De maio medaglioni 1

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DON GIOVANNI DE MAIO POETA E PATRIOTA DIMENTICATO Greci-Katundi, piccola comunità di origini albanesi, è un’isola linguistica albanese di grande interesse antropologico,

insieme alle comunità franco-provenzali di Faeto e Celle S. Vito (Foggia), situata sull’appennino Dauno-Irpino, è un sito da visitare per la particolare bellezza paesaggistica e per le proposte culturali. Greci, si è sempre distinta per l’impegno socio-culturale, torna spesso all’attenzione dei turisti e studiosi per il suo importante patrimonio arbreshe, unico in Campania. Da anni si cerca di valorizzarla con studi e mostre documentarie. In ordine di tempo la mostra organizzata dallo scrivente dal 14 al 25 agosto 2000 dal titolo: “GRECI KATUNDI: I PERCORSI DELLA MEMORIA” ha offerto un percorso storicodocumentario sulle origini e sviluppo di Greci; intendendo nel contempo di valorizzare uomini illustri come D. Giovanni di Maio, di cui ripubblica i cenni biografici e la

prolusione del prof. Michele Di Minno in allegato. La mostra è stata arricchita dalla personale dell’artista grecese Concetta Lauda sul tema della fiabe popolari arbreshe; la mostra è stata inaugurata dalla signora… centenaria di Greci. Vi è stata la

partecipazione dell’artista Antonio Gliatta che ha letto la lirica: Inno alla Triade del De Maio.


DON GIOVANNI DE MAIO A cura di Giovanni Orsogna Don Giovanni De Maio è stata una personalità dal forte carattere per la passione politica e civile, sacerdote impegnato nella pastorale, dalla solida formazione culturale, ha influito notevolmente nella cultura locale di fine secolo, con interessanti contributi nel campo politico, culturale per il riscatto delle plebi del Mezzogiorno. Il fortunato ritrovamento di alcune sue opere, confermano la mia idea, sostenuta per il passato, di trovarsi di fronte a un personaggio che ha fatto della sua vita un dono ed un impegno di spessore civile. Le ricerche da me condotte hanno salvato dall’oblìo solo alcune sue opere, purtroppo sono andate perdute altre opere, compreso il suo fitto epistolario con personalità del calibro del Maestro Giuseppe Verdi, di Pasquale Stanislao Mancini ed altri. Le liriche “L’ombra di Giuseppe Giusti agli Italiani . Romanza delle Puglie, Ariano, 1882 e l”L’Inno alla Triade, Ariano, 1883, oggetto dell’odierno incontro, del quale il Prof. Michele di Minno ne illustrerà con competenza agli uditori. Quest’ultima lirica fu inviato al maestro Giuseppe Verdi, con lettera aperta per chiedere di metterlo in musica, si tratta di un inno-colloquio tra la sua anima e Dio. D. Giovanni de Maio dei duchi di S. Pietro dei marchesi di Durazzo, è nato a Greci il giorno 8-3-1854 da D. Carlo e D. Teresa Norcia, ha chiuso la sua esistenza il 12-91905.1

Educato in famiglia già conosciuta per le forti idee liberali, insieme al padre Carlo, subì le note persecuzioni, per i fatti politici del 1848, subendo la condanna capitale, poi commutata in carcere. Lo stemma di famiglia portava il seguente motto: “Libertà vo’ cercando”. Suoi fratelli erano l’arciprete D. Michele de Maio 2, Don Giacinto,personaggi che hanno dato un notevole contributo per la causa dell’Italia unita. Don Giovanni lo troviamo nel 1848 tra i fautori dell’occupazione delle terre del duca di Bovino; la sorella Vittoria capeggiò anche le donne grecesi, nel 1864, nella rivolta popolare per l’innalzamento dell’albero della repubblica, contro il governo sabauda, subendone il processo e poi assolta. Il De Maio non ancora sacerdote, verrà consacrato solo a tarda età, nel 1860 fece parte del governo provvisorio di Ariano, firmandone i decreti in qualità di segretario. Giovanni De Maio si è reso ispiratore dell’Accademia o Società Filosofico-Cristina 3 , fondata il 20.8.1867, elevando a scuola di

GIOVANNI DE MAIO PENSATORE E PATRIOTA INSIGNE MORTO A GRECI IL XII SETTEMBRE 1905 ALL’ETA’ DI 82 ANNI ALL’UNO E TRINO FORTI INNEGGIASTI O PRODE DELLE LOTTE CAMPION NON DOMO MANCINI

1

Atto di Battesimo di D. Giovanni De Maio (18241905): “Addì 9 marzo 1824 Don Francesco Maria Lauda economo della chiesa Arcipretale del comune di Greci ha battezzato un infante nato ieri alle ore 7 della notte dal sig. Carlo Maio e Teresa Norcia coniugi di detto Comune, al quale si è posto nome Giovanni Pasquale. La comare Maddalena Garzillo del fu Tommaso, levatrice. In fede. Giacopo Arciprete Lusi”. Archivio Parr.le di Greci, registro di battesimi, anno 1824. Nel cimitero di Greci è ancora visibile la tomba del Di Maio con la celebre distico dettato da Pasquale Stanislao Mancini, legato fraternamente alla famiglia De Maio, dove fa espresso riferimento all’Inno alla Triade:

.

2

D. Michele De Maio, arciprete di Greci scrisse l’opuscolo: Novena in onore di Maria SS.ma del Caroseno per D. Michele De Maio preceduta da un cenno storico sopra Greci, del Cav. Lauda Luigi, Napoli, 1865, opera rara e introvabile 3 La Riflessione monito mensile ufficiale dell’Accademia Filosofico-Cristina Scuola di riflessione sui fatti proprii, diretto dal cav. Fedele Vito


pensiero il sistema della riflessione dei fatti propri, convinto che la lingua pelasgica (albanese) fosse la lingua madre, di cui come afferma “tutte le lingue sono figlie”. Il sistema si poggiava in un sorta di connubio delle filosofie di Socrate, Pitagora con Vangelo di Cristo. Il programma prevedeva: aemancipare l’uomo dall’ignoranza; b- migliorare la condizione degli operai e delle donne; c- aspirare alla piena emancipazione delle donna; e- risolvere il difficile problema dell’unificazione delle lingue, preferendo la lingua pelasgico-indoeuropea. Nella citata Accademia figurava tra i fondatori Vito Antonio La Penna di Roseto Valfortore, lo stesso de Maio, gran maestro, il deputato Salvatore Morelli, il conterraneo Abate Luigi Lauda, consigliere e fungeva da segretario Nicola Norcia di Greci. Nel concludere questi pochi cenni biografici riporto lo stralcio di una lettera di P. S. Mancini, inviata al nostro poeta il 17-71863 4: Antonio La Penna, Roseto Valfortore, 1877. A. I. num. programma. Lo stesso La Penna ha lasciato scritto una biografia di D. Giovanni De Maio,opera introvabile. 4 Conforti Gerardo, Per la morte di Giovanni Di Maio, Ariano,1905, tip. Tricolle e Riccio, 11 pp.. Il Conforti riporta integralmente la lettera del Mancini, credendo cosa utile per i lettori di Vicum così la trascrivo: “Torino , 17 Luglio 1863 Egregio De Maio, Martedì avrà luogo il gran processo del Diritto querelato da Napoleone III. Io sarò il difensore del Giornale, insieme col deputato Crispi. Lessi con attenzione e con vero rammarico, la vostra lettera, la quale concerneva una luttuosa dipintura delle condizioni di codeste nostre provincie, e richiamava inoltre la mia considerazione sull’ingiusto abbandono, in cui il governo nazionale lasciò voi e la famiglia vostra. Sul primo punto io non posso dirvi altro, se non che pochi sono al pari di me convinti che il novello Governo non ha saputo, ed è ancor lontano dal cominciare a conquistare dalle popolazioni del mezzogiorno simpatia e riconoscenza. Molte sono le cause; prime fra tutte la debolezza della Camera, la quale non sa imporre ai ministri una linea di condotta politicamente abile a procacciare al governo Italiano il favore delle masse, e la potente autorità morale, di cui avrebbe bisogno. Io non accuso i miei colleghi: forse essi sono nel vero, ed io nell’errore. Ma non posso pensare che col mio cervello; ed in tutte le occasioni nella Camera,per quanto una voce isolata non può cambiare le opinioni,né modificare una

“Quanto alla vostra famiglia benemerita della causa liberale e nazionale essa è uno degli esempi viventi dell’ingiustizia di coloro che reggono il paese (…). Scrivetemi pure, e parlatemi dello stato del nostro Circondario. Anche quando io non abbia assolutamente tempo per rispondere ricevo sempre con piacere lettere savie e imparzialmente liberali come le vostre. Stringete per me la mano al vostro padre venerando di cuore”. D. Gerardo Conforti, pubblicando nel 1905 il necrologio: “Per la morte di Giovanni situazione, non ho mancato di elevarmi contro gli errori governativi, e d’impedire dei nuovi. Profitto della venuta del porgitore, da voi raccomandatomi, e vi mando i miei ultimi discorsi contro la Legge riguardante le imposte sulla ricchezza Mobile, quello sulla Polonia, ed altri; essi vi attesteranno che il deputato del collegio di Ariano è tra i pochi fedeli schiettamente ai principi di libertà, vergine di servi encomi di qualunque dipendenza; e son certo che questi sentimenti non mi abbandoneranno giammai. Verrò dopo il 1° di agosto a passare un mese in Napoli: colà spero di vedervi; è parleremo più a lungo dello stato del nostro paese e dei rimedi possibili. Quanto alla vostra famiglia, benemerita della causa liberale e nazionale, essa è uno degli esempi viventi dell’ingiustizia di coloro che reggono il paese. Se io fossi rimasto nell’amministrazione della Cassa Ecclesiastica, il vostro posto era già designato; e son sicuro che pel vostro ingegno e per le vostre patriottiche virtù, avreste fatto onore alla mia nomina. Ma quando vidi gli affari prendere un cattivo indirizzo, fui felice di ritirarmi alla vita privata: feci lo stesso dal Ministero Rattazzi, appena mi parve vederlo incamminarsi sul lubrico calle che lo condusse alla funesta calamità di Aspromonte; ed alieno da qualunque ambiziosa lusinga, mi vedrete far sempre altrettanto nella vita, sempre che in pubblici uffizi mi accorgerò di non poter fare il bene. Ora però sono interamente a vostra disposizione, per usare della poca mia influenza, acciò non siate voi e l’ottimo padre vostro così bruttamente dimenticati. Venite a trovarmi in Napoli; e ci concerteremo:e prendo impegno di fare tutto quello che possa nei miei mezzi per giovare voi ed alla vostra famiglia. Io sento l’obbligo, come patriota, e come amico. Riusciremo a qualche cosa? Almeno noiesauriremo ogni tentativo e non avremo rimorsi. Scrivetemi pure, e parlatemi dello stato del nostro Circondario.Anche quando io non abbia assolutamente tempo per rispondere, ricevo però con piacere lettere savie come le vostre. Stringete per me la mano del vostro padre venerando, e credetemi di cuore Vostro Affezionatissimo amico P. S. Mancini”


De Maio”, ricordava i versi di un poeta albanese che rivolgeva alla gente albanese per la morte di un giovane eroe: E Kianni burra, e Kiani ghiddema lote sa n’errat dieli ce na beie drite . Trad. Piangete o uomini, piangete tutti con calde lacrime (…) Il Conforti così descrive il nostro poeta: “Dalla fronte ampia e maestosa… dalla chioma che inanellata gli scendeva sugli omeri, e che dava a lui l’immagine di un cavaliere di epoche lontane; dalla statura aitante e signorilmente flessuosa, che imponeva a tutti un’affettuosa devozione, Giovanni De Maio portava, richiuso nel suo spirito, quanto di sapere, quanto di entusiasmo possa contenere un essere umano”. Fino all’ultimo lottò il De Maio contro l’ingiustizia, per l’affermazione dei valori cristiani e sostituire la sapienza all’ignoranza. Una semplice tomba ricorda l’uomo e il sacerdote,ora le sue poesie sono tramandate, resta la nostra gratitudine ed un cristiano ricordo.

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Scheda bibliografica opere di D. Giovanni De Maio

1- L’ombra di Giuseppe Giusti agl’Italiani. Romanza delle Puglie.Giusti dal suo sepolcro, Ariano, 1882, Tip. Educatrice, 13 pp.; 2- L’ombra di Giuseppe Giusti agl’Italiani. Romanza delle Puglie.Giusti dal suo sepolcro, Ariano, 1882, tip. Educatrice, 16 pp.; IV ed.. 3- Inno alla Triade, Ariano, 1888, tip. della Società per Costruzioni ed Industrie, 28 pp. 4- Lettera a Leone XIII Pontefice Massimo, Ariano, 1882, tip. Educatrice, 13 pp.; 5- Lettera a Giuseppe Verdi genio vivente dell’armonia moderna, Ariano,1883,Tip. Educatrice Greci, 10.3.1883; 6- Gli analfabeti” sulla riforma della legge elettorale, abolizione dei censi IN “LA RIFLESSIONE …, o. c., A. I. n. 2 marzo 1878, 41 pp. e segg.; 7- Riforma degli studi, saggio, s.a., l.t., 1878, opera introvabile. 8- Opuscolo d’occasione, Napoli, 1871. raro. 9- L’unione dei due mari ossia la nuova strada dalla Calabria al Contado delle Puglie, Ariano, 1874. opera introvabile.

Giovanni Orsogna


L'Inno alla Triade di Giovanni De Maio

in grado di smentire i suoi detrattori e di affermare con certezza che il De Maio fu

Per mezzo di un caro amico, fortunato ricercatore di opere e di documenti dei passato, meritevoli per la loro particolare importanza di entrare nel circuito culturale della nostra storia letteraria e civile, ho avuto occasione di conoscere l'Inno alla Triade composto nel 1888 da Giovanni De Maio, sacerdote e patriota grecese, vissuto nel

stimato ed onorato dal mondo intellettuale e politico del suo tempo, per il suo robusto ingegno, per la sua forte personalità e soprattutto per la sua vasta e solida cultura. Alla sua morte, infatti, Pasquale Stanislao Mancini, che con lui aveva diviso il vivace fervore della lotta politica, volle dettare in suo onore l'iscrizione che è riportata sulla stele la quale indica la sua tomba nel cimitero di

secolo scorso (1824 -1905). Nei primi anni della mia giovinezza, parlo degli anni trenta dei secolo XX, sentivo spesso parlare di lui, perché alcune persone che lo avevano conosciuto, ancora affascinati dalla sua grande figura, lo ricordavano come un profondo cultore delle lingue classiche e come un uomo il quale, a somiglianza del Leopardi a Recanati, mal sopportava di vivere "intra una gente zotica e vil, cui nomi strani spesso argomento di riso e di trastullo sono

Greci: All'Uno e Trino forte inneggiasti o dell'Arcano Pensier campion non domo". Le parole di questa epigrafe ricordano e nel ricordo esaltano l'Inno alla Triade già menzionato, unico documento in nostro possesso dell'attività letteraria del De Maio. Ma questa attività deve essere stata molto ricca e molto ammirata, dal momento che gli aveva procurato una notorietà che andava ben oltre i confini dei suo paese natìo, nel quale le vicende della vita lo avevano costretto a

dottrina e saper".

vivere e a lottare per i suoi ideali politici. Alla attendibilità di questa ipotesi porta il suo Altre persone invece, confermando la verità delle parole di Cristo "Nemo propheta in patria”, lo ricordavano soltanto per le sue reazioni,

spesso

energiche,

al

mondo

primitivo che lo circondava, reazioni che la malevola tradizione orale paesana, non scevra forse

d'invidia,

aveva

lentamente

e

aneddoticamente ingrandito, allo scopo di consegnare alla mia e alle generazioni future un’immagine falsa di lui. Noi oggi però siamo

contributo anche l'Inno suddetto, perché dal suo tessuto tematico ed espositivo emergono delle doti che debbono essere considerate come

frutto

di

faticose

conquiste,

di

precedenti esperienze artistiche e stilistiche. Tra le qualità del suo linguaggio, infatti, quella che desta maggiore ammirazione è la disinvolta ma elegante semplicità espressiva la quale, come si sa, è un punto non di partenza ma di arrivo.


Con l'Inno alla Triade illustrare,

celebrare

e

l'autore voleva proporre

Persone, il cui apporto nel momento della sua

un'altra

attuazione aveva attivato l'attributo specifico

soluzione al grande mistero dell'unità e della

che le diversificava e le univa armonicamente

trinità di Dio.

nel nodo dell'unità.

Ma questo mistero, così contraddittorio nella

E se nel Vecchio Testamento non si fa

sua enunciazione, poteva trovare sul piano

chiara intenzione dell'intima essenza di Dio,

razionale una soluzione logica, capace cioè di

la ragione risiede forse in questa semplice

dissolvere e di fugare le difficoltà che

considerazione: il progetto della redenzione

incontra la mente umana ad ammettere la

dell'umanità,

contemporanea presenza dell’unità e della

l'attenzione di tutta la dottrina dei Nuovo

trinità nell' essenza dì Dio? La prassi

Testamento, è molto più grande e più

filosofica e teologica del pensiero cristiano ha

importante della creazione del cosmo e delle

risposto di sì a questa domanda. Secondo la

sue naturali implicazioni, che rappresentano i

dottrina della Chiesa, infatti, il mistero è una

presupposti necessari del grande disegno

verità superiore ma non contraria alla ragione.

salvifico di Dio.

sul

quale

si

concentra

E se il mistero trinitario è una verità, esso non

La rivelazione suddetta fatta da Cristo

può considerarsi estraneo all'attività di ricerca

non ha però il carattere di una sterile

dei nostri intelletti, preordinati a trovare il suo

informazione sull'intima essenza di Dio; essa

ultimo equilibrio soltanto a contatto con

sottintende un nuovo comandamento fatto

l'affermazione dei suoi inderogabili principi,

all'umanità intera, perché tutte le espressioni

che sono la misura del reale.

del culto di latria, pur rimanendo intatte nel

Ma forse è opportuno qui premettere un

solco della tradizione, si arricchissero e si

breve cenno storico sull'itinerario percorso da

adeguassero a questa verità rivelata e fossero

questa soprannaturale verità di fede nella

quindi

storia della Chiesa.

momento che il Padre, il Figlio e lo Spirito

Il mistero trinitario, accennato più volte nei

Santo erano protagonisti unitari in ugual

vari episodi dei Vangelo, ha avuto la sua

misura

esplicita rivelazione nelle parole di Gesù

dell'uomo.

(Matteo

28,19):

mistero

personalizzate,

della

dal

redenzione

La Chiesa, interprete del volere di Dio,

ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole

ha rispettato questo comandamento e lo ha

nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito

attuato sia nel sacrificio eucaristico, nel quale

Santo.". Da queste parole si desume che la

il Figlio - Dio, si offre vittima al Padre - Dio,

missione

stata

sia in tutte le altre forme collettive ed

progettata dall'unanime volontà delle tre

individuali di culto, come avviene, per

di

adunque

nel

e

e

salvifica

"Andate

articolate

Cristo

era


esempio, nella dossologia maggiore e in

mistero trinitario. Essa tuttavia incominciò ad

quella minore.

esercitare nelle menti dei pensatori cattolici il

Nei primi anni del cristianesimo e fino

fascino della grande impresa, come quello che

a sant'Agostino, questo mistero fu accolto

spinge gli scalatori a tentare di raggiungere e

senza significativi tentativi di sottoporlo

di conoscere le vette altissime ed inviolate

all'approvazione della ragione umana. Ma

della terra. L'Inno in questi versi, che

quando apparvero le prime eresie (Ario), si

ricordano vagamente i primi versi del decimo

delineò subito anche la necessità di affrontare

canto del Paradiso dantesco, il poeta sfiora

un così difficile problema sul piano razionale.

soltanto metodologicamente l'impostazione

Col passare dei secoli varie scuole filosofiche

dantesca di cui era a conoscenza e di cui

e teologiche ipotizzarono che la generazione

parleremo tra poco, perché piega subito il suo

del Verbo, alla quale fa esplicito riferimento il

ragionamento in direzione di una voluta,

simbolo Niceno - Costantinopolitano, si fosse

maggiore intelligibilità popolare del mistero;

attuata nella mente di Dio, puro spirito, la cui

e

primaria attività è certamente il pensiero. La

didascalica,

tesi assunse in seguito maggiore forza e

dell'affiato poetico.

quest'impostazione, determina

per un

così

dire

indebolimento

suscitò i più ampi consensi quando pensatori e teologi, a sostegno di essa, utilizzarono alcune

Alla Triade del De Maio, composto

osservazioni presenti nella Summa contro

più di un secolo fa, è una prova lampante di

gentiles e nella Summa Theologiae di San Tommaso.

stata

L'argomento

prescelto dall'Autore è molto alto, molto arduo e manifesta nella prima parte risvolti

Questa intuizione, forse la più alta che sia

quanto abbiamo affermato.

conseguita

dalla

speculazione

quasi illimitati, che coinvolgono la storia della Chiesa, i Concili, i dogmi e le principali verità di fede. Bisogna aggiungere che è quasi

religiosa, non aveva però con sé l'impronta

impossibile tentare un'analisi delle singole

della certezza e non fu mai accolta o

strofe e, qualche volta, dei singoli versi, senza

concepita come una soluzione definitiva del

affrontare questioni filosofiche e teologiche.


Le osservazioni che faremo noi, quindi,

quest’impostazione, per così dire didascalica,

saranno solo di ordine artistico, unica via di

determina

uscita per un critico che non possiede le

poetico. Il ragionamento dei De Maio non ha però sul piano razionale la chiarezza e la profondità dell'intuizione chiusa da Dante in una sintesi serrata di precisi concetti dialettici, nell'ultimo canto del Paradiso, con la celebre terzina:

cognizioni per così dire professionali dei De Maio sugli argomenti dottrinali presenti nell'Inno, in questo componimento, scritto in quinari accoppiati secondo lo schema aa - bb - e, il tono poetico è sostenuto da una reale tensione spirituale, di natura più mistica che

un’

indebolimento

dell’afflato

o luce etterna che sola in te sidi

lirica, perché si risolve nell'esaltazione di tutti

sola t'intendi, e da te intelletta

gli attributi dogmatici che la fede cristiana

e intendente, te ami ed arridi.

riconosce alle singole Persone della SS. Trinità. La rassegna di tali attributi e la loro successione espositiva, che sembrano fatte a caso, sono invece finalizzate a ciò che il poeta si è proposto di dire nella quinta strofa, nella quale affronta direttamente il problema dell'essenza di Dio:

Il Primo è Padre, che vede ed ama Genera il Verbo, Figlio lo chiama: Figlio è il Secondo, che il Padre vede: Spirito è l'Altro, che almo procede Come alma fiamma dal loro Amor. In questi versi, che ricordano vagamente i primi versi del decimo canto del Paradiso dantesco,

il

poeta

sfiora

soltanto

metodologicamente l’impostazione dantesca di cui era a conoscenza e di cui parleremo tra poco, perché piega subito il suo ragionamento in

direzione

intelligibilità

di

una

popolare

voluta, del

maggiore

mistero;

e

Il presupposto dal quale discende il successivo discorso dantesco è rappresentato dalla considerazione che la precipua attività di Dio puro spirito, come già abbiamo accennato, pensiero. Da questa premessa discende la dimostrazione esplicativa del mistero trinitario: Dio pensante è il Padre; Dio pensato è il Figlio o Verbo; L’amore che procede dal Padre e dal Figlio è lo Spirito Santo. Questa soluzione del mistero trinitario, che segna forse la più alta concordanza della limitata ragione umana con l'infinita Ragione divina e che alle persone prevenute può sembrare alquanto sofisticata, trova la sua conferma nelle parole del Prologo dei Vangelo di Giovanni: "In principio erat Verbum (pensiero-parola), et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum". Con la composizione dell'Inno, l'autore era convinto di aver portato a termine la più importante opera della sua attività artistica. Per questo motivo egli scrive una lettera a Giuseppe Verdi, “per pregare illustre Maestro di mettere in musica “L'Inno alla Triade". Per esprimere poi la sua soddisfazione per l’opera compiuta e indicare la radice mistica della sua ispirazione, nella stessa lettera l'autore afferma: "Va da più giorni, per la bocca di tutti un Inno alla


Triade, che tra poco farà il giro dei mondo, composto "nella quiete della notte tra due testimoni: la sua anima e Dio”.

contraddizioni degli avversari della fede e

Sul piano Strutturale però il componimento

patrimonio religioso, morale e civile, di cui la

lirico non appare unitario; corre infatti, un

Chiesa nei secoli era stata promotrice, custode

evidente divario tra la prima parte, (strofe 1 -

e garante.

deplora il cattivo stato di conservazione del

Il

10) e la seconda (strofe 11-24), sia dal lato

chiaro

intendimento

polemico

artistico, sia dal lato contenutistico. La caduta

presente in questa sezione dell'Inno ci

della tensione mistica, lirica e l'inatteso

autorizza però a credere che il poeta abbia

cambiamento del materiale poetico, di livello

voluto confutare le ricorrenti accuse di pesanti

inferiore rispetto a quello della prima parte,

responsabilità

determinano una differenza che preclude la

conservatorismo, di secolare oscurantismo

possibilità di considerare la seconda parte

che

come una logica e naturale prosecuzione della prima. E questo divario non può ritenersi sanato

dai

due

lontani

versi

della

quattordicesima strofa, di natura chiaramente occasionale:

parte

riflette

della Chiesa, determinato dalla perdita del potere temporale. Le grandi polemiche che precedettero questo evento e che continuarono anche dopo con la celebrazione dell'esito fortunato dell'impresa, favorito anche da circostanze storiche europee, generarono una crisi nel campo religioso, la quale alimentò e maggiormente

l'anticlericalismo,

sempre presente in Italia dalla Rivoluzione Francese. Per questo stato di cose, il De Maio lamenta l'allontanamento del popolo dalla religione

degli

avi,

ironizza

rivolgeva

al

Cristianesimo e alle sue strutture politiche e religiose. Ma un preciso accenno a Satana, presente nella preghiera finale dell'Inno, ci fa credere che questa parte sia anche una risposta all'inno "A Satana" che il Carducci

ripubblicato nel 1882 con la loro ultima

evidentemente il particolare momento storico

accese

laico

ottuso

alcuni anni dopo con i "Giambi e gli epodi" e

la Triade, i Dogmi, e l'antica Fede. seconda

pensiero

di

aveva composto nel 1863, aveva pubblicato

Ma Italia nega e più non crede,

Questa

il

storiche,

sulle

edizione. E' appena il caso di rilevare a favore dell'ultima ipotesi, che questa data è molto vicina al 1888, anno della composizione dell'Inno alla Triade dei De Maio. Indipendentemente dalle osservazioni di varia natura fatte fin qui, in omaggio alla verità, osservazioni del resto soggettive non definitive e sempre contestabili, concludendo si può affermare, senza ombra di dubbio, che con questo Inno, pregevole nel suo genere, anche per il taglio moderno messo in rilievo dalla polemica politica, Giovanni De Maio può a buon diritto far parte della grande e gloriosa schiera degli innografi che hanno


illustrato la fede, la storia della Chiesa e della

Graecia ~tulit sigulares viros: quorum

cultura. Greci, 22 agosto 2000 Michele Di Minno

Neminem, nisi juvante, talem fuisse Credendum est ARIANO TIPOGRAPIA EDUCATRICE 1883

A GIUSEPPE VERDI

GENIO VIVENTE DELL' ARMONIA MODERNA ________________________ Il véro Ingegno è a detta: di Tùllio un dono di Dio. Multos et nostra Civitas et LETTERA A GIUSEPPE VERDI ALL’ ILLUSTRE MAESTRO VERDI

Qui nella terra del Napoletano dove ardono i cuori degli uomini come ardono le viscere di lei, va da più giorni per le bocche di tutti un Inno alla Triade, che tra poco farà forse il giro del mondo. E’ il potente grido d'Italia espresso dal labbro di uno sconosciuto che vive solitario come un romito nel deserto. Quest'Inno venne da lui concepito poco fa nella quiete solenne della notte tra due testimoni - la sua anima e Dio - , qui in un angolo rimoto delle Puglie che guarda da lontano il bel cielo di Oriente,da cui spunta il mattino il nuovo sole quasi messaggiero delle sue sacre regioni che in muto linguaggio salata col suo sorriso I' Italia. Esso è dunque un Inno ispirato che rivela sensibilmente il Verbo di Dio.

Onde il sottoscritto - interpetre dei latenti desideri di questa sacra terra di fuoco, ardente quasi come l' antico Oreb – di Asia, prega l'Illustre Maestro Verdi che è il genio vivente dell'armonia moderna, di mettere in musica l'Inno alla Triade in omaggio della verità; qffin di dare al suo ideale coi dettati dell'arte divina una nuova incarnazione palpitante di vita e di affetto. Il musico - con la segreta scintilla che lo invade dà l'anima al poeta, e rende vivo il suo genio. Il genio del poeta compenetrato per opera,sua da un arcano entusiasmo e tocco dal fuoco sacro della musica, con nuovo accento agita, muove, concita, infiamma, rapisce i cuori di. E perché, dunque l'Inno alla Triade non dovrebbe oggi avere la fortuna di rapire i cuori di tutti, per opera di Verdi che è il genio sovrano nella musica? Perché l'Italia non dovrebbe oggi avere nel proprio idioma una nuova -musica sacra, -di indole tutta popolare; - la quale, fosse il vero grido della sua anima ed esprimesse il vero gemito del suo cuore?


Con la celeste armonia del canto meglio s'ispira la coscienza del popolo; e si ravviva in essa nel pieno suo splendore il lume che le fu dato da Dio a bene ed a malizia. Senza l'aiuto del canto la coscienza del popolo non coglie mai nella sua integrità e nè vede mai in tutta la sua lucentezza l'idea segreta contenuta nei versi. Perciò nell'antico Oriente,che fu il sacro depositario del vero rivelato, le divine ispirazioni dei Profeti si comunicavano sempre al popolo per mezzo del, del suono e del canto. E così l’Arpa del Libano divenne presso i popoli storica e tradizionale. Per cui poco dopo anco nel mondo Greco e nel mondo Romano furono sempre riputati come due potenti ausiliari dell'idea i versi e il canto. Musica è poesia, fanno i miracoli nell'arte. Musica e poesia sono due forme delicatissime che rivelano al vivo a chi à intelletto e amore la collera o il sorriso dell'Eterno. Ecco perchè il grande Oratore di Arpino dice che niente è così naturale allo spirito nostro, quanto i versi e il canto - nihil tam cognatiim mentibus nostis, quam numeri atque voces. Ecco pérchè il melliffluo cantore di Solmona, suo compatriota dice che il poetá sente nell' animo il.fuoco sacro di Dio che lo agita e lo infiamma: Est Deus in nobis : agitante calescimus illo. Ecco per ché il gran legislatore Licurgo rifece l'animo di Sparta e diede al mondo gli eroi delle Termopili coi canti di Omero, detto da Plinio - Primis doctrinarum parens. Ma Licurgo però fu sotto una nuova forma la seconda figura di Davide; il quale assai prima di lui aveva coi divini suoi canti rifatto lo spirito del popolo Eletto, e lo aveva preparato alla futura redenzione dell' umanità che doveva essere compiuta un giorno sul Golgota dal Figlio dell' Uomo col sublime sacrificio di se stesso. Di quel Davide che per bocca del fiero Astigiano chiamava il re Saul una coronata polve. Eh si! tutto in origine uscì dall' O Eh si! tutto in origine uscì dall' Oriente e dall' Oriente ancora uscì Grecia e Roma, che sono le due più grandi figure del inondo pagano. Oggi il genio di Verdi non può stare pizi muto; ma dee pur esso contribuire a

liberare il paese dalla servitù in cui germe. Questa è la missione propria degl' ingegni straordinari, che Dio manda a quando a quando nel mondo come interpreti e banditori della sua legge. Oggi la misura del male è già colma e reclama una nuova riparazione della Provvidenza. A siffatta riparazione straordinaria è indispensabile l'opera, di uomini straordinarii, a cui Dio à dato perciò un ingegno straordinario. Non bisogna poi mai dimenticare, che l'Italia non à ancora il vero Inno del popolo, dettato nella dolcissima sua, favella. E pure l' Italia è la patria di Dante e di Verdi, e fu salutata da principio come la terra prediletta della musica e della poesia. L'Italia è la terra, in cui: Si aperse in nuovi amor l' Eterno amore. Deh! l'Illustre Maestro Verdi, a cui il cielo à dato una sì squisita delicatezza di sentire che nel tenero e nel dolce non à pari al mondo, lasci all'umanità quest'altro ricordo e non privi l'Italia di un nuovo parto del suo genio.Lasci all'Italia il vero Inno del popolo, in cui s'in carni il vero ideale dell'avvenire, accompagnato dal concetto primitivo del Cristianesimo, che emana puro come l'alito di Dio dalle pagine eterne del suo gran Libro ispirato. Gli errori che oggi ne appannano il chiarore, domani si dilegueranno come le ombre della notte all' apparire del nuovo sole. La verità è eterna, perchè la verità è Dio. La falsità è la negazione di Dio, è un'ombra che presto sparisce. Una nuova musica sacra fatta pel popolo sarà cantata sempre dal popolo, come un'eco fedele della stia coscienza; e renderà immortale il nome di chi l'à dettata al popolo.con arte più singolare che rara. Il nome del vero genio che vive sempre nel cuore del popolo, non muore mai. Gl'individui, se ne vanno, le generazioni passano e passano pure in loro compagnia i secoli; ma il nome del vero genio vive sempre nella memoria della posterità, dalla quale troppo spesso riceve ancora come tributo di gratitudine una lagrima di amore un palpito di affetto, un sospiro di tenerezza.


Il nome del vero genio insomma si associa nell' anima all'idea del beneficio ricevuto; la quale è uno dei più dolci sentimenti. che il dito, di Dio ha svegliato nel cuor dell' uomo e à mai il suo tramonto. Il nome, del vero genio dunque dura nel mondo, quanto dura la coscienza dell'umanità. Unico titolo però della sua immortalità, è sempre la vera e non immaginaria utilità della propria opera da tutti sentita e unanimemente approvata dalla coscienza dell'universale. Il sottoscritto non si è rivolto allo straniero; perchè sa bene che il solo musico d'Italia può essere fedele interprete dei sentimenti del popolo d'Italia e può tradurli in nota seconda l'intenzione dell' Arte con quella tinta malinconica che è propria della musica italiana. Onde il sottoscritto à fede che la sua preghiera sarà con animo benevolo accolta dall'Illustre Maestro Verdi; e però coi sensi di una non mentita divozione gli anticipa a nome del popolo i più vivi ringraziamenti. Il Verdi poi che à tanta fama nel mondo lo annoveri da oggi tra i più teneri e sinceri ammiratori del Suo genio. Il genio di Verdi,è una gloria vivente d' Italia, e à dritto al l' ammirazione di chi ama sinceramente l'Italia. Il sottoscritto intanto reputa una vera,fortuna la presente favorevole occasione, onde potersi affermare pubblicamente Della Preclarissima Persona dell'Illustre Maestro Verdi Greci di Puglia 10 marzo 1883 Devotissimo ed ossequentissimo servitore PROF. GIOVANNI DI MAIO

INNO ALLA TRIADE O Padre, o Figlio, o Primo Amore, O Dio, che spiri in Ogni core Di pura luce 1' almo affetto: O Sole Eterno, che in ogni petto Viva fai 1' alma col tuo splendor. O Divin Verbo, tu sei la Luce Che ogni intelletto al ver conduce: Se in fondo all'alma Più a lei non brilla Un tuo barlume, una scintilla. Senza il tuo lume 1' alma già muor. Spirito, Padre, Figlio Divino,


Un Dio voi siete, siete Uno e Trino 5: Figlio del Padre, tu sei l'Idea, Sei l'Alto Verbo che il mondo crea, Nulla è il creato senza di te. Allorchè il Padre il mondo crea Col suo potere guarda l'Idea, In cui l'imago del mondo brilla E di ogni cosa l' idea sfavilla, Guarda il suo Verbo che tiene in sè. E se da colpa Ei l'uom redime, A sì grand'opra ardua e sublime Con Lui che è il Primo Alto Fattore, Concorre il Verbo col' Primo Amore, Che il Padre amando al Verbo unì. Però si legge nel gran vangelo Di San Giovanni, che fu dal cielo A1 suo intelletto prima ispirato, Poi fu ai popoli da lui dettato: Tutto in principio dal Verbo uscì .6 I1 mondo, l'uomo ciò che fu fatto, Tutto dal nulla un dì fu tratto: Ma quanto è fatto e quanto esiste È idea. Del Verbo che in Lui sussiste E fuor del Verbo l’ idea non è . Nel Verbo il Padre si guarda anch' esso, Vede nel Verbo anche se stesso, Vede nel Verbo tutte le cose, I1 mondo, l'uomo che in esser pose, Vede nel Verbo quanto si fè. Anco di quello che non è fatto, Ma Dio potrebbe mettere in atto, Vede nel Verbo chiaro il concetto, I1 divin tipo ch’ è si perfetto, Vede nel Verbo l' idea che - in se: 3 5

Omnia Ipsam facta sunt

E se da colpa Ei l' uom redime A sì grand’opra ardua e sublime: Con Lui che è il Primo Alto Fattore, Concorre il Verbo col' Primo Amore, Che il Padre amando al Verbo unì. Però si legge nel gran vangelo Di San Giovanni, che fu dal cielo A1 suo intelIetto prima ispirato, Poi fu ai popoli da lui dettato: Tutto in principio dal Verbo uscì (4). I1 mondo' 1' uomo, ciò che fu fatto, Tutto dal nulla un di fu tratto: Ma quanto è fatto e quanto esiste E’ idea. del Verbo che in Lui sussiste E fuor del Verbo idea non è. Nel Verbo il Padre si guarda anch' esso, Vede nel Verbo anche se stesso, Vede nel Verbo tutte le cose, Il mondo, I'uomo che in esser pose, Vede nel Verbo quanto si fè. Anco di quello che non è fatto, Ma Dio potrebbe mettere in atto, Vede nel Verbo chiaro il concetto, I1 divin tipo ch' è si perfetto, Ve'de nel Verbo 1' idea che à in sè 6.

della rivelazione nessuno dei grandi filosofi antichi conobbe certe verità troppo alte – quas nemo Principium. hujus saeculi co gnovit. Le verità più eccelse e per sé meno accessibili al corto: vedere della mente umana inferma - a cui quasi ne asconde: i raggi 1'ombra di una grande nube -unigenitus qui est in sinus Patris ipse enarravit- Però Egli dice ego sum qui testimonium perhibeo de me ipso. Eh, il sole non si :-svela mai chiaro come è nella propria luce, se non da se stesso quasi faccia a faccia con una visibile apparizione !!…

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Anco Platone, detto però divlno, vide col nudo intel letto questi tipi perfetti delle cose possibili, queste idee archetipe sussistenti ab aeterno nel Logo di Dio, ossia sussistenti nel Verbo secondo la vera fede del Cristianesimo. Platone venne, forse, illuminato dall'antico Oriente dei Profeti; che come primo depositario 'del vero rivelato,avanti all'apparire del Sole qual alba novella balenava di tratto in tratto un'AIma luce lontana, sin là tra le ombre morte del vecchio mondo ideale di Grecia e di Roma. Del resto ben lo afferma Paolo, che senza la divina fiaccola

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Cioè presente al Padre, ché vede nel Verbo e le cose fatte e le cose che potrebbero—volendo—esser fatte; vale a dire oltre alle cose da Lui create vede ancora nel Verbo tutte le cose possibili, le quali in mezzo a un sì gran mar di luce nella loro eterna idea,—in compagnia di quelle omai esistenti— gli brillano vive dinanzi allo sguardo omniscio, come se gia fossero pur esse in essere. 6

Filius meus es tu, Ego hodie genui te.


Chè il possibile a Lui presente 7 Anche il concetto dell' Alta Mente, E un divin tipo, una figura Dove è sì bella la creatura, A cui 1' Eterno 1' esser non diè. Ciò che non muore e ciò che muore Tutto è del Verbo raggio e splendore, E’ un immagine che in Lui traluce Come ombra viva della sua luce, Come favilla del suo chiaror. 'Nel Verbo il Padre guardando espresso Tutto i1 suo essere in Se riflesso, Amato Lo ama con sommo ardore E dai Due spira 1' Eterno Amore, Che al Padre e al Verbo pari à il candor. Il Primo è Padre, che vede ed ama:8 Genera il Verbo, Figlio lo chiama Figlio è il Secondo, che il Padre vede: Spirito è l'Altro, che Almo procede Come alma fiamma dal loro Amor.

Anno comune l'arcana unione, Una natura in tre Persone, Una bellezza una sostanza, Una bontade che ogni altra avanza, Un sol potere, un sol valor. Padre, Figliuolo, Spirito Santo Son gloria eterna di eterno cantoSon degli Angeli e dei cherubi, L’Inno che si ode sopra le nubi E sopra Efrata s' intese ancor. Padre, Figliuolo, Spirito Santo Son Dio che asciuga lagrime e pianto, Son Dio che calma, Dio che perdona, Dio che consola ogni persona, Son Dio di pace, son Dio di amor. Son del creato le tre Corone, Sono uno Dio in tre Persone, Sono l'Immenso, son l'Alto Vero In cui si posa I' alma e il pensiero, Son l'infinito che è l'Uno in tre. 7

Idem

L'uomo Lo vede, l'uomo Lo mira, Quando col guardo in sè si giraL'uomo Lo vede in fondo al core Dove fa un' ombra I' Eterno Amore, Quando col guardo discende in sè. L' Italia mia dallo straniero Beve oggi il falso col suo pensiero, Contaminata da sensi pravi, Cieca ripudia le Somme Chiavi, Nè più ricorda l'antico ver. In tutto priva di vera luce Non à la guida che al ben conduce; E senza luce è inaridita La vera fonte della sua vita E vaga errando col suo pensier. Boezio, Dante, col sommo Vico Le adombran vivo il vero antico: Tommaso,Anselmo,conAgostino Parlan'profondo dell'Uno e Trino, Parlan del Verbo che all' Uom si unì. Ma Italia nega e più non crede La Triade, i Dogmi, I' antica Fede: Non crede Cristo, non crede il Cielo, Nega il suo Regno, nega il Vangelo, Il vero antico essa smarrì.

Nega i due tipi non mai divisi! E l'Alma gemma stella di Assisi E l'almo giglio fior di Lisbona, Aperti al riso qui ove il « si suona »; Ove il candore al Ciel salì. Nega non ama, nè Benedetto, Nè Domenico « granluadre eletto » 8; Che dier al Mondo lume e splendore9 Quando qui l'alba rise di amore, Quando qui il Sole nuovo apparì! Italia mia, se tu non credi più 1’Uomo -Dio che tu non vedi; Se tu non credi dentro il -tuo core Il Padre, il Figlio, l'Eterno Amore; Nè credi il mondo che un tempofu, Perchè poi credi Dritto Roman, Divin Poema che è sovraumano, Antiche scienze libri, scritture, Storie, lettere, arti, pitture? 8

8

Idem

9

Vedi prima nota dell'Inno. Vedi seconda nota dell'Inno.


E vai cercando I' alma virtù ? Solo una mente cieca ed inferma Dice e disdice, nega ed afferma: Nega la causa, crede I' effetto, Afferma il mondo che à nel concetto, Ma dopo dice: che Dio non é. Tu, Italia, credi quanto rimiri. Quanto per occhio, per mente giri: Ammetti l’uomo credi il finito, Poi neghi Dio che è I' infinito, Non credi Dio che è l’ Uno in tre. Seguendo incauta libri stranieri Oggi condanni Dante Alighieri, Il suo poema è un nome vano Per te che neghi il senso arcano, Per te che neghi I' alto saper. Per te che neghi I' idea divina Di San Tommaso che è sua dottrina, Per te che neghi i suoi tre regni, Per te che il lume nel buio spegni E chiami falso il suo pensier. 0 Padre, o Figlio, o Eterno Amore, 0 Dio, tu un raggio del tuo splendore Manda su questa tua Roma antica Che oggi a Satana si è fatta amica E a Lui dà il culto che nega a Te !

0 Italia mia, tu all'Uno e Trino Dà 'culto, gloria, onor divino Se col tuo cuore a Lui non torni, Di vera gloria giammai ti adorni, Perchè ti manca I' antica fè!!

Giovanni De Maio


Mons. Filippo Allegro Filippo Allegro †(12 maggio 1879 - 2 dicembre

Albenga

1910

deceduto)

Vescovo

di


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