Operazione che Cappella degli Scrovegni. Per dura ancora ma sotto le insegne lui lo stop del Pedrocchi «è semdella Tivigest Spa. plicemente scandaloso, come se Proprio sotto la guida di De-
bellini che la Cdo Nord-Est è cresciuta in volumi d’affari (e potere politico), in vari settori, dalla sanità, all’immobiliare, al turismo. Lo documenta l’annuale cena di Santa Lucia, a Padova, a cui arriva il Veneto che conta. All’ultima, col consueto fine benefico a favore dell’ong Avsi, impegnata in vari progetti umanitari, c’erano il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, Pd, e il vicepresidente Marino Zorzato del Pdl, la moglie di Giancarlo Galan, Sandra Persegato e il consigliere piddino, Piero Ruzzante, oltre al gotha dell’imprenditoria veneta. E c’era ovviamente, con la consorte Lella, il sindaco Zanonato che la Compagnia sostiene senza se e senza ma. Perché Debellini ha guadagnato per sé e per ii suoi una marcata autonomia dalla Cdo nazionale, fin dai tempi in cui alla testa c’era Giorgio Vittandini, figuriamoci sotto gestione blanda di Raffaello Vignali, ora deputato Pdl, e quella, attuale e ultra soft, di Bernard Scholz. Un rassemblement di impre-
se e consenso da cui non può prescindere la politica veneta, soprattutto quando punta a Palazzo Moroni, sede del comune padovano per il quale, anche se la scadenza è lontana (2014), la corsa è già cominciata dopo che la Lega ha già scelto il suo uomo: il deputato Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella. Contemporaneamente, alcuni uomini della Cdo, incluso Debellini, sono stati rinviati a giudizio per truffa nella gestione di fondi europei sulla formazione, accusa che respingono tutti con decisione. Una situazione di debolezza che ha spinto addirittura a fondere la Nord-Est con la Cdo Verona, spostando gli uffici da via Forcellini, storico quartier generale, a una piccola sede nella città dell’Arena. E la lunga corsa elettorale, così come le scottanti vicende giudiziare, pesano nella vicenda del «Caffè senza porte», donato al municipio dagli eredi di Francesco Pedrocchi, più che i turisti rimasti senza cappuccino. © Riproduzione riservata
TUTTI UNITI, SINDACATI, INDUSTRIALI, INDIGNADOS DELL’ALTA VELOCITÀ E DEL BUNGA BUNGA, POPOLO VIOLA
E perchè, già che ci siamo, non fare una bella sommossa? DI
DIEGO GABUTTI
E
perché non organizzare, già che ci siamo, una bella sommossa? Tutti uniti, sindacati, industriali, indignados dell’alta velocità e del «bunga bunga», popolo viola e popolo del tricolore, magistrati democratici... insieme si potrebbe dare l’assalto a qualche questura o anche soltanto marciare sotto uno striscione che dice «viva la giusta lotta del popolo londinese, by jove» come nelle vignette immortali di Giorgio Forattini. *** Come il Partito democratico, che ha preso le distanze dai «tagli odiosi» e dalle «misure cannibali» che la crisi sembra avere (ancora non è detto) imposto a un governo riluttante, anche la Lega, temendo l’impopolarità più dei barconi carichi di clandestini, si è pubblicamente smarcata dalla ventilata riforma delle pensioni. Che alla corda delle manovre impopolari s’impicchino soltanto Giulio Tremonti e il Cavaliere! Loro facciano pure, macellino, affamino, ma noi no... ah, noi proprio no, noi siamo contro, sia ben chiaro. Ne prendano nota, per favore, i signori giornalisti. *** Quanto alla Cgil, invoca e minaccia uno sciopero generale contro quella che Pier Luigi Bersani, un demagogo o meglio un segretario generale d’altri tempi, chiama «massacro sociale». Ma Bersani non è il solo che invidia la libertà di manovra ai sindacalisti della lotta dura senza paura. Allo sciopero della Cgil, non fosse che per aumentare la confusione politica e affrettare (di-
ciamo così) la deberlusconizzazione del mondo, parteciperebbe anche la Confindustria, se soltanto potesse. *** Alla fine, dopo settimane di appelli alla rinuncia e al sacrificio, mai più vacanze, stop ai bagordi, tutti di sentinella giorno e notte, il governo si riunirà soltanto dopo Ferragosto, dopo l’abbronzatura. Mentre loro si tengono strette le ferie, noi rassegniamoci con un sorriso al taglio delle pensioni. *** «In Stati bene ordinati gente simile dovrebbe portare impresso sui bottoni uno zero» (Georg Christoph Lichtenberg, Osservazioni e pensieri, Einaudi 1966). *** Sarà vero che il Comune di Parma intende cambiare nome a una delle sue piazze oggi intitolata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per dedicarla a Raimondo Vianello e Sandra Mondaini? O non è uno di quei fattoidi e notizioidi che circolano sul web (ma che circolavano anche prima, come alla fine degli anni settanta, quando la rivista satirica il Male indicò Ugo Tognazzi, che per l’occasione si fece fotografare in manette tra due carabinieri, come capo segreto delle Brigate rosse?) *** Come a Garibaldi in tutte le piazze d’Italia, o a Giordano Bruno nella piazza dove fu messo al rogo, Alassio aveva eretto una statua a Totò. Una statua che adesso, chissà perché, viene abbattuta, come i monumenti (detti
«propaganda monumentale») di Lenin, di Stalin e di Felix Dzerzhinsky, il fondatore della polizia politica sovietica, nelle piazze sovietiche. *** E il monumento ad Aldo Moro eretto a Maglie, nel profondo sud? Sì, la statua che raffigurava il leader democristiano assassinato dalle Brigate rosse tragico, solenne e con una copia dell’Unità sotto il braccio. È ancora al centro della piazza, alla mercé di tutti i piccioni, o l’hanno già abbattuto? Pensano d’abbatterlo? E se putacaso volessero invece tenerselo, si decideranno almeno a fargli leggere Repubblica o il Fatto quotidiano prima o poi? *** Come finirà tra Berlusconi, il bel Casini e Coso... sì, il marito della sorella del cognato? Si rappacificheranno e, mano nella mano, danzando, s’avvieranno verso il tramonto della legislatura, come innamorati hollywoodiani, mentre il partito democratico, che aveva spasimato sia per l’Udc che per i futuristi e che per un po’ era stato corrisposto da entrambi, cadrà nella disperazione degli amanti delusi? Oppure non si rappacificheranno affatto e in questo momento stanno semplicemente tirando a fregarsi l’un l’altro con false promesse di fedeltà e d’amore eterno? O anche, consumati come sono dalla volontà di vendicare i torti subiti, veri o immaginari che siano, fingeranno soltanto di rappacificarsi, dopodiché tireranno lo stesso a fregarsi l’un l’altro? Be’, comunque sia, mai s’era assistito a un simile fenomeno: l’analisi politica è diventata analisi psicologica, Niccolò Machiavelli cede il posto a Mar-
cel Proust. *** «Siamo una strana specie: avendo sviluppato la capacità di concepire il futuro, tendiamo a vederne il lato oscuro, anche se ovviamente speriamo in un lieto fine» (Patrick Moore, L’ambientalista ragionevole, Dalai 2011). *** Mahmud Ahmadinejad, presidente iraniano, repressore fanatico e assassino di dimostranti a Teheran, condanna «fermamente la repressione e l’uccisione dei dimostranti a Londra». *** Anche Andrea Pastore, senatore berlusconiano, è contro la repressione, quella che colpisce (be’, per il momento minaccia soltanto di colpire) gli onorevoli italiani. Vogliono farci dormire sotto un ponte! Vogliono farci girare Roma a piedi o in autobus come saccopelisti e impiegatucci che vogliono vedere il Colosseo! E il decoro, eh, dove lo mettiamo? Gli abiti firmati, dico, e le cravatte eleganti, chi li paga? Noi? Di tasca nostra? *** Toma toma, cacchia cacchia, la patrimoniale è sempre più vicina. Avanza fischiettando, le mani dietro la schiena, a piccoli passi, fingendo di passare per caso. Mezzo Popolo della libertà, peggio del Pd, l’ha invocata e continua a invocarla, mentre l’altro mezzo, Cavaliere in testa, è in preda al panico. Morire, si sa, capita a tutti. Ma non è di questa morte, passando cioè al nemico e inimicandosi praticamente ogni elettore di centrodestra, che il berlusconismo, potendo scegliere, vorrebbe morire.
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Giovedì 18 Agosto 2011
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La consorte del leghista e la compagna del presidente Pd della Toscana rinunciano alla carriera
Le mogli dei politici sono a rischio Le favorite hanno rovinato il mercato, punendo le meritevoli DI
GOFFREDO PISTELLI
F
ra moglie e marito non mettere il posto. Specialmente se pubblico e da dirigente. Soprattutto se il marito è un politico di primo piano. A pochi giorni di distanza, le vicende di due consorti di amministratori locali portano alla ribalta il delicato rapporto fra incarichi politici e situazioni familiari. Delicato soprattutto per il ruolo e il rilievo dei compagni. Il primo è Massimo Bitonci, deputato leghista e sindaco di Cittadella (Padova), assurto alle cronache per le numerose ordinanze comunali, dai vucumprà ai kebab passando per le riviste oscene esposte nelle edicole, e che la Lega vuole candidare a primo cittadino di Padova nel 2014.Il secondo è il governatore della Toscana, Enrico Rossi, uomo forte del Pd di quella regione e quindi d’Italia, amministratore volitivo e tenace (è riuscito persino a convincere Matteo Renzi sull’attraversamento fiorentino della Tav) e sicuramente atteso a un futuro politico nazionale. Nei giorni scorsi, la signora Bitonci, al secolo Gianna Dolzan, ha vinto un concorso da dirigente amministrativo di seconda fascia nel-
Massimo Bitonci
Enrico Rossi la casa di riposo cittadina. Non una struttura comunale o di un ente collegato, ma un Ipab, vale a dire un istituto di pubblica assistenza e beneficienza, enti autonomi nati per lasciti o fondi pubblici e regolati addirittura da una legge che data 1890, presidente del consiglio Francesco Crispi.La Dolzan, dottore commercialista e revisore contabile, era una dei tredici candidati, una dei tre ad aver superato lo scritto e risultata la migliore all’orale, probabilmente anche per i titoli, lavorando nella struttura da undici anni.
Essendo Bitonci forse sovresposto – la sortita antikebab era dei giorni immediatamente precedenti – qualche giornale locale e qualche avversario politico occhiuto, come il consigliere regionale Pd Piero Ruzzante, avevano avanzato sospetti e fatto polemiche circa l’opportunità. Provocando la reazione indignata del deputato e sindaco che, fiammeggiando, ha minacciato querele: «È disgustoso comunque essere attaccato su questioni di carattere personale e familiare», ha detto al Gazzettino, ricordando
come la Dolzan lavorasse nella casa di riposo «prima ancora che ci sposassimo, prima che diventassi sindaco e onorevole» e concludendo con il più retorico degli interrogativi: «È colpa mia se è una persona intelligente e preparata»?Intelligente e preparata è anche il direttore generale dell’Asl di Siena, Laura Benedetto. È arrivata nel 2009 ai vertici di un’azienda da 2mila dipendenti avendo alle spalle un robusto curriculum: direttrice di case di cura nelle Marche e direttore amministrativo dell’ospedale di Sassuolo,
nel Modenese. A sceglierla, l’allora presidente toscano Claudio Martini, con l’attuale governatore Rossi in posizione di assessore alla Sanità. Non sappiamo se galeotta fu la gestione sanitaria, ma fra Rossi, separato con un figlio, e Benedetto è scoppiato l’amore che dapprima i due hanno vissuto lontano dai riflettori ma che, in tempi recenti, ha visto la coppia partecipare assieme anche a occasioni ufficiali fino, come riferisce il Corriere Fiorentino, alla convivenza. Una situazione che poteva dar luogo a polemiche e discussioni, e che la Benedetto ha deciso di troncare nei giorni scorsi, dimettendosi «per ragioni strettamente personali» dall’incarico dirigenziale. Sempre secondo il quotidiano fiorentino, lo fa perché lei e il governatore convoleranno a nozze e, in quel caso, l’incompatibilità sarebbe divenuta patente. L’interessata non commenta. Se non ci saranno i fiori d’arancio, invece, avrà vinto l’opportunità.Nell’Italia arrabbiata per i costi della politica, due storie in cui il prezzo, di polemiche e di dimissioni, stavolta lo pagano i politici stessi. E anche le loro mogli. © Riproduzione riservata
La Provincia guidata da Schitulli ritira la delibera che avrebbe dotato la polizia di strumenti hi-tech
A Bari il centrodestra resta senza superesercito DI
C
ANTONIO CALITRI
olpita dal cavalcante sentimento anticasta, la provincia di Bari, enclave di centrodestra tra la regione di Nichi Vendola e il comune di Michele Emiliano, rinuncia all’esercito hi-tech e taglia uno spreco da oltre tre milioni di euro.
Il rischio di abolire le province si avvicina e gli enti meno graditi dalla politica nazionale cercano di correre ai ripari per non far sì che siano proprio i loro sprechi ad essere presi a pretesto per giustificare la loro abolizione. Almeno così succede a Bari, dove solo due mesi fa la provincia aveva deciso di dotare di strumenti hi-tech la polizia provinciale con un progetto da 3,276 milioni di euro che le avrebbe consentito di trasformarti in una sorta di esercito del futuro, pronto a stanare i terroristi alla Osama Bin Laden quasi fossero i marines Usa, grazie all’ausilio di droni senza pilota capaci di volare radiocomandati per 40 minuti nei parchi e nelle città. Una polizia in grado di essere attiva anche in caso di cataclismi e lunghissimi blackout elettrici, grazie a zainetti aenergia solare capaci di ricaricare telefonini e altri strumenti elettronici. Insomma, una dotazione sproporzionata per i limitati compiti della polizia provinciale che partiva dagli eli-
Nichi Vendola
il compenso cotteri - droni radioappena precomandati dal costo sentato il fatotale di circa 300 mila scicolo a Brueuro utili più che per xelles. Anche la caccia ai terroristi a se alla fine localizzare i clandestinon fosse anni, alcuni mezzi anfibi dato a buon da utilizzare in caso di fine. E così, allagamenti come ca«rilevato che, pita spesso in inverno in questo penelle campagne baresi, riodo partisoftware e tanti altri atcolarmente trezzi tecnologici, tutto difficile per fi nanziato dall’Unione il nostro PaEuropea. Il drone però ese» motiva è stata la fatidica buccia la delibera, di banana che ha per«pur nella messo alla provincia di ridotta posBari di conquistare spasibilità conzio in testa alle inchiesentita dalle ste della stampa nazioMichele Emiliano norme che nale sugli sprechi delle attribuiscono province italiane. allo Stato gli interventi strutturali finaAccortosi della gaffe, mentre molti lizzati al contenimento della crisi ecosuoi colleghi o governatori o sindaci, nomica con l’obbligo per gli Enti Locali stanno approfittando di agosto per di concorrere alla riduzione della spesa compiere gli ultimi pacchetti di nomine pubblica, l’iniziativa intrapresa dall’Enprima di ventilati blocchi, Frante per il potenziamento logistico - opecesco Schittulli, il presidente rativo delle proprie attività istituzionadella provincia di Bari, unico del li nel settore della Polizia Provinciale, centrodestra negli enti del capoluonon consente in nessun caso il ricorso go pugliese, ha deciso di fare marcia a spese aggiuntive rispetto a quelle già indietro. Meglio non tirare troppo la previste in sede di approvazione del bicorda in questo periodo, avrà pensato. lancio preventivo 2011 già approvato A maggior ragione che il progetto gli era dall’Ente» e quindi viene ritirato. stato presentato da consulenti esterni, figure che adesso non vanno troppo di © Riproduzione riservata moda e che avrebbe ricevuto comunque
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Giovedì 18 Agosto 2011
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La deputata viterbese, Ferranti, non si scaglia solo contro Maroni ma anche contro Renzi
Il Pd litiga sugli omicidi stradali
Sarebbe demagogico inasprire le pene per gli ubriachi DI
GOFFREDO PISTELLI
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opo le strade, nel caso specifico la costruenda autostrada Tirrenica, arriva anche l’omicidio stradale a dividere il Partito democratico. Non si sono spente ancora le baruffe, tutte interne al Pd toscano, sul percorso della nuova autostrada destinata ad attraversare la Maremma, completando cosi il tratto tirrenico che unisce Roma, da una parte, con la Liguria e, dall’altra, attraverso la Cisa, con Parma passando ovviamente per la Toscana, che ne è la maggior benefi ciaria, che la polemica si sposta sull’omicidio stradale, reato che, nei giorni scorsi, dinnanzi all’ennesima mattanza sulle strade con guidatori ubriachi come protagonisti, era stato invocato dai ministri degli Interni, Roberto Maroni, e della Giustizia, Nitto Palma. Contro di loro s’è scagliata la deputata viterbese Donatella Ferranti, magistrato e capogruppo Pd in commissione Giustizia della Camera, che ha attaccato i due ministri rei di fare demagogia un tanto al chilo, come avrebbe detto
Bettino Craxi. «È grave che due tra i più importanti ministri uniscano le loro forze per fare propaganda», ha detto alle agenzie la parlamentare, secondo la quale l’interessamento è frutto di uno «schema solito»: ogni volta che le cronache premono e la gente si indigna, «il governo annuncia che ci saranno nuove fi gure di reato che facilitano il ricorso al carcere preventivo». Secondo la parlamentare, che pesca evidentemente dai suoi trascorsi nelle aule di tribunale, «i ministri non possono non sapere che il giudice ricorre già alle norme del codice, come quelle sul dolo eventuale o l’omicidio preterintenzio-
Donatella Ferranti nale, per punire adeguatamente l’omicidio stradale non colposo».
Matteo Renzi
Una presa di posizione che ha fatto arrabbiare il Pd fiorentino, il cui campione, il sindaco Matteo Renzi, aveva proposto la nuova fattispecie di reato ben prima della sortita dei due ministri, raccogliendo oltre 31mila fi rma insieme all’associazione dedicata a una giovane vittima, Lorenzo Guarnieri, col sito dedicato http://www.omicidiostradale.it Da Firenze a rispondere al magistrato è un avvocato, Francesco Bonifazzi, capogruppo del partito di Bersani a Palazzo Vecchio:
«Servono strumenti adeguati per evitare casi assurdi come quelli dell’immediata rimessa in libertà di chi ha appena ucciso alcune persone, perché guidava ubriaco», ha detto con evidente riferimento al caso, del Suv contromano a Ovada, sull’A26, il cui guidatore, in grave stato di ebbrezza, ha ucciso quattro giovani francesi. Una presa di posizione, cui fa eco Patrizio Mecacci, segretario metropolitano Pd: «Basta chiacchiere», dice, «serve un vero deterrente, per evitare altre tragedie». Più blanda, ma sempre critica, Tea Albini, consigliere comunale dello stesso partito, da poco entrata in parlamento da poco, per le dimissioni del neosindaco senese Franco Ceccuzzi: «Quando avvengono fatti così gravi», ha detto, «serve la massima severità: a Roma lavorerà per portare avanti la mobilitazione partita da Firenze». Tace, per ora, Renzi. Dalla sua pagina Facebook, il sindaco aveva mandato un plauso al ministro Maroni: «Bravo», aveva scritto. Chissà se la userà ancora per rispondere alla Ferranti, politica che non dimentica la toga di giudice. © Riproduzione riservata
DAVANTI ALLA FIGLIA DI UN EX POLITICO SINISTRO CHE GODE D’UN VITALIZIO PUBBLICO PER L’ETERNITÀ
Francesco Merlo vorrebbe mettere sull’attenti Brunetta DI DIEGO GABUTTI giornalista rimpolpa il suo libretto. O Merlo pensa sul serio che la figlia Prendersela con Renato Brunetta d’un ex politicante ultrasinistro che è facile. Sbraita, ha la risata stridula gode per l’eternità d’un vitalizio pubper non dire isterica, insulta, cerca (e blico (una ragazza, giovane ma non trova) la rissa, talvolta delira, minacgiovanissima, che personalmente gode cia, incarica la sicurezza di sistemare di remunerazioni magari precarie ma oggi un cretino, un altro la «peggiore più consistenti di molti stipendi gaItalia», abbraccia ogni causa con pirantiti) possa essere onestamente deglio da campione di kung fu (senza finita (come fa lui, Merlo) una «precaesserlo) e, quel che è ria» per di più «muta peggio, ha un’opinione e pacifica» di fronte non esagerata ma inalla quale «un minisensata di sé. stro dovrebbe sempre Oltre che facile, può e comunque mettersi dunque sembrare ansull’attenti»? che giusto prenderseSull’attenti? Sempre e la col ministro della comunque? Muta e pafunzione pubblica e cifica? Ma per favore. «fargliela pagare», O il ministro dovrebbe proprio come lui, semettersi sull’attenti condo il giornalista sempre e comunque Francesco Merlo, di fronte a chiunque si autore di Brunetta il autoproclami rappreFantuttone, Aliberti, sentante dei precari pp. 144, euro 11,00, e che Francesco MerFrancesco Merlo intende farla pagare lo garantisca come a chiunque dia ombra al suo Ego e «muto e pacifico»? alla sua visione del mondo, l’una più Potrebbero autoproclamarsi rappreingombrante dell’altro. sentanti dei precari (non so) anche È facile, forse è anche giusto, tuttaCarlo Verdone o Carlo De Benevia non è bello. Brunetta, benché si detti e (diciamo) Patrizia d’Addasia ridotto da sé a macchietta di You rio quando accusa Silvio BerluscoTube, e per quanto sia continuamente ni (ma non più quando lo scagiona)? tradito dal suo pessimo e grottesco caAnche chi ha un doppio lavoro può rattere, ha infatti quasi sempre ragiorappresentare per autoproclamazione, come dimostrano anche le lettere ne tutti i precari d’Italia zumpappà? sarcastiche e furiose che il ministro E il primo che passa, chiunque sia, ha indirizzato a Merlo e con le quali il anche un fachiro, oppure un sosia
d’Elvis Presley, ha diritto anche lui al presentat’arm del ministro della funzione pubblica? Ma Brunetta, oltre ad amare il precariato e a odiare i precari, sospira ancora Merlo, sempre più esasperato, se la prende anche col Sessantotto, «nientemeno». Nientemeno? Perché «nientemeno»? Praticamente tutti i governi occidentali, negli ultimi venti o trent’anni, se la sono presa col Sessantotto, e mai per effetto di qualche strambo e incomprensibile capriccio, come sembra credere Merlo, ma sempre con ragioni (che si possono condividere o meno, visto che il mondo è vario e così le opinioni sul mondo) perfettamente argomentate. Brunetta, inoltre, quando ha dichiarato guerra ai fannulloni e fancazzisti (brutte parole, parole ineducate, vabbé, ma l’importante è intendersi) del pubblico impiego, dice ancora Merlo, lo ha fatto ignorando le buone maniere (non frequenta «i salotti», perché non lo vogliono, né lui né Sandro Bondi e forse nemmeno Giulio Tremonti, ed è lì, nei salotti che s’imparano, insegna Merlo, le buone maniere). Si è cioè comportato da «energumeno tascabile», come lo ha definito Massimo D’Alema con una battuta memorabile (in futuro non ci sarà altra ragione, immagino, per ricordarsi dello skipper e «statista» di Gallipoli). D’accordo: Brunetta, oltre che pic-
colo e maligno, è anche maleducato, un cafone. Ma ha torto quando combatte il fannullismo degli impiegati pubblici? No, ha ragione, e lo sa anche Merlo. Idem quando illustra (esagerandole, com’è nella sua natura) le virtù risolutrici della flessibilità fingendo d’ignorarne il coté socialmente drammatico. Potrebbe, è vero, moderarsi ed evitare i toni striduli, da crociata ideologica flessibilista. Ma ha torto a spiegare che la flessibilità è un passo inevitabile nell’organizzazione futura del lavoro? Via, Merlo, il ministro ha ragione. Brunetta (infine) è senz’altro, come dice sempre l’autore del Fantuttone, uno di quei socialisti craxiani antipatici e arroganti che occupavano la scena politica negli anni ottanta dello scorso secolo. Giusto: i socialisti non conoscevano il galateo e, tenuti «a distanza» dai salotti per la loro rozzezza, non hanno mai imparato a comportarsi in società, per esempio rubavano come tutti lasciando dappertutto le loro impronte digitali. Ma avevano torto quando volevano rinnovare la sinistra (e le istituzioni)? Nemmeno un editorialista di Repubblica come Francesco Merlo può seriamente credere che avessero ragione i lettori radical e filocomunisti di Repubblica che li bombardavano di monetine. © Riproduzione riservata
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Venerdì 19 Agosto 2011
PRIMO PIANO
Per trattare con il ministro delle Regioni si è inventato che voleva cambiare i toponimi italiani
La volpe altoatesina è in azione Il presidente Durnwalder usa Fitto contro i tagli di Tremonti DI
GUIDOBALDO SESTINI
A
ltro che toponimi italiani, Luis Durnwalder voleva incontrare il ministro Raffaele Fitto perché sapeva che Giulio Tremonti avrebbe picchiato duro sulla sua provincia di Bolzano. Il settantenne politico della Val Pusteria, alla guida del governo provinciale altoatesino, dimostra, una volta di più, tutto il suo acume politico: nei giorni scorsi, con un colpo a sorpresa, era entrato nel lavoro della apposita commissione incaricata di rivedere i nomi di molti luoghi, italianizzati nel Ventennio fascista, decidendo quali salvare e quali riportare all’origine tedesca o ladina. Il presidente aveva da una sforbiciata ulteriore a quelli italiani, ritenuti da salvare perché ormai entrati nell’uso comune. Un atto che, inevitabilmente, aveva sollevato molte polemiche, soprattutto da parte delle opposizioni pidielline ma anche da parte delle componenti italiane della maggioranza, come nel caso di alcuni consiglieri del Pd. Una polemica che non poteva non arrivare all’orecchio di Raffele Fitto, ministro per le Regioni, in vacanza da quelle
parti, a Renon. «Se il ministro vuole incontrarmi sono disponibile», s’era premurato di dire Durnwalder, aggiungendo però, con garbo tutto sudtirolese, «di non volerlo disturbare». Di ritorno dall’ultimo consiglio dei ministri, Fitto non s’è tirato indietro e l’incontro c’è stato. Le foto ufficiali li ritraggono insieme sul balcone fiorito della baita che ospita Fitto per la vacanza, seduti al tavolo a conversare piacevolmente in abiti sportivi: col maglioncino il ministro abituato ai calori pugliesi, in camicia a maniche corte il presidente temperato al fresco delle valli. Sorridenti entrambi. L’argomento della discussione non è però il cambiamento del nome del rifugio Stella in Lichtenstern, tanto per citare uno dei toponimi che a Durnwalder non vanno a genio, ma il taglio miliardario che Tremonti ha pensato per Bolzano in tre anni. Non si conosco i dettagli, salvo il fatto, trapelato da am-
bienti Svp, che il ministro ha dato un’ampia disponibilità a discutere la vicenda bolzanina con Roma. Prima però, avrebbe detto, occorre che inizi il passaggio parlamentare. Insomma, uno dei tanti assalti alla diligenza tremontiana potrebbe arrivare dagli indiani-schutzen dell’Alto Adige, con la complicità di uno dei ranger che dovrebbe scortare il convoglio. Ovviamente si è parlato anche dei toponimi da salva-
Luis Durnwalder
Raffaele Fitto re o da cassare. Come ricorda un comunicato stampa di Palazzo Widmann, sede provinciale: «Il ministro Fitto ha già dimostrato la sua volontà di giungere a un’intesa», recita il documento, «che possa fungere da base per la futura legge sulla toponomastica». Il leader della Svp, che da tempo ha annunciato di voler abbandonare le scene politiche bolzanine ma per il quale non si trovano successori, ha così attivato sua personale diplomazia. Pur essendo conterraneo di quel Georg Klotz, il martellatore della Val Passiria che negli
La proposta del sindaco Pdl di Altopascio, Marchetti: basta riaprire le case chiuse
Una tassa sulle lucciole per trovare qualche risorsa in più per i comuni DI
GOFFREDO PISTELLI
N
on lucciole per lanterne, ma lucciole per contribuenti. È quanto propone di prendere il poliedrico sindaco di Altopascio, in Lucchesia, Maurizio Marchetti, 51enne, pidiellino, che ha iniziato da poco il suo secondo mandato. In mezzo alle polemiche della manovra-bis, mentre ovunque iniziava la litania sulle province morenti e micro-comuni fondenti, lui, che pure passa per rottamatore del Pdl toscano, ha lanciato la sua proposta: far emergere il gran fiume di “nero” rappresentato dai ricavi delle prostitute, dandone la gestione ai comuni. «Basta ipocrisie», ha detto alla stampa locale, «o legalizziamo la prostituzione o diventi reato». Secondo il primo cittadino, è ingiusto che le famiglie italiane stentino «nel pagare le tasse fino all’ultimo centesimo», mentre chi mercifica il proprio corpo arriva a incas-
sare «anche 10mila euro al mese, salvo poi destinare quei ricavi ad altri paesi, essendo straniere». Marchetti, insomma, non ce l’ha col mestiere più antico del mondo in quanto tale, ma con gli aspetti di evasione tributaria connessi, addirittura col sospetto di esportazione dei piccoli-grandi capitali all’estero. Lui non propone un altro scudo fiscale per le mondane, come ai tempi delle case chiuse si chiamavano le signore, ma semplicemente di cassare la legge Merlin, quella che i bordelli serrò per sempre, e vuol attribuire il gettito delle nuove tasse ai comuni in cui la vendita corporale venga effettuata. Marchetti non dice per dire, s’è documentato, parla «di un settore che le stime attendibili quantificano in 70-100 mila operatori» e rivendica la paternità dell’idea, avendola già strutturata nel 1998. «Allora, anche se c’erano dei deputati che se ne inte-
Maurizio Marchetti ressarono», ricorda, «si arenò in parlamento, incontrando alcuni problemi di moralità». Gli stessi probabilmente che, in questa legislatura, avevano spinto il ministro Mara Carfagna a promuovere una norma che colpisse «gli utilizzatori finali» delle prostitute e che finì per dare involonta-
riamente argomenti polemici ai molti nemici di Silvio Berlusconi, per le controverse serate di Palazzo Grazioli o di Arcore. Marchetti non molla. Lui che ha persino proposto la depenalizzazione delle droghe leggere, che ha vietato Facebook ai dipendenti comunali, sembra ricalcare le gesta del sindaco di un paese non troppo lontano, Aulla, nella confinante Lunigiana. Qui il socialista Lucio Barani, craxiano di ferro, è salito alla ribalta per aver ribattezzato il suo comune come «dedipietrizzato», alla maniera dei paesi denuclearizzati di fine anni ’70, e per aver dedicato una piazza «ai martiri di Tangentopoli», con tanto di statua dello storico segretario morto nell’esilio di Hammamet. Oggi Barani siede in parlamento. Marchetti probabilmente ci arriverà. © Riproduzione riservata
anni 50 mandava messaggi agli Italiani tirando giù i tralicci col tritolo, herr Durnwalder è un diplomatico nato. Un po’ come la buonanima di Silvius Magnago, il volto affilato e col leggero tremito che lo affliggeva, che da deputato Svp in parlamento annunciava, quando occorreva, la fiducia ai governi democristiani di turno, non prima di aver concordato, con Giulio Andreotti, Mariano Rumor o Amintore Fanfani del caso, sostegni e autonomie crescenti per le terre altoatesine. Anzi, sudtilorer bitte! © Riproduzione riservata
Rossi, subito via ai ticket La regione Toscana non aspetta un minuto, e già da lunedì è pronta a far partire i nuovi ticket per le prestazioni sanitarie. Il balzello, imposto dalla manovra finanziaria del 13 agosto, partirà da lunedì 22 agosto, a cominciare dalle ricette, e sarà dovuto solo dai cittadini a maggior reddito (oltre i 36.151,98 euro). La regione guidata da Enrico Rossi ha però cercato di addolcire la pillola avvalendosi del meccanismo del reddito familiare. Infatti si pagheranno ticket differenziati per reddito familiare, proporzionato cioè al «reddito familiare fiscale» che risulta nella ultima dichiarazione dei redditi e che sarà autocertificato dal cittadino. L’eventuale evasione del ticket su dichiarazione non vera, comporterà il recupero degli importi non pagati per le prestazioni erogate. Da martedì sono in vigore anche i nuovi tariffari per le visite specialistiche. Gli aumenti non sono uguali per tutte le prestazioni. In alcuni casi sono semplici arrotondamenti. In altri casi gli aumenti sono vicini al 20%.
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PRIMO PIANO
Sabato 20 Agosto 2011
Si è costituita un’anomala Santa alleanza fra il sindaco pidiellino e i post-comunisti
Tutti in difesa di Prato provincia
La capitale degli stracci e culla dei cinesi sale sulle barricate DI
GOFFREDO PISTELLI
M
r. Sasch e i post-comunisti, insieme sulle barricate per difendere Prato provincia. Il sindaco pidiellino della capitale degli stracci, la culla dei cinesi e il distretto in declino industriale cantato da Edoardo Nesi, lancia una santa alleanza con gli odiati avversari del Pd, per salvare l’ente provinciale a rischio soppressione. a lungo rincorso e poi ottenuto nel 1995. Il 59enne Roberto Cenni, industriale del tessile dal noto marchio street-style, Sasch appunto, abile delocalizzatore in Cina mentre gli asiatici assediavano Prato, l’uomo che due anni fa aveva dato una gioia a Berlusconi, strappando una città rossa per tradizione al centrosinistra dopo una campagna elettorale dai toni durissimi, sulla Manovra bis innalza la bandiera della pratesità e tende le braccia al
«cassando» presidente provinciale. Nello specifico: Lamberto Gestri, 69 anni, ingegnere, una lunga militanza dc (di cui fu segretario provinciale fra gli anni ’70 e ’80) e arrivato al Pd dalla sponda margheritina. «Non ritornino le vecchie logiche di vassallaggio», ha tuonato il sindaco, dove il richiamo feudale evoca il ruolo storico e politico di Firenze, con cui si dovrebbe accorpare, una volta defunta, la provincia pratese. Cenni parla di un ente «consolidato», nega i risparmi dell’operazione. Più che un ex-industriale e un berlusconiano che ha combattuto la battaglia contro gli statalisti del Pd-Ds-Pds, sembra un democristiano d’altri tempi. Lo stesso Nesi, vincitore dello Strega con una storia strappalacrime sugli industriali tessili «ammazzati» dalla globalizzazione, Storia della mia gente, e che in quella provincia fa l’assessore alla Cultura (e al marketing territoriale), non
Roberto Cenni
Lamberto Gestri
si spinge a tanto, anzi: «Difficile dare un’opinione sulla mossa del governo», aveva detto al Corriere Fiorentino, «anche il centrosinistra forse sarebbe stato costretto a fare questa scelta perché il territorio diffuso non può reggere di questi tempi». Gestri intanto ringrazia il sindaco. Ha studiato al Cicognini, storico liceo cittadino, anche lui come Nesi e come Curzio Mala-
parte. La pratesità ce l’ha nel sangue. «Per l’autonomia di Prato», dice, «è un passo indietro e spero che oltre la provincia non vogliano tagliare anche i servizi». Alla chiamata già rispondono, bipartisan, i deputati Pd e Pdl: nel primo caso il potente Antonello Giacomelli, l’ultimo segretario della Dc pratese divenuto braccio destro di Dario Franceschini; nel secondo Riccardo Mazzo-
ALTRO CHE NUOVI ISTITUTI. MA LA GESTIONE VA AFFIDATA IN APPALTO AI PRIVATI
Carceri: perchè il braccialetto elettronico funziona in tutti i paesi salvo che da noi? DI
L
PIERO LAPORTA
e carceri sovraffollate, tormentone d’ogni estate, saranno dimenticate quando Marco Pannella riavrà l’appetito o sarà stufo di giocare a tana liberatutti. Passata l’estate, con o senza l’indulto, non se ne parlerà più ma il problema resta. In Italia le carceri ospitano oltre 60mila detenuti, su una capacità di 50mila. Un terzo dei detenuti sono stranieri, extracomunitari oppure balcanici. Il problema sovraffollamento delle carceri concerne paesi europei e non, ma altrove hanno la soluzione: il braccialetto elettronico. A dire la verità l’abbiamo adottato anche noi, tuttavia con qualche differenza. Pochi ricordano in questo paese di smemorati che nel 2001 la Telecom spuntò 110 milioni per 400 braccialetti elettronici, fino al 2011. Pagheremo ancora fino a settembre. Tempo fa ne funzionavano una decina, per sperimentarli: oltre un milione di euro a braccialetto per anno. Oggi forse non funzionano neppure quelli. Tutti i paesi civili usano il braccialetto. La Gran Bretagna lo usa su 50mila adulti condannati o imputati, spendendo un quinto rispetto alla detenzione tradizionale, coprendo anche la sorveglianza H24 su minorenni, tifosi e automobilisti a rischio. Là pieno successo, qui costoso flop. Perché? In Gran Bretagna la sorveglianza elettronica è a gestione privata. I contractors, vinto l’appalto, garantiscono il servizio. La Telecom fornì al ministero di Giustizia i dispositivi sulla base di requisiti operativi descritti da qualcuno che, giocando con la play station, presumeva di conoscere le hitech. Ottenuti gli apparati,
rimase la nebbia delle procedure. Chi crede di rimediare con corsi di formazione reca ulteriori gravami ai costi complessivi, senza garanzia che il personale sia compatibile coi requisiti del sistema. Flop arciscontato. Chi paga? Un’altra domanda: che si aspetta in Italia a privatizzare questi servizi? Oggi anche il Brasile ci surclassa nella sorveglianza elettronica e sta svuotando le carceri. Partiamo da un concetto elementare: se i nostri apparati statali fossero vocati alle hi-tech non saremmo dove siamo. Tanto più banale è osservare che i rari casi d’alta specializzazione nelle polizie non sono peculiari al personale di custodia delle carceri, tanto meno a tutte le ramificazioni delle innumerevoli polizie italiane, coi loro 500mila addetti. Chi tarantola all’idea che una polizia privata metta un braccialetto allo stato, ricordi che 60mila agenti privati sono da tempo nella nostra (in)sicurezza e già operano nelle situazioni più calde. Si può lasciare la scelta in molti casi al carcerato: cella o braccialetto? Se sceglie il braccialetto, sarà sottoposto a sorveglianza H24 da una consolle che copre territori di più regioni, con comunicazioni «punto a punto» dalla consolle alle polizie. In caso di violazione o fuga, lo si rimette in cella e si butta la chiave fino alla fine della pena. Questa macchina non è gestibile autonomamente dalle polizie e ne evidenzia le carenze e le ridondanze. E questo è forse l’ostacolo insormontabile, in Italia, non in Gran Bretagna e neppure in Brasile. prlprt@gmail.com © Riproduzione riservata
ni, ex-giornalista molto vicino a Denis Verdini, di cui diresse il Giornale della Toscana, dorso locale del più famoso foglio di Paolo Berlusconi. Entrambi affilano gli emendamenti. In caso di sconfitta, è già pronta l’alleanza con i vicini pistoiesi, dove il sindaco Renzo Berti e la presidente provinciale Federica Fratoni, entrambi Pd, studiano fusioni fredde con Prato per scongiurare un comune accorpamento all’odiata Firenze, il cui sindaco, Matteo Renzi, è un noto fan di un’unica area metropolitana che inglobi i tre capoluoghi di provincia. A rendere la discussione surreale, come certi dialoghi del benignano Berlinguer ti voglio bene ambientato proprio da queste parti, la continuità territoriale fra Firenze, Prato e Pistoia: da est a ovest attraverso la grande Piana, ormai un’unica città di un milione e mezzo di persone. © Riproduzione riservata
Alla Svp di Merano non piacciono le quote rosa DI
GUIDOBALDO SESTINI
Le quote rosa non piacciono alla Stella Alpina. Almeno a Merano. La Suditiroler Volkspartei, nel cui simbolo c’è appunto il fiore di montagna, conferma di voler fare della città altoatesina un laboratorio politico davvero singolare. Se infatti stavolta ha guidato i suoi alleati a dire no alla bozza di statuto che introduceva nel municipio, ma anche nelle società controllate, posti riservati alle donne, oltre un anno fa, dopo il ballottaggio vincente del sindaco Gunther Januth, aveva deciso di varare una maggioranza senza il Pd, alleato storico nell’area, e con dentro due liste civiche, una di ex-bersaniani, l’altra di ex-pidiellini oltre all’Idv e con l’appoggio esterno della Lega. E la bocciatura della bozza di statuto produce un altro strappo dai piddini, visto che la piattaforma di modifiche rosa arrivava con voto unanime, Svp compresa, da una commissione presieduta dalla consigliera bersaniana Vanda Carbone che, subito dopo Ferragosto, s’è dimessa polemicamente. Indignata perché Merano è stata in passato una delle poche municipalità della provincia bolzanina ad avere un sindaco donna, con la diessina Claudia Chisté. Parla di battaglia di civiltà, la Carbone, e punta il dito contro le colleghe della Svp, che si sono allineate al diktat, del segretario cittadino, l’obmann come come lo chiamano lassù, Toni Gögele, il quale ha dichiarato serafico: «Manteniamo la nostra linea e gli accordi politici di coalizione e, anzi, talvolta andiamo anche oltre le previsioni di legge». Imbarazzata la dichiarazione di Angelika Margesin, responsabile delle donne Svp, e che aveva votato a favore dello statuto al femminile: «La maggioranza ha deliberato e le regole della democrazia vanno rispettate», ha detto all’Alto Adige, dicendosi «personalmente contraria a questa impostazione». Il sindaco Januth alza le spalle: nessun ricorso al Tar contro la composizione attuale della giunta (una sola donna, l’assessora Heidi Siebenförcher) è stato presentato nei termini e lui non rischia di dover «rimpastare» precipitosamente come era accaduto a Roma, al suo omologo Gianni Alemanno. Alla consigliera d’opposizione dimissionaria, manda a dire che «a Merano ci sono poche donne in giunta, come alla Provincia di Bolzano, dove il Pd sta al governo». E infatti nel capoluogo, Luis Durnwalder ha chiamato intorno sette uomini e solo una donna, Sabina Kasslatter Mur, la bella assessora alla Cultura tedesca, già giornalista di Dolomiten. Ma evidentemente i diritti delle donne, per il Pd altoatesino, si fermano in Val Passiria e non ce la fanno ad arrivare giù, fino a Bolzano. E se l’altra metà del cielo arranca sotto la stella alpina tirolese, anche all’ombra del ramoscello d’ulivo bersaniano c’è poco da stare allegre. © Riproduzione riservata
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PRIMO PIANO
Martedì 23 Agosto 2011
Dopo la grana delle pensioni scoppia la polemica sul prezzo agevolato dei menù: 9 euro
Sicilia imbattibile. Al ristorante I deputati regionali vincono anche la sfida alla buvette DI
ANTONIO CALITRI
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opo aver battuto i parlamentari nazionali nella velocità del conseguimento della pensione, i deputati regionali siciliani vincono anche in risparmio del costo del menù alla buvette del ristorante. Che scatena gli indignati siciliani raggruppati nel movimento delle Forchette rotte, in una manifestazione di protesta per la riapertura dei lavori dell’assemblea regionale, invitando i cittadini a manifestare proprio davanti al ristorante della casta isolana. Soltanto poche settimane fa c’era stata la denuncia della stampa nazionale sul privilegio della buvette del Senato e di quella della Camera. Con i parlamentari che mentre votano leggi che aumentano tasse e diminuiscono i servizi ai cittadini, nei loro fortini continuano a vivere spendendo pochi euro. E a pranzare nel centro di Roma e con servizio in livrea e guanti, a un costo medio di 15 euro. Scandalo doppio visto che nonostante guadagnino molto di più dei tartassati cittadini possono pagare anche molto meno. Secondo il quotidiano napoletano Il Mattino che fece un confron-
to con i ristoranti aperti ai comuni mortali, un pranzo che dentro palazzo Madama costa al senatore 19,87 euro per antipasto, due primi, due secondi, contorno, dolce, pane e servizio, al ristorante di pari qualità costerebbe 118 euro. Scandalo che ha costretto i vertici del Senato guidato da Renato Schifani a promettere per la ripresa un cospicuo aumento dei prezzi. Mentre a Roma in molti attendono che ci sia un seguito alle promesse, a Palermo scoppia una nuova grana per la casta siciliana. Che già è tra
Schifani circondato dal popolo viola Il popolo viola annuncia per oggi un presidio di «indignati» al Senato, dove partirà l’iter parlamentare della manovra. Fuori dall’aula di palazzo Madama, presieduta da Renato Schifani, dovrà fare i conti con le proteste del leader dei viola, Gianfranco Mascia, che però dovrà fare lo slalom tra i lavori in corso nel centro storico della capitale. Il popolo viola ha già i suoi slogan: «Noi questa crisi non la pagheremo», accusando la «casta dei politici». Urlando «E io pago?» indicheranno quanto spendono i cittadini ogni minuto «per pagare i signori che hanno occupato il palazzo». Mario Nuzzi
E la Camusso occupa Caracalla Si chiamerà «Piazza bella piazza», la festa che la Cgil organizzerà dal 2 all’11 settembre nello storico spazio romano delle terme di Caracalla. E la confederazione sindacale guidata da Susanna Camusso ha definito nei dettagli il programma di un evento che si svolgerà nei giorni successivi, 15, 16 e 17 settembre, nello stesso luogo, è completato: ci sarà una festa popolare per ricordare Luciano Lama e Enrico Berlinguer, promossa dalla fondazione intitolata a Giuseppe Di Vittorio. Per ricordare Berlinguer, oltre a Pier Luigi Bersani, parteciperanno Nichi Vendola e due veterani del Pci come Aldo Tortorella e Marisa Rodano. Bartolomeo Scappi
le più privilegiate d’Italia e su alcuni aspetti come la pensione, ha superato pure quella dei parlamentari nazionali con i vitalizi romani che si conquistano in 5 anni e quelli siciliani in 2,5 anni. Mentre il presidente dell’Assemblea Francesco Cascio ha promesso di voler alzare a 10 anni per evitare che il sentimento anticasta travalichi (molti parlamentari si sono assicurati anche contro eventuali aggressioni, non si sa mai) , i giovani indignati delle Forchette rotte, movimento di giovani siciliani che protesta perché la casta gli sta rubando il
Raffaele Lombardo
futuro, hanno scoperto un altro privilegio che ancora una volta, supera quello del Parlamento nazionale. E riguarda appunto la buvette. Secondo quanto scoperto e denunciato dalle Forchette rotte, non solo la regione si è fatta una meno nota buvette come quelle romane ma sarebbe addirittura più conveniente. «Il costo del pranzo dei senatori rispetto a quello dei deputati siciliani fa ridere» raccontano su blog, facebook e twitter delle Forchette rotte; «in Sicilia gli onorevoli per molto meno si leccano i baffi. Con 9 euro mangiano un antipasto alla siciliana, spaghetti con le vongole, frittura di triglie, contorno, frutta e caffè. Meno di una pizza e una bibita che i ragazzi siciliani pagano in un qualsiasi locale dell’isola». E preparano una singolare protesta. Per il prossimo 21 settembre, alla ripresa dei lavori dell’assemblea regionale, stanno distribuendo finti buoni pasto da 9 euro, invitando tutti i siciliani ad andare a scambiarli per un pasto completo proprio alla buvette della regione Sicilia. Una singolare protesta che può diventare un altro grattacapo per il governatore Raffaele Lombardo.
Emiliano non vede Fassino Il sindaco di Bari Michele Emiliano sbarcherà a Riccione ma non incontrerà il suo collega torinese Piero Fassino. Il 2 settembre il primo cittadino del capoluogo pugliese parlerà sul tema «La città e il futuro dei giovani», nel parco della resistenza, in un incontro organizzato dai giovani democratici: in compagnia del sindaco di Riccione, Massimo Pironi, che oltre a Emiliano affronterà il primo cittadino di Genova Marta Vincenzi e l’assessore alle periferie, integrazione e urbanistica di Torino Ilda Curti. L’intenzione era quella di avere anche Fassino, dato che nella campagna elettorale ha puntato sui giovani, pensando all’ex capitale sabauda come «un grande hub del lavoro intelligente, investendo in sapere, conoscenza e tecnologia». Sebastiano Luciani
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La Provincia nicchia. Loro attaccano con una pagina di giornale
Gli industriali di Volano (Tn) contro la politica tran tran DI
GOFFREDO PISTELLI
«G
entili amministratori, spostateci la statale 12». La missiva inviata alla Provincia di Trento è particolare e non solo perché porta le firme di una dozzina di aziende di Volano, nell’Altavallagarina, ma per la forma stessa: è un’intera pagina del Corriere Trentino, dorso locale del Corsera, acquistata per l’occasione domenica 21 agosto. Si tratta di una questione annosa: la vecchia strada statale, passando per il centro abitato del piccolo comune di 3.083 abitanti, lo intasa di camion, creando code che si ripercuotono fino a Rovereto. I titolari delle imprese in questione sanno che entro il 31 agosto prossimo il comune di Volano, che ha costituito sul tema un’apposita commissione, dovrà presentare al competente assessore provinciale, Alberto Pacher «una proposta di massima» per dare via alle procedure per realizzare l’opera pubblica, vale a dire lo spostamento a valle del tracciato, di fianco alla ferrovia. Non si fidano però che la politica paesana trovi la quadra, malgrado un comitato di cittadini, «Iniziative per una viabilità sostenibile Altavallaga-
più bisognosi, per la costruzione di rina», abbia raccolto a questo scopo nuove case popolari, per la stabilizzaoltre 450 firme. zione della drammatica posizione lavoProbabilmente gli imprenditori rativa dei lavoratori precari». E infine, non hanno fiducia perché la politica in un’iperbole dipietresca, denuncia il provinciale, quella che l’opera dovrà pericolo di infiltrazione realizzarla, s’è già divimafiosa: «Quei milioni di sa. Il consigliere leghista euro per le organizzazioni Claudio Civettini ha criminali costituiscono un presentato un’interrogapiatto gustoso». zione al presidente della Troppo per gli indugiunta trentina di centrostriali vallagarini, che sinistra, Lorenzo Dellai, hanno vergato sulla loro rilanciando la proposta pubblicità pro-nuova del comitato che prevede statale un titolo inequilo spostamento. vocabile: «Dare viabilità Interrogazione cui ha è dare opportunità di replicato, il 9 agosto scorsviluppo». Ricordando, so, un consigliere provinnel testo, le loro ragioni: ciale di maggioranza, il a cominciare dall’inquidipietrista Bruno Firnamento e dai disagi che mani che, con una graLorenzo Dellai i volumi di traffico attuagnuola di controindicali provocano ai paesi della valle e che zioni, ha affossato l’idea di traslare la sparirebbero con la costruzione della statale 12 sul nuovo tragitto. In quella variante. Ragioni cui hanno aggiunto zona passa il treno, dice, «e se in futuro due numeri facili facili: 9mila, quanti si dovesse potenziare quel tratto fersono i dipendenti delle aziende valliroviario, ove si reperirebbe lo spazio giane, e 28,3, vale a dire la percentuale necessario, stante la vicina ss 12?», si con cui la Vallagarina contribuisce al chiede. Idem per la A22, che corre poco Pil trentino. Che forse c’entrano con distante: «E se dovesse essere realizzaquella «tripla a» che l’agenzia di rating ta la terza corsia?», chiede severo. E poi Fitch ha recentemente confermato alla c’è la crisi, ammonisce, «usiamo quei Provincia di Trento. fondi per gli indigenti, per gli ammor© Riproduzione riservata tizzatori sociali, per i nuclei familiari
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PRIMO PIANO
Mercoledì 24 Agosto 2011
Il sindaco Pdl (l’olimpionico Oreste Perri) è più deciso del sindaco di Milano, Pisapia
A Cremona si parte con la moschea La Lega, in giunta, mugugna e fuori dice: «Abbiamo già dato» DI
GOFFREDO PISTELLI
O
reste Perri scavalca a sinistra Giuliano Pisapia. Sulle moschee, la giunta cremonese di centrodestra apre, laddove quella milanese aprirebbe ma dove fare i conti con la maggioranza, che con la capogruppo Pd, Carmela Rozza, ha imposto un altolà. Nella città del Torrazzo, anche se il vicesindaco Carlo Malvezzi, pidielino, s’è premurato di dire che la questione non è ancora al vaglio comunale, ormai tutto è pronto per il trasloco del luogo di culto da via Bibaculo a via San Bernardo, col placet del comune per quanto riguarda la variazione di destinazione d’uso del nuovo immobile. L’assessore ai servizi sociali Luigi Amore, peraltro, si è già espresso: «La libertà di culto è prevista dalla Costituzione
Oreste Perri e noi la dobbiamo rispettare. Mi auguro che la nuova moschea, se l’operazione andrà in porto, sia davvero un luogo di preghiera e che tutte le normative urbanistiche ed assicurative siano adeguatamente considerate». Gli ha
NON SI VEDE COSA CI SIA DA FESTEGGIARE
Ma la Libia non è l’Europa dell’est Tripoli, per ora, è una città liberata. Sapremo presto, conoscendo meglio i ribelli, se è una condizione destinata a durare. Egitto e Tunisia, dopo la cura dei mesi scorsi, non sembrano granché diversi da com’erano prima della cura, o le differenze sono così sottili da sfuggire a chi non vive sul posto, fuori e dentro le prigioni. Resta il fatto che anche la Libia è passata attraverso l’autolavaggio della cosiddetta «rivolta nordafricana» e che adesso la sua carrozzeria brilla al sole come la lama del pugnale tra i denti d’un guerrigliero ai tempi d’Omar al-Mukhtar e della guerrigli anti-italiana. È un po’ presto, però, per convincersi che anche nell’Africa del nord, Libia compresa, stia accadendo, come capita di leggere talvolta sui giornali, quel che più di vent’anni fa capitò nell’Europa dell’est: la fine di un’età del mondo. Ma visto e considerato che nemmeno il tracollo dell’impero sovietico, il primo impero al mondo morto d’infarto, senza che a farlo crollare siano state le armi nemiche, ha restituito quelle nazioni al normale tran tran demoliberale, come all’epoca profetavano filosofi ed economisti, ancora non si vede che cosa ci sia da festeggiare a Tripoli, dopo la fine del vecchio regime. Se non in astratto, e sotto il profilo estetico, naturalmente: Gheddafi col suo look da cartone animato ha fiMuammar nalmente levato Gheddafi le tende. Adesso preghiamo Allah che passato il Rais non se ne faccia un altro.
fatto sponda Maria Vittoria Ceraso, assessore ai Diritti di cittadinanza ed espressione di «Gente per Cremona», lista di centro con molti trasfughi del Pd, che al riguardo del capannone prescelto per allestire il nuovo centro di culto, ricorda
che «il Comune non ci mette un euro e che si tratta di un’operazione fra privati, comunità islamica e proprietà». Tacciono, per ora, gli esponenti leghisti della giunta cremonese, che con Perri sono da tempo ai ferri corti, fino ad attaccarlo, ai primi d’agosto, per aver consentito a una trentina di profughi libici ospitati in città di accedere gratuitamente ai musei comunali. A parlare, per il Carroccio, è il vicepresidente provinciale Federico Lena, con un perentorio «Cremona ha già dato». Lena è un duro: nel maggio scorso s’è opposto persino alla costruzione di una chiesa cristiano-ortodossa per i 3mila rumeni della città e altri 4mila che vivono in provincia. «Se si concede ai romeni la possibilità di professare liberamente il proprio culto religioso si creerebbe un pericoloso precedente», aveva
dichiarato, «e ci si dovrebbe poi arrendere alle richieste di tutte le altre comunità di stranieri esistenti in città». Dimenticando, o fi ngendo di dimenticare, che il sacerdote ortodosso di Cremona, Doru Fociu, da tempo cerca la sponda del sindaco Perri, fino a dare indicazione di votare per il sindaco-olimpionico a tutti quei rumeni di origine che potevano farlo secondo le leggi elettorali italiane. Sulla nuova e più grande moschea islamica appare certo che la Lega darà battaglia, riaprendo il suo ampio cahier de doleances verso il sindacocanoista. Perri è infatti accusato di non riconoscere il giusto peso al Carroccio in giunta e nelle controllate comunali, per la più grande delle quali è arrivato a scegliere anche un ex-Pd piuttosto che nominare un lumbard. © Riproduzione riservata
LO AUSPICA COLOMBO NASCONDENDO I RAPPORTI TRA RAÌS E AGNELLI
Se Gheddafi parla, ne avrà per tutti, non soltanto per il Cavaliere DI
S
MASSIMO TOSTI
e la politica dovesse vergognarsi del proprio passato (le alleanze palesi, le intese sottobanco, gli accordi firmati e poi traditi, le simpatie per questo o quel personaggio poi caduto in disgrazia) finirebbe tutto in un suicidio collettivo. I giornali che oggi ricordano il baciamano di Berlusconi al rais ormai al tramonto sono gli stessi che plaudivano alle iniziative del centrosinistra per normalizzare i rapporti con la Libia. Un esame di coscienza sui rapporti (nient’affatto formali) del suo padre putativo con la regina d’Egitto avrebbe impedito a Ottaviano Augusto di dare la caccia alla flotta di Antonio e Cleopatra e sconfiggerla ad Azio. Per non parlare dei giri di valzer della nostra diplomazia che fecero dire a un capo di governo europeo che gli italiani erano abituati a terminare le guerre sul fronte opposto a quello nel quale si erano schierati all’inizio. Quindi, bando alle ciance ipocrite. Ma (come diceva Totò), «ogni limite ha una pazienza». Che il Fatto Quotidiano il limite lo supera con eccessiva disinvoltura. Ieri titolava in prima pagina: «E se Gheddafi parla?» (con una riga precedente per chiarire chi dovrebbe tremare: «Quelli che gli baciavano la mano»). Con un monito esplicito nel sommario: «Ma se lo prendono vivo, sarà dura per i suoi complici italiani, B in testa». Si tratta di un’opinione legittima, come tutte le opinioni. Se non fosse per l’editoriale, firmato da Furio Colombo, un uomo che in tempi lontani (prima del lungo percorso che lo ha condotto in parlamento nelle liste del Pd) ricoprì la carica di presidente di Fiat Usa, in virtù di un forte vincolo professionale e personale con Gianni Agnelli. L’Avvocato fu il primo italiano (sei anni dopo la cacciata
dei nostri connazionali dalla Libia) a stringere un accordo con Gheddafi e a sdoganarne l’immagine nel nostro Paese e nel mondo occidentale. Nel 1976 la Banca Centrale libica acquistò il dieci per cento delle azioni Fiat. Parecchi anni più tardi, Agnelli raccontò a un giornalista l’imbarazzo che l’accordo con il colonnello provocò nei palazzi della politica: «Quando ci recammo con Romiti a Roma per illustrare ai ministri i termini dell’ accordo c’imbattemmo un po’ ovunque in facce preoccupate e capimmo che ciò era dovuto alla complessa e poco rassicurante personalità del nostro socio. Solo Aldo Moro accolse la notizia con un sorriso». Che lo stesso Agnelli spiegò con l’anima «levantina» dell’uomo che, di lì a poco, sarebbe rimasto vittima delle Brigate Rosse. La partnership con la Fiat rischiò di saltare due anni dopo la firma dell’accordo a causa di un articolo di Fruttero e Lucentini, pubblicato dalla Stampa, che fu giudicato insultante dal raìs. A queste vicende, universalmente note, Colombo dedica soltanto un inciso, ricordando «il ruolo decisivo ‘dell’azionista libico’ ieri in Fiat e oggi in Unicredit». Niente di male, beninteso. Il denaro «non olet», e a metà degli anni Settanta, la Fiat aveva un estremo bisogno di quattrini. Ma non emanano cattivo odore neppure gli interessi politici, la cosiddetta ragion di Stato che da sempre suggerisce le alleanze in ragione degli interessi strategici di un Paese. Con Gheddafi, nei decenni passati, hanno stretto accordi anche inglesi e francesi, e gli Stati Uniti hanno cancellato l’embargo contro la Libia proclamato dopo l’attentato di Lockerbie del 1988. La realpolitick vince sempre, all’insegna del pragmatismo, mai delle ideologie (sarebbe sufficiente ricordare l’alleanza dell’Occidente con Stalin nella Seconda guerra mondiale). E questa è la ragione per la quale erano giustificate le incertezze iniziali del nostro governo quando la Francia ha trascinato molti Paesi nella guerra alla Libia. Se Gheddafi parlerà, ne avrà per tutti. Il problema vero sarà scoprire (con buona pace dei moralisti) chi alla fine trarrà vantaggi dal conflitto che si avvia alla conclusione. © Riproduzione riservata
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PRIMO PIANO
Giovedì 25 Agosto 2011
Che fu il primo (e ultimo) sindaco leghista di Milano, disarcionato in malo modo da Bossi
Tosi farà la fine di Formentini? Il sindaco di Verona attaccato anche dalla moglie del Senatur DI
GOFFREDO PISTELLI
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orrà mica fare la fine di Marco Formentini? La domanda è retorica e diventa minacciosa se a formularla è il senatore trentino Erminio «Obelix» Boso, quasi un padre fondatore del Carroccio, tra i primi ad arrivare in parlamento. L’interrogativo è rivolto a Flavio Tosi, brillante sindaco di Verona, uno irrimediabilmente abituato a dire la sua, anche quando è scomoda per il suo partito, di cui è uno dei volti più apprezzati soprattutto fuori e soprattutto da quelli che, per il solito, non amano troppo la Lega. Le due cose, franchezza e consenso fra gli antileghisti, stanno cominciando a costargli cari. Negli ultimi giorni, dopo il chiarimento lumbard sulla manovra a Calalzo, il sindaco veronese, secondo nel gradimento dei primi cittadini solo dietro al fiorentino Matteo Renzi, è stato oggetto del fuoco incrociato dell’entourage di Umberto Bossi, quello che i «legologi» laureati hanno ribattezzato «il cerchio magico». Addirittura per lui, anzi, contro di lui, s’è scomodato Manuella Marrone in Bossi, la moglie del capo, un’icona del leghismo nostrano, di cui si raccontano i sacrifici per pagare il monolocale in cui lei e il futuro Senatur convivevano e le spese per mandare avanti il neonato «movimento», incluse quelle del notaio davanti al quale il Carroccio nacque. Se la signora, che predilige l’understatement salvo quando si tratti della «Scuola dei popoli padani» da lei fondata a Bosina (Varese), ha sparato a zero sul sindaco, fino a dire che il marito avrebbe dovuto metterlo alla porta per la sua indisciplina, per Tosi l’affare diventa serio. E se poi, alle bordate, s’aggiungono anche quelle del ministro Roberto Calderoli («i primi della classe, ora possono anche andarsene») la questione è grave. Non seria, per dirla con Flaiano, solo perché Bobo Maroni, l’uomo a cui pubblicamente Tosi si richiama all’interno del Carroccio, ha battuto un colpo e, dicono i retroscena, è intervenuto presso l’Umberto direttamente, a chiedere conto di questo massacro mediatico. «Sono i giornali» avrebbe risposto il Senatur «i soliti giornali, da non leggere, desiderosi solo di seminare la discordia all’interno del movimento». Per la verità, la divisione all’ombra dello spadone di Alberto da Giussano, regna sovrana. Tosi e il Veneto ne sono l’emblema. Da mesi, fra lui e il proconsole bossiano Gian Paolo Gobbo, segretario regionale, è lotta dura. A menare,
per ora, è proprio quest’ultimo, sindaco di Treviso. Contro i tosiani ha usato gli strumenti dello statuto leghista e i poteri che gli derivano, fino a degradare un’intera sezione di Arzignano (Vicenza), togliendo il diritto di voto a un bel gruppo di iscritti, fra cui amministratori locali di primo piano. Fino a cacciare dal partito, il senatore vicentino
Alberto Filippi, ufficialmente perché indagato dalla magistratura per una storia di false fatturazioni, ma che era e che è un tosiano doc. E altre epurazioni hanno investito la provincia di Venezia. Tosi, fino a oggi, non ha reagito, anche se l’intraprendenza dell’exsindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini, capace di mettere in diffi coltà Gobbo a casa sua,
Flavio Tosi
potrebbe essere figlia d’una alleanza fra il vecchio sceriffo e il giovane primo cittadino. Alla gragnuola delle nuove accuse, Tosi ha risposto soft, dichiarandosi soddisfatto delle correzioni che la Lega chiederà in sede di approvazione della Manovra-bis. Tutte a favore degli enti locali, come domandava. Il massimo della trasgressione è stato rivendicare come sua la posizione dei Lumbard a favore della patrimoniale. Il sindaco sa che in questo momento è bene tenere la barra salda, superare le correnti e girare a largo degli scogli contro le quali la barca rischia di infrangersi. Anche perché ai problemi interni alla Lega, si sommano quelli con il Pdl veneto e veronese in particolare, nel quale la guida ex-aennina dei fratelli Alberto e Massimo Giorgetti, s’è saldata con i forzisti di Aldo Brancher e punta diritto contro di lui, per le sue reiterate sparate antigovernativa ma guardando al municipio di Verona l’anno prossimo. Tosi s’è attrezzato fidelizzando una vasta ala di ex-azzurri vicini a Galan che ad-
dirittura, se l’ostilità del Pdl permanesse, l’anno prossimo potrebbero dar vita a una civica per lui. Sul fronte leghista, Tosi serra le fila. Con Daniele Stival, uomo forte del Carroccio in Laguna, assessore in regione, così come lo è un altro suo fedelissimo, Luca Colletto e sempre in consiglio regionale c’è Andrea Bassi, a capo della commissione urbanistica. Ma l’uomo più importante del suo cerchio magico, è certamente Giovanni Maccagnini, avvocato, che siede nei cda che contano, in Veneto e non solo: dalla Fondazione Cariverona, alla Compagnia sviluppo e investimenti, alla Cattolica Assicurazioni. Con questi uomini e con l’avallo di Maroni, Tosi lancerà la sua personale opa per l’exLiga veneta e, presto pretenderà un ruolo di primo piano in quella Lega nazionale. Con buona pace di due grandi examici, i deputati Federico Bricolo e Alessandro Montagnoli, da lui lanciati, e che ora, interpreti del centralismo bossiano (il primo è fra gli intimi del Senatur, il secondo vicecapogruppo alla Camera), lo avversano nel suo Veronese. © Riproduzione riservata
Cominciano a scricchiolare le intese tra Bossi e Berlusconi. E Maroni è ancora nel limbo
Pdl-Lega, le correnti interne rendono indigeste perfino le cene di Arcore DI
MARCO BERTONCINI
L
e difficoltà interne al Pdl sono esplose in forme e maniere inattese dal momento medesimo in cui è emersa la volontà di una manovra aggiuntiva, rendendo pubblica l’esistenza di gruppi, correnti, collegamenti. C’è, curiosamente, un elemento che invece riunifica tutti o quasi gli attuali litiganti nel partito di maggioranza: il rimpianto per una Lega con la quale riuscire a trattare e a concordare insieme una qualche mediazione. Sino alle elezioni amministrative, di fronte al Pdl si poneva, apparentemente unanime, la Lega. O meglio, contro Silvio Berlusconi si metteva Umberto Bossi. Gli impegni si assumevano a tu per tu, ovvero nelle cene di Arcore, con la presenza di qualche colonnello del Carroccio e di alcuni fedelissimi del Cav, considerati bene accetti ai leghisti. I rapporti implicavano che si mantenessero le promesse, per sgradevoli che ne fossero le conseguenze per
ciascuno rispetto al proprio partito. Ecco perché il Pdl ha dovuto subire le quote latte, addirittura con umiliazioni per l’allora responsabile delle Politiche agricole Giancarlo Galan. Nelle ultime settimane, invece, si è visto che i leghisti non seguono Bossi tranquillamente come prima. Il centralismo democratico continua a essere applicato, ma è un fatto che le
correnti interne sono emerse, a volte in maniera ruvida. Di qui, i tentativi che in questi giorni alcuni esponenti del Pdl cercano di condurre non con Bossi, bensì con Roberto Maroni, individuato come possibile mediatore. Si sa bene, ma si tratta di un solo episodio perché altri ve ne sono, che il ministro dell’Interno non ha visto di buon occhio i tagli
Roberto Maroni
agli enti locali, mentre è possibilista sulle pensioni. Non è un caso che giornali vicini al governo ritornino con frequenza sulla manovra che venne avviata da Maroni quand’era titolare del Lavoro e che il governo Prodi stracciò, essendo ministro Cesare Damiano. Il fatto è che lo stesso Maroni non intende, o, meglio, non intende ancora, svincolarsi dalla tutela bossiana. Ha i suoi uomini, conta su un buon gruppo di amici, tiene rapporti con leghisti di peso, segnatamente in Lombardia e in Veneto, ma sta ben attento a non esagerare con le contrapposizioni, vere o presunte, nei confronti di Bossi, il quale continua a godere di una fortissima simpatia presso la base. Ecco, allora, che i colloqui di questi giorni finiscono spesso nello sconforto, per l’esigenza che l’intero Pdl avverte di cedimenti sulla materia pensionistica da parte di una Lega che invece pare sempre più far muro intorno alle tesi espresse, invero poco perspicuamente, da Bossi. © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO Un sindaco emiliano vuole cancellare la ristorazione
Pd, festa nel mirino Rottamatori contro le kermesse DI
ANTONIO CALITRI
M
eglio il meeting di Cl che le feste dell’Unità. Dopo Matteo Renzi che voleva mandare a casa tutti i vecchi dirigenti del Pd per Pier Luigi Bersani arriva Simone Montermini, sindaco di Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia) e nuovo rottamatore con l’obiettivo di cancellare la ristorazione dalle feste dell’Unità, una delle principali fonti di guadagno, esentasse, per le casse delle federazioni locali del partito. Non poteva trovare momento migliore per conquistare un po’ di visibilità e remare contro la «ditta» cara a Bersani, il trentaduenne sindaco del reggiano saltato alle cronache lo scorso anno perché voleva celebrare matrimoni gay. Ieri si è aperta la grande festa dell’Unità di Bologna Parco Nord, la più importante della penisola con una coda di polemiche che impazzano perché mentre il partito chiede al governo di stanare l’evasione fiscale a tutti i livelli, proprio nelle loro feste mancano i registratori di cassa e quindi gli incassi dei consumatori-sostenitori di panini e altri generi alimentari che saranno certificati dallo scontrino fisca-
le. Senza considerare poi che il segretario provinciale Raffaele Donini ha dato l’obiettivo di raggiungere i 300 mila euro di entrate per le casse del partito e così ha raddoppiato le lotterie, anche perché, come spiega il tesoriere Fausto Melotti «è ovvio che per noi una campagna elettorale pesa. L’obiettivo di 100 mila euro in più dalla festa di Bologna è importante per ottenere un assetto tranquillo di bilancio». E visto che dalle feste dell’unità nella sola provincia si incassano circa 2 milioni di euro l’anno, guai a toccare lo schema che produce incassi d’oro. E invece, proprio alla vigilia della grande festa bolognese, Montermini, dalle sue pagine sul web e sulla stampa locale ha attaccato prima la festa del partito di Reggio Emilia e poi tutte quelle della regione dicendo che «è troppo sproporzionata l’offerta ristorativa e commerciale rispetto a quella politica» nelle feste dell’Unità. E poi sottolineando indirettamente al segretario nazionale che «il ruolo principale di un partito è fare politica e le nostre feste hanno una forte sproporzione tra offerta di ristorazione e offerta politica». Certo, Montermini alle primarie per il segretario si è schierato con
Dario Franceschini e contro Bersani, Ma forse nessuno lo ha avvertito che nel frattempo i due si sono alleati. Fatto sta che u Facebook Montermini è andato giù pesante aprendo un dibattito che si sta allargando a macchia d’olio argomentando che «se riflettiamo un attimo, il Pd è un (P)artito che deve fare (P)olitica, o un’organizzazione che deve fare gnocco fritto e tortellini? Sento già la risposta: mentre si cuociono tortelli e braciole si discetta di politica. Ok però ho l’impressione che la formula, redditizia e coinvolgente finché si vuole, possa e debba essere aggiornata. Se sommiamo tutte le feste che il Pd fa in giro per l’Italia, si fanno migliaia di dibattiti... che non lasciano traccia. CL fa una settimana di incontri a Rimini - da me personalmente non condivisi come linea culturale, ma di assoluto interesse (politico, filosofico, religioso, economico, artistico, etc.) - e riesce ad occupare i media nazionali in tutti i giornali e telegiornali. Insomma fa opinione. E pure soldi. Io proverei a rifletterci un po’». Un vero e proprio atto di rottamazione della festa cara a Bersani, che rischia però di fare molti danni alle casse del Pd. © Riproduzione riservata
Il Carroccio contro il finanziere D’Arienzo, segretario democratico
Verona, tosiani contro il Pd Non usi la Gdf in politica DI
L
GOFFREDO PISTELLI
e Fiamme Gialle fuori dalla politica». Non c’entra l’inchiesta sul deputato ed ex-finanziere Marco Milanese. Siamo a Verona e a chiamare in causa la Gdf è un esponente di primo piano dell’entourage di Flavio Tosi, il sindaco leghista in ascesa verso i vertici del Carroccio, sponda Roberto Maroni. A lanciare l’appello è un suo fedelissimo, il vicepresidente della provincia di Verona, Fabio Venturi. L’obiettivo dei suoi strali polemici è un finanziere entrato in politica, Vincenzo D’Arienzo, segretario cittadino del Pd e consigliere provinciale .D’Arienzo aveva criticato un recente provvedimento della maggioranza di centrodestra che riduceva il premio incentivante agli oltre 500 dipendenti della provincia. E s’era scagliato proprio contro il Caroccio: «Gli assessori della Lega», aveva dichiarato, «non si tagliano le loro indennità di circa 3mila euro netti al mese»! Sortita che aveva scatenato la reazione di Venturi che, accusando l’avversario di essere già in campagna elettorale per le elezioni a sindaco dell’anno prossimo, per le quali sembra possa essere l’antiTosi del centrosinistra, aveva puntato l’indice sul particolare status di politico e uomo delle Fiamme gialle.«Le legge dice che gli appartenenti a qualsiasi corpo statale», ha detto Venturi, «che si candidino, devono essere trasferiti per tre anni in un territorio diverso. Lui», ha proseguito, «è stato eletto per tre volte di fila in consiglio provinciale: da 12 anni doveva essere trasferito d’ufficio». Una situazione, che il leghista ha definito «meritevole di un esposto», anche perché un finanziere «ha accesso a dati
riservati». Venturi ha anche ricordato che, in questi anni, il segretario piddino ha potuto cumuluare l’indennità di consigliere a stipendio di finanziere, ammettendo però che, in questo caso, «la legge lo permette».Il segreterio bersaniano ha risposto con toni altrettanto duri, dando del «superficiale» e dell’azzeccagarbugli, al giovane tosiano e alludendo a una possibile querela: «Una maggior e avvedutezza lo avrebbe tenuto lontano da vicende giudiziarie che sono a dir poco sgradevoli per un amministratore pubblico». Entrato in politica con i Comitati per Prodi, D’Arienzo, 46 anni, è anche oggi un ulivista convinto, tanto da scriverlo persino nella sua pagina di Facebook, che piace, per adesso, solo a 165 utenti del social network. Eletto in consiglio provinciale nel 1999 «senza tessere di partito», come tiene a precisare», nel novembre scorso è divenuto segratario provinciale del Pd. Ce l’ha fatta grazie a un accordo fra il consigliere regionale Franco Bonfante, leader dei bersaniani, e il deputato Gianni Del Moro, vicino a Enrico Letta, che gli hanno permesso di battere, con l’84% dei consensi, il franceschiniano Mario Lonardi. Fra l’Adige e l’Arena, D’Arienzo, ha provato a dar filo da torcere all’ascendente Tosi, in un contesto dove il palcoscenico è sempre occupato dalle diatribe infra-leghiste, cui si sommano gli scontri interni al centrodestra, con il sindaco opposto agli ex-aennini Alberto e Massimo Giorgetti, leader del Pdl regionale e cittadini. «Basta con la Verona del manganello», ha ripetuto D’Arienzo. Poi Tosi ha cominciato a piacere anche a sinistra e il segretario piddino ha cominciato a usare la leva dell’antipolitica. © Riproduzione riservata
Venerdì 26 Agosto 2011
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Se il Pd imbocca la strada dello scontro, giocando in parlamento sulle divisioni della maggioranza per far cadere il governo e cavalcando nelle piazze la protesta della Cgil e di tutti gli arrabbiati che aspettano di tornare dalle vacanze per riprendere ad indignarsi, l’Italia rischia seriamente di finire come la Grecia. Per il partito che, giustamente, si vanta di aver portato il nostro sgangherato Paese nell’euro, contribuire alla sua fuoriuscita per indegnità non è certo una prospettiva incoraggiante. Fabrizio Rondolino. Il Giornale. Luca Cordero di Montezemolo ha la postura di uno che non prende un tram dal 1956, e questo, in Italia, è fatale. Sa di salotto buono, di razza padrona, di cognomi lunghi. Destra e sinistra non sono infastidite dalle sue critiche, ma dal fatto che critichi. Se non scende mai in campo è anche perché nessuno bussa con insistenza allo spogliatoio, e il risultato, in attesa dell’alba, è che si è già fatto sera, e già ci si chiede chi verrà dopo di lui. Filippo Facci. Libero. Per dare il senso del livello egocentrico raggiunto da Berlusconi basti sapere che il Cavaliere è arrivato a imitare la sua stessa voce. Filippo Ceccarelli: «Il teatrone della politica» (Longanesi). Il ministro Brambilla ci ha querelato perché abbiamo scritto che, in una precedente querela, si è fatta difendere dell’Avvocatura dello Stato. La Brambilla e il Giornale sostengono che è «una bufala di Marco Travaglio». Siamo subito corsi a verificare: vuoi vedere che abbiamo preso un abbaglio e che la Brambilla si fa difendere da un avvocato pagato da lei e non dall’Avvocatura pagata da noi? Niente, l’atto reca le firme “dell’avvocato di Stato, Mario Salvatorelli” e del “vice avvocato generale Mario Mari”. Di avvocati privati, nemmeno l’ombra. Le spiegazioni possono essere due. Primo, che l’Avvocatura dello Stato abbia fatto causa al Fatto per conto della Brambilla senz’avvertire la Brambilla: un caso di denuncia all’insaputa del denunciante. Una proiezione giuridica di quel che capitò al compianto Scajola, quando Anemone gli pagò la casa a sua insaputa. Secondo, che nè la Brambilla, né l’Avvocatura abbiano nulla a che vedere con quella denuncia, presentata da alcuni buontemponi che si spacciano per avvocati dello Stato e per ministri del Turismo, tipo i ragazzi di Livorno che scolpirono i falsi Modigliani. Marco Travaglio. Il Fatto. La lingua è un grande aiuto nell’esorcismo. Soprattutto se è misterica, se è una lingua intrecciata di termini oscuri e potenti. A furia di ripeterli, come per le beghine che frequentavano la chiesa e il latino senza capricci un’acca, partecipiamo al rito con convinzione: Asked price, Ora pro nobis; Bear market, Ora pro nobis; Call Option, Ora pro nobis; Dow Jones, Ora pro nobis. E così via. Lanfranco Caminiti. Gli Altri. Berlusconi non voleva la guerra contro Gheddafi. Io non gli sono amico, ma debbo ammettere che aveva ragione. Dovevamo seguire la linea non interventista della Merkel, per tre buoni motivi: 1) il trattato di amicizia italo-libica firmato appena tre anni fa; 2) il nostro passato coloniale con i crimini connessi (100 mila morti su una popolazio popolazione di 800 mila); 3)la Costituzione italiana che ci vieta di fare la guerra. Quel che è certo è che la nuova Libia sarà adesso filo francese e filo inglese. Angelo Del Boca, storico. Libero. Per riprendere l’impropria e malaugurate metafora del Titanic usata dal ministro Tremonti, è che, mentre in prima classe hanno già visto l’iceberg e si stanno facendo i conti con l’urto, nella stiva dove siamo stipati come sardine non abbiamo ancora la più pallida idea di cosa sita per succedere. Lanfranco Caminiti. Gli Altri. Nei poemi omerici non ci sono mai episodi di omosessualità: Che Achille e Patroclo siano amanti è un’ipotesi del quarto secolo. Omero racconta un’età precedente alla sua, quando l’omosessualità non si era ancora diffusa. Nascerà come fenomeno di massa solo con l’invenzione della falange. Per raggiungere quel livello di compattezza militare gli uomini debbono addestrarsi per anni e quindi passare molto tempo assieme, lottare nudi. Era quindi più facile, in quelle condizioni, l’emergere di condizioni omosessuali. Valerio Massimo Manfredi, scrittore. Libertà. © Riproduzione riservata
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I COMMENTI
Sabato 27 Agosto 2011
L’ANALISI
IL PUNTO
Anche l’Europa politica fa acqua da tutte le parti
Chi ci governa è un dilettante Ma spesso chi critica è peggio
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li europeisti han- DI PIERLUIGI MAGNASCHI na di basso profilo» che no sempre detto dimostrava, nei fatti, che l’Europa non che i grandi paesi delpoteva che nascere economica la Ue «non avevano alcuna intenzione perché bisognava prima far toccare con di rinunciare alla gestione della politica mano, agli europei, i vantaggi di questo estera nazionale». difficile progetto. Poi però, essa avrebbe I fatti hanno ampiamente confermato dovuto arricchirsi di contenuti politici questa deludente previsione: la Alshton perché, altrimenti, il progetto dell’Unioè ridotta al ruolo di macchietta perché ne non riuscirebbe a stare in piedi. Per nessuno la informa di niente. Anche su un certo periodo di tempo (diciamo fino un evento strategico come la guerra a alla diarchia franco-tedesca ChiracGheddafi, l’Ue è stata bypassata. Il punSchroeder) lo schema è stato questo. to politico, alla conclusione del conflitto, Anche il patto di stabilità era un passo è stato fatto in una riunione fra Usa, in avanti nell’integrazione europea. VeFrancia, Inghilterra, come se la Ue non nuto giù il Muro di Berlino, la Germania c’entrasse con questa vicenda. In questo unificata ha cominciavuoto si è inserito efficato a emanciparsi dalla cemente il presidente sudditanza politica nei francese Sarkozy che Sarkozy in Cina confronti della Francia. non è interessato a conper garantire, E così, mentre tutti gli solidare l’Europa ma a lui, sull’euro eurocrati di Bruxelles diessere rieletto presidencevano che l’integrazione te dei francesi fra otto europea stava avvenendo mesi. Ecco perché, vellia tappe forzate, i fatti contraddicevano cando la voglia di grandeur che è nella questa affermazione. Partendo dalla cetesta dei francesi, Sarkozy ha annuncialebre battuta del potentissimo ministro to, su tutti i media del suo paese, che sta degli esteri Usa, Henry Kissinger che andando in Cina per convincere Pechino diceva che quando voleva urgentemente che l’euro è forte e che il debito sovrano parlare con il suo omologo europeo non continentale è sotto controllo. Sarkozy, poteva farlo perché non ne aveva il nuse la Ue avesse dignità e forza, dovrebbe mero di telefono, la Ue, dopo il Trattato essere formalmente richiamato all’ordidi Lisbona, è riuscita a nominare il suo ne. Può andare a Pechino a dare assicuMr Pesc, cioè il responsabile della politirazioni sulla Francia, non sull’euro che ca estera comune, che, nel caso specifico, non è certo una sua esclusiva. Ma la Ue è una signora, l’inglese Mrs Catherine è allo sbando. E i nazionalismi, quindi, Alshton. La nomina venne subito definistanno rialzando la cresta. © Riproduzione riservata ta dal Financial Times come «una nomi-
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olti osservadei derivati, che quanDI SERGIO SOAVE tori consido hanno cominciato a derano «da scommettere sui default dilettanti» la discussione in hanno amplificato tutti i sintomi critici corso nella maggioranza sulle correzioni della situazione globale. A vigilare sulla al decreto di agosto, non senza ragioni, dimensione e l’attendibilità del credito, come i commentatori spagnoli continuasulla solidità del sistema bancario e no a considerare «improvvisata» la terasull’evoluzione dei mercati finanziari pia adottata tra alti e bassi dal premier c’erano (e ci sono) fior di «professionisti» José Luis Rodriguez Zapatero. Non è da una parte e dall’altra dell’Atlantico. escluso che tra qualche giorno, se contiMolti di quelli che avevano responsabilinuerà la tendenza flettente della Borsa tà cruciali oggi si trasformano in profeti tedesca, analoghe considerazioni colpidi sventura, come Alan Greenspan, che ranno anche in patria la politica econodopo aver consentito la creazione di comica della cancelliera Angela Merkel, lossali bolle immobiliari e speculative come già accade da tempo all’estero. Il in America, quando era presidente delgiudizio sull’attendibilità la Federal Reserve, ora delle scelte di Barak Obaauspica lo sfascio della ma è stato negativo nel moneta europea. Per Dalla crisi confronto parlamentare carità di patria meglio non si esce e non sembra più favorenon guardare troppo per con le chiacchiere vole in quello dei mercati. il sottile sul come l’accetI governi, alla prese con tazione di un concambio una crisi dai mille volti, lira-euro penalizzanannaspano e quindi i loro tentativi di te, da parte di Romano Prodi e Carlo reazione appaiono confusi e contradAzeglio Ciampi, abbia inaugurato una dittori e probabilmente lo sono. Non è fase di bassa crescita dalla quale non si chiaro però quali sarebbero, in contrapriesce ad uscire. Rimettere l’economia posizione ai «dilettanti allo sbaraglio» mondiale in carreggiata è un’operazioche detengono le massime responsabine terribilmente complessa. L’esito è lità politiche, i «professionisti» ai quali tutt’altro che garantito, l’ombra della andrebbe invece accordata fiducia. recessione globale si fa sempre più miL’origine materiale della crisi è stata nacciosa, i governi cadono come mosche, la massa di crediti immobiliari senza dal Portogallo al Giappone. Non c’è certo adeguata copertura concessi ai mutuada stare allegri, ma nemmeno da rimtari americani. Quella più strutturale piangere una stagione in cui al timone nasce dall’immensa liquidità che non stavano i professionisti, visti gli esiti trovando sbocco nelle attività produttioggettivamente catastrofici. © Riproduzione riservata ve ha ingrossato il fiume sotterraneo
IL CASO DEL GIORNO
LA NOTA POLITICA
A Treviso la Lega si aggrappa alla band per togliere ai bengalesi l’area promessa DI
GOFFREDO PISTELLI
«Ci sono i Subsonica, i bengalesi s’arrangino». Uno dei più colti gruppi rock italiani è divento, suo malgrado, l’ancora di salvezza della Lega dura e pura di Treviso. Quella che era stata sconfessata e scavalcata a sinistra anche dall’ex-sindaco cittadino, Giancarlo Gentilini, un tempo chiamato «lo sceriffo» per le sue intemperanze verso gli immigrati. Oggi vice del primo cittadino e compagno di partito Gian Paolo Gobbo, Gentilini aveva lanciato, nei giorni scorsi, una sconcertante proposta: dare ai bengalesi l’area comunale dell’exdogana, per la conclusione del Ramadam prevista per il 29 agosto. Un’apertura che aveva spiazzato mezzo Carroccio della Marca trevigiana e indignato l’altra metà. Lo stesso Gobbo, preso in contropiede, non era riuscito a dire «no» all’istante, rimandando la decisione alla giunta. Ma appunto, il municipio
trevigiano, per varare l’ennesimo rifiuto agli islamici della città e della provincia, è dovuto ricorrere alla concomitanza con l’Home
Giancarlo Gentilini
festival, raffinata rassegna musicale giovanile che, oltre ai già citati Subsonica, ospita band come i Casino Royale e i Verdena. Musica lontanissima dalla sensibilità leghista, ma che per Gobbo è divenuta sacra,
solo per il fatto che il 31 comincia a essere suonata negli spazi dell’ex-Dogana, ragion per cui l’area non può essere concessa ai neotrevigiani made in Bangladesh, come spiega una nota comunale. Più sincero il senatore Pier Giorgio Stiffoni, uno dei pochi che s’era imbufalito con l’ex-duro Genty, come lo chiamano quassù, rimproverandogli di mettere continuamente in difficoltà la Lega con le sue dichiarazioni. Stiffoni se l’è di nuovo presa col vicesindaco: «Doveva pensarci prima di prospettare aree che erano già impegnate», ha detto, aggiungendo criptico, che «deve leggere più gialli, per non fare la fine di chi conduce una vita a dispetto delle conseguenze». Quasi un messaggio in codice, che pare richiamarsi alla redderationem leghista in corso, che vede da un lato proprio il trevigiano e bossiano Gobbo, opposto al veronese e maroniano Flavio Tosi. © Riproduzione riservata
Berlusconi sembra essere alle corde DI
MARCO BERTONCINI
Siamo in uno stallo con pochi precedenti. Del resto, un decreto-legge come quello ferragostano è senza precedenti. E così la manovra, che nel desiderio di molti parlamentari di maggioranza (e lasciamo stare le opposizioni, va da sé) dovrebbe subire riscritture totali, soffre di completa mancanza di consenso, quanto a modifiche. Cosicché si lavora agli emendamenti, ma senza eccessiva convinzione. Il redattore primo, Giulio Tremonti, a lungo assente da Roma, è ostile a rivedere singole disposizioni del provvedimento: figurarsi l’intero impianto. Nel Pdl l’elenco di chi vorrebbe rivedere il decreto è lungo quanto il numero dei membri dei gruppi parlamentari; anzi, ancor di più, perché ci sono gli amministratori regionali e locali: l’azione sia del partito, sia degli stessi gruppi, è di contenimento, anzi, di freno totale. Quanto ai leghisti, non saranno l’unica causa della marmorizzazione della manovra, però si dànno parecchio da fare per impedire qualsiasi
revisione che non vada verso l’accoglimento di richieste che pervengono loro dagli amministratori locali. Anzi, a giudicare dalle dichiarazioni di Roberto Maroni, sembra che alla Lega importino solo gli enti locali, con le pensioni da non toccare. Un bel pasticcio, nel quale emerge l’incapacità (almeno, finora) del presidente del Consiglio d’imporre una propria volontà, sia a Tremonti, sia a Bossi. Nello scoramento della maggioranza domina la constatazione di dover inviare tutto al vertice di lunedì. Pochi, tuttavia, pensano che Berlusconi riesca a strappare all’amico Umberto più di qualche minima concessione. Lo stallo, appunto, rinvia a quanto decideranno i due lunedì prossimo. O, meglio ancora, rinvia ai compromessi e ai cedimenti che Bossi si compiacerà di concedere a un presidente del Consiglio che a molti appare, in questi giorni, contraddittorio, sostanzialmente debole, incapace di assumere l’iniziativa. © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO
Sabato 27 Agosto 2011
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Il presidente della Toscana, su Facebook, vuole che l’evasione sia condannata come peccato
Fisco, ora Rossi fa l’anticlericale
Il governatore: la Chiesa rinunci alle esenzioni, Ici o altro DI
GOFFREDO PISTELLI
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u Facebook è iniziata l’onda lunga dell’anticlericalismo fiscale, quello che vuol far pagare l’Ici alla chiesa, e sul social network, Enrico Rossi, governatore toscano che guarda a Roma, ci ha surfato sopra con prontezza. «In questa situazione drammatica ci aspettiamo molto anche dalla Chiesa», ha scritto sulla sua pagina, «una condanna ferma continua e forte di quel cancro che è l’evasione fiscale come peccato. E poi ci aspettiamo anche un esempio. Decida lei dove, sull’Ici, sull’otto per mille o su qualcos’altro. Ma rinunci a qualcosa». Rossi, una lunga carriera tutta dentro la filiera PciPds-Ds-Pd, con partenza dal municipio di Pontedera, città che gli ha dato i natali nel 1958, e arrivo Piazza Duomo 10 a Firenze, sede della presidenza regionale, con un decisivo passaggio ancora contrassegnato da un altro dieci: gli anni trascorsi da assessore ai vertici della Sanità toscana, essenziali alla sua crescita politica a Firenze e non solo. Il governatore, un ex-
D’Alema boy oggi bersaniano, non è mai stato un «baciapile» come certi colleghi che arrivano dalla Margherita. È uno che è cresciuto, anche politicamente, come giovane virgulto della Federazione giovanile comunista italiana, la Fgci, a volantinare davanti ai cancelli della Piaggio, la grande fabbrica della sua città. Quella fabbrica per la quale si sarebbe battuto come un leone, anni dopo, da sindaco, quando Umberto Agnelli, che la controllava per via f a m i l i a r e, voleva sconsiderata-
Enrico Rossi
Giuseppe Betori mente spostarla a Nusco, per far piacere a Ciriaco De Mita. Rossi, a differenza dei suo predecessori in Regione, non ha mai smaniato per trovarsi fra gli zucchetti e le fasce, porporati e violacee, di cardinali e vescovi. Se Vannino Chiti, da cattolico-comunista qual è,
I tedeschi temono effetti negativi sui prezzi, ma è vero il contrario
Eurobond, la Germania lasci stare l’inflazione DI
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PIETRO BONAZZA
stare agli attuali discendenti, Napoleone e Bismark sarebbero ancora operativi. Come avviene da secoli, il loro obiettivo sottaciuto è l’Italia, il terzo incomodo reso debole dalla necessità di una manovra immediata, chirurgica e pericolosa. Poiché di Europa esiste solo la parte monetaria, alla fine ognuno deve lavarsi in casa i propri panni sporchi, che riguardano la politica fiscale. Ma nemmeno quella monetaria è un percorso a sentiero unico. Lo si constata dalla proposta di emissione di Eurobond, finalizzata a dare al mondo degli speculatori l’impressione che esista una volontà del gruppo europeo di essere in grado di contrastare l’assalto degli speculatori sui titoli sovrani. Questa soluzione, il miope fronte franco-tedesco non la vuole, anche se non mancano tifosi a Bruxelles. L’ipotesi di una emissione dalla Ue o garantita non può essere liquidata in poche battute, perché esige un’articolazione tecnico-politica, peraltro imposta dalla complessità dell’operazione e dai limiti istituzionali della Bce. Si può capire la difficoltà della Germania a digerire titoli concorrenti ai propri Bund, venduti come olio extravergine; ancor meno la presa di posizione del napoleonide a caccia di consensi personali. Gli speculatori, ispirati, sostenuti, alimentati dalle società di rating al servizio di interessi propri, dei clienti e dei loro soci, sanno che l’Europa non esiste e, quindi, che probabilmente non se ne farà nulla. Più che un insider trading è una truffa inter-
nazionale. Ma, a prescindere da questo quadro contraddittorio, non si devono trascurare gli effetti di una eventuale emissione di Eurobond. Berlino, a sostegno delle proprie posizioni, teme un incremento di inflazione. Dipende dalla tecnica di emissione, ma, a prima vista, pare vero il contrario, perché secondo teoria tradizionale, se una banca centrale potesse emettere direttamente bond, destinati ai risparmiatori, sottrarrebbe liquidità al sistema circolatoriomonetario; se ne fornisse una copertura a bond emessi dallo stato, farebbe aumentare nell’immediato la circolazione monetaria, ma destinata alla sterilizzazione o al rientro non appena i bond verranno collocati presso i risparmiatori detentori di liquidità. Non vogliamo ricordare ai tedeschi i canoni consolidati del problema, che ben conoscono, ma pare legittimo il dubbio che i motivi siano altri. Soprattutto è opportuno ricordare che se si insiste sulla tesi del rischio inflattivo, bisogna prima analizzare accuratamente che ne pensano alla Ue di Francoforte più che alla cancelleria di Berlino. A leggere, soprattutto tra le righe, il numero di luglio del Bollettino della Ue, che, dopo aver calcolato al 2,7% il tasso attuale di inflazione, prevede: «I rischi per le prospettive a medio termine sull’evoluzione dei prezzi restano orientati verso l’alto», che probabilmente risente della crescita monetaria M3 nel precedente semestre, a cui i tedeschi non sono stati estranei. Il fenomeno in atto non può essere imputato agli Eurobond di là da venire…se verranno. © Riproduzione riservata
quando era presidente della Toscana teneva a un buon rapporto con l’allora arcivescovo fiorentino Silvano Piovanelli, e se lo stesso avrebbe fatto dopo, Claudio Martini, da religioso di ritorno, Rossi si tiene a una certa distanza da Piazza S.Giovanni, sede della curia fiorentina, di gran lunga la più influente, perché spesso sede cardinalizia. La distanza s’è allargata da quando, dopo il mite focolarino Ennio Antonelli, è arrivato un personaggio dinamico e decisionista come Giuseppe Betori, uno che non ha il diplomatico aplomb dei predecessori. Faceva eccezione, Alessandro Plotti, per 22 anni vescovo di Pisa, e per ragioni di sensibilità culturale, essendo il prelato notoriamente progressista. E non è un caso che, da assessore alla Sanità, nel 2002, Rossi fi rmasse intese e fi nanziasse le storiche istituzioni cattoliche sanitarie e di recupero, dei territori pisani e livornesi, come quelle gestite dalla Fondazione Cardinal Maffi. Acqua passata, il governatore guarda lontano e il consenso cattolico non è strategico come una volta. E soprattutto i cattolici sono meno di una volta.
Pd, Fassino l’arma finale Pubblico in lacrime, nella sala dibattiti di FestaReggio, ascoltando il segretario nazionale del Pd Pier Luigi Bersani. Quella con l’intervistatore, il televolto del Tg3 Maurizio Mannoni, è stata una chiacchierata che non ha risparmiato nemmeno le voci su una dieta del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. A Mannoni, che ha puntato su questa diceria, Bersani ha risposto: «Berlusconi è dimagrito quattro chili in dieci giorni per andare in tivù? Allora noi ci mandiamo Fassino, scateniamo l’arma fi nale». E sul presidente della Ferrari, e sul suo possibile ingresso nel mondo della politica, Bersani ha detto: «Io non ho mai disturbato Montezemolo, se mi lasciano stare, non dico niente». Donato de’ Bardi © Riproduzione riservata
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A CIASCUNO IL SUO
Gli energumeni del ‘68 sono ora alla resa dei conti DI
RICCARDO RUGGERI
Quarantadue anni fa, un gruppo di energumeni, vestiti (elegantemente) da operai, in realtà studenti, professori, rivoluzionariosalottieri (il mix peggiore che la borghesia possa produrre), con urla, spinte, calci, ci espulsero dall’officina di via Cuneo, intruppandoci, umiliati, in cortei, con bandiere rosse, slogan fessi (di certo erano anche juventini). Ora, li vedo in difficoltà, loro, i figli, i compari. Ringrazio Dio di vivere questo periodo storico di resa dei conti, e con l’occasione togliermi pure, sorridendo, l’ultimo sassolino sessantottino. La società fasulla che hanno disegnato si sta disfacendo, sotto uno sfarfallio di finti diritti c’è una montagna di debiti (hanno un conforto: quella dei loro compagni di merenda euro americani è peggio). Leggo le loro interviste, li osservo alla televisione, comprese eleganti “new entry”, so come la pensano, come ragionano, stacco l’audio, scruto le loro facce, le mani, i tic, i gesti. Osservo alla
tv, rapito dal non audio, i leader istituzionali, quelli dei poteri forti, supermanager banco-industriali (incassati osceni bonus legati alle azioni, ora dicono che la Borsa è un covo di speculatori criminali, sembrano terrorizzati, il loro castello di carte false sta crollando), mi paiono tutti fanè, sono senza cravatta, abbronzatura e tinture sgualcite aumentano la loro rassomiglianza, cavie ideali per studiosi di fisiognomica. Riaccendo l’audio, sperando che dicano: “Per 40 anni abbiamo sprecato risorse, lo Stato spende 800 miliardi (metà del pil, una follia), ne incassa 700, ne ha 2000 di debito pregresso: tagliamo subito 100 miliardi di spese correnti, vendiamo l’argenteria, abbiamo fallito, ce ne andiamo”. Nulla, stacco l’audio, vedo nello sfondo Gheddafi, sconfi tto, diventato a sua volta ratto, mi chiedo: “I leader falliti acquisiscono anche una rassomiglianza fisiognomica?”. editore@grantorinolibri.it
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PRIMO PIANO
Giovedì 28 Luglio 2011
L’austero sindaco leghista di Verona ha deciso di fi nanziare la sua squadra di calcio
Anche Tosi va a tarallucci e vino
770 mila euro dalla municipalizzata Agsm (100% del Comune) DI
I
GOFFREDO PISTELLI
l sindaco più amato d’Italia dopo Matteo Renzi, il leghista veronese Flavio Tosi, fregato dalla sua passione calcistica. Il primo cittadino, forse l’esponente del Carroccio più lanciato a livello nazionale, tanto da permettersi di attaccare a testa bassa gli alleati pidiellini ogni qualvolta gliene danno il pretesto, si è infatti scottato con la questione del momento, i costi della politica, a causa del suo notoriamente sfegatato tifo per l’Hellas, storica società scaligera, scudettata negli anni 80 e poi declinata fino alla C1 nell’ultimo decennio. Arrivato quest’anno in B riaccendendo grandi entusiasmi cittadini, il Verona ha trovato un ricco sponsor nella controllata comunale Agsm Spa, la multiutility gas e acqua, di cui Tosi è di fatto il padrone visto che Palazzo Barbieri, sede municipale, detiene il 100% delle azioni. Tosi, che ha un
FISSATO E BOLLATO
passato da brigatista gialloblù ovvero di ultrà del tifo veronese, ha presentato in pompa magna ieri l’accordo insieme al suo assessore allo Sport, Federico Sboarina (Pdl), e il presidente di Agsm, Paolo Paternoster, che per l’appunto è leghista come il primo cittadino. Per l’occasione ha invitato la stampa nella Sala degli Arazzi del suo municipio, con tanto di gonfalone scaligero sullo sfondo. Ma i 700mila euro che la municipalizzata ha destinato al
Flavio Tosi DI
PIERRE DE NOLAC
z Ennesimo tonfo a piazza Affari. Non sarà tutta colpa del dito medio della scultura di Maurizio Cattelan?
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama parla alla nazione. Il guaio è che non lo ascolta più nessuno. z
z Il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani si schiera contro la macchina del fango. Un altro luddista di sinistra. z A Torino il sindaco Piero Fassino ha deciso di accendere la Mole Antonelliana, simbolo della città, per dare un messaggio di solidarietà all’emergenza siccità in Africa orientale. Il progetto si chiama “Red alert”: e poi dicono che non ci sono più i “rossi”. z «Ho presentato una proposta di legge per l’abolizione dei pedaggi sulle autostrade e sui raccordi autostradali gestiti direttamente dall’Anas”. Il deputato romano del Pdl Mario Baccini sogna di diventare il prossimo sindaco di Roma. z Ormai Woody Allen si addormenta ogni giorno sul set romano del film Bop Decameron. Ha imparato subito l’usanza cittadina della pennichella. z Il 31 luglio, a Capalbio, il cartellone estivo prevede un doppio appuntamento letterario con Walter Veltroni, autore de L’inizio del buio e Federico Moccia con L’uomo che non voleva amare. Preparate i fazzoletti. E pure gli amuleti. z Alla cerimonia del ventaglio per il presidente del Senato Renato Schifani ieri c’era il direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Il numero uno di palazzo Madama però voleva cancellare l’incontro, per la morte del militare David Tobini in Afghanistan. Comunque, la sala Zuccari di palazzo Giustiniani presentava bandiere listate a lutto, e non c’è stato il rinfresco come nelle precedenti occasioni. z Un altro delitto a Roma, in pieno giorno. Pronta una sottoscrizione per far riprendere le dirette di “Porta a porta”. z Telefono Azzurro ieri sera a Roma, nello spazio Cremonini a Fontana di Trevi, ha presentato il nuovo logo dell’associazione, firmato da Giugiaro Design. Applausi al fondatore Ernesto Caffo da parte dei parlamentari azzurri.
calcio in un momento in cui le manovre e i tagli impongono ritocchi sensibili alle tariffe, non sono andati giù a molti. A cominciare dal consiglio d’amministrazione, tutto di nomina politica, della stessa Agsm che lunedì aveva messo ai voti la proposta di Paternoster. Ci sono volute due ore piuttosto animate e un voto a maggioranza per staccare l’assegno calcistico, secondo i desiderata del sindaco. A favore, anche un altro leghista, Italo Bonomi, e il vicepresidente Mirco Caliari, pidiellino di provenienza forzista. Astenuto invece un altro consigliere in quota Pdl, Fabio Gamba, ex-aennino, e contrario Marco Burato del Pd, ché la multiutility sarà pure una società per azioni ma le vecchie regole consociative, con le minoranza rappre-
sentate negli organi, le rispetta eccome. Arrabbiatissime ovviamente le opposizioni in città che accusano Tosi di utilizzare di fatto danari pubblici per smerigliarsi ulteriormente l’immagine, considerando quanto sia amata nella città di Giulietta e Romeo, la squadra gialloblù. Pd e Idv annunciano interrogazioni a Giulio Tremonti in persona, invocando un articolo del decreto ministeriale 78, emanato l’anno scorso proprio dallo Sviluppo economico, e che vieta agli enti locali ogni possibilità di sponsorizzazione. Secondo il deputato veronese dell’Idv, Antonio Borghesi, che annuncia un’altra interrogazione ma stavolta al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, compagno di partito e referente politico di Tosi, il fatto che Agsm sia una società privata è una mera foglia di fico, essendo integralmente di proprietà comunale. Non solo, la società calcistica sarebbe oltrettutto già debitrice del Comune, per l’utilizzo del Bentegodi, lo stadio cittadino.
L’ultimo degli arrabbiati è ovviamente Luca Campedelli, detto anche «signor Paluani» essendo il produttore dei famosi pandori e storico presidente del Chievo calcio, l’altra squadra cittadina, nata nell’omonimo quartiere veronese. Dal 2000, la piccola società è stata protagonista di una vera favola calcistica: bilanci in attivo, ingaggi minimi, bel calcio e ottimi piazzamenti. Quando ha saputo dell’attivismo del sindaco-tifoso per sponsorizzare l’Hellas è sbottato: «Tutti i politici veronesi, tre anni fa, bloccarono la sponsorizzazione della Regione al nostro club. Adesso hanno cambiato idea». Ma il Chievo di Campedelli, seppure in serie A, non è neppure paragonabile per numero di tifosi dell’Hellas Verona, che pure milita nella serie inferiori. Gli stessi che si recheranno alle urne, nella primavera prossima, per eleggere il nuovo sindaco. O per confermare l’uscente, munifico benefattore dello sport cittadino. © Riproduzione riservata
Non ci sono scorciatoie alternative per apprendere un lavoro
L’apprendistato chiave di volta dell’occupazione ANTONIO LOMBARDI*
zioni e dalla società, pedine ultime di un sistema che… «tanto non cambierà mai». Il tutto condito ia libera all’intesa per il Testo Unico dalla solita fastidiosa retorica che in Italia mansull’apprendistato. Sette articoli per ca la meritocrazia e che per fare fortuna occorre normare e rilanciare lo strumento occufuggire all’Estero. pazionale fortemente orientato alla forVoglio esortare i nostri ragazzi a comprendere mazione che accompagnerà i giovani nel delicato che devono essere proprio loro gli artefici del campassaggio tra il mondo della scuola e quello del biamento nel nostro Paese! La mia generazione lavoro. Mi sforzo di essere fiducioso e ottimista, ha iniziato a lavorare e a costruirsi un futuro perché le cifre non sono confortanti. La disoccupriva di protezioni sindacali, accordi e intese. pazione giovanile sfiora il Abbiamo studiato e lavo30% e l’aumento del tasso rato insieme senza poter di dispersione e abbandono contare su ammortizzatoscolastico non lascia presari sociali, contratti di soligire nulla di buono. darietà e sostegni di altro Ben venga allora il rigenere, senza mai sentirci lancio dell’apprendistato degli eroi, semplicemente che consentirà ai nostri con la voglia di fare e di ragazzi di formarsi, impafarcela! rare un mestiere, un arte e Non sto dicendo che non di entrare in contatto con abbiamo commesso anche il mondo del lavoro.Tanto noi i nostri errori e che più che oggi sono le azienabbiamo consegnato nelle de stesse a non trovare mani dei giovani «il migliopersonale sufficientemenre dei mondi possibili» (a te formato e specializzato, voler scomodare Voltaire). per non parlare poi di quei So bene che di sbagli ne lavori socialmente poco apabbiamo fatti, ma voglio Il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi petibili che vengono quasi esortare i nostri ragazzi a esclusivamente affidati agli stranieri. rimboccarsi le maniche, a farsi le ossa inizialmenA fronte di questo però, esiste l’esercito dei te anche con attività lontane dai propri titoli di NEET (Not in Education, or in Employment or studio. Ben consapevoli che ormai il mito del poin Training) più di 2 milioni di giovani che non sto fisso è diventato anacronistico e che il lavoro studiano, non lavorano e non sono impegnati in alnon va solo cercato, ma a volte anche inventato cun processo formativo. Completamente fuori dal imparando a presagire e anticipare le esigenze mercato del lavoro, forze passive, inutilizzate. di un mercato assai mutevole. Ma c’è di più, i giovani sono talmente rassegnaNon sarà facile, ma in fondo anche questo è ti e sfiduciati da smettere addirittura di cercarlo crescere. un lavoro! Si sentono abbandonati dalle Istitu* Presidente Alleanza Lavoro DI
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Venerdì 29 Luglio 2011
PRIMO PIANO
A Campi Bisenzio, sobborgo fiorentino, è bufera dopo che si è deciso di azionare le ruspe
Il Pd spiana lo stadio dei partigiani Il sindaco ha deciso: villette al posto dello storico impianto DI
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GOFFREDO PISTELLI
l cemento più che la memoria. A Campi Bisenzio, 42mila abitanti, sobborgo fiorentino, uno dei comuni della grande Piana che si estende fra il capoluogo e la città, il sindaco post-comunista Adriano Chini, oggi disciplinato piddino, annuncia l’abbattimento dello stadio e la realizzazione di villette a schiera e nuova viabilità. Tutto nella norma, salvo il fatto che quello stadio e pure la squadra che ci gioca (serie D calcistica) sono intitolati a un campigiano illustre, il partigiano Lanciotto Ballerini, ucciso nel ’44 dai repubblichini, combattendo da solo pur di salvare i compagni. L’altro ieri, in consiglio comunale, il primo cittadino ha annunciato che le ruspe entreranno in movimento a settembre e che sull’area caleranno 3mila metri cubi di cemento, dopo un’asta pubblica dei terreni, mentre la squadra «partigiana» traslocherà in un altro campo cittadino per poi avere, a breve, un altro piccolo stadio. Chini, 61 anni, è tornato alle responsabilità amministrative nel 2008, dopo essere stato protagonista alla fine degli anni ’80, da segretario cittadino e poi da sindaco del Pci-Pds. Anni incandescenti politicamente, perché proprio nel Nord-Ovest, nelle aree confinanti con Campi, si doveva sviluppare Firenze con un grande progetto urbanistico legato anche a Fiat e Fondiaria. Progetto che la giunta fiorentina di sinistra abortì a seguito di una secca telefonata dell’allora segretario pidiessino Achille Occhetto all’assessore all’Urbanistica del tempo, Stefano Bassi. Occhetto, dando ascolto alle sirene ambientaliste, aveva ordinato lo stop. Ma si trattava appunto del secolo scorso. Oggi gli amministratori del Pd sono invece molto bulding oriented, ben disposti cioè a modellare col cemento e le varianti di Pgt le cittadine che sono loro affidate. Perché gli oneri di urbanizzazione servono a rimpinguare le casse comunali svuotate dai patti di stabilità e perché l’edilizia rimane sempre un gran volano di consenso, fra proprietari di terreni che diventano edificabili e le aziende costruttrici (o da queste parti più spesso le coop) che lavorano al ritmo della bolla immobiliare italiana. Ne sanno qualcosa nel Senese, terra ben più rossa della splendida argilla dei sui campi. Negli ultimi anni, Italia Nostra e altre organizzazioni ambientaliste hanno denunciato la furia edificatrice di numerosi comuni. Per la bella Monticchiello, nel cuore della Val d’Orcia senese, s’era scomodato addirittura Alberto Asor Rosa, urlando contro lo scem-
pio mentre, in quel di Casole d’Elsa, a un tiro di schioppo dalla stupenda San Gimignano, s’era mossa la magistratura a indagare sul moltiplicarsi miracoloso delle volumetrie di molte ristrutturazioni. Difficile che per l’abbattimento dello stadio Lanciotto Ballerini si muovano gli ambientalisti: la pianura in cui sorge, fra il fiume Bisenzio e il Centro commerciali I Gigli, che è stato a lungo il più grande d’Italia, non ha particolare pregio paesaggistico, anche se a pochi chilometri sorge un’oasi naturalistica paludosa. Forse potrebbe farlo l’Associazione nazionale partigiani italiani-Anpi. Nell’annunciare la decisione, Chini non pare essersi soffermato troppo sul dettaglio che le tribune
presto sgretolate dalla pala artigliata del bulldozer portano il nome della medeglia d’oro. Di certo non si lamenta il presidente della squadra di calcio, Nello Bini, che ha diramato una nota zuccherosa: «Abbiamo collaborato volentieri con l’amministrazione», ha detto, «per rendere più vivibile e moderna Campi, anche perché la struttura è vecchia e in prospettiva, c’è in costruzione un campo che conserverà il nome Lanciotto Ballerini». Precisazione quest’ultima che serve probabilmente a scongiurare polemiche cittadine, magari per l’intemperanza dei compagni di Sinistra e libertà che sul cemento, un po’ in tutta la Toscana, hanno dato battaglia ai sindaci Pd del segretario Pier Luigi Bersani. © Riproduzione riservata
E nel partito di Bersani si litiga pure per la Tirrenica DI
GOFFREDO PISTELLI
Ci mancava solo l’autostrada a dividere il Pd toscano. Non bastavano i sindaci arrabbiati per l’astensione parlamentare sulla cancellazione delle province, né le polemiche, anche queste infra-piddine, sull’auto-blu del segretario regionale, ora il partito di Bersani litiga sulla futura «Tirrenica», che prolungherà l’A12, ora ferma a Rosignano (Livorno) fino a Civitavecchia, attraversano la Maremma livornese e grossetana. E sono proprio i maggiorenti piddini di questi territori che, nei giorni scorsi, non appena la Società autostrade tirrenica-Sat (93% Autostrade per l’Italia, 5,5 Autostrade liguri e il resto sfarinato fra province e camere di commercio di Grosseto e Viterbo) ha presentato il progetto definitivo, ad aver incrociato i comunicati stampa, come fossero sciabole. Il deputato Luca Sani, 45enne albergatore di Massa Marittima (Gr), di cui era stato giovane sindaco comunista nel 1985, ha minacciato subito manifestazioni in tutta la Maremma, a capo dei sindaci arrabbiati per il tracciato dell’arteria che, secondo Sani, «creaerà forti disagi soprattutto a Orbetello». Pochi chilometri più a nord, laddove la pianura maremmana passa sotto le insegne della provincia di Livorno, c’è invece il sindaco di Piombino, il piddino Gianni Anselmi, che il progetto lo difende eccome, al punto di cacciare seduta stante dalla sua giunta Idv e Sel che avevano osato criticare. Il suo municipio ha infatti sottoscritto con la Sat, presieduta dall’avvocato dalemiano Antonio Bargone, un importante protocollo che porterà alla città che s’affaccia sul golfo di Follonica una nuova strada di collegamento fino al porto, vitale per le acciaierie dei Lucchini che danno lavoro a tanti piombinesi. Anselmi, piglio pragmatico, ha cacciato Sergio Giorgi, assessore agli Affari generali dipietrista e Marco Chierichei, assessore all’Ambiente di Sel. Avevano definito l’autostrada «un furto per i contribuenti». © Riproduzione riservata
Pier Luigi Bersani
È SEMPRE PIÙ SIMILE A UN ROMANZO DI SPILLANE
Il paese dove le pupe son bionde e i revolver son pien Sui muri di Mosca, tempo fa, erano timo blockbuster superoistico: Capiapparsi dei manifesti cinematografici tan America, il primo vendicatore. C’è «détournati», alla maniera dei situaqualcosa, nella Russia postsovietica, zionisti. Vladimir Putin vi appariva che partecipa insomma dell’incredibinei panni di James le, del prodigioso. SolBond (anche se in tanto la letteratura a realtà questo zar in sensazione e i peggiosedicesimo è piuttori fumetti, dove tutti sto il ritratto sputas’azzuffano con tutti, to dell’attore Vladek parlano la stessa linSheybal, che intergua della Russia neopretava Kronsteen, stalinista dell’«amico il campione di scacPutin», cioè l’amico chi e stratega della del Cavaliere, come Spectre, in 007 Dalla lo definisce FranceRussia con amore). sca Mereu nel suo Putin farebbe la sua serrato racconto defigura anche col mangli anni del potere tello a ruota e i capelli putiniano (L’amico impomatati e il gran Putin, Aliberti, pp. pallore del Conte 352, euro 18,00). CeVladimir Putin Dracula. Sarebbe ankisti impuniti, stamche un ottimo Igor in una locandina pa imbavagliata a raffiche di mitra, «détournata» di Frankenstein (meglio capitalismo gangsteristico, tribunali ancora di Frankenstein Junior, dove asserviti e, come nella vecchia canIgor voleva essere chiamato «Aigor» zone del Quartetto Cetra, un paese e Frankestein «Frankenstìn»). adesso uscito dritto dritto dai romanzi di è la volta di Dimitri Medvedev che Mickey Spillane, dove «le pupe son veste i panni di Capitan Russia nel bionde e i revolver son pien». © Riproduzione riservata détournement delle locandine dell’ul-
Isole Tremiti trivelle in stand-by DI
ANTONELLO DI LELLA
In stand-by le trivellazioni della Petroceltic Italia nei fondali marini a largo delle isole Tremiti. La società ha annunciato che attenderà fino alla sentenza definitiva del Tar del Lazio, prevista il 22 marzo 2012, prima di avviare nuove attività finalizzate alla ricerca di idrocarburi nel tratto di mare antistante le Diomedee. Il tribunale sarà chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento, previa sospensiva, del decreto con cui il ministero dell’Ambiente, il 29 marzo scorso, ha espresso parere favorevole di compatibilità ambientale per le trivellazioni a largo delle coste di Abruzzo e Molise. Il ricorso presentato da numerose associazioni ambientaliste lamenta il mancato coinvolgimento nella procedura di Via della regione Puglia e del Parco Nazionale del Gargano, l’assenza di un approfondimento sui rischi di incidenti e sulla possibilità di effetti dannosi causati dalla tecnica di ispezione Air Gun. © Riproduzione riservata
PRIMO PIANO
Sabato 30 Luglio 2011
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Il filone riguarda i piani generali del territorio: sotto la lente dei pm le delibere di ampliamento
Un’inchiesta fa tremare la Brianza Desio e Giussano nel mirino di una tangentopoli locale DI
GOFFREDO PISTELLI
N
essuno si è accorto che c’è un filone di centrosinistra nella nuova Tangentopoli brianzola che ha coinvolto molti esponenti del Pdl. Riguarda Giussano, importante centro del distretto mobiliero, governato fino a due anni fa da liste civiche in cui figuravano gli esponenti di punta dell’attuale Partito democratico. L’attenzione è stata infatti calamitata dall’ennesima tegola giudiziaria caduta sulla testa dell’ex-assessore regionale all’Ambiente, Massimo Ponzoni, già maggiorente pidiellino dell’area, nonché coordinatore provinciale con la benedizione di Roberto Formigoni, e già al centro del troncone politico dell’inchiesta Infinito, sulla penetrazione delle ndrine calabresi, che aveva portato allo scioglimento anticipato, un anno fa, del consiglio comunale di Desio. La Procura di Monza, la stessa che indaga Filippo Penati a Sesto, ha infatti «avvisato» il 38enne, desiano, Ponzoni per corruzione e peculato relativamente a fondi per il ventennale dell’alluvione in Valtellina gestiti da assessore alla Protezione civile. Ma fra le pieghe di questa nuova inchiesta spunta appunto un filone che riguarda l’aggiustamento dei piani generali del territorio di due grandi centri, Desio e, appunto, Giussano, per la quale è indagato l’ex-sindaco Franco Riva, da non confondersi con l’attuale primo cittadino, Gian Paolo Riva, Pdl. Per i piani in questione, la Procura ha messo sotto la lente delibere che hanno determinato l’aumento di volumetrie di alcune ristrutturazioni e il cambio di destinazione, da agricoli a edificabili, di altri terreni. Il commercialista Franco Riva,
ex dc fondatore di liste civiche, nella sua seconda legislatura alla guida la città simbolo del leghismo aveva infatti firmato, con la consulenza di docenti del Politecnico di Milano, un Pgt con volumetrie record, circa 500mila metri cubi, che avrebbero dovuto portare la popolazione cittadina a oltre 50mila persone, dalle 24mila attuali. Un piano che Lega e Pdl contestarono duramente e che il successore ha smontato con la variante approvata il 25 luglio scorso. Un piano che, al contrario, la sinistra sostenne non con i suoi partiti, Ds e Margherita, supporter di Riva nel mandato precedente, ma con gli eletti della lista civica Giussano democrati-
ca, tra cui l’assessore all’Istruzione Roberto Munarin, attuale coordinatore cittadino del Pd, e Pierluigi Elli, assessore al sociale di quella giunta e candidato sindaco piddino nella successiva (e perdente) tornata. Pd che era pubblicamente intervenuto contro il nuovo sindaco Pdl quando, come primo atto del suo governo, aveva annunciato di voler fermare il controverso progetto di un mega outlet da 13mila metri quadri alle porte della città, approvato dalla vecchia giunta, esattamente dirimpetto a un ipermercato fra i più grandi della Brianza. Una vicenda che, pochi mesi dopo lo stop annunciato dal «nuovo» Riva, era finita dentro la
già citata inchiesta Infinito, con l’ipotesi che la società francese Altarimi e il suo rappresentante italiano, Filippo Duzioni, un bergamasco con residenza in Calabria e uffici in Giussano, avessero corrotto lo stesso Ponzoni con 220mila euro affinché intervenisse sull’operazione, anche se appunto la città era governata dal centrosinistra. E se i passaggi sono tutti ancora da provare, vero è che il nome del sindaco uscente del centrosinistra, era spuntato nel bel mezzo delle trattative per formare la giunta provinciale che doveva governare Monza, nel giugno del 2009. Al campione dell’edilizia giussanese – che volava così alto
da affidare all’archistar Mario Botta il progetto di un centro congressuale nel centro città – si offriva, su proposta del Pdl coordinato proprio da Ponzoni, addirittura l’assessorato alla Pianificazione territoriale. Troppo per il neopresidente Franco Allevi, ex-aennino, e troppo per la Lega che aveva combattuto l’ex-sindaco nella sua Giussano: bloccorano un’iniziativa che avrebbe fatto impallidire i trasformismi più celebrati. Oggi, cantano vittoria anche se, nella stessa inchiesta, stavolta per Desio, è finito il numero due della giunta, il pidiellino Tonino Brambilla. © Riproduzione riservata
VATICANEIDE - SALTA IL VICARIO GENERALE
A fari spenti arriva la svolta sui Legionari di Cristo DI
ANDREA BEVILACQUA
La svolta sui Legionari di Cristo, il cardinale Velasio de Paolis l’ha servita a fari spenti, in una giornata d’estate, quando si pensava che l’impasse che il Vaticano da tempo stava subendo intorno al rinnovamento del gruppo di preti e laici nato grazie al prete pedofilo padre Marcial Maciel Degollado non si sarebbe mai sbloccato. E invece, pochi giorni fa, è arrivata la notizia dell’allontanamento di padre Luís Garza Medina dal vertice dei Legionari. «È la svolta che può cambiare il futuro di questa tribolata congregazione», ha scritto recentemente il vaticanista Sandro Magister. A metà luglio è stata una lettera del direttore generale della stessa Legione, Álvaro Corcuera, a comunicare che dal 1 agosto Garza non sarebbe più stato vicario generale. Garza si trasferisce a New York come direttore territoriale di Stati Uniti e Canada. In sostanza a Garza resta in mano esclusivamente la cura delle vergini consacrate associate al movimento collaterale Regnum
Christi, ma solo in via provvisoria, fino a quando la visita apostolica che ha indagato anche su tale movimento, e che è da poco terminata, sarà tradotta dalle autorità vaticane in decisioni operative. Via Garza, nessuno del vecchio gruppo di potere della Legione è più al sicuro. Perché avere in qualche modo solidarizzato fino all’ultimo con l’indegno fondatore Degollado e l’essere stati messi al comando proprio da lui, rende queste persone per forza di cose inadatte a guidare la ripartenza della Legione su basi radicalmente nuove. Il cardinale Velasio De Paolis ha dato prova di una estrema cautela, prima di prendere la decisione del 15 luglio. Per un anno ha proceduto col passo da tartaruga tipico della curia romana, di cui è un perfetto esemplare. Il suo procedere era così lento che a un certo punto ha cominciato a deludere anche i più pazienti. Mentre al contrario i capi della nomenklatura, Garza, Corcuera e sodali, presero a ostentare una crescente sicurezza. A Corcuera faceva comodo l’amicizia, da lui ben coltivata, col penultimo segretario
personale di Joseph Ratzinger, l’arcivescovo tedesco Josef Clemens, numero due del pontificio consiglio per i laici. Da questo legame Corcuera ricavava l’illusione che il Papa fosse dalla sua parte. A Garza parve un grande successo il tappeto rosso che le autorità vaticane gli stesero quando gli affidarono la promozione e il discorso conclusivo di un pomposo «Executive Summit for the Business World», tenuto in Vaticano dal 16 al 18 giugno alla presenza del segretario di stato Tarcisio Bertone e di altri cardinali. Poco dopo, infatti, in un’intervista del 27 giugno alla Catholic News Agency, Garza si disse sicuro di restare in carica come vicario della Legione almeno fino al futuro capitolo generale, quello che deciderà sui nuovi statuti, previsto tra il 2013 e il 2015. Ma a inizio luglio De Paolis ha sparigliato le carte. Il messaggio che ne è uscito è che l’allontanamento di Garza è stata una decisione autonoma sua e delle autorità vaticane, non il cedimento a una confusa pressione della base. © Riproduzione riservata
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PRIMO PIANO Nella diatriba sul trasferimento dei ministeri al Nord
Maroni si smarca
Non difende Bossi ma Napolitano DI
ANTONIO CALITRI
N
to non è piaciuta l’assenza dalla foto ricordo con il suo capo e con Roberto Calderoli, Michela Vittoria Brambilla e Giulio Tremonti. E men che meno l’assenza dal dibattito e nessuna difesa all’iniziativa di Bossi. Anzi, visto questo assordante silenzio, alcuni rumors dicono che giovedì sono partite diverse telefonate alle redazioni politiche per ricordare ai giornalisti che lo stesso Maroni aveva inaugurato un ministero a Milano nel 2003. Notizia apparsa sulla testata on-line Linkiesta il che ha permesso al Corriere della Sera di riprenderla e pubblicarla senza prendersi
ella nuova guerra dei ministeri al nord contro il presidente della Repubblica, avviata da Umberto Bossi per cercare di riprendere consensi sul territorio, spicca l’assenza di Roberto Maroni. Che oltre a smarcarsi dalle posizioni del Senatur sulla fedeltà a Silvio Berlusconi, emersa con il voto sull’arresto del Pdl Alfonso Papa, adesso si schiera i difesa di Giorgio Napolitano. Dando un’altra botta al già diviso Carroccio, diviso tra quelli «impresentabili» che stanno con premier e i «puri» col capo dello Stato. Dopo l’inaugurazione farsa delle sedi distaccate dei ministeri delle riforme e della semplificazione a Villa Reale e la disputa tra Quirinale e Governo, con la lettera del presidente al premier, nella Lega dei veleni, adesso l’attenzione è tutta sul ministro dell’Interno. A molti dirigenti Roberto Maroni del parti-
il merito di includere Maroni nelle inaugurazioni distaccate. Prima delle elezioni amministrative il Carroccio sembrava tutto schierato in difesa di Napolitano contro gli attacchi del premier e del Pdl. Anzi Bossi era diventato uno dei più forti difensori della presidenza della Repubblica. Dopo la batosta alle amministrative, il capo della LegaNord ha deciso di ascoltare chi gli suggeriva di abbandonare l’abito istituzionale e di tornare ai vecchi cavalli di battaglia che tanto piacciono alla base. E sono ripartiti gli attacchi al presidente della Repubblica già dall’inizio di luglio sulla questione deln la spazzatura napoletana. Con Bossi che, rispondendo all’appello di Napolitano, disse: «La spazzatura di Napoli resta a Napoli» e «ci volevano fregare ma io e Calderoli li abbiamo fermati, anche se il presidente della Repubblica ha firmato e ha detto che non è abbastanza, la sua è concorrenza sleale, perché lui è napoletano». In questa nuova svolta però, un pezzo della LegaNord, quella di Maroni, non ha seguito il capo e di colpo si potrebbe ritrovare in una posizione politica privilegiata rispetto allo stesso Bossi. © Riproduzione riservata
Adesso i leghisti contestano perfino il Tricolore e l’Inno di Mameli
Pdl e Lega danno un calcio all’alleanza in Veneto DI
O
GOFFREDO PISTELLI
rmai Pdl e Lega, in Veneto, sono separati in casa. Non passa giorno senza che le cronache cittadine si riempiano di contumelie, avvertimenti e accuse incrociati. Una volta tocca, per il Carroccio, al sindaco veronese Flavio Tosi, un’altra al governatore Luca Zaia, un’altra ancora ai fratelli Giorgetti, Alberto e Massimo, ai vertici regionali del Pdl il primo e del veronesi il secondo. Ma da quando, lunedì, scorso la multiutility scaligera Agsm, presieduta dal segretario cittadino della Lega (sic) Paolo Paternoster, ha varato una sponsorizzazione di 700mila euro alla squadra di calcio del sindaco di Verona, l’Hellas, la guerra è deflagrata. Proprio Paternoster aveva accusato di scorrettezza gli alleati, per il fatto che un consigliere pidiellino s’era astenuto e molti consiglieri comunali, nei giorni successivi, avevano alimentato le polemiche. Nel chiosare i distinguo e i dubbi del Pdl, sia il sindaco sia il presidente della municipalizzata Flavio Tosi si sono fatti
scappare battute cattivelle su Silvio Berlusconi in persona. «Una volta non ne sbagliava una», ha detto il sindaco, «adesso è l’esatto contrario» mentre il presidente Agsm, nella sua veste di segretario leghista, ha rincarato la dose dicendo che il presidente del Consiglio ha «ha ormai una certa età, forse è il caso che si prenda un po’ di riposo». Per tutta risposta, Massimo Giorgetti e Aldo Brancher hanno precipitosamente convocato per ieri gli stati generali del Popolo della libertà che, in un partito destratturato come quello berlusconiano, sono il massimo della collegialità. Obiettivo: condannare le intemperanze leghiste. E mentre i pidiellini annunciavano l’adunata, nel consiglio comunale scaligero si consumava un’altra rottura, dai toni più goliardici, ma che dà il polso dei rapporti nell’alleanza. Alle note dell’Inno di Mameli fatte risuonare nella sala di Palazzo Barbieri a dal Coro del Baldo, la compagine leghista rimaneva ostentamente seduta per poi affidare a Enzo Flago la sparata secessionista. «Io amo una sola bandiera, la bandiera veneta, su cui campeggia la scrita Pax», ha urlato nel microfono, facendo saltare in piedi gli ex-aennini Stefano Ederle e Lucia Cametti, stessa componente degli arrabbiatissimi Giorgetti. © Riproduzione riservata
Sabato 30 Luglio 2011
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PERISCOPIO DI
PAOLO SIEPI
Nel 2004, quando lei, Bersani, “favorì l’incontro” Gavio-Penati, lei non era ministro delle attività produttive visto che allora governava Berlusconi. Lei era un semplice europarlamentare. A che o e il presi titolo lei “favoriva l’incontro” fra un costruttore privato presidente della Provincia? E perché l’incontro avvenne in gran segreto? Non c’è nulla di male se un costruttore e il presidente della Provincia, soci in un’autostrada, s’incontrano: purchè lo facciano alla luce del sole negli uffici della Provincia e, al termine, diramino un comunicato per informare i cittadini del tema trattato e delle decisioni prese. Nella massima trasparenza. Invece Penati incontra Gavio in un hotel romano, tra il llusco e il brusco. E se sappiamo di quell’incontro, e del suo ruolo di facilitatore, è solo grazie alle intercettazioni del pm di Milano. Le pare normale? Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano. Le crisi economiche, come le malattie, sembrano una delle condizioni dell’esistenza delle società dove il commercio e l’industria dominano. Si possono prevedere, addolcirle, difendersene fino a un certo punto, facilitare la ripresa degli affari; ma sopprimerle è ciò che fino a qui, malgrado le più diverse combinazioni, non è stato dato a nessuno. Clèment Juglar(1819-1905) medico e statistico con la passione per l’economia, maestro di Schumpeter : «Des crises commerciales et de leur retour pèriodique» (Ed Guillaumin). Renato Farina, come intervistatore di Francesco Cossiga ha dato il suo peggio. Ci sono nomi inventati, date confuse, dialetti sardi straziati. A Farina si può perdonare tutto ma Saltabranca no! Il nome dello storico direttore antifascista della Nuova Sardegna nel dopoguerra è Arnaldo Satta Branca. Pasquale Chessa. L’Espresso. L’economia ci insegnava che l’imprenditore arricchisce se stesso creando lavoro, migliorando la vita di tutti, ma oggi, nel mondo globalizzato della tecnica, questo non è più vero perchè il progresso tecnico ha consentito la nascita di smisurate potenze economiche che prendono senza dare. E gli Stati non hanno ancora imparato a fronteggiarle. Si comportano come i medici del passato che sapevano fare solo salassi che indebolivano ulteriormente il malato. Francesco Alberoni. Corsera. C’è in queste tre grandi maschere della politica italiana (Bossi, D’Alema e Berlusconi) lo stesso fascino malinconico dell’androide di «Blade Runner» che conserva intatto il suo senso di onnipotenza superomistico, ma che, allo stesso tempo, sa che nessuno potrà alterare quello che è scritto nel suo destino: la data di scadenza. Luca Telese. Il Fatto. Il Giornale e Libero sono l’uno l’inserto satirico dell’altro. Marco Travaglio. Il Fatto. Non ho difficoltà ad ammettere di trovare sempre interessanti gli articoli di Marco Travaglio anche quelli in cui vengo preso in giro. Ma per attaccare me non c’è bisogno di inventare (...). Ad ogni modo complimenti a Travaglio per l’abilità con cui riesce a sfottermi anche gratuitamente. Vittorio Feltri. Il Fatto. Ancora adesso intorno ai villaggi accecanti dove fu ucciso il poeta Garcìa Lorca, tutto tace. Ma l’omertà non c’entra. E’ colpa del caldo. Nel pomeriggio africano, vedi muoversi solo panni stesi al sole i moscerini sopra gli arbusti di timo. Per le strade, nessuna forma di vita bipede torna a manifestarsi prima delle sette di sera. Sbollita la vampa, smaltiti i postumi della pennica extralarge. Marco Cicale. Venerdì. In questi ultimi trent’anni in tutto il mondo sono nati il Cirque du Soleil, sono nati Bèjart, Alvin Ailey, compagnie di ballo strepitose. E noi siamo ancora alla Fracci che dirige il Teatro di Roma. Bisognerebbe spazzare via una valanga di incompetenti e incapaci che in questi anni, sorretti dal cosiddetto aiuto pubblico, hanno solo segato le gambe al teatro, alla lirica, alla musica. Pelando e teorizzando, ma poi c’è voluto un francese come Stèphane Lissner, sovrintendente e direttore artistico della Teatro alla Scala per rompere r Scala, finalmente gli schemi che ci hanno paralizzato e per avere, ad esempio, il coraggio di portare dei registi nuovi, di chiedere al regista di Le Cirque du Soleil di venire alla Scala. Luca Barbareschi. Il Giornale. I poveri sono delle persone come noi, salvo che non hanno soldi. Coluche «Pensèes et anecdotes» (Le Cherche Midi). Una battuta di Piazzesi: «Io alle razze superiori non ci credo. Ma a quelle inferiori, sì». Indro Montanelli: “I conti con me stesso” (Rizzoli). © Riproduzione riservata
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PRIMO PIANO
Martedì 30 Agosto 2011
Gli Idv in Comune di Milano accusano Maran di essere una pedina nel gioco di Penati
Ci andrà di mezzo l’assessorino?
In effetti un baby a capo dei Trasporti a Milano non convince DI
I
GOFFREDO PISTELLI
mpegno, non promesse», è lo slogan scelto da Pier Maran, assessore ai Trasporti della giunta di Giuliano Pisapia, di cui i dipietristi, in maggioranza, chiedono la poltrona, per la sua vicinanza all’inquisito Filippo Penati. Motto tragicomicamente simile a quello dell’assessore cabarettistico, Palmiro Cangini, che divertiva gli spettatori di Zelig con la frase con la sua parola d’ordine: «Fatti, non pugnette». Di Pierfrancesco Maran, milanese, classe 1980, passione politica nata sui banchi del Liceo Volta, zona elegante a due passi dalla Triennale, ora dicono tutti, soprattutto l’Idv, che fa l’assessore a Palazzo Marino in quota personale di Penati, in un momento in cui tutti, nel Pd, gli sparano come fosse l’orso del tirassegno. La scelta di mettere Maran, nessuna esperienza professionale significativa e soltanto la laura in Scienze politiche alle spalle, su una delle deleghe più delicate come la mobilità della grande metropoli milanese, aveva destato molti dubbi. A meno che non siano state valute come competenza, le notarelle che da giovane consigliere d’opposizione aveva prodotto sul bike-
sharing e i trasporti pubblici notturni pro-movida. In effetti l’esordio di Maran, da assessore ai Trasporti, nel bel mezzo delle giornate più afose di giugno, era stato comico ai livelli del già citato personaggio del cabaret: «Apriamo i finestrini della metropolitana», aveva dettato alle agenzie. E i milanesi avevano improvvisamente preso coscienza che la rivoluzione arancione, aldilà di alcune mosse azzeccate del primo cittadino e della scelta di qualche personaggio giusto nel posto giusto, come la vicesindaco Mariagrazia Guida, qualche pedaggio l’avrebbe fatto pagare. Pisapia, scagliandosi contro i suoi dipietristi, ai quali ha quasi dato gli otto giorni, oggi giura che non si è trattato di una gabella politica saldata all’ex-sindaco di Sesto, uomo forte del Pd cittadino. Forse è stato soltanto un tributo pagato al nuovismo e al giovanilismo di cui una giunta di sinistra, soprattutto dopo 15 anni di centrodestra, deve far sfoggio. Sta di fatto che il giovane Maran, dopo la prima, ha steccato anche la seconda, proponendo di risolvere il caos dei nottambuli alle Colonne di San Lorenzo, riaprendo i parchi delle Basiliche, chiusi una decina
bano, comunicando agli amici d’aver ridato acqua alla fontana di Piazza Bausan, «da anni in secca e piena di rifiuti». D’altronde, da vero campione delle generazioni post-diessine, non solo è lontanissimo da Gramsci, ma anche dal donmilanismo di Walter Veltroni e il suo riferimento più antico è Roberto Baggio, di cui, nel sito, cita una massima seguita alla disfatta dei Mondiali del 1984, causata da un errore dal dischetto dello stesso Codino in finale: «Sbaglia i rigori chi li tira». E anche Pier di palle fuori ne ha già mandate molte. Ma è certo che l’allenatore non lo metterà fuori solo per chi frequentava fuori dallo spogliatoio.
Pierfrancesco Maran di anni fa, proprio per arginare il vandalismo e la follia che nottetempo li dominavano. Una proposta che ha raggiunto il record di bocciature bipartisan e che l’accorto sindaco, ritornato dalle ferie, ha lasciato cadere senza preoccuparsi neppure di commentarla. Pier Maran, ciuffo alla Capitan Harlock, il cartone della sua gioventù, il volto affilato incorniciato abilmente dalla barba di due giorni, l’occhio azzurro a cogliere l’obiettivo ogni qualvolta lo si fotografi, come si conviene a ogni piacione della politica, tie-
ne botta. Sulla sua pagina Facebook, seguito da un migliaio di amici, non commenta la levata di scudi dei dipietristi e la spiacevole notorietà nazionale che Penati gli porta in dote. Né parla della richiesta di dimissioni arrivata dall’opposizione, per bocca di Riccardo De Corato. Si limita a scandire la sua personale battaglia per i parcheggi delle biciclette: «+87» ha postato il 22 agosto raccontando dei posti ricavati alle stazioni di Dergano e Affori della metro. Oppure a riscoprire una delega più soft, quella dell’arredo ur-
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DECRITTAZIONI di Marco Cobianchi - Enrico Letta: «Non c’è dubbio che Penati debba rinunciare alla prescrizione». Voleva dire: - Non c’è dubbio che il Pd debba rinunciare a Penati.
UNO CHE HA SEMPRE TIFATO PER L’ARMATA ROSSA E, SOLTANTO DI RECENTE, PER ROBERTO SAVIANO
Possibile che Penati abbia incassato mazzette per 9 mln? DI
P
DIEGO GABUTTI
ossibile che Filippo Penati abbia incassato in pochi anni ben 9 milioni di euro in mazzette? Possibile che un ex comunista, iscritto fin da piccolo al partito degli onesti, uno che ha sempre tifato per l’Armata rossa e per le democrazie popolari prima che venisse il contrordine compagni e si passasse a tifare per Roberto Saviano e per le repubbliche giudiziarie, si sia ridotto a pretendere bustarelle da chiunque piatisse un appalto a Sesto San Giovanni, già Stalingrado d’Italia, come e peggio di un socialista mannaro? *** Pier Luigi Bersani, di cui Penati è stato a lungo il braccio destro, anzi «l’uomo ombra», non se ne capacita, come ha dichiarato alla stampa. Perché Filippo ha fatto (se l’ha fatto) ciò di cui l’accusano (sempre che il Gip non dichiari una volta per sempre il non luogo a procedere per decorrenza dei termini)? Un uomo come lui! Un comunista, sia pure ex! Bersani scuote la testa, ostenta stupore e porge all’elettorato democratico, con l’occasione, l’ennesima bambola da pettinare (o, a scelta, un altro leopardo da smacchiare). *** E dire che soltanto pochi anni fa, candidandolo alla presidenza della Regione Lombardia, dove ce ne sarebbero stati d’appalti da far girare, il futuro segretario democratico aveva detto che l’amico Filippo, suo sodale fin dai tempi del grande, glorioso e giusto partito berlin-
gueriano, aveva «tutto più di Formigoni, tranne l’arroganza». Era anche più svelto di mano. *** Come la Titina e la Primula rossa, come un prestito fino a mercoledì o il nome d’un cavallo vincente, il Colonnello Gheddafi è ricercatissimo in tutta l’Africa, dall’Algeria allo Zimbawe. Dove sia nessuno lo sa. Fossi un ribelle libico, io darei un’occhiata sotto tutti i burka, oltre che dentro i veicoli blindati. *** «Fonte principale della nuova legge sarà la sharia», promettono i ribelli libici, che soltanto pochi mesi fa, all’inizio dell’avventura, avevano giurato di combattere per «uno Stato laico, democratico, pluripartico e rispettoso dei diritti umani». Che bella notizia! Adesso sì che siamo tranquilli! *** Adesso che persino le amazzoni, già guardie del corpo del Raìs, denunciano d’aver subito stupri e violenze da parte degli uomini del Colonnello, e forse anche da parte del Colonnello in persona, Gheddafi vorrebbe trattare col nuovo potere. Che gli ha intimato d’arrendersi, come nei film western, se non vuole che i buoni musulmani gli sparino a vista. Dead or alive. Scelga lui. *** «Il motto di Talleyrand è inaccettabile: un errore non è peggiore d’un delitto. Sennonché l’errore finisce per giustificare il delitto e offrirgli un alibi. Getta le vittime nella disperazione. È questo che non riesco a perdonare alla società politica contemporanea: che sia diventa-
ta una macchina per gettare l’umanità nella disperazione» (Albert Camus, Questa lotta vi riguarda. Corrispondenze per “Combat” 1944-1947, Bompiani 2010) *** «Esempi di testi leninisti autentici: Lenin alla luce dei semiconduttori, Lenin sui rappori sessuali extraconiugali, Lenin e l’esperanto, Lenin e il tempo andato, Lenin e l’apicultore Trofim, applicare l’insegnamento di Lenin all’industria conserviera» (Jan Zabrana, Tutta una vita, :duepunti edizioni 2009). *** Flavio Briatore ha recuperato gli 86mila euro che una comitiva di Paperoni russi, dopo avere asciugato ben novanta bottiglie di champagne extraluxe, aveva rifiutato di pagare, involandosi tra le proteste dei camerieri del Billionaire, il locale per soli nababbi che Briatore possiede in Costa Smeralda. Personalmente li capisco. Non c’è bisogno d’essere russi per diventare bolscevichi di fronte a un conto di 86mila euro. Anch’io mi metterei a cantare la Marsigliese impugnando un forcone (o almeno una forchetta da dessert, o un cucchiaino da caffé). Invece il Giornale, trasformandosi così da quotidiano reazionario in testata «padronale» da barzelletta, si congratula con Briatore per averla avuta vinta sui «furbetti dello champagne». Ma addavenì Baffone. *** Chi si lamenta di pagare troppe tasse non ha mai pagato il conto del Billionaire. Per forza, poi, uno invoca la Sharia islamica, che vieta gli alcolici e lo strozzinaggio. Addavenì Maometto! ***
Oltre che contro la manovra antioperaia, anche contro il prezzo dello champagne (eviterei, per prudenza, d’ordinare un panino, o anche soltanto una gazosa) al Billionaire di Porto Cervo dovrebbe scioperare, il prossimo 6 settembre, la Cgil di Susanna Camusso. Basta con le mollezze borghesi! Patrimoniale! Altro che caviale! E le ballerine, a lavorare! *** Per essere così antioperaia, come del resto tutte le manovre dei governi borghesi, che notoriamente sono il «comitato d’affari» del grande capitale, la manovra economica della maggioranza berlusconiana ci va piano con quella che la Cgil e in particolare la Fiom-Cgil chiamano abitualmene, drammatizzando giusto un po’, «macelleria sociale» (sembra la ragion sociale d’una cooperativa, ma è il nome del demonio). Fatta eccezione (forse) per un punto d’Iva, tutto resta così com’è: le pensioni, le province, le auto blu, la spesa pubblica, i privilegi dei politici, le sinecure dei funzionari dello Stato. Che cosa può fare la Cgil che non abbiano già fatto Silvio Berlusconi e la Lega? *** «Poiché le corti costituzionali sono in grado di fornire i mezzi necessari per avere la meglio sulle maggioranze annullandone il voto, la magistratura è l’arma prediletta dei liberals per scardinare democrazia e Stato di diritto e per indirizzare la cultura verso percorsi che l’elettorato non sceglierebbe mai» (Robert H. Bork, Il giudice sovrano, Liberilibri 2004). © Riproduzione riservata
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Mercoledì 31 Agosto 2011
Le grandi manovre del Pd, Zingaretti verso la segreteria
Roma, effetto Serra Per il Campidoglio spunta l’ex prefetto DI
ANTONIO CALITRI
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alter Veltroni prepara una mossa killer per riconquistare il Campidoglio insieme all’Udc e affondare contemporaneamente la segreteria del Pd di Pier Luigi Bersani. Con l’ex prefetto e attuale senatore centrista Achille Serra, pronto a scendere in campo come uomo d’ordine in grado di ripulire la città dall’incalzante criminalità di quest’ultimo periodo. E scippando l’obiettivo al quale punta Nicola Zingaretti, costringere quest’ultimo a ripiegare (se così si può dire) verso la segreteria del partito e la leadership del centrosinistra, dove sul quarantenne serio, pragmatico e poco scalpitante presidente della provincia di Roma, confluirebbero sia i voti dell’ex segretario democratico che quelli di Massimo D’Alema. E con una figura nuova come questa, non avrebbero partita per eventuali primarie del centrosinistra, né il sindaco di Firenze Matteo Renzi, né il governatore pugliese Nichi Vendola. Tre obiettivi con un sol colpo, anzi, con un sol uomo. A molti attenti osservatori, sia al Nazareno che al Campidoglio, non è sfuggita l’enorme visibilità mediatica conquistata dall’ex prefetto Serra, che dopo l’ultimo omicidio nella capitale è stato cercato e intervistato da Unità, Corriere della Sera, da telegiornali locali e nazionali, da agenzie e siti internet, tutti a chiedergli la ricetta contro la cri-
Achille Serra minalità, neanche fosse Rudolph Giuliani. E lui ex poliziotto nei caldissimi anni di piombo, ex questore a Milano ed ex prefetto a Roma, non si è affatto sottratto, anzi. Ha richiamato proprio gli anni ’70 dicendo che «siamo tornati a tempi difficilissimi, quando c’erano sequestri di persona, attentati, omicidi», poi ha dissimulato il suo obiettivo accusando il Pd (a guida Bersani) che sta sbagliando ad attaccare Gianni Alemanno, infine ha dispensato qualche ricetta soft per contrastare la criminalità come «strade illuminate e piazze vive contribuiscono alla sicurezza». Andando al di là dell’emerso però, la prima prova di visibilità per una possibile sbarco nell’agone romano da parte di Serra è stata superata alla grande. E molti indicano in Veltroni l’autore di questa strategia. Complessa ma che già aveva in qualche modo anticipato nel 2008, quando ai micro-
foni di Radio Anch’io annunciò la candidatura del prefetto e e parlò anche di «questa idea che i laici e i cattolici non possono convivere, e che persone che hanno opinioni diverse su temi delicati debbano ognuno farsi un suo partito, è un’idea che ci porta ad un assetto non di un Paese moderno, sarebbe l’unico con un partito laico e uno cattolico». Ebbene, dopo che Veltroni ha abbandonato la segreteria del Pd, Serra ha abbandonato il partito per andare proprio nelle file dei cattolici dell’Udc, pur tenendo sempre i contatti con l’ex sindaco di Roma. Scendendo in campo, Serra d’un colpo potrebbe rappresentare un nuovo esperimento per un grande laboratorio e futuro partito tra i Modem di Veltroni e Beppe Fioroni (che dovrebbe far fare un passo indietro a Enrico Gasbarra che aspira alla stessa poltrona) e l’Udc di Pier Ferdinando Casini. Forte di un profilo di ordine senza manganello che piace tanto ai romani (suo il libro, «il poliziotto senza pistola»), Serra potrebbe sfondare e lasciare a bocca asciutta sia Alemanno che Zingaretti. Costringendo quest’ultimo a fare quello che fino ad ora si è rifiutato e cioè impegnarsi nel rinnovamento del partitoo democratico dove, secondo il Foglio, al suo sostegno ci sarebbe una convergenza di forze degli arcinemici Veltroni a D’Alema.
Nel Trevigiano monta la questione islamica GOFFREDO PISTELLI
inoltrata comunque, per cui tutti sono informati», garantendo che sarebbe stata « la solita festa tranquilla, engalesi sì, macedoni no. Nella Marca tre- con 200 fedeli che non faranno nient’altro che pregare vigiana, la questione islamica è diventata per qualche ora». «Gli uffici hanno già provveduto ad ormai un puzzle. Se la comunità del Ban- esprimere parere contrario», ha ribattuto il sindaco, gladesh, cui a Treviso era stata negata dal Alberto Maniero, ingegnere, 46enne che guida il musindaco leghista Gian Paolo Gobbo (malgrado nicipio dal 2007 in quota Pdl ma che, dopo le ultime l’apertura del vicesindaco Giancarlo Gentilini), elezioni, deve fare i conti con i leghisti molto bellicosi ha chiuso ieri il ramandan in una palestra di Silea, i in maggioranza. Nel 2008, il capogruppo della Liga, macedoni musulmani, che vivono a Conegliano, hanno Giovanni Bernardelli, aveva tuonato contro la decidovuto penare fino all’ultimo. Il loro raduno, previsto sione comunale di non pronunciarsi in merito, perché nel PalaFallai, struttura comunale gestita da un pri- «il municipio non aveva la gestione della struttura». vato, la Sport Service, è stato autorizzato dalle auto- Quelli del Carroccio avevano fatto fuoco e fiamme: rità di pubblica sicurezza, ma in Comune, governato «Quella palestra non può essere un luogo di culto, da una giunta di centrodestra col Pdl baricentrico, le come Lega ci opponiamo, in un Comune a prevalenpolemiche non sono mancate. Dal municipio hanno za leghista non sarebbe mai potuto accadere: se c’è protestato per il ritardo con cui la una convenzione che lo permette documentazione sarebbe arrivava modificata». E ora che anche il PILLOLA ta, rendendo impossibile l’esame duro Genty ha cambiato parere di Pierre de Nolac da parte della giunta. Il gestore, ha declinato l’invito a partecipare Michele Cettolin, è trasecolato, alla festa dei bengalesi, solo per A Veltroni la manovra non anche perché la festività viene delicatezza verso il sindaco che li fa alcun effetto. celebrata in quella tensostruttuospitava - ci si mette un pidiellino, ra da almeno 10 anni: «Non era dichiaratamente liberale (su FaNon ha una laurea da rinecessario presentare richiesta in cebook campeggia la sua foto col scattare. municipio», ha detto un’emittente ministro Franco Frattini), a fare locale, Antennatre, «ma l’abbiamo macchine indietro
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DI
PAOLO SIEPI
Pare di avere delle allucinazioni al ricordo della classe dirigente politica degli anni Sessanta e Settanta. Pallori che viravano sul giallastro, pance maestose, meste bretelle grigie, esili gambette, calzini al malleolo. C’è addirittura una filastrocca per descrivere l’aspetto dei potenti di allora, una sorta di elenco compilato con i loro stessi cognomi: Piccoli, Storti, Malfatti e Malvestiti. Filippo Ceccarelli, Il teatrone della politica (Longanesi). Il nostro modello contemporaneo non sono i politici, ma le celebrità. E chi sono le celebrità? Persone conosciute per essere molto conosciute. Su Facebook c’è una rubrica specifica. Si chiama: «I like it»: sono gli altri che esprimono il loro apprezzamento per quello che facciamo. E il numero delle persone che ci visitano, definiscono il nostro successo. È la società dei consumi. Se non ti vendi, sei destinato a una vita miserabile. Zygmunt Bauman, studioso della società post moderna. La Stampa. Dire la verità come noi la vediamo. È lo slogan del settimanale l’Express coniata dal suo fondatore, Jean-Jacques Servan-Schreiber. Se amassi il prossimo mio come me stesso, forse lui non ne sarebbe contento. Giuseppe Carella. Voluta da Marchionne per il rilancio della Fiat, la Freemont è la vettura dei record: pesa come un peschereccio ma consuma come una portaerei. Sorgerà a Torino il monumento per i primi collaudatori: tutti morti per vibrazioni. Molto apprezzato il cambio automatico: appena uno compra un Freemont vorrebbe cambiarla automaticamente con una Bmw. Continuano i successi Fiat nel mondo: vendute in Usa ben due 500, le ha comprate Lapo. Alessandro Robecchi. Il Fatto. Ammettere i propri limiti è il primo passo per superarli. Roberto Gervaso. Il Messaggero. Si può mai odiare Gambadilegno, anche se è Gambadilegno? Stefano di Michele. Il Foglio. Il clown beve enormi risate e si ciba di applausi. Pierre Etaix, 83 anni, il decano dei clown francesi. Le Point. Lo sciopero della Cgil fa solo perdere soldi ai lavoratori. Raffaele Bonanni, segretario Cisl. la Cronaca.
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Bengalesi sì, macedoni no. Amministratori comunali contro
DI
PERISCOPIO
Lo sciopero del 6 settembre a Roma è una colossale fesseria, un’anomalia tutta italiana. Questo doveva essere il momento delle proposte unitarie e non della rottura sindacale. E invece la Cgil della Camusso organizza uno sciopero unilaterale. C’è poco da stare allegri. È vero che la Cgil è sempre stato il sindacato più forte per numero di iscritti ma, per fortuna, non vedo la sua egemonia sugli altri. E poi, diciamocelo francamente, è da troppo tempo che non risolve più i problemi dei lavoratori. Vi sembra poco? Che sindacato è? Massimo Cacciari. Il Giornale. Il silenzio del vertice Pd sul caso Penati non fa che accentuare la crisi della Casta politica. Adesso il quadro è completo. A destra, a sinistra e al centro, le mutande sporche si vedono a occhio nudo. Più in basso di così non si può cadere. È rimasta una sola incertezza: quanto durerà la caduta e dove finiremo. Giampaolo Pansa. Libero. Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà. Napoleone Buonaparte, 1816. L’Onu è una vecchia apoplettica che non capisce nemmeno più che il mondo si è allontanato dalla schema binario (Usa-Urss) per il quale essa è stata creata. Christophe Barbier. l’Express. A scuola ero campione mondiale di copiatura e questo dimostra che anche chi copia ha speranza. Luca Cordero di Montezemolo in Il candidato di Stefano Feltri (Aliberti editore). L’Italia è un Paese primitivo dove si continuano izzazione a fare le cose che si facevano prima dell’industrializzazione. Dato che da noi la civiltà esisteva prima dell’industria, abbiamo avuto l’economia industriale, ma la civiltà industriale ha dovuto cedere nei confronti di quella preindustriale delle città italiane in cui contava il medico, l’avvocato, il notaro. Marcello De Cecco, storico dell’economia. Venerdì. © Riproduzione riservata
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Mercoledì 31 Agosto 2011
Oggetto del contendere è la licenza per una spa con hotel-foresteria in un parco comunale
Livorno, il Sel all’attacco del Pd
Il sindaco toglie tutte le deleghe e viene processato dal partito DI
GOFFREDO PISTELLI
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ualcuno dice apertamente che è stato un processo: l’altro ieri sera, intorno alle 22, nella sede del Pd di Livorno in via Donnini 66, davanti all’imputato Alessandro Cosimi, sindaco della città, c’era un collegio giudicante composto dai vertici del partito, a cominciare dall’uomo forte, Gianfranco Simoncini, assessore regionale alle Attività produttive. A latere, c’erano il presidente della Provincia, Giorgio Kutufà, il consigliere regionale Marco Ruggeri, il senatore Marco Filippi, e i vertici cittadini e provinciali del partito, Yari De Filicaia e Filippo Di Rocca. Una corte tutta ex-diessina, perché nella città in cui nacque 90 anni fa esatti, il Partito comunista, a dettar legge nel partito di Pier Luigi Bersani è l’ala sinistra.E un processo ingombrante, visto che Cosimi, 56 anni, patologo, una lunga carriera ospedaliera, rieletto nel 2009 col 51% dei voti, è anche presidente dell’Anci Toscana. È finito a giudizio per quello che, agli occhi del partito, sembra uno sconcertante colpo di testa: aver azzerato, sabato scorso, tutte le deleghe asses-
sorili, dopo che il titolare dello Sport, Claudio Ritorni, Pd pure lui, si era dimesso, ufficialmente per motivi personali, ma in realtà per una variante urbanistica che riguarda il Parco della Ceschina e l’ippodromo Caprili della città labronica. L’atto, che doveva andare in giunta il 24 agosto, è stato accantonato dal sindaco per la manifesta ostilità delle componenti vendoliane della maggioranza, ma soprattutto della sua assessora all’Urbanistica, Paola Bernardo, piddina molto in feeling con Sel. Era bastata la circolazione di questi dissensi a convincere il sindaco a stoppare la delibera. Troppo per Ritorni, 60enne alto dirigente del Monte dei Paschi, molto apprezzato nel cuore della banca più antica e più rossa d’Italia, che si è dimesso. Che cosa prevedeva la variante? La costruzione di due grandi edifici (5mila metri quadri) all’interno del verdissimo parco di proprietà comunale a due passi dal mare, creando, all’ombra dei pini, una bella spa con annesso albergo-foresteria. Il complesso sarebbe stato messo a gara (europea) entro la fine dell’anno per la gestione complessiva di parco e ippodromo. Anzi, nei disegni dell’assessore,
MAI FIDARSI DELLE VALCHIRIE
Gheddafi si era invaghito di un W. Churchill Magari è un po’ difficile credere che, se davvero erano ridotte in schiavitù, se davvero venivano sistematicamente violentate dal boss libico e da ciascuno dei suoi figli, le amazzoni al servizio del Colonnello Gheddafi non abbiano mai nemmeno tentato di filarsela quand’erano in tournée all’estero col circo del Raìs. Eppure sarebbe stato facile: gambe in spalla e via, fino a incrociare il primo poliziotto. Ma fidiamoci della loro parola. Gheddafi e figli l’aria e le abitudini dei licantropi ce l’hanno senz’altro. Come credere, però, alle rivelazioni d’una delle valchirie, ieri più che pappa e ciccia col tiranno, oggi sua nemica giurata quando racconta che il Barbablù di Tripoli s’era perdutamente invaghito, oltre che di Condoleezza Rice, la bella consigliera per la sicurezza nazionale sotto Bush jr, anche di Madeleine Albright, segretario di Stato sotto Bill Clinton? Madeleine Albright? Abbiamo sentito bene? Gheddafi «voleva il numero di telefono privato» del Segretario di Stato clintoniano? Un’ultrasessantenne? Praticamente Winston Churchill con la gonna e senza bombetta? Quell’Albright? Una che ci metteva poco a bombardare Tripoli accampando la scusa di un intervento umanitario se soltanto un libico l’avesse chiamata al telefono per farle una dichiarazione d’amore? Gheddafi voleva il telefono di quell’Albright? «Possibilmente il telefono sul comodino della sua camera da letto»?
Alessandro Cosimi dove servire a impreziosire l’offerta dell’impianto per le corse dei cavalli, meno appetito, e attualmente in gestione a una società sportiva pisana. Alla parola «variante», ma forse anche al termine «beauty farm», l’assessore Sel, Maurizio Bettini è insorto, trovando subito sponda nella stessa Bernardo che, oltrettutto, essendo titolare dell’Urbanistica, non ha gradito per niente l’attivismo del collega. In realtà, Bernardo e soci non vogliono che si metta le mani, una variante
via l’altra, nel Piano strutturale, come a Livorno si chiama il piano generale del territorio. Piano, approvato in maggio, e che è l’oggetto di molti interessi immobiliari da parte delle forze economiche che gravitano sul porto, come quelle del Gruppo Fremura, degli storici spedizionieri livornesi. Ma qui, appunto, il blitz del sindaco, che ha battuto i pugni sul tavolo, riprendendosi tutte le deleghe. Mossa che ha allarmato i notabili del Pd livornese, che l’hanno convocato subito, di ritorno da Milano, dove aveva partecipato alla manifestazione dei sindaci. Secondo la stampa locale, Cosimi non sarebbe stato condannato e i suoi argomenti sarebbero stati tali da far sospendere il giudizio. Avrebbe voluto troncare i personalismi e iniziare una verifica per capire chi rimarrà in squadra per affrontare una stagione amministrativa sangue-sudore-lacrime come quella che si aprirà con la Manovra-tris. Più probabilmente sullo sfondo dell’udienza c’era la grande questione urbanistica, cioè edilizia, che qui, come in altre parti d’Italia, pare una delle poche capace di dividere la politica all’interno stesso dei partiti.
A scuola dall’Udc L’Udc propone una scuola di formazione politica per i giovani moderati. Si chiama «Summer School», e si svolgerà dal primo al 4 settembre a Priverno, in provincia di Latina, presso il Castello San Martino e l’Abbazia di Fossanova. Lezioni, incontri a numero chiuso e convegni aperti al pubblico, ai quali parteciperanno Rocco Buttiglione, Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa. Ma non è l’unica, dato che anche il Pdl ha una iniziativa analoga, anche se è slittata a venerdì 2 settembre, nella sala Nassirya del Senato, la conferenza stampa di presentazione della «Summer School 2011», sesta edizione della scuola di alta formazione politica promossa dalla Fondazione Magna Carta e dall’associazione Italia Protagonista, Sebastiano Luciani © Riproduzione riservata
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I POLITICI USA DOVRANNO RISPONDERE DI TURBATO WEEK END
Irene ha sgomentato persino Obama e invece non era proprio il caso DI
ISHMAEL
Ai voyeurs dell’informazione, che aspettavano con ansia un bel disastro in diretta tivù, è andata male: New York, invece d’inabissarsi nel mare come Lemuria, Atlantide, Mu e le altre civiltà perdute, è sopravvissuta all’uragano, trasformatosi strada facendo in temporale estivo. Niente tsumani, nemmeno l’ombra di un grattacielo crollato, nessun terremoto, non una vittima in città. È giusto volato via qualche albero. Sono mancate persino le scene di panico. A dispetto delle danze della pioggia, con le quali la curva sud delle catastrofi evocava l’ira di Dio sulla capitale del mondo, non c’è stato niente da masticare per i media intossicati dalle emozioni forti. Mentre Dorothy, nel Mago di Oz, si guarda intorno dopo il passaggio del tornado, valuta le scimmie volanti, i nani, gli spaventapasseri parlanti, le streghe, le fate, gli uomini di latta e, fattisi due conti, conclude di non essere più «nel Kansas», i newyorchesi non sono stati sbalzati dall’uragano in un altro universo, come sarebbe piaciuto ai media gufanti, ma si sono ritrovati al massimo nel New Jersey, o poco più in là, dove li avevano spediti le raccomandazioni, forse un po’ affrettate, del sindaco Bloomberg e di Barack Obama. Ma almeno i politici, quando si sono fidati dei meteorologi che scommettevano sulle cattive intenzioni del
tornado Irene, l’hanno fatto per prudenza, una virtù che in genere è scarsamente praticata dai potenti. Preoccupati per la sorte dei newyorchesi, e anche un po’ per la propria carriera, che non sarebbe uscita bene dalle conseguenze di una piaga biblica che avesse fatto strage di cittadini perché le autorità avevano trascurato di metterli in guardia, hanno pensato che fosse meglio tirarsi addosso le maledizioni dei newyorchesi invitati a sgombrare la città senza che ce ne fosse bisogno, nel caso Irene avesse mancato il colpo, piuttosto che farsi appendere ai lampioni per aver sottovalutato il pericolo. Irene ha risparmiato New York e adesso i politici passeranno i loro guai per aver rovinato il weekend a qualche milione d’americani (specie Obama, che si è reso leggermente ridicolo con uno di quei discorsi commossi ma virili che si fanno dopo le catastrofi, non prima). Ma poteva andar peggio: Obama e Bloomberg dicono che non c’è niente da temere e Irene devasta New York. Invece la passeranno liscia i media, che magari non si sono troppo sbilanciati con le previsioni, ma che hanno apertamente evocato e fatto l’occhiolino al peggio, come satanisti da horror film. In questi lugubri e funesti abracadabra dell’informazione si è perfettamente specchiata e riconosciuta l’audience sadomaso di giornali e tivù. © Riproduzione riservata