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Domenica 3 Settembre 2017 Corriere Fiorentino
FI
Italianisti a congresso su «Le forme del comico». E l’opera di Palazzeschi Quattro giorni per gli Stati generali dei massimi esperti della lingua Da mercoledì 6 a sabato 9 settembre l’Università di Firenze ospita il XXI Congresso degli italianisti su «Le forme del comico»: per quattro giorni si riuniranno per gli stati generali dell’Associazione degli italianisti, i massimi studiosi di lingua italiana
con un focus dedicato alla figura e all’opera di Aldo Palazzeschi. L’inaugurazione è alle 15 nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio con il sindaco Dario Nardella, il rettore Luigi Dei , il direttore del Dipartimento di Lettere e Filosofia Anna Nozzoli e il
presidente dell’Associazione degli italianisti Guido Baldassarri per le prime due sessioni plenarie. Il congresso prosegue poi nell’Aula Magna di piazza San Marco 4 e al plesso didattico di via Capponi 9 e di via Laura 48.
L’intervista Paolo Pardini, caporedattore del Tg3 della Lombardia, e i ricordi di mare «In giro alla scoperta dei porticcioli toscani, con me al timone e la troupe della Rai»
«In barca fino all’Elba, per la prima inchiesta» Gallery
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Con Raffaella Carrà Nel 1991 un premio come giovane inviato in un suo programma di varietà
Info ● Paolo Pardini, classe 1955, capo redattore del Tg regionale della Lombardia ● Ha iniziato la carriera in Rai a Firenze alla fine degli anni Ottanta dove è tornato nel 2014 per due anni come caporedattore ● È stato conduttore di telegiornali e di talk show politici come «Il Cielo sopra Milano»
di Goffredo Pistelli Per arrivare a Paolo Pardini si sale al terzo piano di una delle perle di Gio Ponti, la sede Rai di Corso Sempione a Milano, quella dell’antennone che, nel 1953, quando il Centro di trasmissione fu edificato, doveva fare una certa impressione, perché la fa anche oggi. La stanza di questo pisano, classe 1955, capo del Tg regionale della Lombardia, è il terminale dell’andirivieni di tanti giornalisti, chi torna da Palazzo Marino, chi parte per il Pirellone, o per gli angoli di questa regione che offrono quotidiani spunti di cronaca. Pardini ascolta, domanda, consiglia, non perde mai le staffe. La sua lunga storia professionale si è intrecciata più volte alla Toscana: partita a Firenze, ai primi anni ’80, come precario Rai, dal capoluogo è ripassata, nel 2014 e per due anni, da caporedattore. Dopo aver guidato la redazione del Trentino e aver diretto Telenova, emittente delle edizioni San Paolo. In mezzo tanti riconoscimenti: da quello al giovane inviato di un programma di Raffaella Carrà (1991), al premio Guido Vergani. Cominciamo dal ricordo di un’estate toscana, a cui lei sia affezionato. «Beh, gliene dico uno, per il quale i colleghi della sede Rai di Firenze mi hanno preso a lungo in giro. Luglio 1984: mi approvarono un’inchiesta iti-
nerante sui porti toscani». E come la fece? «Noleggiammo un barca a vela, con la quale bordeggiammo la costa da Pisa, da Bocca d’Arno fino all’Elba, facendo tappa in porti e porticcioli, di cui documentavamo l’affluenza, le strutture, i servizi». Ma chi portava la barca, mi scusi? «Io, che sapevo farlo, visto che mio padre Giorgio ne aveva una e io, già da ragazzo, mi dilettavo a timonare. La decisione, in effetti, lasciò un po’ perplessi operatore e fonico che, invece, in barca non c’erano mai stati». Malfidati. «E all’inizio anche un po’ arrabbiati. Provvidi io alla cambusa e arrivai a bordo con qualche panino già confezionato e qualche bibita, destando un po’ di sconcerto». Rischiò l’ammutinamento. «No, però quella parsimonia mi rincorse come una fama sinistra. Era la classica battuta di Largo de Gasperi: “(…) come quella volta che il Pardini fece morire di fame la troupe”. Comunque nessuno, poi, morì di fame: la sera, in porto, si cenava. Un servizio che andò molto bene, a parte…» A parte? «A parte il tratto fra Capraia e l’Elba, quando un fortunale
ci sorprese e i miei colleghi si impaurirono. Ma solo per la loro scarsa dimestichezza con la navigazione» (ride). Come c’era arrivato, in Rai? «Dopo la laurea, a Pisa. Avevo fatto Lettere all’Istituto di Storia dell’arte, che era un piccolo Dams in nuce, nel senso che ci si studiavano anche il cinema e i media. Infatti io non pensavo di fare il giornalista, glielo confesso». Ah no? E tutti questi premi giornalistici che poi ha preso? «Sì certo, ma io, all’inizio, ero interessato a fare la televisione, più che i telegiornali. Avrei voluto essere Sergio Zavoli, più che Indro Montanelli. Anzi, non credo d’aver scritto un articolo in vita mia». Chi la assunse? «Tramite amici degli amici, riuscii ad avere un colloquio col direttore di sede, Carlo Bonetti, un grande inviato, dal Vietnam a Parigi, e che, a fine carriera, era stato mandato dirigere la Toscana». Come andò? «Lo aspettavo nel corridoio e, quando lo vidi passare, mi gettai fantozzianamente incontro, dicendo d’avere un appuntamento. Lui mi squadrò e disse: “Sì, sì, ora vediamo. Si metta là, seduto, e mi aspetti”. Un impatto brusco ma, alla fine, il primo contratto scattò».
Colpi di sole
Protagonista Paolo Pardini nel suo ufficio al terzo piano della sede Rai di Corso Sempione a Milano
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Sergio Zavoli, il modello Volevo fare televisione per diventare come lui Il giornalismo invece non mi interessava
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La passione per la vela Con mio padre Giorgio da ragazzo mi dilettavo a timonare. Che ricordi all’Elba nel 1984
Poi si spostò a Roma. «Sì, la televisione andava fatta da là. Ma passai qualche anno senza trovare stabilità, saltavo di contratto in contratto. Per carità, tutto pagato, la Rai è sempre stata un’azienda seria, anche se per pochi mesi, ma ti assume». Ma insomma Pardini, a Roma ci sarà stata anche un po’ di politica da frequentare negli anni ’80. Che era il viatico per Viale Mazzini. «Guardi, io venivo dagli scout nell’Agesci e, ovviamente, guardavo alla Dc, ma non succedeva nulla. “Verrà il momento”, mi ripetevano. Invece venne Milano». Cambio radicale. «Programmai un giro di contatti, nelle mondo delle nuove emittenti. Andò bene alla prima, perché quelli di Famiglia Cristiana, le Edizioni San Paolo, mi presero per la loro Telenova». Si piegò al giornalismo, alla fine. «Capii che mi piaceva. Conducevo il tg, facevo i primi talk show con i politici locali, uno in particolare, Il Cielo sopra Milano, ebbe un gran successo. Divenni direttore entro pochi anni. Erano i primi anni 90, in studio avevamo spesso il sindaco Paolo Pillitteri o il presidente regionale Bruno Tabacci. E anche quel Mario Chiesa, il cui arresto avrebbe innescato Mani pulite». Quali erano i temi dell’attualità di allora? «Ricordo primi dibattiti sull’immigrazione, che allora era solo quella albanese. E la curiosità con cui raccontammo il fenomeno Lega Nord, coi primi comuni che venivano conquistati dal Carroccio». E la gente seguiva? «Moltissimo. Ti fermavano al bar, per strada. Impressionante. Ecco, in quel momento, sentendomi pienamente realizzato, la Toscana smise di mancarmi. L’avevo quasi ripudiata, psicologicamente, se mi chiedevano se la mia terra mi mancasse, facevo spallucce». Un rapporto recuperato? «Tre anni fa, col ritorno a Firenze, dopo essere stato assunto in Rai a fine anni ‘90. Riscoprii in un colpo tutto il mio sentirmi toscano. E recuperai il mio amore per Pisa e per Firenze». Dove viveva al tempo degli esordi in Rai? «In Borgo San Jacopo, in un appartamento di amici. E trent’anni dopo, ritornando, la prima casa che trovai fu nella stessa via, alla Torre Angelieri. Una coincidenza da brividi». C’è un ricordo fotografico delle sue città toscane? «Sì, quando uscivo dalla Rai, allora come più recentemente, mi piaceva venire a piedi o in bici da Bellariva a Ponte Vecchio. E lo spettacolo di Firenze che si rispecchiava nell’Arno, all’imbrunire, mi rendeva lieta ogni sera. Spesso, guardando giù dalle spallette, pensavo che quell’acqua, in capo a un po’ di ore, sarebbe stata nella mia Pisa». (4. Continua. Le interviste precedenti sono uscite il 9, il 17 e il 27 agosto). © RIPRODUZIONE RISERVATA
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