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DOLOMITICHE 2.020

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Nirmal Purja

Nirmal Purja

BY MATTEO PAVANA

Perché esplorare vuol dire vivere, e viceversa. Perché esplorare è soggettivo. Perché esplorato non è per forza la fine di qualcosa. Perché esplorato può essere un nuovo inizio. Anche e soprattutto in un anno come quello appena passato. Anche e soprattutto per l’anno che ci aspetta.

Esplorare vale esclusivamente per qualcosa di sconosciuto?

“Se vuoi vivere, devi esplorare”.

È quel tipo di frase che mi ripeto spesso e che in me suscita un grande senso di irrequietudine. È un rituale che puntualmente avviene nel momento prima di andare a letto e la mattina appena sveglio. In entrambi quegli attimi mi teletrasporto oltre il soffitto e penso, a che cosa non riesco a spiegarlo a parole. Resto lì, assieme a quel vuoto. È una sensazione che un giorno ha trovato sfogo in una scritta in stampatello su un foglio di carta che ho appeso su una piccola bacheca in cucina.

Ci ho scritto: “Apri la porta e vai”.

Lo faccio per ricordarmi che tutto quello di cui ho bisogno è a portata di mano, sta là fuori, ovunque, anche in un momento in cui muoversi era ed è tuttora pericoloso, per gli altri e per noi stessi.

“Apri la porta e vai” è un mantra, un credo. Tutto e niente è ormai esplorabile. L’ignoto è (s)oggettivo: è nostro quando vogliamo. L’ignoto sta dove non sta. L’esplorazione è la lente al sole: acceca, raccoglie e brucia. Si possono esplorare la terra, il cielo, le persone, i petali di un fiore, i lacci delle scarpe, una sigaretta, persino il fondo di un bicchiere.

Tutto esiste quando gli occhi sono spugne per assorbire e non specchi per riflettere. Sapete cosa vedo io quando apro la porta di casa? Io vedo le Dolomiti. “Le Dolomiti sono solo un piccolo pezzo di terra, per quanto straordinario, nel cuore dell’Europa. Nel corso dei millenni queste vallate anguste ed isolate, protette e circondate da montagne impervie e pareti rocciose, hanno assistito a decine di ondate migratorie e dato rifugio a genti provenienti da ogni dove. Fino all’altro ieri, boschi e pascoli rubati alla roccia hanno offerto un magro sostentamento a comunità povere e ed emarginate, in lotta costante per la sopravvivenza. Per nostra buona sorte, oggi tutto il mondo si è accorto dell’incantata bellezza di queste cime, e il turismo ha portato benessere e opportunità in abbondanza. Possiamo dire che il nostro stile di vita privilegiato è una conseguenza diretta della libertà di spostamento concessa alle popolazioni. In un’epoca come quella attuale dove si parla troppo spesso e con troppa leggerezza di erigere muri o frontiere invalicabili, di fermare le persone e costringerle entro confini prestabiliti, forse non ci rendiamo abbastanza conto dell’immensa fortuna che ci caratterizza come cittadini europei, di poter muoverci in lungo e in largo, ovunque, a nostro piacimento. Senza presentare alcuna richiesta, senza dover sperare di ottenere visti o autorizzazioni, senza dover nemmeno porci il problema”. Questo è quello che ha scritto il mio amico Ale Beber parlando di Dolomiti. Recentemente le nostre prospettive si sono incrociate nuovamente in un progetto in cui sono felice di aver potuto supportare da compagno di arrampicata e di lavoro. Questa estate la nostra libertà, seppur limitata, si è fatta spazio tra queste montagne. Questa è più o meno la storia di DoloMITICHE 2.020. Prima di tutto dovete sapere che l’Ale mi è sempre sembrato più grande di quello che è. Sarà perché è diventato Guida Alpina a soli ventidue anni. Sarà perché si veste con un’umiltà di altri tempi e con la tecnologia moderna ha qualche problemuccio. O semplicemente sarà perché io l’ho sempre visto come un fratello maggiore da cui imparare, un mentore da cui prendere ispirazione, una guida in tutti i sensi. La sua passione trascina e rende partecipi. Che si trattasse di un itinerario di arrampicata, un territorio selvaggio che valesse la pena vedere o, più banalmente, un gruppo musicale nuovo da ascoltare, bastava prendere il telefono e chiamarlo o, meglio ancora, andare a scalare assieme. L’Ale è quel tipo di persona che sa farsi volere bene da tutti. Probabilmente è grazie al suo senso di aggregazione, condivisione e riconoscenza verso tutto ciò che è bello. L’Ale è un passionale, gli piace vivere le cose fino in fondo e dare a quelle cose un significato. Quella di Guida Alpina per esempio non è mai stata solamente una professione con la quale sbarcare il lunario. Essere Guida Alpina può significare molte più cose che “portare la gente in montagna”. D’altro canto non credo nemmeno che per lui sia la missione della vita.

Guida Alpina per lui significa andare oltre le convenzioni. Significa giocare, divertirsi. Forse è proprio nel momento in cui ce la si spassa tra le crode che

DoloMITICHE è nato con l’intento di svelare almeno una piccola parte del “museo a cielo aperto” che sono le Dolomiti, una mappa di linee sognate e disegnate dagli alpinisti di tutto il mondo.

nascono le idee, assumono consistenza i progetti, si crea qualcosa di nuovo, di bello appunto.

Lui lo aveva fatto dieci anni fa. Lo ha rifatto anche quest’anno, in un momento in cui vivere una montagna di prossimità era sì un obbligo morale, ma anche fortunatamente un privilegio. Dopo 30 vie sulle montagne trentine nel 2011, l’Ale ha ripreso il suo tour e si è recato sulle Dolomiti bellunesi, sudtirolesi e friulane per ripetere alcune delle vie più significative delle varie zone, incontrando ovviamente i protagonisti di quelle salite, per cercare di capire qualcosa in più non soltanto del patrimonio verticale che ci hanno lasciato, ma anche la loro visione, la loro filosofia. DoloMITICHE è nato con l’intento di svelare almeno una piccola parte del “museo a cielo aperto” che sono le Dolomiti, una mappa di linee sognate e disegnate dagli alpinisti di tutto il mondo.

“Dolomiti carcasse di roccia ma rampolle eterne abissi celesti per il nostro egoismo condiviso il gioco dell’alpinismo.”

Non c’è stato quindi anno migliore e peggiore di questo per riprendere in mano il gioco dell’alpinismo di prossimità, di riscoperta. Siamo partiti dalla Moiazza, abbiamo visitato le Alpi Carniche, poi ci siamo fatti una scampagnata non troppo banale sulla Torre d’Alleghe, per poi passare alle Dolomiti Fassane e il regno di Fanes. Il tutto con una solo prerogativa: esplorare l’esplorato.

La prima uscita è stata la Via Verri-Calabretto, anche conosciuta come Via Precisa, allo Scalet delle Mesenade in Moiazza, aperta nel 1989 da Pierangelo Verri e Roberto Calabretto. Abbiamo avuto la fortuna di ripeterla insieme agli apritori 31 anni dopo. La seconda via è stata uno dei pilastri dell‘alpinismo carnico, la famosa Via dei Carnici sulla Creta delle Cjanevate aperta da Roberto Mazzilis e Roberto Simonetti nel 1983 e ripetuta con l’inossidabile Mazzilis. Il viaggio ci ha condotto poi sulla Via Gogna-Pellegrinon sulla Torre del Formenton, nel gruppo Marmolada – Ombretta, in compagnia di Alessandro Gogna 51 anni dopo la sua salita. La quarta tappa è stata un’icona dell’alpinismo dolomitico: la Via Bellenzier sulla Torre d’Alleghe. La via prende il nome dal suo apritore Domenico Bellenzier che, in solitaria, aprì la via sul versante Nord della Civetta. Una realizzazione veramente notevole in ambiente ostile. La difficoltà e soprattutto l’ingaggio della via furono da subito certificati dai primi ripetitori: Heini Holzer e Reinhold Messner. Quest’ultimo la descrisse come “una via di primo ordine, fra le più belle nel gruppo della Civetta”. Ulteriore conferma del livello tecnico venne dalla ripetizione di Manolo, che fu il primo a liberarla valutandola di VII+. A nostro modesto parere il tiro chiave in questione potrebbe essere benissimo VIII. L’ultima tappa, nonché arrivo del nostro viaggio, è stata la Via Ey de Net alla Parei de Col Bechei che, dopo la Via Raieta, è la seconda via aperta sulla fantastica parete della Tofana di Rozes.

Questo salto nel recente passato con parole e fotografie per me ha un sapore di scoperta, di nostalgica esplorazione.

Il 2020 è stato l’anno che ha ridefinito il concetto di libertà. Non ci sono mai stati così tanti divieti, così tante restrizioni da definire la nostra possibilità di sognare o, più banalmente, la nostra stessa salute mentale.

Il 2020 è stato però l’anno in cui non per forza di cose ci si è dovuti accontentare, bensì risintonizzarsi, lasciar spazio a una nuova consapevolezza. È stata un’estate insolita, un’estate insolitamente bella. Quindi… Esplorare vale esclusivamente per qualcosa di sconosciuto?

Per scoprirlo forse vale la pena aprire la porta e andare, che il resto, il più delle volte, viene da sé. Nota: DoloMITICHE 2.020 non sarebbe stato possibile senza l’aiuto, economico e non, di tutti coloro che hanno creduto nella voglia di fare cose belle in momenti storicamente non tanto belli.

A tutti voi Ale dice grazie. E io con lui.

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