Essere belle nel tempo tesina di Natascia Ercolani

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A.S. 2013-2015

ESSERE BELLE NEL TEMPO…

NATASCIA ERCOLANI CORSO DI QUALIFICA PROFESSIONALE PER ESTETISTA CFP GRUPPO PROFILO


“La vera bellezza nasce nella mente e si trasmette al corpo attraverso l’attenzione del sé..”

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INDICE Introduzione ………………………………………………................................

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Canoni di bellezza femminile………………………………..................

6-7

La donna nel terzo millennio……………………………….....…………..

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Il bombardamento mediatico……………………………………………… 10-11 Lo stereotipo della modella.……………………………….....……………. 12-13 La bellezza-magrezza.……………………………….....……………………….. 14-15-16-17 La bellezza costruita.……………………………….....………………………… 18-19-20-21 La bellezza che uccide.……………………………….....…………………….

22-23-24

Il businness che uccide.……………………………….....…………………..

25-26-27

Conclusione .……………………………….....………………………………………

28-29

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INTRODUZIONE “Ciò che più mi ha appassionato nel corso di estetica di questi due anni, è stato il cominciare a vedere la bellezza di una donna nel suo cambiamento attraverso i secoli, la cultura, le diversità biologiche e geografiche. Osservando oggi ciò che è considerato bello, non sempre lo sarebbe stato nel passato e forse non lo sarà neanche nel futuro. Cosi ho cominciato a sviluppare una ricerca personale di tutto quello che mi potesse avvicinare a comprendere tutti i cambiamenti e la bellezza di ogni epoca. Non esiste una definizione univoca della bellezza: bello è qualcosa che attrae, che colpisce e che spinge a soffermare lo sguardo. Definire la bellezza in tutte le sue infinite sfaccettature é quasi impossibile, ma un dato é assolutamente inconfutabile: la bellezza è qualcosa che genera piacere in chi la possiede e in chi la osserva. Da sempre le donne hanno desiderato essere belle, ma di certo mai come oggi. Nella società odierna, infatti, si è affermato un vero e proprio culto del corpo e la bellezza esteriore sembra essere più importante delle qualità intellettive: una vera e propria ossessione, un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, ricorrendo, se necessario, a lifting, ritocchi vari, fino a veri ed interventi chirurgici. 4


Ma il mito della bellezza non è una prerogativa esclusiva della nostra epoca; nel corso della storia le donne sono intervenute sul proprio corpo in modo anche violento, sottoponendosi a vere e proprie torture pur di rientrare nei modelli estetici del momento: dai busti di stecche di balena, usati dalle donne del Settecento stretti fino a spezzarsi le costole pur di avere una vita piccola, ai vertiginosi tacchi a spillo di oggigiorno indossati per rendere le gambe più lunghe e slanciate. Nonostante l’estrema difficoltà di definire la bellezza, una sola certezza resta: la bellezza, negli infiniti aspetti di ogni donna, è sempre stata e continuerà ad essere arma di seduzione del sesso femminile.

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CANONI DI BELLEZZA FEMMINILE Fin dall’antichità la bellezza femminile è stata valutata e misurata sulla base di un modello estetico di riferimento, riconosciuto dalla società in un determinato contesto storico, sociale ed economico. Dal modello ideale vengono desunti i canoni estetici, cioè le caratteristiche tipiche della bellezza: più una donna si avvicina a quei parametri, più è considerata bella. Ogni popolo, nel corso della storia, ha definito la bellezza secondo i canoni della propria cultura e ha sempre voluto fissare un criterio di bellezza, ma questo inevitabilmente è sempre mutato nel corso dei tempi, in relazione al mutare delle mode, dei costumi e delle consuetudini del momento, di pari passo con il variare del gusto estetico e con il diverso modo di concepire il ruolo della donna nella società. Un tempo in Europa, le forme femminili morbide e abbondanti erano sinonimo di ricchezza, solo le donne ricche infatti potevano permettersi il lusso di non fare attività fisica, di non lavorare e di mangiare in abbondanza. Solo le donne del popolo e le contadine erano magre perché mangiavano poco e lavoravano molto. Dai canoni di bellezza femminile erano appunto banditi i muscoli, propri delle donne lavoratrici. Oggi, al contrario, una donna è considerata bella se ha un corpo magro e scolpito dall’attività fisica.

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Anche il candore della pelle è stato per secoli un parametro estetico importante: più le donne avevano la carnagione bianca più erano considerate belle, l’abbronzatura, al contrario, era inammissibile poiché una pelle abbronzata era indice di una prolungata esposizione ai lavori esterni e faticosi. Oggi a differenza, un corpo abbronzato in tutte le stagioni è l’ambizione della maggior parte delle donne.

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LA DONNA NEL TERZO MILLENNIO

E’ a partire dal terzo millennio che la bellezza diventa sinonimo di magrezza e le donne aspirano ad essere sempre più leggere e androgine. Il cambiamento dello stereotipo femminile arriva insieme al nuovo ruolo della donna che, da madre e moglie, si lancia nella carriera, iniziando a competere con l’uomo sul lavoro, nella ricerca del potere e del successo. Ciò che più caratterizza la nostra era è l’attenzione quasi morbosa al corpo: è il corpo al centro dell’interesse e non la persona; non conta tanto essere quanto apparire, all’essenza viene sostituita l’apparenza, alla spontaneità il controllo. L’ “essere in forma” è oggi un imperativo categorico, poiché un fisico longilineo, liscio e levigato non dà solo l’idea del bello ma anche dell’essere sano. 8


Oggi, come nel passato, l’immagine della bellezza continua ad essere condizionata dal contesto sociale. E poiché oggi il nostro stile di vita richiede efficienza, dinamismo, produttività e iperattività, la corporeità femminile deve rispondere ai canoni di snellezza, altezza, fino a sfociare nella magrezza eccessiva. E così la donna, anziché coltivare e valorizzare la propria unicità, sempre più tende ad aderire passivamente a standard globalizzati, incentrati sull’omologazione dell’aspetto fisico, senza rendersi conto di essere vittima della sindrome di identificazione con la collettività, ovvero di una forma di mimetismo estetico, omologato e socialmente compatibile.

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IL BOMBARDAMENTO MEDIATICO

Nell’attuale società globalizzata, il successo è strettamente collegato all’immagine, un’immagine ben determinata dai modelli proposti continuamente dai mass media, intimamente radicati nell’immaginario collettivo e adottati come standard sociali. La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere i ben noti stereotipi. I messaggi sono indiretti, ma fin troppo chiari: “Se sei magra, puoi essere felice, popolare, avere successo in tutti i campi, dall’amore al lavoro”. L’ideale della magrezza, dunque, non assume solo un significato estetico, ma è associato a valori più profondi, all’apprezzamento e all’accettazione sociale. 10


La formula “non si è mai abbastanza ricchi o abbastanza magri” è una vera e propria epidemia che minaccia il benessere mentale di molte persone. La principale regola, dunque, è che essere belle significa essere magre, esili, slanciate. Il bombardamento mediatico, indirizzato soprattutto alle donne, non fa che proporre corpi seducenti, plastici e perfetti. L’immagine della donna che i mass media diffondono non è il ritratto di una condizione reale, ma la rappresentazione simbolica di un modello che segue ideali e aspirazioni collettive, ma che risulta impossibile da raggiungere. Sono dunque i modelli fuorvianti proposti dai media che hanno portato alla ricerca ossessiva della “forma perfetta”. Ma la responsabilità deve essere attribuita alla società nel suo insieme, una società massificata che tende ad azzerare l’unicità dell’essere, la sua individualità e la bellezza della diversità.

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LO STEREOTIPO DELLA MODELLA Oggi è soprattutto il sistema di consumo della moda che costruisce, attraverso le modelle, gli stereotipi della bellezza femminile. Le top-model sono le nuove dive che, come le grandi attrici della vecchia Hollywood, pur lontane dal pubblico, irraggiungibili, sono da tutti conosciute, ammirate e imitate. Dal 2000 in poi la moda ha diffuso un modello di donna sempre più esile e sottile, probabilmente in relazione alla necessità di far risaltare il vestito rispetto alla modella: dopo le super top-model degli anni Ottanta, le modelle sono diventate sempre più magre e, tranne poche eccezioni, sempre più anonime: vere e proprie “grucce”, adatte ad indossare qualsiasi vestito. Altissime, sottilissime, elegantissime, le modelle incarnano l’ideale estetico della maggior parte delle ragazze di oggi: è questo il modello che le riviste patinate femminili forniscono come simbolo della donna di successo, della donna che ha vinto nella vita. Si tratta di un input culturale molto forte che poi si somma ai numerosi altri da cui siamo giornalmente bersagliati e che vanno tutti nella stessa direzione : quel che conta nella vita è essere perfette, bellissime, vincenti. Oggi nelle riviste di moda vengono mostrate solo immagini stereotipate di corpi femminili magri e tonici, che rispecchiano i canoni di bellezza corrente. Le immagini vengono spesso modificate con il fotoritocco per renderle più belle e conformi all’ ideale di perfezione odierno. 12


Che gli stilisti siano responsabili dell’innegabile involuzione del modello di bellezza femminile è un dato inconfutabile: è indubbio che loro, i “maestri del gusto”, insieme alle nuove fogge, stoffe, colori, propongano, con troppa noncuranza e talvolta irresponsabilità, un’idea di donna in cui bellezza è sinonimo di magrezza estrema e perfezione aritmetica delle misure del corpo femminile. Del resto già quaranta anni fa l’indimenticabile Brigitte Bardot rivolgeva alle donne un monito sferzante: “Donne, diffidate degli stilisti: detestano il corpo femminile e vogliono costringerlo a somigliare a quello dei giovani maschi da loro prediletti”. E da quella sopraffazione è nato un modello di pseudo bellezza che ha inferiorizzato la donna, gettandola in una guerra perpetua e perpetuamente perduta con il suo stesso corpo.

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LA BELLEZZA-MAGREZZA L’attuale società occidentale, sempre più fondata sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità, espone insistentemente la popolazione ad un ideale estetico di magrezza e all’illusione che esso sia raggiungibile con un minimo sforzo. La magrezza, esibita, fotografata e photoshoppata, è diventata un imperativo etico. La globalizzazione promuove il modello idealizzato occidentale della donna magra come obiettivo a cui uniformarsi. Essere magre, toniche ed in forma rappresenta l’ambizione di tutte le donne, giovani e meno giovani: tutte aspirano ad un corpo perfetto, in linea con la moda e la tendenza. L’ideale di bellezza standardizzato e irrealistico, che esalta la perfezione e demonizza il grasso, costringe le donne ad un continuo automonitoraggio del proprio fisico e a pratiche per modellarlo. La cosiddetta “dismorfofobia”, cioè l’errata valutazione della propria immagine e l’incapacità di valutare in modo oggettivo la propria fisicità, spinge le donne a ricercare soluzioni drastiche a problemi spesso inesistenti ma reali per il loro modo di pensare e percepire se stesse ed il proprio corpo.

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La dieta sembra essere così la soluzione ad ogni problema, promessa di felicità e successo, che però si rivela presto poco efficace perché i livelli di peso desiderati sono irrealistici, ma soprattutto perché i veri problemi sono altri dal peso. I modelli estetici femminili, attualmente ritenuti ideali, sono noti anche alle bambine e vengono da queste considerati un normale stereotipo da seguire, conforme al proprio tempo e alla propria società. Fin da piccole vengono loro proposte immagini femminili con proporzioni non realistiche, presentate come ideali di bellezza. A cominciare dalle bambole più famose e diffuse, come le Winks o la celebre Barbie.

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La fascia più colpita dall’ormai dilagante ossessione della magrezza è quella delle giovanissime, bombardate continuamente dalle immagini della “bellezza a tutti i costi” che la società contemporanea propone in modo ossessivo. Il vedersi sempre sfilare sotto gli occhi veline, show girls, attrici dal fisico perfetto può produrre profonde reazioni nell’animo di una ragazzina in fase di maturazione, spesso alle prese con insicurezze, dubbi, primi turbamenti amorosi. Potrebbe provare un desolante senso di inferiorità e pensare di non essere all’altezza e di non poterlo essere mai. Se un’adolescente è già fragile ed insicura, la sua insicurezza crescerà di fronte a standard di bellezza e di benessere così alti, e pur di sentirsi altrettanto bella, desiderabile, apprezzata, inizierà a sottoporsi a diete sempre più ferree, fino a non mangiare per trasformare il proprio corpo in quel modello ideale ed ottenere così ciò di cui ha un estremo bisogno: riconoscimento, apprezzamento, attenzione, affetto, amore. L’insoddisfazione per il proprio corpo e la mania della dieta sono cresciute negli ultimi anni con una rapidità impressionante. Le ragazze sono sicuramente le più colpite, ma in realtà quasi nessuna donna riesce a sottrarsi alla dittatura del “più magra più felice”. Il nuovo fenomeno del “dieting”, cioè la tendenza a stare sempre a dieta, porta a vivere un rapporto malato e conflittuale con il cibo e con il proprio corpo: si tratta di una vera e propria droga da cui non si riesce ad uscire. L’ossessione spinge a ricercare risposte facili e veloci per poter raggiungere l’obiettivo, senza considerare le 16


conseguenze devastanti di cattive abitudini quotidiane nel medio e lungo periodo. Il mito della bellezza-magrezza, frutto della sovrapposizione tra modelli della società reale e modelli costruiti appositamente per il mondo dello spettacolo, non solo causa gravi danni a livello fisico e psicologico , ma non dà la felicità perché essere felici significa stare bene con ciò che si è.

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LA BELLEZZA COSTRUITA

“Un tempo avevamo l’elisir di giovinezza, oggi la chirurgia plastica. Come dire che l’uomo è sempre all’inseguimento di sogni regolarmente fallimentari”. ( Paolo Manetti) La dipendenza dallo specchio è diventata ormai per molte giovani donne una sofferenza con cui fare i conti giornalmente. Nella società odierna, in cui l’apparire è sempre più importante e le immagini hanno più potere delle parole, la bellezza è un imperativo, una lotta 18


quotidiana di enormi proporzioni tra l’essere e l’apparire, tra corpi reali e corpi idealizzati. E’ essenziale essere belle, belle come le dive del piccolo schermo, come le modelle, perfette e sempre più irraggiungibili. Emulare quei corpi e quei visi bellissimi diviene l’obiettivo di molte donne, soprattutto adolescenti. Siamo immersi in una ricerca di bellezza che produce insoddisfazione e odio per la propria immagine, che diviene teatro di mille ossessioni: si vorrebbe essere diversi da come si è, non ci si sente mai abbastanza magri o abbastanza perfetti, si vive con la convinzione che essere come si è non vada bene e che si debba correggere ciò che non corrisponde ai modelli indicati dalla società. L’unica soluzione è affidarsi alle “sapienti” mani dei chirurghi estetici, in grado di esaudire ogni desiderio di bellezza. Ormai il ricorso al bisturi, la moderna bacchetta magica, è il modo prescelto dalle donne per realizzare il sogno di avere il corpo di una modella o della diva del momento. Ogni parte del corpo è modificabile e spesso si desidera intervenire chirurgicamente su di esso con la speranza di migliorare la propria vita, dato che nella società odierna la bellezza è spesso associata alla realizzazione sociale ed affettiva. Un ritocco tira l’altro. Si entra in un circolo vizioso nel quale non ci si vede mai abbastanza belli, mai abbastanza perfetti. Gli interventi realizzabili sono moltissimi, pronti ad assecondare i più svariati desideri di “perfezione” per viso e corpo, mentre la tossina botulinica e le iniezioni di acido ialuronico diventano gli alleati di bellezza per sconfiggere i segni del tempo. Di recente è sbarcata in

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Italia, direttamente dagli Stati Uniti, l’ultima frontiera della chirurgia estetica, ovvero il trapianto di ciglia. Ma ciò che fa più riflettere è l’evoluzione della paziente tipo: non sono più solo signore mature che si rivolgono al chirurgo per rimediare ai segni del tempo, ma sempre più spesso sono donne giovani e ancora piacenti che aspirano ad essere ancora più belle, e perfino minorenni. Molte ragazze iniziano a mettere i soldi da parte o a fare lavoretti per guadagnare e potersi permettere già a 18 anni qualche ritocco. Tra le giovanissime dilaga la moda di farsi regalare per il diciottesimo compleanno o per la maturità un seno nuovo, più voluminoso, nella convinzione che forme più prosperose garantiranno loro maggiori probabilità di successo nella vita, nella professione e nell’amore. Poiché gli interventi al seno in età molto giovane sono pericolosi, lo scorso maggio in Italia è stato approvato un disegno di legge che vieta tali interventi per le donne al di sotto dei diciotto anni. Nel nostro Paese, dunque, si è resa necessaria una legge per porre un freno al crescente fenomeno delle diciottenni che chiedono ed ottengono di sottoporsi a chirurgia estetica del seno. E poi ci sono i casi limite di quelle donne che si sottopongono a decine di interventi di chirurgia estetica per cambiare radicalmente la propria immagine. Un esempio è Valeria Lukyanova, la modella ucraina di ventuno anni che sembra abbia speso ben 800 mila dollari in chirurgia estetica per trasformarsi in una Barbie in carne, ossa e silicone. Capelli biondi e lunghissimi, incarnato perfetto, zigomi alti, occhi di colore blu intenso, 20


labbra carnose, seno abbondante, vitino di vespa, fianchi stretti e gambe magrissime: tutto come la bambola più famosa del mondo, icona di bellezza per eccellenza. “Se la perfezione non fosse una chimera, non avrebbe tanto successo” (Honoré de Balzac). Non è certo da demonizzare il fatto che oggi la chirurgia estetica sia, dal punto di vista economico, quasi alla portata di tutti. Le perplessità sorgono quando si vogliono raggiungere standard di bellezza irraggiungibili e si diventa vittime di una sindrome di identificazione con la collettività, che ci porta a sacrificare la nostra individualità in nome dei modelli omologati imposti dalla società dell’immagine e dell’effimero. E il risultato è che le donne sono diventate tutte finte, siliconate, gonfiate artificialmente e assolutamente non naturali. Non c’è più nulla di autentico in queste bellezze omologate, quasi seriali: vere e proprie “bambole” che con la famosa Barbie hanno in comune non solo le forme, ma anche la riproducibilità e l’artificialità dei materiali.

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LA BELLEZZA CHE UCCIDE “Pesava 46 chili ed era alta un metro e 72, eppure si vedeva troppo grassa; per questo mangiava solo un pomodoro, una mela o una fetta di cocomero ogni tanto, ma anche con quel poco nello stomaco dopo un quarto d’ora andava in bagno e vomitava”, ha raccontato la sua compagna di appartamento. “Era sempre ossessionata dal peso e temeva che l’agenzia con la quale lavorava non l’avrebbe chiamata più se avesse preso qualche chilo”. Arrivata a 40 chili, la modella brasiliana Ana Carolina Reston, è morta di anoressia a ventuno anni: ennesima vittima dello spietato mondo delle passerelle, dove se non rispondi ai canoni della magrezza estrema sei out. Era il 2006. Da allora la lista delle ragazze immolate al “dorato” quanto effimero mondo della moda ha continuato ad allungarsi. Ma l’anoressia ha gli occhi e il corpo nudo di Isabelle Caro, la modella francese morta nel 2010, vittima di una malattia durata 15 anni, che l’aveva ridotta a pesare 31 chili. Poco prima di morire, la ragazza aveva accettato il ruolo di testimonial nella campagna choc lanciata da Oliviero Toscani per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sul dramma dell’anoressia. “Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo- aveva dichiarato in un’intervista Isabelle- adesso voglio mostrarmi senza paura, anche se so che il mio corpo ripugna”. L’anoressia, che di fatto è un lento suicidio, sta assumendo proporzioni allarmanti in tutto il mondo occidentale, soprattutto tra le adolescenti: fenomeno in gran parte dovuto alla massiccia propaganda che impone un certo standard di bellezza femminile. 22


In questi ultimi decenni si è notevolmente abbassata l’età minima in cui ha esordio l’anoressia nervosa e si è anche notevolmente esteso il suo campo d’azione. Dal mondo patinato delle passerelle e dall’austerità delle scuole di danza classica, infatti, l’anoressia si è spostata in una dimensione più quotidiana, individuale e privata. I corpi drammaticamente scheletrici non sono più solo quelli delle top model o delle ballerine, non appartengono solo a nomi celebri, ma sono quelli di ragazze qualunque, quelle che incontriamo al supermercato, in palestra o per la strada. E proprio per questo ancora più drammaticamente veri e sofferti. Corpi debilitati che diventano sempre più ossuti e spigolosi, costole che sporgono, gambe e braccia che sembrano bastoni coperti di pelle, volti scavati ed emaciati, occhi privi di espressione. E sempre un perenne stato di inadeguatezza, di lacerazione, di ossessione ed un rapporto estenuante e distruttivo con il cibo, il cui rifiuto corrisponde sempre più ad un rifiuto della propria persona. Il tutto per essere in linea con le imposizioni della moda. Se fino a qualche anno fa il male che mieteva più giovani vittime nei Paesi sviluppati era l’AIDS, ora vi è un flagello ancora più pericoloso perché agisce in modo subdolo, corrode le menti delle più giovani ed è alimentato dalla nostra stessa società dell’immagine. Una vera e propria epidemia che colpisce chi, pur di essere magra e vincente, crede di potersi plasmare fino a farsi del male. Molto male. Oggi in Italia circa il 10% degli adolescenti soffre di disturbi dell’alimentazione.

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Un dato davvero allarmante è che esistono più di 300 mila siti web che inneggiano all’anoressia e alla bulimia ed insegnano tutte le tecniche per non mangiare, una sorta di vademecum per diventare “anoressiche e bulimiche doc”. Si tratta di una vera e propria istigazione al dimagrimento estremo di cui diventano facili esche soprattutto le più giovani, considerando che i motori di ricerca non effettuano nessun tipo di controllo sui contenuti. Fortunatamente oggi, da più parti, vengono continuamente lanciate campagne e petizioni con il fine di impedire alla comunità ANA di proliferare online, combattendo così un fenomeno insidioso e pericoloso che, all’ombra della rete, uccide centinaia di ragazzi.

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IL BUSSINESS DELLA BELLEZZA Che la bellezza possa tradursi in una risorsa economica è un dato di fatto. Una serie di studi realizzati separatamente da ricercatori italiani, americani e tedeschi ha confermato che essere belli e magri aiuta a trovare lavoro; è risultato che le donne più belle hanno lavori più gratificanti e meglio pagati. E’ ben noto che oggi la bella presenza è richiesta per quasi tutti i lavori che implichino stare a contatto con il pubblico: tra più aspiranti ad un posto di commessa o di cameriera, l’impiego andrà sicuramente alla più carina. La conclusione è più che ovvia: la bellezza paga. Se la bellezza è un valore per chi la possiede, lo è ancora di più per chi dal mito della bellezza trae cospicui profitti e sfrutta per scopi commerciali l’ossessione delle donne di piacere e di piacersi. Intorno al settore bellezza, infatti, ruota un giro d’affari di proporzioni esorbitanti: l’industria delle diete, dei cosmetici, della chirurgia estetica, sono tutte legate al mito della bellezza e, dato che guadagnano dal suo perpetuarsi, investono molto perché ciò avvenga. Il messaggio è fin troppo chiaro: “se ti sforzi e spendi abbastanza, avrai il look e la forma giusta, quindi avrai successo e felicità!” E’ nel loro interesse farlo credere.

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E le diete altro non sono che una trovata di marketing per vendere prodotti dimagranti e alimenti light. Senza contare i miliardi che vengono spesi nelle palestre, nelle beauty farm, nei solarium, negli istituti di bellezza, nei centri fitness e nelle cliniche private. Ragazze e donne di tutte le etĂ si affannano alla ricerca della perfezione: dimagrire, ringiovanire, tonificare, “ritoccarsiâ€?, abbronzarsi, sottoporsi a cicli di massaggi diventano imperativi categorici. La dittatura della bellezza impone di levigare, dimagrire, tonificare, spianare, rassodare, aspirare, riempire. Di fronte al bisogno di farsi belle non c’è crisi che tenga, e intanto le industrie della bellezza lucrano sulle insicurezze e debolezze delle donne. Il settore non conosce crisi e forse, proprio quando le certezze diminuiscono, le persone sono indotte a cercare gratificazioni, non sempre a buon mercato e non sempre innocue, nel farsi belle. 26


L’industria del dimagrimento e quella farmaceutica, il business della chirurgia estetica, l’ossessione della magrezza della moda fanno leva sulla nostra frustrazione di non essere perfette e ci portano ad odiare il nostro corpo se non risponde ai canoni imposti, inducendoci a fare di tutto pur di rientrare nel cosiddetto c.u.b.o., il canone unico di bellezza omologata. Con la promessa di farci perdere i chili di troppo, televendite, giornali ed Internet ci propongono novità assurde, inutili o addirittura pericolose. Di tutti questi “miracolosi” ritrovati l’unica cosa certa è che svuotano il nostro portafoglio e fanno affluire miliardi di euro nelle tasche di chi ce li vende approfittando della nostra credulità. Da una recente indagine del Quality Life Insitute, un’agenzia di ricerca collegata con università italiane ed estere, è risultato che il mercato della bellezza ha un fatturato di oltre venti miliardi di euro, coinvolge trasversalmente decine di settori ed interessa più della metà degli Italiani. Ed il giro d’affari è in continua espansione tanto da stimolare crescenti investimenti. E così, mentre le donne diventano sempre meno sicure di se stesse e del loro corpo, le aziende che lavorano per “costruire” la loro bellezza diventano sempre più forti, ricche e potenti. Il mito della bellezza: un’arma contro le donne.

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CONCLUSIONE Non posso concludere questa mia indagine sulla bellezza femminile senza far riferimento ad un classico del femminismo anni Novanta, “Il mito della bellezza”, pubblicato nel 1991 dalla scrittrice americana Naomi Wolf e diventato un best seller internazionale. Nel suo saggio, la Wolf parla di “mercificazione della bellezza femminile”, assunto che ai tempi sembrò controcorrente e addirittura provocatorio e che invece oggi, a distanza di oltre venti anni, sembra pienamente confermato dalla realtà dei fatti. La tesi della Wolf risulta quanto mai attuale: l’ideale della bellezza non è qualcosa di naturale ed innato nelle donne, non è scaturito dai loro bisogni e dalle loro inclinazioni, ma è un canone appositamente strutturato e costruito dal mercato per farle sentire continuamente inadeguate ed in difetto, e sfruttare così le loro insicurezze per scopi commerciali. Secondo la Wolf, il mito della bellezza non sarebbe altro se non una grande menzogna costruita per necessità economiche. Se da un lato le lotte per l’emancipazione femminile hanno liberato le donne su tanti fronti, il mito della bellezza le ha nuovamente imprigionate, La società ha creato un ideale estetico, quello della donna perfetta, magra, foreveryoung, che è quasi impossibile da raggiungere: le donne, nel tentativo di avvicinarsi a tale standard di bellezza, continuano a dissipare preziose energie che potrebbero utilizzare per altri obiettivi piuttosto che sprecare in inutili frustrazioni, ansie, sensi di colpa e vergogna per i loro difetti fisici. E’ questa la ragione per cui il mito della bellezza viene definito come un’arma a doppio taglio 28


contro le donne, uno strumento per opprimerle, per impedire loro di esprimere tutte le loro potenzialità, una “controffensiva della società maschile per contrastare il loro crescente potere”. Poiché le donne, con il loro talento, potevano essere migliori degli uomini in molti campi.

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