GRECI, SKANDERBEG E ALBANIA

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GRECI-KATUNDI MEMORIE STORICHE IN RICORDO DI G. K. SKANDERBEG.

GIOVANNI ORSOGNA

Greci-Katundi

2018


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Ad Est del centro urbano, quasi a proteggere il paese, s'innalza il monte Calvario, d'interesse archeologico. Materiali sporadici ivi rinvenuti attestano la presenza nell'antichità di un insediamento greco. Nella zona del campo sportivo si rileva un'antica zona cimiteriale. Lungo la provinciale Greci-Faeto, a circa 2 km dall'ingresso del centro abitato, una stazione geonaturalistica di alto rilievo scientifico affiora su di un costone di roccia calcarea dove sono visibili una fauna marina e conchiglie fossili. Sul pianoro denominato 'Piano di Chicco " si rivelano seri indizi di un insediamento greco-bizantino lungo la strada provinciale Greci-Scalo. Altri siti di interesse archeologico-naturalistico si trovano a circa 7 km in direzione Faeto: 1) "Tresportelle", toponimo che ricorda la presenza di tre porte; 2) le masserie fortificate di "Tre Fontane", collocate alla confluenza della via Traiana con il Tratturo Camporeale- Foggia. Nel VI secolo d. C. è attestato un piccolo centro fortificato- dai Bizantini, costruito a difesa dei loro confini, alle falde dell'attuale sito urbano di Greci. Questo costituiva l'ultimo avamposto del catapanato bizantino incuneatosi nel ducato beneventano. La conferma si riscontra nella evoluzione del toponimo Graikos, latinizzato Graecus, da cui Graeci ed infine Greci. Nell'anno 535 l'imperatore Giustiniano inviò il generale Belisario per scacciare i Goti. In questa occasione furono reinsediate e consolidate con la popolazione indigena molte colonie greche nell'Italia meridionale, tra queste Greci e Troia. La civitas greca, che comprendeva larga parte dei terri- tori degli attuali comuni di Faeto, Orsara, Greci e Montaguto, con gli antichi territori dei castelli di "Crepacordis" (Crepacore) di Faeto e di Ripalonga oggi denominato


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"Terrastrutta", fu sconvolta dalle incursioni dei Saraceni e ne subì la distruzione. Scrive il Giustiniani: "Greci e li Greci…si vuole contea, e dopo esser stata distrutta da' Saraceni nel sec. IX, il conte Potone, il quale da Catapano governava quella regione, ottenne il permesso di riedificazione, ottenne il permesso di riedificarla per mezzo del Conte Alferio da Pandolfo VI suo figlio, come dal suo diploma de' 21 giugno, del VII anno del suo principato, cioè 1039". Nel "Catalogus Baronum" (1150-1168) è attestato: "Gerardus de Grecis tenet a Predicto Comite Greaciam quod Est feudum…" Nel registro della "Ratio Decimarum" riscossioni delle decime da parte della S. Sede (1308-1310), è menzionato il clero di grerci: "Clerici Castri Graeci…" e "Clerus de Grecis..". Nel 1121 si rileva che la badessa del Monastero di S. Maria di Porta Somina in Benevento era Bethlem, figlia di Gerardo Conte di Greci. Nel 1128 Ruggiero duca di Sicilia, marciando contro il proprio cognato, Rainulfo, signore di Troia, si accampò contro di lui, intorno a Greci. Dai registri angioini (sec. XIII) si apprende che Greci segue le sorti dei castelli di Ferrara, o la Ferrara, e Savignano. Difatti Carlo I d'Angiò, con diploma del 26 marzo 1273, donò Greci, con le precedenti terre, al milite Guglielmo De Lande. In quegli anni Greci era abitata e si costituiva in università. Il primo fulcro, è ubicato nel punto più alto (quota m.825 S. 1. m.) dove era la vecchia chiesa di San Bartolomeo. Questo tempio, che era di rito greco, è stato distrutto nella seconda metà del 1600. Risaliva agli stessi Greci, che intorno ad esso avevano creato il paese (intorno all'Acropoli). Il secondo fulcro, fortezza e/o castello (Mito) era sicuramente una torre di segnalazione in corrispondenza con quelle di Casalbore e di Panni. Di questa torre non è rimasta traccia, però nell`area denominata largo Caroseno le attuali abitazioni sono poste a cerchio intorno ad un luogo più elevato (quota m.807 s. 1. m) contro l'adiacente e sottostante area davanti alla chiesa della madonna del Caroseno (quota m. 792 s.l.m.), quindi un chiaro luogo fortificato. C'è un'ultima area degna di nota, l'area ove la riedificata chiesa della Madonna del Caroseno. La chiesa, edificata con il suo cimitero nei primi anni 1500 d. C, dopo la venuta degli Albanesi, era fuori dell'area abitata, a segnare il confine tra il paese ed il resto. La ricerca dei luoghi ellenici è stata sempre la ricerca dell'uomo nella sua manifestazione più solare, una sorta di mitico viaggio alla riscoperta delle prime radici delle civiltà che suscitano ancora oggi fascino, emozioni nei viaggiatori e nei turisti di ogni tempo. L'Antica Madre, per gli Elleni c per le genti italiche, ha rappresentato il possesso di un equilibrio interiore, di una felicità che non contrasta con la ragione che anzi l'asseconda nell'allontanare furori ed angosce. La civiltà ellenica e la "fantasia" hanno percorso gli innumerevoli luoghi abitati dal vento del Mediterraneo lungo l'itinerario immaginario del Mito costruito e rimodellato dalla fantasia umana che permette all'uomo modemo di


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ritornare costantemente alla propria innocenza originaria. Lungo le direttrici della Magna Grecia, singolare crocevia, è Greci, Katundi, Grec, secondo la parlata albanese. All'interno dell'Appennino Dauno-Irpino è situato sullo spartiacque delle valli del Miscano e del Cervaro, all'imbocco del Vallo di Bovino, porta naturale della Puglia. Insieme ai comuni di Faeto (FG) e Celle San Vito (FG), è una singolare oasi linguistica. A Greci si parla l'albanese, mentre nei comuni foggiani il franco-provenzale. Le civiltà della transumanza, legate alle antiche popolazioni italiche, hanno lasciato significative tracce lungo il tratturo PescasseroliCandela. Diversi bacini d'interesse archeologico sono stati individuati lungo il tratturello Camporeale-Masseria di tre Fontane (casale fortificato settecentesco) - Masseria di San Vito. Lungo questi tracciati ricollegati alle piste di epoca protostorica, in seguito sannite, si concentrarono la vita, il commercio e le arti del V e V1 secolo a. C.. Greci conserva poche testimonianze di frequentazione in età preromana e romana. Fu fondata dai coloni greci su un sito di particolare importanza strategica su uno degli speroni dell'Appennino Dauno-1rpino, crocevia naturale lungo le direttrici viarie e naturali delle valli del Miscano e di Bovino, punto di confluenza delle rotte del mare verso le zone interne dell'Irpinia, della Daunia e della Capitanata. Lo storico Scandone, desumendole dai registri della cancelleria Angioina, ci fornisce alcune notizie di Greci e del casale di Ferrara (ora disabitato), sito nel comune di Savignano Irpino, relative al XIII secolo: il 12 agosto 1269 s'invia ai giustizieri delle varie province un elenco di eretici, i quali dovevano essere arrestati. Fra gli altri si trovano il giudice Rainaldo, un giudice Guarino, Boiano Capocia, Pietro Ianini, Guglielmo fratello di costui ed altri cittadini di Ferrara. Il 27 maggio 1270 a Guglielmo de Lande sono concessi i castelli di Greci, Ferrara e Savignano, in Principato e Terra beneventana, in cambio di Torre de Zippis, nel Molise. Viene ordinato, il 3 marzo 1274, al feudatario Guglielmo De Lande di non molestare i vassalli di Greci c Ferrara. Costoro avevano esposto che egli li costringeva a pagare collette non dovute, a sopportare servitù nuove, e che li aveva spogliati del diritto antico di far pascolare i loro animali nei boschi appartenenti ai casali omonimi. Intanto Greci e Ferrara vennero segnalati per la genera-le sovvenzione degli anni 1277, 1278, 1281 e 1290. Interessante è l'ordine del 25 maggio 1294 indirizzato al giustiziere di principato di far dividere per mezzo di "termini lapidei" il territorio del castello di Greci, appartenente a Bertanda de la Lande moglie di Novellone Dolfi, da quello di Ripalonga, in Capitanata, castello appartenente a Mattia di Gesualdo. In epoca angioina il re fece esplicita richiesta di riserva per il pascolo delle regie razze sulle contrade di Greci, riducendo i diritti dell'università e degli abitanti e trasformando l'antica contea in un modesto casale. In epoca aragonese, dopo il 1390 c il 1413, le sorti di Greci, Ferrara e Savignano passarono per un breve periodo alla Regia


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Corte e successivamente alla famiglia Spinelli. Con la vendita del 25 giugno 1445, i fratelli Trajano e Bertrando Spinelli rivendettero le loro terre al conte Innico Guevara, gran siniscalco del regno e conte di Ariano. Fino all'eversione della feudalità (1810), i Guevera sono stati feudatari di Greci con il ramo Guevara-Suardo, duchi di Bovino. I Grecesi dovettero riscattare le tenute del Gargario, di Cannavale, di monte del Niglio, di Vado del Conte, solo nel 1900 quelle di Taverna Savignano (oggi scalo Greci~Savignano), di Tre Fontane e di Pezza delle Donne. Per quel che riguarda lo sviluppo urbanistico di Greci, una maggiore espansione si registra con la venuta degli Albanesi, nella seconda metà del sec. XV, colonia emigrata tra gli anni 1461~63 dall'Albania al seguito delle truppe di Giorgio Kastriota Skanderbe. In età aragonese il paese si consolida definitivamente ed assume la forma attuale con la formazione dei rioni Breggo e Caroseno. Dopo il 1522 la colonia albanese si insedia stabilmente integrandosi con la gente del posto, che ha custodito costumi e tradizioni proprie parlando il "tosco" caratteristico dell'Albania meridionale. Una nota particolare va riservata alle campagne militari in Italia, Skanderbeg e prima di lui milizie albanesi, con una forte cavalleria ed un esercito addestrato alla guerriglia, contribuì alla definitiva sconfitta degli Angioini a favore degli Arganesi; celebri sono le battaglie ad Accadia, Troia, (Terrastrutta) Sarno, Valle Ufita (1461-1463). Con i trattati di pace si consolidarono le comunità albanesi di Panni (Fg), Greci,(Av), Ariano (Av), Grottaminarda(Av). Skanderbeg per i suoi meriti militari venne insignito di Principe di S. Giovanni Rotondo e di Atripalda.


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^^^^” Il Re Ferrante d’Aragona riceve Scanderbeg a Savignano- Greci. “E’ il 1° settembre 1461, quando dal suo campo reale nella piana di Grottaminarda, sulle rive della Fiumarella, Re Ferrante si porta a Savignano terra amica, perché è pure del Conte di Ariano, dove è abbondanze di erba, ad accogliere il condottiero albanese Giorgio Skanderbeg, suo nuovo alleato, venuto coi suoi 8oo cavalieri ad offrire il suo braccio nell’ora del pericolo al figlio del suo protettore ed amico d’un tempo che lo aveva aiutato nella guerra contro i turchi invasori dell’Albania. L’incontro tra i due avvenne all’ingresso dell’antica rocca di Savignano, che si erge sulla valle del Cervaro e che ha l’aspetto proprio di un imponente fortezza militare posta a guardia d’ingresso della lunga gola di Bovino, con Greci che gli sta di fronte. Scanderbeg è un uomo di grande statura, è ben formato, parla bene l’italiano, e appena vede sua maestà si inginocchia e vuole baciargli i piedi. Ma il re non vuole e lo abbraccia con allegrezza e tutti e due si mettono a piangere, e montati a cavallo, cavalcano per Savignano magnificamente ricevuti dalla popolazione, e poi si avviano verso Casalbore e si portano a Paduli, Pietrelcina e Pontelandolfo, a sottrarre queste terre al conte ribelle di Campobasso e ci riescono facilmente. E così, a fine settembre, sua maestà re Ferrante per Apice e Mirabella si riporta col suo nuovo alleato albanese di nuovo al suo campo reale sulla Fiumarella, da dove si dirigerà con le bombarde prima ai paesi della Baronia di Flumeri, che sono tutti in mano del principe ribelle di Taranto e che sono di assai importanza, perché sono molto forniti di vettovaglie e cono quelli che hanno mantenuto le terre del Casertano nemiche sue, e poi alla terre del conte ribelle di Avellino”. (Fonte Milano, Dispacci Sforzeschi).


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Lasciandosi guidare dalla strada si arriva nel piccolo piazzale della chiesa di S. Bartolomeo Apostolo. Il tempio fu consacrato dal Cardinale Vincenzo Maria Orsini, arcivescovo di Benevento, nel 1704. Nel suo impianto originale esso risale al secolo XVII. L'imponente facciata, del tipo a capanna semplice, presenta una doppia scala balaustrale. Il portale. nella sempli-cità della sua fattura, è maestoso. Con fronte triangolare, presenta nel timpano una grande croce con l'iscrizione 1681. Un grande rosone centrale armonizza il tutto. L'interno della chiesa è a croce latina ad una sola navata. Sono conservati- a destra entrando- un crocifisso ligneo del sec. XVIII, le statue lignee di S. Antonio da Padova, della Madonna del Carmine, dell'Addolorata, di S. Vincenzo Ferreri, della Madonna del Rosario e del Cristo morto. Un altare maggiore, di marmi policromi, risalente al 1710, ha subito restauri per cura dell'arciprete Francesco Lauda nel 1905. Domina sull'altare la bellissima statua di Maria SS.ma venerata col titolo di Caroseno (tat. Causinus, Golfo d'oro, volg. Caroseno). L'abate Luigi Lauda (1875) ricorda che gli Albanesi, dopo la morte di Scanderbeg (1461), in varie ondate migratori si stabilirono come comunità stabile a Greci verso il 1534 e tra le cose preziose portarono la Madonna del Caroseno che è statail simbolo, per


8 secoli, di antichi legami con la madre-patria e compagna del loro esilio. I Grecesi la salutano col dolce nome "Ghiir imath ibecuare, Shen Merii e Zinnit" (seno grande benedetto, o Maria del Caroseno). Gli antichi Epiroti l'hanno venerata col titolo di Mesòsportite (in lingua albanese Me zùu shpìrtine) che vuol dire "mi ha rapito il cuore". La statua della Madonna del Caroseno ha richiami orientali ed è arricchita da un prezioso manto donato dalla Regina Maria Cristina di Savoia. Sulla navata sinistra si ammirano la statua del protettore S. Bartolomeo e statue policrone di cartapesta e lignee. Si conservano tele del XVII secolo. Notevole quella attribuita a Guido Reni, donata dai Duchi Guevara di Bovino alla chiesa madre perchè di loro diritto patronato. Il fonte battesimale è del 1706. Fra l'abside e il transetto esterno si eleva la torre campanaria con l'orologio pubblico. Usciti dalla chiesa, imboccando Via Manzoni, si possono ammirare scorci ed angoli caratteristici sia di fattura popolare che di pregio come portali di artigianato locale dei secoli XVIIIXIX. Si percorre Via Castelfidardo che è una passeggiata panoramica dove la vista spazia sui monti dell'appennino Irpino-Dauno con la vallata di Bovino. Lasciata Via Castelfidardo ci si può inoltrare nel vicolo S. Bartolomeo dove nel largo omonimo si possono vedere angoli suggestivi e singolari portali con architravi dalla tipica lavorazione a fogliame. Questo sito ospitava l'antica chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, di rito greco-ortodosso, a croce greca, demolita dopo il 1650 e ricostruita dalle fondamenta più a valle. In Piazza Umberto I – Già Piazza Skanderbeg - si può ammirare il palazzo municipale con artistico portale del sec. XVIII (già palazzo Lusi), l’ampio cortile con il busto in bronzo del citadino emerito sen. Giuseppe Vedovat,ngolare la sala del Consiglio Comunale “Matteo Martino” con arredi di buon gusto. Il complesso del comune ex casa dell’ECA ospita la biblioteca e Mnemoteca P. Leonardo De Martino, fiore all’occhiello della comunità grecese. Riattraversando il Corso Scanderbeg si giunge in Via Garibaldi detta "spassiaturi", passeggiata che con superba vista panoramica delle valli del Miscano e del Cervaro, spazia all'infinito. Il percorso conduce verso il Rione Breggo (piccolo monte) dove si possono vedere resti della antiche halive, tipiche costruzioni albanesi con mura a secco. Arrivati alla villa comunale Breggo si consiglia una sosta per la frescura e per godere l'intero panorama che rappresenta "il colle dell'infinito" irpino-pugliese. E' d'obbligo, per chi è mattiniero, godersi l'immensità delle albe meravigliose che suscitano sensazioni evanescenti. Dal Breggo non bisogna perdere i purpurei tramonti che sembrano far toccare il cielo con un dito. La visita può continuare, per chi ha buone gambe, nei rioni Caroseno e S. Pietro, alla ricerca di scorci ed angoli catteristici. Da non dimenticare, infine, l'oasi a terrazza naturale, della zona Castello, oggi mirabilmente ripresa con i resti del donjon normanno con soluzione architettonica interessante che si affaccia sul panorama di Monte Calvario.

ITINERARIO EXTRAURBANO Lungo la statale 90 bis è l'imbocco del Tratturello che conduce alla masseria forificata di Tre Fontane, singolare complesso monumentale del sec. XVI. Lo stesso, sito si può raggiungere da Greci a circa 9 km lungo la provinciale Greci-Faeto. Il complesso di Tre Fontane si collega con Tre Sportelle (m. 811 s.l.m.) nonché con S.Vito (comune di Celle San Vito). L'itinerario extraurbano di Greci rivela notevoli attrattive naturalistiche per la presenza di una fauna singolare. Si consigliano escursioni su Monte Calvario e Monte Rovitello (m. 921 s.l.m.) e, soprattutto a chi è appassionato di pesca, una sosta per visitare il grazioso lago di Luz Aquafet, che si trova a circa 7 km partendo da Greci, altezza Via Caroseno, inoltrandosi nella strada interpoderale Difesa Bove.


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Bethlem Figlia del Conte di Greci, fu Madre badessa del Monastero di S.Maria di Porta Somma di Benevento (1121). Martin Camaj (1925-1992) Nato nella regione montuosa del Dukagjn (Albania settentrionale), Studioso di slavistica e poesia popolare balcanica all'Università di Belgrado, successivamente è stato Professore di Lingua e Letteratura Albanese all'Università di Monaco di Baviera. Direttore di Shejzat (Le Pleiadi) ha pubblicato autorevoli studi scientifici, letterari, romanzi e poesie. Per i suoi studi pioneristici per la salvaguardia della lingua arbreshe di Greci, il Consiglio Comunale di Greci il 6.5.1990 gli ha conferito la cittadinanza onoraria per meriti scientifici, culturali ed umanitari. . Gerardo Conforti (1865-1928) Sacerdote, teologo, rettore del Seminario Regionale di Catanzaro e di S. Demetrio Corone, è stato, un fervente anima-tore del movimento politico-religioso e culturale per l'Indipendenza dell'Albania. Ha profuso le sue energie pastorali e giornalistiche nei primi decenni del Novecento essendo il fautore del Comitato, Politico italo-albanese di Napoli. Fu redattore di " La Nuova Albania " di cui era direttore il concittadino Avv. Gennaro Lusi. Ebbe corrispondenze culturali ed epistolari con la Baronessa Dora d'Istria " Elena Ghjka " e Giuseppina Knorr. Ha scritto sulla stampa nazionale ed estera. Giovanni De Maio (1824-1905) Sacerdote e patriota del Risorgimento italiano, fu imprigionato e perseguitato per i suoi ideali politici. Sostenne con impegno attivo il Ministro irpino Pasquale Stanislao Mancini. Fu sindaco di Greci dal 1875 al 1876. Volle far incidere sulla sua tomba I'epitaffio, dettato dallo stesso Mancini: A Giovanni De Maio Pensatore . Patriota Insigne All'Uno e Trino Forte Inneggiasti 0 Prode delle lotte Arcane del Pensier Campion non Domo Mancini Leonardo De Martino (1843-1923) Padre francescano Minore Osservante Missionario apostolico in Albania, scrittore e poeta italo~albanese, fu il cantore della letteratura scutarina (Albania) e maestro del G. Fishta. Dopo trentasette anni di impegno pastorale in Albania al rientro in Italia promosse il movimento per l'indipendenza dell'Albania. Insieme al nipote D. Gerardo Conforti e all'abate Lauda promosse in Calabria il primo Congresso Italo-Albanese di cui era Vice-presidente delegato. Numerosa è stata una produzione letteraria, giornalistica e poetica. E' conosciuto per aver scritto " L'Arpa di un Italo Albanese " edito a Venezia nel 1881. Luigi Lauda - Sacerdote e poeta - (XIX secolo) Ha composto il Dramma sacro del martirio di San Bartolomeo tuttora rappresentato a Greci. Benemerito è stato il suo impegno per la diffusione della cultura albanese in Italia con scritti. Celebre è il suo romanzo " Costantino è l'amor primitivo ". Giacomo Lusi Sacerdote, parroco di Greci, vissuto nell'Ottocento. Oratore sacro, fu coinvolto nel movimento repubblicano nel 1799. Vescovo eletto morì prima della presa di possesso della sede. Ludovico Lusi (XIX secolo) Magistrato e Patriota fu presidente dell'Associazione -Filo Elettrico- di Potenza e coordinatore dei moti rivoluzionari. Imprigionato nelle carceri borboniche di Avellino vi morì durante l'istruzione del Processo. Angelo SaIza (1808-1891) Capitano medico al seguito di Garibaldi, patriota attivo durante la rivoluzione del 1848 a capo degli albanesi di Greci, dopo il 15 maggio venne imprigionato e condannato a diciannove anni di "ferri duri" per cospirazione. Fu compagno d'esilio di Carlo Poerio ed esule negli Stati Uniti. A Torino partecipò al concorso della Cattedra di Potologia Generale nell'Università di Torino. Nel 1872 pubblicò a Napoli una celebre dissertazione, dedicata a Vincenzo Gioberti. Morì a Greci. Raffaele Sasso (1893-1971) Medico e poeta, fu autore di interessanti saggi filosofici e di fisica. Ha pubblicato, nel 1929, "La sfinge bifronte (Ipotesi e commenti sulla elettricità)". Ettore Sasso (1828-1902) Docente di Radiologia Medica ed Elettroterapia nell'Università di Napoli. Ha collaborato a numerose riviste con studi.


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SCHEDA LINGUISTICA E' ricorrente in Greci l'alternanza tra momenti vivi, in cui la comunità si rende protagonista ed attiva e momenti nebulosi, che separano e chiudono il paese in una sorta di limbo, dove il silenzio che regna sovrano, sembra cancellare gli impegni, i sacrifici degli intellettuali e della gente comune. Forse è il caso di richiamare alcuni fattori che hanno determinato una specie di eclissi, per fortuna mai totale, fino all'Ottocento, epoca in cui il fiorire di alcune personalità intellettuali ha ravvivato la vexata questio della lingua e della condizione italo-albanese che ha superato la dimensione regionale. L'insediamento della comunità albanese a Greci, per altro non ancora ben chiarito per scarsità dei documenti e per la mancanza di studi in proposito, risale alla seconda metà del sec. XV, epoca in cui l'avanzata turca nei Balcani sospinse molte collettività greche, albanesi e slave ad intraprendere una singolare penetrazione etnica. E' documentata la comunità albanese a Greci, a Grottaminarda, a Letino e, più tardi, anche ad Ariano Irpino. Nonostante le incomprensioni delle comunità vicinorie e le lotte delle autorità religiose, Greci è riuscita per secoli a


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salvaguardare la sua etnia arbereshe. Questo è avvenuto fino a quando il mondo contadino, con la sua civiltà del vicolo e con il suo artigianato, ha protetto quest'isola singolare per l'etnia linguistica, ma italianissima e ben inserita nella realtà sociale. Si rende indispensabile negli anni Novanta una capillare opera di recupero linguistico ed etnico, ed attuare l'appello lanciato dal Prof. Ernesto Koliki nel 1962: "Bisogna affrettarsi a salvare tale patrimonio linguistico, che lo spirito dei tempi e le conseguenti necessità della vita moderna minacciano di rapida scomparsa". Sul piano storico, pur nelle limitazioni in cui si sono venute a trovare, la tradizione e la lingua arbereshe hanno svolto una significativa funzione culturale e sociale. La comunità di Greci, forte del suo spirito etnico, ha determinato forti spinte al progresso sociale e politico: è stata compatta nella occupazione delle terre nel 1848 e centro vitale per i fermenti e le azioni del risorgimento nazionale. E' da notare la poderosa opera culturale, linguistica e politica di padre Leonardo De Martino (1830-1923), di don Gerardo Conforti e dell'abate Luigi Lauda che sono stati attivi promotori della causa Dell'indipendenza dell'Albania nella seconda metà del sec. XIX. Dagli anni Trenta in poi un silenzio quasi totale ha regnato a Greci. Altro vuoto si registra negli anni Sessanta. Una tesi di laurea sulle minoranze italo-albanesi, discussa dal parroco mons. Adolfo Colasanto, suscita un nuovo risveglio dal punto di vista linguistico e glottologico. Il compianto prof. Michele Famiglietti, dell'Università della Calabria, svolse una importante indagine socio-linguistica nella comunità bilingue di Greci. La sua opera “Acculturazione e apprendimento linguistico in una comunità bilingue" resta valida ed illuminante per un approccio sperimentale alla problematica glottologicolinguistica. Il Grecese usa autonomamente i due codici linguistici, l'arbereshe e l'italiano. La mancata conoscenza del codice grafico albanese lo limita nelle complesse articolazioni sintattiche. L'autore lascia aperta la discussione sul tipo di insegnamento albanese da introdurre: 1) la varietà locale Katundsha; 2) una possibile varietà unificata di arebreshe; 3) la varietà tosca, divenuta lingua nazionale nello stato albanese. La fortunata presenza del prof. Martin Camaj a Greci ha prodotto un nuovo fermento. Professore di Lingua e Letteratura Albanese all'Università di Monaco di Baviera, negli anni Settanta egli intraprese una sistematica indagine linguistica e glottologica pubblicando "La parlata albanese di Greci in provincia di Avellino ", Firenze, 1971 e "Racconti popolari di Greci (Katundi) in provincia di Avellino e di Barile (Barili) in provincia di Potenza", Roma, 1972. La venuta dell'Ambasciatore


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albanese a Greci il 2 marzo 1985 e le attività culturali promosse per l'occasione dall'amministrazione comunale, hanno dato una nuova forza a quanti spingono per l'approvazione della legge quadro sulle minoranze linguistiche. L'università di Salerno, su sollecitazione del Comune di Greci, sta attivando la cattedra di lingua arbereshe al fine di coordinare un lavoro tra i 44 comuni albanofoni d'Italia ed eseguire uno studio di "archeologia linguistica" di recupero e valorizzazione del patrimonio albanese. Patrizia Del Puente sta curando lo studio relativo alla comunità di Greci. La biblioteca civica si sta specializzando nella raccolta di documentazione specifica con un fondo albanese arbereshe. Per quel che riguarda il folklore, il Conforti accenna a diverse costumanze albanesi sopravvissute all'abolizione del rito greco. Si tratta di frammenti che sono per lo più scomparsi: "le ragazze, nelle feste di Pasqua, unendosi a gruppi, secondo la loro condizione sociale, si recano al Breggo che è un'amena collina, una specie di villetta, posto ad oriente del paese, per fare tra di loro la commare (ndricula). Giunte sul posto, condendola con parole, con capricciosi scherzi e con motti bizzarri, si mangiano tutte insieme la solita frittata, sedute sull'erba molle dei prati …prima di separarsi, per rientrare in paese, si tirano l'un l'altra un capello dal capo, con l'augurio che allora soltanto dovrà cessare la parentela spirituale, che in quel giorno, esse hanno contratta, quando si sarà rinvenuto il capello, che all'aria e al vento hanno già abbandonato ". Altra tradizione albanese sono le nenie funebri dette vajtim che rievocano uno struggente attaccamento alla madre patria. Al ritmo di una sublime elegia vengono rievocate tutte le cose che piacevano al defunto mentre era in vita. Altro frammento del rito greco è ricordato nella cerimonia nuziale che il Conforti così descrive: A Greci si conserva soltanto l'usanza che il giorno delle nozze, quando il corteo nuziale, tornando dalla chiesa, e per rientrare nella casa dello sposo, dinanzi alla porta, vi si fa trovare la madre di costui, la quale, dopo aver legate insieme le due teste degli sposi con un nastro di seta, porge loro a mangiare del pane, mentre il padre offre a bere agli stessi del vino nello stesso bicchiere, nel quale hanno bevuto gli sposi, nessun altro vi deve bere, e ciò per dare ad intendere la fedeltà (Besa) che l'un l'altro si debbano serbare". *** Nel Venerdì Santo a Greci viene rinnovato l'antico canto della Calimera, un canto che con un motivo intermedio, fra la nenia e il pianto, rievoca la Passione di Cristo ad iniziare dall'Ultima


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Cena fino alla morte in croce. La narrazione segue le stazioni della Via Crucis del Metastasio e si apre con un invito a riflettere su ciò che Cristo ha sofferto. Alla terza strofa inizia la narrazione vera e propria prendendo il via da te tenjat a javes madbe (dal Giovedì Santo), in cui venne istituito Sakcrament te madhe (l'Eucarestia). Segue il tradimento di Giuda con la sua tragedia che si consuma: E subtu iku Giuda / oi kush a kish bes / e vatta te shiddi Krishtin / pe ni jezet e djete tures: subito Giuda se ne andò / ahimè chi lo crederebbe / e andò a vendere Cristo / per venti più dieci tornesi. In altro passo è messo in risalto il realisrno umano di Cristo: Sa passiunam akshu te madhe / propriu u nego a sofroj: Perchè una passione così grande / non la voglio proprio soffrire. Il canto epico in lingua albanese prosegue fino all'epilogo e viene recitato nella chiesa parrocchiale. Un solo frammento sopravvive degli antichi canti albanesi, versioni epiche di battaglie e di amori dell'epoca di Scanderbeg. Nella mernoria collettiva si ricorda la drammatica storia d'amore di Costantino e Garentina (sec. XV), ed è precisamente il frammento del brindisi del matrimonio tra Costantino, ed Elenitza: Hanni e pinni me mirre se vinni sua mua m'ethe Costantinni Hanni e pinni jù bùljare Sua Mua m'èethe curora e pare Mangiate e bevete o quanti a me vicino Che a me è venuto il mio Costantino Mangiate e bevete, o dame e cavalieri che a me è venuto il mio amore primiero .


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1. ITINERARIO ECO-STORICO; 2. ITINERARIO ARTISTICO-RELIGIOSO; 3. ITINERARIO ENO-GASTRONOMICO; 4. ITINERARIO RURALE. ITINERARIO ECO-STORICO WEEK-END 1 - ITINERARI DELLA TRANSUMANZA Arrivo nel pomeriggio del Venerdì a Casalbore, primo paese della comunità montana, sistemazione nelle aziende agrituristiche. Prima visita alla necropoli e al verde boschetto con laghetto. In serata cena e visita al borgo antico Sabato - In mattinata colazione e partenza per Montecalvo visita del borgo antico e degustazione di prodotti tipici locali (pane, salumi, formaggi ecc…) arrivo ad Ariano visita dei Musei, pranzo in un locale tipico e visita della villa comunale per una passeggiata digestiva. In pomeriggio visita del borgo antico e in serata cena e spettacolo musicale. Domenica - In mattinata colazione e partenza per Montaguto visita del borgo, degustazione di pizzette del vecchio forno e sosta presso il boschetto per il pranzo con arrosto misto. WEEK- END 2 ITINERARI DEI CASTELLI Arrivo nel pomeriggio del Venerdì presso Gesualdo visita del borgo e del Castello. In serata sistemazione e cena presso strutture di Frigento. Sabato - In mattinata visita al borgo e alle cisterne romane, degustazione di pizzette del forno al borgo presso la villa, visita alla cattedrale e alla cripta. Pranzo presso il bosco di Frigento con arrosto misto. In pomeriggio visita presso Sturno e in serata cena e spettacolo. Domenica - In mattinata colazione e partenza per Flumeri visita del borgo e degustazione di prodotti tipici locali. Pranzo e visita dell'azienda Agrituristica. WEEK-END 3 IN VALLE UFITA Arrivo nel pomeriggio del Venerdì a Carife visita del borgo, della necropoli e del museo, in serata cena. Sabato - In mattinata colazione e visita dei paesi Castel Baronia, San Nicola Baronia e San Sossio Baronia. Pranzo al boschetto di San Nicola Baronia. In pomeriggio visita di Trevico, il più alto comune della comunità montana definito "Tetto dell'Irpinia". In serata cena e spettacolo. Domenica - In mattinata colazione e visita dei boschi di Trevico e di Vallessacarda e degustazione di prodotti tipici locali. Pranzo e visita della città. WEEK-END 4 – LUNGO IL CERVARO Arrivo in pomeriggio delV enerdì a Montaguto visita del borgo antico, in serata cena. Sabato - In mattinata colazione e visita di Greci del borgo e degli scavi archeologici, degustazione di pizzette. Pranzo e nel pomeriggio visita di Savignano e Villanova. In serata cena e spettacolo. Domenica - In mattinata


16 colazione e visita di Zungoli del borgo antico, del castello e del convento. Degustazione di prodotti tipici locali e pranzo alla trattoria del borgo antico. In pomeriggio visita ai monti della Molara. ITINERARIO ARTISTICO-RELIGIOSO WEEK-END 1 Arrivo nel pomeriggio del Venerdì ad Ariano : visita del Santuario Madonna di Fatima e pellegrinaggio alla grotta- Visita al Romitorio di S. Ottone. in serata cena e veglia notturna. Sabato - In mattinata colazione e lodi. Visita della Cattedrale, del museo degli Argenti e del Museo Diocesano e possibilità di potersi confessare presso chiesetta di Sant'Anna. Pranzo e pellegrinaggio al Santuario di Valleluogo all'arrivo visita della chiesetta e messa conclusiva. In serata cena e festa dell'allegria. Domenica - In mattinata colazione e lodi. Pellegrinaggio e Messa al Santuario di San Liberatore. Pranzo all'aperto presso il Santuario. WEEK-END 2 Arrivo nel pomeriggio del Venerdì a Casalbore visita alla grotta di San Michele preghiera ed adorazione. In serata arrivo a Montecalvo cena e veglia alla chiesa di San Pompilio. Sabato - In mattinata colazione e lodi. Visita alla Cattedrale di Ariano, museo degli Argenti e al museo Diocesano, con possibilità di confessarsi. Pranzo visita alla chiesa di San Michele A., del borgo antico e pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Carmine. In serata cena e festa della comunità. Domenica - In mattinata colazione e lodi. Pellegrinaggio e messa al Santuario di San Michele Arcangelo a San Sossio Baronia. Pranzo all'aperto presso il Santuario. ITINERARIO ENO-GASTRONOMICO WEEK-END 1 Arrivo nel pomeriggio del Venerdì ad Ariano visita presso azienda di trasformazione di prodotti caseari e degustazione di prodotti tipici locali, tempo libero per visita della città e cena in Azienda Agrituristica degustando antipasti vari, primi e secondi con frutta e formaggi. Sabato - In mattinata colazione alla campagnola, visita presso forno a legna e salumificio con degustazione di prodotti tipici locali. Pranzo presso ristorante specializzato nella cucina ittica. Nel pomeriggio passeggiata presso la villa. In serata spettacolo e sagra dello spezzatino arianese e del cinghiale. Domenica - In mattinata colazione all'arianese, visita presso aziende agricole e vinicole con degustazioni di vini locali. Pranzo all'aperto presso bosco limitrofo. WEEK-END 2


17 Arrivo nel pomeriggio del Venerdì a gesualdo visita presso azienda di trasformazione di prodotti caseari e degustazione di prodotti tipici locali, tempo libero per visita della città e cena in ristorante tipico degustando antipasti vari, primi e secondi con frutta e formaggi. Sabato - In mattinata colazione alla campagnola, visita al centro storico di frigento e pausa con degustazione di prodotti tipici locali. Pranzo presso ristorante specializzato nella cucina ittica. Nel pomeriggio passeggiata presso la villa. In serata spettacolo e visita del forno del borgo e sagra della pizza. Domenica - In mattinata colazione alla Frigentina, visita presso aziende agricole e vinicole con degustazioni di vini locali. Pranzo all'aperto presso bosco limitrofo. WEEK-END 3 Arrivo nel pomeriggio delVenerdìa Casalbore visita presso azienda agricole con dimostrazione della produzione di prodotti tipici e degustazione, tempo libero per visita della città e cena in Azienda Agrituristica degustando antipasti vari, primi e secondi con frutta e formaggi. Sabato - In mattinata colazione alla campagnola, visita a Montecalvo presso forno a legna e salumificio con degustazione di prodotti tipici locali. Pranzo presso ristorante specializzato nella cucina ittica. Nel pomeriggio passeggiata presso la villa. In serata spettacolo e sagra della salsiccia. Domenica - In mattinata colazione alla montecallivese, visita presso aziende agricole e vinicole con degustazioni di vini locali. Pranzo all'aperto presso bosco limitrofo. ITINERARIO RURALE WEEK-END 1 Arrivo nel pomeriggio del Venerdì ad Vallata visita del centro storico e inizio del percorso rurale seguendo incamminamenti a piedi o in montain-bike sosta per degustazione di prodotti tipici locali. In serata cena in Azienda Agricola degustando cucina tipica. Sabato - In mattinata colazione, visita ai boschi di Trevico e antiche massarie e Pranzo. In pomeriggio dimostrazione di attività agricole. In serata spettacolo e sagra della campagna. Domenica - In mattinata colazione, visita presso santuario con forte devozione contadina. Pranzo all'aperto presso bosco limitrofo.


18 RECETTIVITA’ ARIANO IRPINO Agriturismi AZIENDA AGRITURISTICA LA COLOMBAIA Via Santa Barbara - Tel. 0825 891693 AZIENDA AGRITURISTICA COLLI LA PEZZA Via Santa Barbara - Tel. 0825 891483 AZIENDA AGRITURISTICA ANTICO MULINO Via Ficucelle - Tel. & Fax 0825819368 AZIENDA AGRITURISTICA LA LANTERNA - Via S. Nicola a Trignano - Tel. 0825 - 876018 Ristoranti - Pizzerie - Pub ARCOBALENO C/da Orneta tel. 826403 BIFFI Via Cardito tel.891117 GRASSO Via S.Barbara Hotel Ristorante INCONTRO C/da Foresta tel. 891229 Ristorante KRISTALL Via Serra tel. 891187 Ristorante LA PIGNATA Viale Tigli 7 tel. 872571- 872355 Bar L'ANGOLO Via Cardito 6 Tel. 0825 - 891118 Ristorante LE ROSE Via Martiri Tel. 0825 - 828163 Ristorante LEONARDO Via Cardito,40 Tel. 0825 - 891445 LA TAVERNA DI LU' BARONE Via Martiri Tel. 0338-5959577 MARCLER Via Fontananuova Tel. 0825 - 872065 MARRA C/da Tressanti Tel. 0825 - 876212 MASSERIE C/da Orneta Tel. 0825 - 826490 NOTORIUS C.so Vittorio Emanuele Tel. 0825 - 872476 OASI Via Villa Caracciolo Tel. 0825 - 828111 O' PULLASTRIELLO C/da Camporeale Tel. 0825 - 881030 Ristorante PANORAMA Via Maddalena Tel. 0825 - 828682


19 PIEDIGROTTA Via Cardito 70 Tel. 0825 - 827802 Ristorante PRESIDENT C/da Grignano Tel. 0825 - 892088 PUB IL CAVALIERE Via Vitale Tel. 0825 - 824479 Trattoria Bar SAN DOMENICO Corso Vittorio Emanuele - Tel. 0825 - 872172 VILLA SORRISO Via Scarnecchia Tel. 0825 - 891450 CARIFE Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante Pizzeria VALLE UFITA Via Ufita - Tel. 0827-95455 - Chiuso il Martedì CASALBORE Agriturismi Azienda Agrituristica SANT' ELIA - C/da. S. Elia - Tel. 0825-849111 Azienda Agrituristica LE MAINARDE - C/da Mainardo - Tel. 0825 - 849382 Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante Bar IL COMMENTATORE - Piazza Giovanni XXIII - Tel. 0825-849620 CASTEL BARONIA Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante Hotel CIASCHINO - C. Vittorio Emanuele - Tel. 0827-92150 Bar Ristorante Pizzeria VENERE - Via L. Mancini - Tel. 0825 - 92067 FLUMERI Agriturismi Azienda Agrituristica TAVERNA SETTEVENTI - Ctr. Corridoio - Tel. 0825-443367 Azienda Agrituristica PETRILLI - Via Scampata - Tel. 0825-443354-443319 Azienda Agrituristica SERRA DEI LUPI - Località Borrelli e Serra Dei Lupi Tel.0825 - 443000 Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante ALI BABA' - Via Ossimino - Tel. 0825-443361 - Chiuso il Mercoledì Ristorante Albergo PORTOBELLO - Ctr. Tre Torri - Tel. & Fax 0825-443031 Ristorante Bar L'ARAGONESE - Via Doganelle - Tel. 0825-441705 - Chiuso il Martedì


20 FRIGENTO Ristoranti - Pizzerie - Pub ABBAZIA PARK HOTEL - loc. Castelluccio Tel. 0825 - 444473 Ristorante LIMITI - via Limiti Tel. 0825 - 444249 - 444422 Pizzeria MAXIM - ctr. Pila ai Piani Tel. 0825 - 448989 GRECI Agriturismi AZIENDA AGRITURISTICA ARBERESCH - Loc. Macchia Piano - Tel. 0825 867211 GESUALDO Ristoranti - Pizzerie - Pub ARCINCONTRO - Ristorante via Freda Tel. 0825 - 401435 Ristorante S. VINCENZO - Via Cavalieri di V. Veneto Tel. 0825 - 401207 - 403122 MELITO IRPINO Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante Pizzeria - MATULLO viale della Libertà Tel. 0825 - 472019 Trattoria DI PIETRO - Viale Italia Tel. 0825 - 472010 MONTAGUTO Agriturismi AZIENDA AGRITURISTICA L'ALVEARE - Via Calabrese - Tel. 0825 - 862104 MONTECALVO IRPINO Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante Pizzeria ARCADIA Ristorante LA TAVERNA DELLA MONICA TREVICO Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante Pizzeria PRESTIGE - Via Lungarella, 9 - Tel. & Fax 0827 -93434 - 93117 VALLATA


21 Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante LA RUOTA - ctr. S. Lucia Chiuso lunedì Tel. 0827 - 793285 - 793462 VALLESACCARDA Ristoranti - Pizzerie - Pub Ristorante OASIS - Via Provinciale - Tel. 0827 - 97021 - Fax 0827 - 97541 Ristorante MINICUCCIO - Via S. Maria - Tel. 0827 - 97030 - 97454 - Fax 0827 97030 VILLANOVA DEL BATTISTA Ristorante BELVEDERE - Via Cusano - Tel. 0825 - 826067 ZUNGOLI Ristoranti - Pizzerie - Pub Trattoria ANTICO BORGO


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GRECI-KATUNDI MEMORIE STORICHE IN RICORDO DI G. K. SKANDERBEG.


23 GIOVANNI ORSOGNA

Greci-Katundi

2018

Prefazione

La comunità di Greci-katundi, vanta origini albanesi, una comunità è stata presente per oltre 500 anni, già dal 1461, in precedenza, alcune truppe di valorosi epiroti, si sono stanziati nel castello di Crepacordis, ai confini con la Puglia, Coiko Streiso ed altri hanno costituito un primo avamposto, dopo la venuta di Skanderbeg in Italia, molte comunità dell’entroterra apulocampane hanno ospitato questi valorosi e dinamici albanesi. Solo dopo il 1522, distrutto il paese di Castelluccio dei Sauri, i fuoriusciti ebbero il permesso di risiedere stabilmente a Greci, dove hanno convissuto con i pochi abitanti del paese. La caratteristica dei grecesi, fieri di nominarsi italo-albanesi, e gelosi custodi del rito greco-bizantino, hanno conservato lingua, usi e costumi della Madre Patria. Sempre vigili alle problematiche della giustizia e della libertà, sono stati i caposaldi dei movimenti politici, letterari e militari a favore dell’unità e dell’indipendenza. Solo nel XIX con la presenza di grecesi del calibro di Abate Luigi Lauda, Giovanni De Majo, Gerardo Conforti e soprattutto del Padre della patria dell’Albania, P. Leonardo De Martino, o.f.m., missionario apostolico francescano nella regione della Mirdizia (Albania settentrionale), hanno costituito un avamposto e sono stati tessitori di una fitta rete diplomatica, letteraria e culturale, favorendo il vasto movimento per l’unità della lingua albanese, dell’indipendenza, fino ad oltre l’indipendenza dell’Albania (1912). La produzione letteraria e politica di P. Leonardo De Martino è stata vasta ed incisiva, dal 1859 al 1881 ha favorito la cultura letteraria religiosa


24 scutarina, con la pubblicazione della celebre “Arpa d’un italo-albanese, Venezia, 1881; oltre ad essere il maestro di P. George Fishta-che ha scoperto e formato nella regione della Zadrima, è stato il baluardo e difensore dei diritti e della dignità delle donne, e della diffusione dei testi religiosi, e classici italo-albanesi. L’opera letteraria e politica dell’Abate Luigi Lauda, con la pubblicazione del trittico del Romanzo Costantino e l’amor primitivo, ( ),ed altri scritti ha contribuito a far conoscere l’epopea di Skanderbg in Italia,. Sono incorso la pubblicazione di un’antologia degli scritti sparsi tra riviste, e opuscoli del tempo. Si propongono alcune liriche composte durante l’evento dei festeggiamenti per il ritorno di P. Leonardo De Martino, il 25 agosto 1882. egli accolto trionfalmente nella sua Greci, volle donare al Comune una copia ad olio di Skanderbeg, lo stesso che si trova al Museo degli Uffizi di Firenze. Il comune di Greci con atto deliberativo del 25 agosto 1882, accolse il pregevole dono, con l’impegno di custodirlo nella sala del Consiglio Comunale, la sede del Municipio, il palazzo Lusi, che oggi ospita il Presidente della Repubblica dell’Albania. Purtroppo il quadro donato dal nostro Padre De Martino, è andato perduto. A distanza di più di un secolo , la cittadina di Greci onora Giorgio Kastriota Skanderbegh con un pregevole busto marmoreo che è stato collocato nella Piazza Purgatorio a ricordo perenne dei forti legami con l’Albania e l’Italia, con gli auspici di un prospero futuro per le nostre nazioni. Le cronache del tempo (1882), riportarono la corrispondenza de Il Piccolo, e il Comune volle a sue spese, successivamente pubblicare un raro opuscolo che si riproduce interamente. P. De Martino, volle anticipare l’evento del suo prezioso dono accompagnando, come era solito, coi suoi fogli volanti: con un significativo Sonetto.

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NEL MEMORANDO GIORNO DEL 25 Agosto 1882 QUANDO FRA IL SUONO DELLA BANDA, GLI ENTUSIASTICI EVVIVA E IL PLAUSO POPOLARE Il P. LEONARDO DE-MARTINO REDUCE DALL’ALBANIA REGALAVA AL MUNICIPIO DI GRECI. SUO PAESE NATIO, UN MAGNIFICO QUADRO AD OLIO RAPPRESENTANTE L’IMMORTALE E LEGGENDARIO EROE ALBANESE GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG AGLI ALBANESI DI GRECI (Ed a quanti ve ne sono dispersi in Italia) Del prode Iskander, del maggior Guerrieo Ch’abbia mai visto o fia che veggia il mondo Vi cedo in don, a voi sacro e giocondo Il gran Ritratto, venerando e fiero. E voi Grecesi, che, da Lui l’altero Germe redaste, di valor fecondo, Guardate a Lui, che dal Corano immondo Fu il martello, e il terror del Tracio Impero. A lui guardate: Ei della fè di Roma Fu il magno Achille, e coll’invitta spada L’Europa Ei sol campò da lutto e morte.


26 Lion che rugge e scuote ancor la chioma, Or freme al danno la sua contrada, E voi ragiona della patria sorte. P. Leonardo De-Martino M.O.

I GRECESI RICONOSCENTI (e interpreti di tutti i coonazionali della penisola ALL’EGREGIO LORO COMPAATRIOTA

P. LEONARDO DE-MARTINO M. O. MISSIONARIO E POETA IN ALBANIA

RISPOSTA COLLE STESSE RIME

SONETTO

Grazie, o gentil! Dell’Immortal Guerriero Che onora l’Albania, l’Europa, il Mondo Noi serberem con animo giocondo L’augusto aspetto maestoso e fiero Ognun di noi, in contemplar l’altero Genio, d’un santo patrio amor fecondo Fia che s’accenda, ed il selvaggio e immondo Giogo disegni dell’Osmano Impero. Tu co’ tuoi carmi e colla fè di Roma, Noi col valore antico e colla spada Verremo all’oppressor gridando: Morte! Di marziale allor cinti la chioma, Teco verrem dell’Itala contrada D’Albania a cangiar la dura sorte! … ALESSANDRO CORSO


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Seguiamo l’Eroe d’un giorno sì bello Ei duce ne incita all’arduo cammino, E avranne Albania, qual astro novello Novello destino P. L. De-Martino

“Destano da lungo tempo le simpatie di ogni popolo civile le sorti di una nazione che caduta nl dominio de’turchi, in patria e nelle sue colonie di Calabria e di Sicilia, nutrir sempre viva l’aspirazione all’indipendenza… Un secolo, che ha fatto ragione alle giuste aspirazioni dei popoli a costituirsi in libere nazioni, non deve estinguersi senza rispondere agli onesti desideri della gente albanese, discendente dai pelasgi, né greca, né illirica. I continui tentativi di francarsi del Governo ottomano, considerato sempre di occupazione, non mai connaturatosi coi nazionali, dimostrano che quella nazione è ben degna di divenir padrona delle proprie sorti”

COMM. B. CECCHETTI Presidente dell’Archivio di Stato in Venezia.


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MEMORIE PATRIE DEDICATE

ALLA ILLUSTRE SCRITTRICE PRINCIPESSA ALBANESE DORA D’ISTRIA1

Figura 1Dora D’Istria CHE COL VALORE DELLA SUA PENNA RIVENDICO’ LA NAZIONALITA’ ALBANESE ECCITANDO NE’ DISPERSI SUOI FIGLI L’ATTUALE MOVIMENTO

(Corrispondenza inviata al Piccolo di Napoli .

Greci, 30 agosto 1882.

Dora d’Istria, pseudonimo della duchessa Helena Koltsova-Massalskaya, nata Elena Gjika (Bucarest, 22 gennaio 1828 – Firenze, 17 novembre 1888), è stata una scrittrice di origini albanesi, esponente del Romanticismo e del Femminismo, considerata la Mary Shelley dell’Europa orientale. (consigliamo la lettura di “Le donne che con la loro lotta hanno contribuito all’Indipendenza dell’Albania ” di Rajna Kovaçi – Direttrice Fondazione “Elena Gjika –Dora d’Istria”) 1


29 A Greci, paese Albanese in quel di Principato Ultra, la sera del 25 agosto, festa religiosa e principale del suo Patrono S. Bartolomeo Apostolo, ebbe luogo una imponente, patriottica e non meno sacra dimostrazione, tutta nuova nel suo genere, che ora si ricorda e che si ricorderà sempre da questi cittadini, come la più dolce memoria della loro lontana patria avita. Il Reverendo P. Leonardo De-Martino da Greci,M. O., reduce precariamente dall’Albania, dove (unico fra i più che centomila Albanesi d’Italia), spintovi da amor di patria, e di religione, esercita il ministero apostolico da circa diciassette anni, e dove i pochi ritagli di tempo che gli avanza alle gravi cure, li consacra a restaurarvi la lingua e la letteratura nazionale; questo Padre, dico, dopo un giro fatto per l’Italia in pro delle missioni e degli interessi d’Albania, si ebbe il gentile pensiero di regalare a questo Municpio un bellissimo ritratto ad olio, di Giorgio Castriota Skanderbeg. E’ un lavoro a pennello, assai pregevole anche dal semplice lato artistico, eseguito sull’originale esistente nella Real Galleria degli Uffizi a Firenze, dalla insigne pittrice Signora Maria Skanderbeg, moglie del vivente Principe di tal nome, ultimo rampollo ed erede del famoso Eroe, da cui P. De-Martino l’ebbe pure in regalo. Or bene; mentre il popolo albanese allietavasi nella piazza del paese 2 al suono dei concenti musicali, sparsasi rapidamente la notizia del fatto, tutto elettrizzato e giulivo, insieme coi notabili del paese, seguito dalla Banda musicale di Orsara Dauno-Irpino, in bell’ordine con un sol uomo, mosse diffilato alla volta alla volta della casa di Abitazione del prelodato De-Martino. E quivi inalberato ad un bel guarnito stendardo il prezioso quadro alla vista di tutta la folla, che lo salutò con uno scoppio di applausi ed evviva, si percorse le principali strade dell’abitato coi lumi e fiaccole accese, da formare un incantevole spettacolo; e con emozione senza pari, e con indicibile entusiasmo si andò gridando a più riprese: Viva Skanderbeg! Viva l’Eroe dell’Albania! Evviva il P. Leonardo. Oh! quella scena soave e commovente, non mai veduta in questo paese, né forse negli altri sessantacinque delle Colonie Albanesi, da circa quattro secoli che esistono in Italia, quella scena strappava davvero lagrime di tenerezza dal cuore di questo popolo disperso dall’Epiro, facendogli sentire tutta l’ineffabile voluttà dell’amor patrio , dulcis amor patriae ; poiché gli rammentava la lunga serie delle lotte sanguinose e degli insperati trionfi, sostenute e riportati da quel terribile Leone contro i fieri nemici dell’Albania; e poi, dopo la morte di quel Grande, gli ricordava la caduta dell’Albania in potere del barbaro conquistatore, le calamità e le sventure senza fine, le stragi, gl’incendi, l’eccidio della patria sotto la scimitarra mussulmana; l’esiglio de’ loro maggiori in terre straniere; la secolare schiavitù di tanti loro confratelli, la maggior parte de’quali furono costretti a rinnegare anche la fede avita.per la quale avevano pugnato sì valorosamente, e colla fede perdere ogni lume di vera civiltà e di sociale benessere; gli ricordava l’indifferenza, e l’immeritato abbandono delle potenze occidentali verso la madre nazione. E ciò nonostante quella scena gl’infondeva coraggio e speranza, e lor parea come un segno foriero della vicina riscossa, come un pegno d’un migliore avvenire, come un magico grido di risveglio, come un sogno dorato, che preannunzi a quanti sono Albanesi non lontano anche per loro il giorno della sospirata redenzione! 2

Allora Piazza Skanderbeg, ora Piazza Umberto I.


30 Né questo giorno tarderebbe certamente a venire se, messa da banda ogni gara personale, ogni futile spirito di parte, essi, uniti e concordi, s’intendessero finalmente fra loro cogli scritti e colle stampa, sotto la direzione di un Capo intelligente, abile, operoso, e si pronunziassero per un’azione decisiva ed energica, da far valere le loro legittime aspirazioni e rivendicare i loro sacri diritti in faccia all’Areopago Diplomatico d’Europa. Tutte queste cose rammentava e suggeriva a questa Colonia Albanese di Greci, quella scena sorprendente, e però strappava dai cuori lagrime d’indefinibile commozione, nel tumulto di contrari affetti. Giunto il corteo alla sommità della piazza, detta per l’appunto Piazza Skanderbeg, fu collocato il quadro dell’Eroe in un bel tosello , già preparato all’uopo, a lumi variopinti, in modo da far corona all’altro quadro del re d’Italia Umberto I, che in tale propizia occasione si volle pure onorare da questa cittadinanza, mettendolo al lato destro di quello di Skanderbeg. E qui grande oltremodo fu il tripudio e l’esultanza di tutto questo popolo, e di molti forasteri de’ limitrofi paesi intervenuti alla festa;e tutti facevano a gara che più avvicinar poteasi e salutare la simpatica figura dell’Eroe, di cui ognuno ammirava e commendava a cielo il tipo nobile, maschio, imponente, dal quale traspira un cotale genio marziale e cavalleresco insieme, che ai riguardanti parea dica: “ONORATE L’ALTISSIMO GUERRIERO!” Al suono intanto dell’inno reale e della Marcia Albanese, fragorosi evviva, ora a Skanderbeg ed a Umberto, ora all’Italia, all’Albania, al Padre Leonardo, si alternavano, si ripetevano, echeggiavano per l’aere placido e sereno di quella notte avventurosa, che, resa più splendida dal chiaror della luna e di miriadi di stelle luccicanti nell’immenso padiglione del cielo, metteva il colmo e al brio, alla gaiezza, al giubilo della festa,; rapiva gli animi ad un’estasi insolita e sublime, che si può sentire ma che è impossibile descrivere; ci trasportava insomma ai più momenti dell’epoca del 48 e del 60, quando qui a Greci balzavano i cuori di speranza e di fede per la libertà ed indipendenza d’Italia.!... Parlo di quella promessa libertà benintesa, che dovea rendere più o meno felici i popoli, non di quella che col fatto ci han poi regalato, sinonimo inqualificabile libertinaggio, e che ora, sotto qualunque riflesso, ci fa pagar sì caro lo scotto. Protratta fino a tarda notte la gioia della festa, tutto il popolo volle, colle stesse onoranze di prima, accompagnare trionfalmente il quadro fino alla Sala del Municipio. Ed ivi un’apposita Commissione di eletti cittadini, che faceva bella corona a P. Leonardo nell’atto di consegnare il detto quadro al Capo del Municipio, D’Apuzzi Dottor Raffaele, indirizzava preghiera al medesimo di far redigere analogo verbale dalla Giunta, a solenne ricordanza del fatto: il che fu immantinente e ben volentieri eseguito. Presenti allora non pochi notabili del paese e buona parte del popolo nella Sala, nonché ragguardevoli forastieri che spontaneamente presero parte a sì patriottica dimostrazione, Il Reverendo Sac. Luigi Lauda, di Greci, pronunziava commosso sino alle lagrime, un bello ed opportuno discorso per la circostanza, che non sarà superfluo riprodurlo qui appresso per intero, come quello che compie e suggella il grato ricordo della solenne dimostrazione, da me brevemente accennata, e che alcuni la vorrebbero rinnovata ogni anno e nello stesso giorno, alfine di mantener sempre più vivo nel popolo albanese il sacro fuoco dell’amor patrio, congiunto a quello della religione, mercè il culto perenne e


31 ognora crescente verso la gloriosa memoria del Leone di Albania. E già sappiamo come questo Municipio pensa a erigergli, a miglior tempo, un busto in marmo, situato in qualche luogo distinto del paese, ed esposto all’ammirazione del pubblico. Ecco il discorso in proposito: Signori! “Onorare la memoria dei grandi, è sempre un incitamento a virtù – Roma antica immortalava i suoi eroi; e quel popolo conquistatore, sublime, e direi quasi provvidenziale negli alti destini del genere umano, entusiasmato all’ombra di quei grandi, faceva prodigi tali di valore, da far stordire l’universo. – Le sue leggi, la sua lingua, che è lingua de’ Numi e di Virgilio, - le sue costumanze – i suoi eroi – sì, sono oggi ancora un monumento imperituro dell’antica grandezza romana – Un Curzio Dentato - Fabiano -Quinzio- Cincinnato - un Attilio Regolo - un Muzio Scevola- un Orazio Coclite - un Scipione Africano - un Giunio Bruto – un Giulio Cesare – ed infiniti altri – sono tali eroi, o Signori, che ancora si ammirano e si celebrano, attraverso il prisma di tanti secoli. E Roma moderna e cristiana, o Signori, - convien pur dirlo senza ambagi e pusillanimità – no, essa non è da meno, e sorpassa anzi di gran lunga la virtù, la grandezza, la possanza,, lo splendore della Roma antica e pagana – per quanto lo spirito è più nobile e superiore della materia. – Vincere sé stesso – sacrificare la vita per una grande idea, - siccome fra una caterva senza numero fece, a mo’ d’esempio, il magnanimo apostolo dell’ Eroe del cristianesimo S. Bartolomeo, di cui appunto celebrammo con solenne pompa la memoria – impiegarla tutta la vita, tutta a bene dell’umanità, senza pretender mai nulla per sé stesso, - Signori, l’è per fermo cotesta e sublime vittoria, che possa mai desiderarsi al mondo! - Siamo pur giusti, e non giudichiamo colle lenti della passione, e secondo l’andazzo del tempo frivolo e leggiero. – E che dire delle altre nazioni? - che dire della Grecia antica? – I suoi eroi non esprimono forse l’ideale di un popolo illustre? - E a noi lontani per secoli, più che una realtà, non sembrano essi un mito – una favola - una poetica leggenda? No, più che un mito, o Signori, essi rivelano il pensiero e la coscienza di un popolo nato fatto a magnanime imprese. Leonida alla Termopili – Temistocle a Salamina – Milziade a Maratona – non sono essi forse tali eroi, da strappare ad ogni età il tributo dell’ossequio e dell’ammirazione? Si, certamente. Oh Grecia antica! - sublime nelle tue arti e nel classico idioma del tuo divino Omero – sublime nel tuo genio multiforme e profondo in ogni sorta di sapere, in ogni genere di virtù. – Giustamente adunque al forastiere che calca le tue zolle, nel tuo orgoglio nazionale potrai ripetere: Heroa calcas - fermati, o passeggiero - tu non calpesti che la polve degli eroi. – Mi taccio per amor di brevità, di questa bella Italia, l’Italia di Dante, del Petrarca, dell’Ariosto, del Tasso, del Monti, del Manzoni, l’Italia di Giotto, di Michelangelo, di Raffaello, di Giovanni Dupré; L’Italia di Galileo, e di Cristoforo Colombo; del Mercadante e del Bellini, del Donizzetti, del Rossini e del Verdi; l’Italia di Bonaventura da Bagnorea, di


32 Tommaso d’Aquino e di Giambattista Vico – di questa Italia tanto privilegiata da Dio mi taccio, chè non la finirei mai più. – Signori! Ogni popolo ha il suo Genio, ogni nazione i suoi Eroi. Accanto alla Grecia, verso la plaga settentrionale di essa, fra quei monti rocciosi ed alpestri, il cui nucleo chiamasi Macedonia, Epiro, ed Albania – regioni ancora oggi abitate dai Sckipetari (figli dell’Aquila) - stirpe vetusta discendente dai divini Pelasgi; - in quelle contrade, che furono già culla d’un fiero Achille – d’un filippo il Macedone – d’un Alessandro Magno - d’un Pirro - e di tanti altri eroi – la cui rinomanza non invidia per certo nulla alla fama de’ più celebri guerrieri, che vantino Grecia e Roma; - in quelle contrade, ove, in tempi a noi più vicini, nacquero un Marco Botzaris, l’eroe di Suli e della guerra per l’indipendenza della Grecia moderna, ed altri suoi prodi commilitoni ne’ campi di battaglia -Albanesi tutti mod che però i scrittori moderni, con veramente greca perfidia, non si degnano mai denominarli come tali – lusingandosi così da mentire alla storia contemporanea – e di usurpare impunemente altrui quelle glorie, ch’essi ora più non posseggono – onde la niuna simpatia, ma bensì la eterna avversione degli albanesi inverso ai greci; - in quelle contrade adunque dell’Albania, o Signori, là sorger dovea un Genio, il Genio delle armi, un Eroe che in sé compendiasse la fama, e dirò quasi si eclissasse lo splendore de’ più grandi Capitani del mondo! Questo Eroe, questo Genio, o Signori, che par quasi recidivo si aggiri oggi fra noi, egli è appunto Giorgio Castriota Skanderbeg - la cui bella e maestosa effigie, accanto al ritratto del Re d’Italia in questa Sala, - noi siamo lieti di poter vagheggiare, in grazia del nostro cortese e zelante compatriota, P. Leonardo De-Martino. - Il quale, col suono armonico della sua Arpa3 se il chiarissimo Sig. Girolamo De Rada scrisse già che “iniziò potentemente la restaurazione della sì nobile ed infelice Albania, madre amatissima: - io oserei aggiungere che con un regalo siffatto agli Albanesi d’Italia – egli ha dato un nuovo ed efficacissimo impulso alla sua felice iniziativa. – E questo fatto, piccolo e modesto in apparenza, racchiuderebbe in sé la magica virtù di far tosto arrivare alla metà un’opera sì bene cominciata. -Almeno è da sperarlo. Ombra sacra e veneranda dell’invito Skanderbeg!- io ti saluto - ti bacio - , in questi momenti fortunati pel mio Greci! – le cui alture già ti salutarono plaudenti un giorno, quando te, vivo e vittorioso contro gli Angioini di Francia, videro di qua passare al fianco di Ferrante d’Aragona, cui coll’indomito valore del senno e del braccio, tu ricuperasti il perduto trono e il regno, - e con esso lui facesti l’ingresso trionfale nella real Partenope. Ma. E chi era Giorgio Castriota Skanderbeg? -Signori, al solo pronunziare un tal nome, io mi sento venir meno la parola, e confesso francamente la mia pochezza. – Però, a voler pure in qualche modo disimpegnare all’onorevole ed arduo compito assuntomi, dirò di lui quel tanto che basti a coronare una sì fausta dimostrazione, e a soddisfare al desiderio e alla lodevole curiosità de’ meno versati nella patria storia. Giorgio Skanderbeg, chi nol sappia, fiorì in suo finire dei tempi di mezzo, ed era colui, che fu giustamente salutato il più gran Capitano del suo secolo; - e se a me fosse lecito, io non dubiterei chiamarlo con altrettanta ragione, e senza far torto a nessuno - il maggior Capitano di tutti i secoli!-

Si allude all’Arpa d’un Italo-Albanese, stampata l’anno scorso in Venezia, e di cui è autore il P. Leonardo - Vedi in fine all’Appendice bibliografica. 3


33 Né il mio giudizio vorrà per avventura sembrar troppo spinto o appassionato, sapendosi d’altronde che lo stesso Napoleone I, giudice in ciò competentissimo, quando “le braccia al sen conserte” meditava le sue avventure sollo scoglio di Sant’Elena, tale pur lo giudicava e lo definiva. Un piccolo principe, infatti, con un pugno di uomini- che passavano per invincibili – sfolgorare per ben ventiquattro anni di lotte incessanti la colossale potenza dell’Impero ottomano, sotto Amurat II e Maometto II – arrestare sul più bello la marcia di quell’orde selvagge, perché ebbre, com’erano, di vittoria, non irrompessero a devastare il bel giardino d’Italia – onde effettuarvi il loro minacciato programma, di piantare cioè sugli spalti dell’eterna l’aborrita Mezzaluna, e far mangiare la biada ai loro cavalli sull’altare di S. Pietro in Roma!... - fiaccare così, da solo, il loro sconfinato orgoglio, e impedire quindi che tutta l’Europa cristiana e civile ricadesse completamente nella cupa notte d’una nuova barbarie, e delle peggiori che esistano al mondo… - Oh tutto ciò desta meraviglia e stupore, tali ensi di gratitudine e riconoscenza verso la memoria di quel Grande, e verso quelle genti di cui egli fu il principe ed il magnanimo Duce, che, se gli uomini di Stato fossero per poco guidati dal sentimento del retto e del dovere, l’Europa intera dovrebbe ormai riconoscere sì eminenti servigi, sì segnalati benefici ricevuti dal popolo Albanese, e non potrebbe allora non ripetergli quel motto biblico: “Per te salvi , sumus, per te noi siamo salvi! – Eppure, o Signori, l’Europa civile non solo permette che un popolo sì generoso, un popolo sì benemerito, un popolo delle più grandi iniziative, che fu il palladio e il baluardo della civiltà europea in epoche le più perigliose, resti ancora soggetto al nefando giogo Mussulmano; - non solo non gli appresta nessun aiuto, nessun conforto, nessun rimedio di salvezza;- ma, quel che è peggio, là si è pure veduta questa Europa civile decretarne, con civile barbarie, lo smembramento, il delenda Cartago , come si farebbe d’un branco di pecore, - forzandolo, perfino con un insolito apparato di agguerriti naviglia, a cederer gran parte dell’alta e bassa Albania al microscopico Montenegro ed alla Grecia- coi quali principati la stessa Albania non ha nulla di comune, né il sangue, né la favella, né il cuore, né la storia. – La quale storia invece ci ammaestra bensì che nel passato, la Grecia e il Montenero, ma il Montenero specialmente appartenente al regno Albano-Illirico. – Ed è da notare, o Signori, con vivo rammarico dell’animo nostro e a disdoro dell’epoca in cui viviamo, come un tale smembramento.- che lede i più vitali interessi della nostra madre nazione - venisse autorizzato dal famoso Congresso di Berlino, in barba al principio della nazionalità, cotanto invocato dagli stessi politicanti d’oggi giorno; - ma che fu eseguito non senza una solenne protesta di sangue da parte degli Albanesi – siccome prima avvenne a Kuzzinje, poi a Tusi, dove i replicati tentativi andarono perfettamente falliti, colla peggio de’burbanzosi montenegrini – ed ultimamente a Dulcigno. - Questo fu ceduto, sì, al Montenero, per gl’intrighi e la mendicata mercè delle grandi potenze; ma non prima che soli duecentocinquanta albanesi della Lega facessero subire a Dervise Pascià, incaricato dal Sultano a farne la cessione con venti due battaglioni di truppe regolari, la perdita di ben quattrocento uomini tra morti e feriti, rimanendo de’ nostri soltanto tre morti e sette feriti, sul campo di battaglia. -Solenne protesta, che resterà incancellabile nella storia, a garentire l’integrità del nostro suolo avito, la quale sarà rivendicata in tempo migliore. 4

Su questo grave argomento leggasi l’interessante opuscolo anonimo,: Les Albanais et la Démonstration Navale devant la supréme Jury de la Presse, Dulcigno ottobre 1880. O terra d'Albania, donde quel magno Iskander nacque, a ’ giovinetti esempio e caro ai saggi;- o terra che un secondo eroe nudristi, ch'avea pari il nome, 4


34 Vero è che ora una delle grandi potenze firmatarie dell’infausto Trattato di Berlino, dico l’Austria, pare debba trovarsi amaramente pentita d’aver contribuita ad impinguare il Montenero colle opime spoglie dell’Albania. – E ben lo sa, se il povero e mendico Montenero, così favorito ed impinguato, ora innalza la piccola cresta e si rivolge audacissimo contro la stessa sua benefattrice - cui turba sovente i sogni colle frequenti agitazioni panslavista, che le va suscitando e fomentando nella bassa Dalmazia, nella Erzegovina, e nella Bosnia, sino a minacciare la pace, e la tranquillità di quel forte Impero! – ciò vuol dire che bene spesso il serpente morde il ciarlatano, e ci ricorda proprio la favola dell’altro serpe assiderato dal freddo, che poi morse il villano, il quale se lo ebbe riscaldato nel petto. – Ma a chi è causa del suo mal, pianga sé stesso – ed a ciò pensi l’Austria, se sarà a tempo. – Sed hoc neminisse juvabit! – Quanto a noi o Signori, mi si domanderà forse: quale fu lo spirito che animava Skanderbeg, questo Genio straordinario?Rispondo: unico e schietto fu lo spirito che lo animava, formulato nel suo programma, che mantenne costantemente in tutta la vita; e che in punto di morte lasciava in retaggio l’unico figlio maschio, Giovanni, ed a quanti allora e sarebbero poi Albanesi, non degeneri, nei tempi avvenire: Religione e Patria! – E patria e religione furono le due grandi ali, che lo resero il Cherubino delle vittorie in cento ventitre battaglie combattute contro i Turchi, quando l’Asia e l’Europa intera, mercé l’opera dei suoi giannizzeri, e forse in quei tempi il primo soldato d’Europa. E lo abbiamo veduto questo soldato quanto valesse ancora a’ nostri giorni, nella guerra del 77, alle prese con quasi tutti i principati de’Balcani, col Montenero cioè colla Serbia, colla Bosnia e coll’Erzegovina, colla Rumelia, colla Bulgaria, colla Romania e colla immane Russia alle quali ultime de’ costar assai caro la vittoria al passo di Scipka ed a Plewna, oggi poi che il Turco sogliono chiamarlo per ischerno il malato, il moribondo. Che cosa mai non dev’essere stata questa bestia feroce dalla sette teste ed otto mani, in quel tempo, quando era sana e vegeta, anzi nel pienissimo vigor della vita! – Da ciò si misuri quale e quanto fosse pure il valore del nostro Grande Eroe, che intrepido e solo e per un quarto di secolo metteva i brividi e fiaccava le corna ad una bestia così mostruosa e temuta, sorretto, come dissi, dall’amor della patria, e della religione insieme! – Mia forza e mia fede, tale era il motto ch’egli portava scritto nel suo stemma principesco, e nella sua vittrice bandiera con in mezzo l’aquila bicipite coronata – bandiera sormontata da una croce con l’altro motto In hoc signo vinces. - Ed avvalorato dalla virtù della sua fede in quell’augusto simbolo di salute e di redenzione, pugnò e vinse! – Signori! Amare la religione senza patria, è lo stesso che voler lo spirito senza il corpo. – Amare la patria senza la religione, è lo stesso che voler il corpo senza lo spirito, a formar l’uomo – il quale non può altrimenti aver vita e sussistenza, se non dal complesso simultaneo di questi due indispensabili elementi. – Quello che diciamo dell’uomo individuo, si applichi pure alla vita dell’uomo famiglia, dell’uomo società, dell’uomo Stato o Nazione. – dell’uomo Genio, che tiene come in suo pugno la somma delle vicende e delle sorti d’una nazione, improntata nel di lui nome e del di lui carattere indelebile – che poi ne’ suoi figli si compenetra e si trasmette perpetuamente di generazione in generazione. –

le cui gesta gagliarde empir sì spesso l'inimico d'altissimo sgomento, — madre selvaggia di selvaggia gente. Byron , Childe Harold. II.


35 Ebbene, o Signori: in questi due grandi amori, che , disposati e subordinati insieme in bell’armonia, formano i grandi artisti, i grandi filosofi, i grandi letterati, i grandi poeti, i grandi legislatori, i grandi politici, i grandi uomini di stato, i grandi scopritori di nuovi mondi - questi due amori solamente producono pur i grandi Guerrieri, i grandi Eroim degni di tal nome, e innanzi ai quali s’inchinano attonito e sbalorditi i secoli! – Questi due valori pertanto illuminarono la mente, accesero il cuore, corroborarono il braccio, temprarono la spada del nostro Skanderbeg - e gli fecero far prodigi di valore contro gl’implacabili nemici della patria della Croce; - tanto che meritò d’essere chiamato dagli storici fulmine di guerra, il nuovo Alessandro, il Gedeone cristiano, il Sansone, il Maccabeo, il Leone d’Albania – e da’ Sommi Pontefici di quel tempo Colonna della Santa Chiesa – Spada del Cristianesimo! A dir tutto in una parola,.basta saper questo, come ci viene asseverata dalla storia, che gli stessi Turchi, undici anni dopo la sua morte, quando riuscirono finalmente a soggiogare la povera Albania, giunti che furono in Alessio, andarono a prostrarsi con trepida venerazione dinanzi alla tomba del nostro Eroe - la scoperchiarono, ne presero le ossa, se le distribuirono in tante reliquie, che chiuse negli amuleti portavan seco addosso, come usiamo noi quelle de’ santi; -credendo che quelle ceneri avessero le virtù di renderli invulnerabili e vittoriosi in guerra, poiché reputavano Skanderbeg non già un uomo mortale, ma sì il Dio delle battaglie e delle vittorie! - Onori cotesti quasi divini, non mai tributati né prima né dopo, per quanto sappiasi, a nessun altro Eroe del mondo, dai propri avversari! - Ecco, o signori, chi fosse mai Giorgio Castriota Skanderbeg. Così i principi cristiani d’allora avessero secondato l’invito e l’esempio del sommo Pontefice Pio II, il quale imbandì una crociata, del cui esercito e’ voleva crear Generalissimo il nostro Skanderbeg – ché deploreremmo ancora nel seno d’Europa la mala genìa dell’asiatico Impostore. Io non ho inteso percorrere tutta la storia, chè non è qui il luogo, né sarei tanto audace dal pur tentarlo. – Ne ho soltanto accennato di volo qualche tratto, - Essa d’altronde è così vecchia e risaputa presso quasi tutte le nazioni civili, che ogni uomo mezzanamente erudito si vergognerebbe d’ingnorarla. – Skanderbeg è l’Erore eminentemente leggendario e poetico di tutti i tempi e di tutti i luoghi, la fama delle sue gesta avendo riempito il mondo. – Dopo aver letto la sua vita, ricca del vero eroismo ispirato alla luce della fede, adorna di costumi integerrimi, muove davvero al riso e fa pietà il vedere l’indecorosa profanazione che si suol fare oggidì del nobilissimo appellativo Eroe, prodigandolo per fas o per nefas ad un messere qualunque del momento, senza fede e senza Dio: segno della morale decadenza de’ nostri tempi! Trovandomi a Roma, anni fa mi recai alla Biblioteca della Minerva per riscontrarvi non so che opera. Mi andò l’occhio alle Biografie degli uomini Illustri; volli leggerne quella del nostro Eroe, e rimasi (…) mancano le pagine 25 e 26. per rialzarvi e per rivendicare il vostro nome e il vostro posto fra le nazioni dell’Europa? Certo né il vigor del braccio, né l’acume dell’ingegno, né l’energia del cuore, né le risorse del paese; a voi non manca che una sola cosa: L’UNIONE E LA CONCORDIA FRA VOI MEDESIMI Ortodossi, Musulmani, Cattolici, tutti quanti voi siete, dimenticate i vostri dissidi, unica sorgente de’ vostri mali; riunitevi tutti concordi, come figli della medesima madre, l’Albania; come credenti nello stesso Dio, poiché non ve ne’è un altro.


36 Nessuna forza trionferà allora di voi, o Albanesi! E voi renderete potente e felice, grande e fiorente la patria nostra!5. – Possa, o Signori, l’esempio di quel Grande, che noi oggi ammiriamo esultanti, infervorarci a virili propositi; e l’odierno faustissimo avvenimento servire di forte stimolo alla gioventù Albanese; essere come preludio di un’epoca per noi novella, come una possente scintilla d’unione, e d’amore tra i valorosi figli dell’Aquila , pel sollecito trionfo d’una causa sì giusta e sacrosanta! – Signori! Finisco di abusare della vostra benevola attenzione, invitandovi a sciogliere; un cordiale saluto ai nostri lontani fratelli di sangue e di sventura, al grido di: “Evviva Skanderbeg! – Evviva l’Albania! -Evviva il Padre Leonardo! – (prolungati applausi ed evviva). Un lettore del giornale Il Piccolo6

Vedi: La questione Albanese – Proclama – indirizzato agli Albanese – dal vivente Principe Giorgio Kastriota Skanderbeg. – Trieste, novembre 1878 – pubblicato nella Gazzetta d’Italia, giornale ufficiale del Regno, seconda edizione -Firenze-Roma, Domenica 12 gennaio 1879 n°. 11; e riprodotto da parecchi altri giornali italiani ed esteri. 6 N.B. Questa Corripondenza fu inviata, ma non inserita,nel giornale di Napoli Il Piccolo, perché a quella Direzione parve troppo lunga, ed avea ragione. A noi albanesi invece sembra troppo corta, perché tratta un argomento, che tocca al vivo più i nostri che gl’interessi altrui. 5


37 MUNICIPIO DI GRECI

(Copia conforme estratta dall’originale)

L’anno mille ottocento ottantadue, il giorno venticinque Agosto nella sala della adunanze municipali, in Greci. Trovandosi appositamente riuniti il Sindaco e la Giunta Municipale, nelle persone de’ sigg. 1° D’Apuzzi Dottor Raffaele, Sindaco Presidente, - 2° DeMartino Francesco Saverio, Assessore – 3° Strada Nicola, Consigliere – 4°Lauda Michelangelo, Consigliere – 5° Sasso Nicola Maria, Consigliere; Si è presentato il Rev. P. Leonardo De-Martino da Greci, Minore Osservante, Missionario Apostolico in Albania (accompagnato dai notabili del paese, dalla banda musicale di Orsara, e da gran popolo plaudente): il quale ha offerto in ricordo, e consegnato per mano del Sindaco e della Giunta, a questo Comune, un Quadro dipinto ad olio, portante la gloriosa Effigie di Giorgio Kastriota Skanderbeg, Principe d’Albania: Quadro copiato dall’originale esistente nella Real Galleria degli Uffizi in Firenze, e che è squisito lavoro del valente pennello d’un alto personaggio, da cui il P. De Martino l’ebbe in regalo. Il Sindaco e la Giunta con lieto animo e riconoscente, accettando il magnifico dono, tanto più gradito in quanto che ricorda l’Uomo che compendia in sé la virtù, la gloria, l’eroico patriottismo del popolo Albanese, dal quale questa Cittadinanza vanta la origine; all’unanimità di voti delibera

1°Doversi collocare la storica effigie nella Sala delle adunanze Consiliare da custodirvi gelosamente e col massimo decoro, qual prezioso monumento, e tramandarsi incolume sino alla più remota posterità. 2° Esprimere azioni di sentite grazie, anche in nome di questo Comune, al generoso P. Leonardo De-Martino; e congratularsi con lui di quanto fa per la nostra madre patria, augurandogli il sollecito adempimento de’ suoi voti, racchiusi in questo fatto di un significato altamente patriottico, che non resterà senza un’eco salutare fra i nostri amatissimi confratelli d’Italia, d’Albania, e dovunque battano cuori veramente albanesi! Dopo di che il Sindaco, insieme alla Giunta, ha sottoscritto il presente Verbale, che sarà depositato nell’Archivio fra gli Atti di questa Amministrazione, ad perpetuam rei memoriam. La Giunta stessa ha quindi incaricato il Sig. Sindaco di trasmettere copia del Presente Verbale alle Autorità del rispettivo Circondario, ed ha espresso il desiderio che allo stesso Atto venga esibita copia conforme ed autentica al prelodato P. Leonardo De-Martino, in attestato di viva gratitudine e riconoscenza del gradito dono, come sopra. – Onde ecc. .


38 LA GIUNTA D’APUZZI Dott. RAFFAELE, Sindaco De-MARTINO FRANCESCO SAVERIO, Asserrore STRADA NICOLA, Consigliere LAUDA MICHELANGELO, Consigliere SASSO NICOLA MARIA, Consigliere

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39 L’opuscolo commemorativo de “Il Leone d’Albania, festeggiato in Greci, termina con una significativa appendice bibliografica. Sulla quarta pagina di copertina veniva annunciata la “prossima pubblicazione: Breve Compendio della vita e delle gesta di Giorgio Castriota Skanderbeg, principe dell’Epiro e dell’Albania, Ristampato ad uso de’Giovinetti del popolo Albanese, per cura del P: Leonardo De martino M. O. Miss. Ap. viene riportata anche una significativa lettera di Girolamo De-Rada indirizzata al nostro P. Leonardo De-Martino, datata Maki (Calabria Citeriore, 5 marzo 1882. che riportiamo integralmente

APPENDICE BIBLIOGRAFIA

L’Arpa d’un Italo-Albanese, pel Padre Leonardo De Martino da Greci M.O. – Venezia, Tipografia dell’Ancora 1881. Un vol. Lemmonter di pag. 444.Vendibile a lire 6. Contro vaglia postale, nella indicata Tipografia Venezia, S. Maria Formosa, Calle Pinelli; e presso la Tipografia e Libreria Poliglotta di Propaganda Fide in Roma. Dalla bontà delle poesie e del merito letterario di questo libro hanno pronunziato assai favorevole giudizio uomini competentissimi in Albania (dove ha ottenuto il più lusinghiero incontro, e dov’è considerato come il primo che là sia comparso finora nel suo genere), non meno che in Italia. Fra i giornali italiani d’ogni colore ne parlarono diffusamente il Veneto Cattolico, che fu il primo ad annunziarlo al pubblico, riportando in proposito una bellissima lettera di encomio diretto dall’Autore dall’esimio ed ora rimpianto filologo italo-albanese, Demetrio Camarda.7; il Sila di Treviso, L’Eco di S. Francesco di Sorrento, La Rivista Europea di Firenze, Le Missioni Cattoliche di Milano, L’Unione di Bologna, Il Settimo Centenario di Assisi, l’Osservatore Triestino, i Fiori Cattolici di Napoli, l’Osservatore Romano, ecc. ecc. non potendo citarli tutti, ché se verrebbe fuori un discreto fascicolo, ci limiteremo a riferirne qui solo qualcuno, per darne qualche notizia a chi amasse acquistarlo. La Gazzetta di Venezia, giornale non clericale, in un lungo articolo intitolato Gli Albanesi e il P. Leonardo da Greci, (25 giugno 18819 n. 168), dopo aver accennato ad alcuni recentissimi lavori nella lingua albanese che meritano speciale riguardo, fra i quali il Saggio di Grammatologia Comparata del lodato Demetrio Camarda ecc. e detto che Leonardo Vigo, il De-Rada ed altri attesero pure con diligenza degna di molta lode a raccogliere i canti popolari albano-siculicalabresi (oltre a tanti altri originali, dettati specialmente dal De-Rada) e che confortandoli di acute considerazioni e commenti, giovarono a ricostituire il patrimonio etnografico di questa famiglia mediterranea, l’Albania, che ha ben diritto alla sua favella ed allo sviluppo de’ suoi ordinamenti religiosi e civili, consentano all’origine, all’indole, ed alle sue condizioni presenti conchiude: Uno dei promotori più studiosi e più infaticati a questo grand’uopo è il P. Leonardo da Greci, italo-albanese, de’ Minori Osservanti, che vive nell’Albania come 7

Demetrio. Camarda, - Sacerdote italo-albanese di rito cattolico-bizantino (Piana degli Albanesi 1821 - Livorno 1882). Valente filologo affrontò, fra i primi, i più ardui problemi della linguistica albanese nel suo Saggio di grammatologia comparata sulla lingua albanese, 1864. Seguì un'Appendice al Saggio, 1866, importante per la raccolta dei canti popolari italo-albanesi e albanesi che contiene.


40 missionario apostolico,; che la giova per ogni guisa maggiormente concessagli; che imprese lunghi e severi studi sulla lingua Albanese, cui pienamente conosce, e nella quale va dettando eletti componimenti, per modo che il nome italo-albanese gli si addice, a tutto diritto, avvegnaché egli scriva con notevole maestria ed eleganza italianamente, e con pari maestria ed eleganza usi dell’albanese, come meritò elogi non pochi da persone in codesto giudizio competentissime,. L’italiana letteratura gli dev’essere inoltre riconoscente, per aver fatto conoscere agli Albanesi, traducendoli, alcuni componimenti degli eletti ingegni dei nostri dì. Tali, a mo’ d’esempio, sarebbero Il lamento della prigioniera di Tommaso Grossi, il Natale di Alessandro Manzoni ecc. – Alternando così i componimenti e traduzione nell’una e nell’altra lingua, serba vive le nobili tradizioni del passato, ed entra anch’egli nel novero di quegli operai che, meglio di tanti inutili se non dannosi cantatori e parolai, impediscono che le memorie nostre si spengano in quelle regioni orientali, per si lungo tempo vissute dei commerci, de’ costumi, della civiltà e della nostra lingua. Egli ora imprende una peregrinazione in Italia, a fine di raccogliere mezzi a promuovere in Albania l’educazione popolare, e ad ampliare alcuni Istituti già fondati, a quest’uopo. La patria, la religione, la civiltà lo domandano”. E’ da avvertire come queste parole prima si stampassero prima che le poesie edite ed inedite, del P. Leonardo, vedessero la luce nella sua completa raccolta, intitolata L’Arpa ecc. Della quale Arpa, il principe dei periodi italiani la Civiltà Cattolica, (5 novembre 1881), serie XI, quaderno 753), in modo più laconico di tutti, ma non memo autorevole e significante, giudicava così E’ un bel volume di poesie, diviso in due parti, la prima di componimenti italiani, la seconda di albanesi. Lasciando il giudizio di questi a persone più competenti, delle poesie italiane non possiamo dirne che bene. Verità e sentimenti ne’ concetti, novità e leggiadria nelle immagini e nelle figure, eleganza nella forma e colorito poetico. Il chiarissimo Autore ha reso anche più pregevole si questi si altri componimenti albanesi, Finalmente la stessa materialità del libro conferisce a renderlo commendevole, essendone riuscita l’edizione molto elegante per la finezza della carta, la bellezza de’ caratteri e tutti gli altri pregi tipografici.” Ma superiore ad ogni elogio è l’apprezzamento che ne fa la famosa letterata Dora D’Istria; e del giudizio che ne porta un’altra veneranda celebrità letteraria fra gli albanesi d’Italia, dico Girolamo De-Rada, il Nestore, il principe dei poeti italo-albani, e come tale tenuto in grande estimazione da due sommi, che furono il Lamartine e il Tommasèo, per non dire d’altri. Or questo degno figlio della stirpe di Skanderbeg, che, giunto, ad età matura, non cessa tuttavia con ardor giovanile di giovar comechessia la madre patria, e d’illustrarla col lume del suo fecondo ingegno, scriveva al P. De-Martino con una lettera autografa, documento prezioso, che sebbene un po’ lungo, non vogliamo dispensarci dal riferirlo qui integralmente., come quello ce, meglio d’ogni altro, ne palesa lo scopo intimo e ne fa valutare tutta l’importanza del suono dell’Arpa, specie nella parte albanese, che è la più ardua ed interessante: ed in pari tempo ne apprende un bel divisamento vagheggiato dal Sig. De-Rada, pur tropo necessario ad effettuarsi quanto prima, a vantaggio dell’Albania. La lettera, che onora non sappiamo più il destinatario ovvero il mittente, è del seguente tenore:


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Figura 2 Girolamo De Rada

Maki (Calabria Citeriore), 6 marzo 1882 Illustre ed Egregio mio Compatriota! La Lettera di mio figlio Rodrigo, pervenutami oggi da Roma, recandomi notizie di V. P., mi è stata una fonte di consolazione. Io le scrissi già in Trosciani (Albania) ha forse due mesi, e temo che quella mia non Le sia giunta. Ora mi affretto a riverirla di nuovo, e spero che questa seconda lettera, più fortunata della prima. La troverà ancora a Roma. Ma donde comincerò io, nella piena degli affetti e de’ pensieri che m’inondano l’animo nell’abboccarmi la prima volta con Lei? In prima ho da renderle non so quante grazie per l’onore grande fattomi nelle pagine del suo libro, pieno di spirito e di e di virtù; onore che m’è buon compenso di quel che feci, e quanto nessun altro conforto. E sino ebbe degnazione di voler vedere mio figlio, che spero dalla sua visita paterna si confermerà nel disegno di profittare della milizia, per rendersi atto ad aiutare alcuna volta con l’armi la Madre Patria. Le dirò poi che questa Eroina infelice nissuno della nostra dispersione in Italia ha giovato si immediatamente e si ampiamente, come la P.V.: non quelli medesimi che tra noi fondarono nel 1736 il Collegio di S. Adriano. Il quale che frutti abbia dato per lo innanzi non vale ricercare, e se quasi niente ne è superstite oggi, ed oggi, che alla Patria fa mestieri la coltura che da quel Collegio si aspettava, esso rimane vuoto di Dio, di sapienza umana e di patria carità. Ella invece riaccende l’idea nazionale ne’ suoi fondamenti, la coltura cioè della nostra patria lingua e la vicinanza a Dio, si misericordioso soccorritore a’ nostri padri ed a noi, a Lui che fa sanabili le nazioni, e che or ritrae la povera Albania da deviamenti politici. E’ in Dio mi sta ogni speranza, che unisca in una fruttuosa concordia le intenzioni, piene d’amore al nostro nome, di tanti sparsi fratelli cattolici, ortodossi, maomettani. L’intenderci è la prima necessità attuale: ed Ella fu destinata all’opera di ravvicinare i cuori lontani in una volontà e le menti in un pensamento, per non essere, prima di riconoscerci, trascinati da sovvertitori mondiali a quella rovina che a loro giovi.


42 Dispersi come siamo, Ella ben vede che l’istrumento unico, da adoperare alla nostra comune intelligenza è la stampa nazionale. Ma quante difficoltà non si hanno a superare, per riuscire a buon porto! Non so quando potremo convenire insieme, o almeno discutendo per lettere addivenire ad una pratica conclusione su tale argomento. Dacché l’insurrezione di Priserendi causò lo scioglimento del Comitato promotore della coltura nazionale residente in Costantinopoli, si risolvè di rifondare una Tipografia nelle nostre Colonie. Questa avrebbe a pubblicare il Vocabolario Albanese-greco-italiano; tutte le opere albanesi venute in luce per lo passato, con dizionario e grammatica dichiarativa; più un giornale settimanile Albanese con a fronte una traduzione italiana o greca o francese. Ma comunque tra noi, ed altrove anche, l’idea fosse accettata e si potesse fin da prima calcolare sopra un 300 associati; sopraggiunsero però tali e sfavorevoli circostanze, ch’io non ebbi il coraggio di spingere oltre, quest’anno, le pratiche pe la ricerca de’ fondi a fine di attuare l’anzidetta impresa. Pure sto come chi aspetta, confidente nelle vie di Dio, e nel concorso più generoso de’ nostri migliori compatrioti8. Mi feci venire da Venezia parecchie copie del suo libro: favorisca mandarmene delle altre, che spero smaltire del pari. Fra giorni riceverà dall’Egitto il prezzo d’un esemplare della stessa Arpa. Anzi se ne ha in Roma, potrà spedirlo al Sig. Eutimio Mitko- Beni-Souf-Egitto. E’ un colto e ardente nostro patriota ortodosso della Bassa Albania, che, anni sono, ebbe fondato in Alessandria d’Egitto un giornale intitolato : L’Ape Albanese. In quanto al mio poema e alla grammatica, Le dico che furono editi al solo intento di promuovere la coltura nazionale, e sarei felice se per suo mezzo potessi regalarne agli egregi suoi amici e nostri dottissimi confratelli in Albania. Lo stesso mio figlio Rodrigo mi scrive pure che Ella intende visitare queste nostre Colonie,. sia dunque il benvenuto al nostro carissimo P. Leonardo: noi tutti l’aspettiamo con vivo desiderio! Venga, ed è superfluo dirle che vi troverà quelle accoglienze oneste e liete, che sono ancora fra noi antico retaggio della proverbiale ospitalità albanese. Quanto a me , una sua visita sarebbe la più grande fra le poche consolazioni che il Signore mi avrebbe serbato sul declinare de’ mei anni! In tale speranza adunque finisco, presentandole gli ossequi di mio figlio Giuseppe (autore della Grammatica Albanese), e con perfetta stima e riconoscenza raffermandomi Suo Dev.mo Aff.mo Girolamo De Rada9 8

Ci gode l’animo di poter ormai annunziare come imminente la comparsa del Giornale Albanese, avendone già il Sig. De-Rada, per quanto sappiamo, sottoposto il programma all’alta approvazione della principessa Dora d’Istria. Esposto verrebbe fuori col titolo La Bandiera dell’Albania; ma sarebbe forse più dignitoso e meglio indicato appellarlo: La Stella, o L’Iride, o La Fenice o L’Aquila, o Il Leone dell’Albania. Del resto ciò monta poco, perché venga una volta alla luce: noi gli auguriamo intanto buona fortuna, ed applaudiamo all’indefesso patriottismo del sig. De-Rada, che seppe vincere finalmente i mille ostacoli a poterlo fondare. 9 Girolamo de Rada (Arbërisht: Jeronim de Rada, 1814-1903) fu uno scrittore albanese di letteratura italo-albanese. Di discendenza Arbëreshë, De Rada, insieme a Demetrio Camarda furono i due principali iniziatori del Risveglio Nazionale Albanese in Italia durante la seconda metà del 19 ° secolo.


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Dopo il suffragio di tanto senno, senz’aggiunger verbo, a noi non resta di rallegrarci di cuore col ch. Autore dell’Arpa; il quale dal canto suo può andar lieto di veder prosperare sotto tali auspici la sua opera, cui ben avviso di appore in fronte, con intuito più di profeta che da poeta, il modesto ma in questo caso purtroppo veridico motto: Parva saepe scintilla magnum excitavit incendium sovente poca favilla gran fiamma seconda. Milano, 1882 Prof. C. P. D.S. (Estratto dall’Eco della Verità)

Biografia Nato figlio di un parroco della Chiesa italo-albanese cattolica di Macchia Albanese sulle montagne di Cosenza, De Rada ha frequentato il collegio di San Adriano a San Demetrio Corone. Già intriso della passione per la sua discendenza albanese, iniziò a collezionare materiale del folklore in tenera età. Nell'ottobre 1834, in accordo con i desideri del padre, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli, ma l'interesse principale dei suoi interessi rimase il folklore e la letteratura. Fu a Napoli nel 1836 che De Rada pubblicò la prima edizione del suo più noto poema in lingua albanese, "Songs of Milosao", con il titolo italiano Poesie albanesi del secolo XV. Canti di Milosao, figlio del despota di Scutari (poesia albanese del XV secolo, Canzoni di Milosao, figlio del despota di Scutari). Ben presto fu costretto ad abbandonare gli studi a causa di un'epidemia di colera a Napoli e tornò a casa in Calabria. La sua seconda opera, Canti storici albanesi di Serafina Thopia, moglie del principe Nicola Ducagino, Napoli 1839 (canzoni storiche albanesi di Serafina Thopia, moglie del principe Nicola Dukagjini), [2] fu sequestrata dalle autorità borboniche a causa della presunta affiliazione di De Rada con gruppi cospiratori durante il Risorgimento italiano. L'opera è stata ripubblicata con il titolo Canti di Serafina Thopia, principessa di Zadrina nel secolo XV, Napoli 1843 (Songs of Serafina Thopia, principessa di Zadrina nel XV secolo) e negli anni successivi in una terza versione come Specchio di umano transito, vita di Serafina Thopia, Principessa di Ducagino, Napoli 1897 (Specchio della transitorietà umana, vita di Serafina Thopia, principessa di Dukagjin). La sua tragedia storica in lingua italiana I Numidi, Napoli 1846 (I numidi), elaborata mezzo secolo dopo come Sofonisba, dramma storico, Napoli 1892 (Sofonisba, dramma storico), ha goduto solo di una modesta risposta pubblica. Nell'anno rivoluzionario del 1848 De Rada fondò il quotidiano L'Albanese d'Italia, che includeva articoli in albanese. Questa "rivista politica, morale e letteraria" bilingue con una tiratura finale di 3.200 copie è stato il primo periodico di lingua albanese ovunque. Prima che l'Albania diventasse un'entità politica, era già diventata una realtà poetica nelle opere di Geronimo De Rada. La sua visione di un'Albania indipendente crebbe nella seconda metà del diciannovesimo secolo


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APPENDICE LIRICHE DEDICATE A SKANDERBEG

INNO A GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG10 (PER IL V CENTENARIO DELLA SUA NASCITA

“Un simile leone mai non appare in terra né apparirà più mai!...” Così del gran rivale dicea Maometto il grande, poi che prostrato in guerra , un dì chiedeagli in dono la sua spada immortale. Sul taglio di mia spada il sangue sta rappreso dei Turchi da me vinti, e là dorme la Morte!...” Così rispose il fiero duce, che avea difeso la sua forte Albania, preda d’iniqua sorte. Nuovo Alessandro, il vero prence dei cavalieri, il Castriota solo domò gli sterminati eserciti d’Osmanli. Qual folgore, gli alati speroni egli cacciava sui più irti sentieri. Egli arrestò il cammin dei barbari infedeli sopra la via di Roma . In ventidue battaglie con un solo pugno d’uomini, nel nome dei Vangeli lanciò sui Musulmani turbini di zagaglie. Quando su la Morava a Nissa udì il primiero grido della sua patria e le famiglie erranti sovra i natali gioghi univa in un pensiero a suoi trecento prodi gridò: Fratelli avanti! E roteando il ferro, terribile qual lampo fra i suoi raccolti a Dibra giù per la notte oscura, piombando alla riscossa , non diede ai Turchi scampo L’inno del poeta Prof. L. Conforti fu pubblicato da D. Gerardo Conforti nell’opuscolo commemorativo, Albania neutrale, Napoli,.s.d., (1904) Tip. Vitale,quest’inno fu tradotto in albanese dal prof. Luigi Guracucchi. Fu pubblicato dal Giornale La Nuova Albania, diretto dall’Avv. Gennaro Lusi di Greci. ( Napoli, 1904). 10


45 e a fil di spada spenseli a piè della sue mura. Sovra il confin d’Ocrida, ne la superba Croja, cadde il pascià in prigione. Il Veneto Senato. Mutando il dubbio assenso in un’aperta gioia chiese al vittorioso di farselo alleato. Ma sempre solo e invitto, sfidando le tempeste dei più contrarii fati, bravando con la morte, ad ogni passo il nome della sua terra alpeste vantò sui suoi nemici, cangiandone le sorte. Ma appresso alfin da triste febre esiziale Montò il destrier glorioso di Scutari al confine, a vendicar l’assalto de l’oste imperiale balzò vendicatore di ree carneficine. Neppur nel suo sepolcro l’odio del Turco infesto osò arrestarsi ; e fatte dell’ossa talismani, invan di sue vestigia nobili ha il suol calpesto, perché la sua memoria rifulgerà domani. Di sue ceneri il vento non tutto avrà spazzato, chè una scintilla sola del glorioso petto ritornerà a far guerra spietata a Maometto, perché in ogni albanese v’ha un core di soldato. Luigi Guracuki Napoli, 1904, (Dal giornale La Nuova Albania”

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uigj Gurakuqi era un uomo politico e scrittore albanese (Scutari 1879 – Bari 1925); propugnò l’uso, come lingua letteraria, della parlata di Elbasan e in tale forma scrisse articoli, poesie (spesso sotto pseudonimi, come Lek Gruda e Iakin Shkodra). Perfette come fattura letteraria sia le poesie sia le prose, rimaste come modelli di stile lucido e armonioso. 11


46 INNO ALBANESE Versi di Lucia Groppa, Musica del maestro Francesca Maria De Feo12 Dedìè à Son Altesse serenissime DON JUAN D’ALADRO KASTRIOTA

1^ Della guerra il fiero grido d’Abdul squassa l’empio cor: tremi vinto dal dolor. 2^ L’Asia frema ancor risuona Si per Dio quel core infido delle stragi il rio dolor: “All’armeno il petto sprona nuovo vindice dolor. 1^ D’Albania la prole ardita vendicar l’onte saprà: sorge invitta nuova vita Morte grida o libertà. “^ Sciagurato nel deserto Provi il turco suo destin: cinga la l’indegno serto là rifugio trovi alfin. Skander loda il suo linguaggio, Skander canta e il suo valor, l’arme impugna e dico raggio cinge il petto e informa il cor!

Degli eroi la prisca schiera Tregua alfin sotterra avrà, vincer vide la bandiera trionfar la libertà. 1 e 2 L’arme inpugna ecco il Turco ancor tremante demo affrante e sospirar l del Bosforo anelante l’onda torbida varcar,! Vaga aurora il suo sorriso là Fu assassinato a Bari dove esiste una targa commemorativa, posta in quel punto perché proprio in quel punto si trovava il caffè in cui il 2 Marzo del 1925, Luigj Gurakuqi, veniva accoltellato a morte da suo cugino, Baltjon Stambolla, inviato a Bari da Ahmet Bej Zogu. 12 L’Inno Albanese, composto dai versi di Lucia Groppa e musicato dal m.° Francesca Maria De Feo, reca la dedica ms. “al Maestro Valente ammirando, L’Autrice, Roma, 29. 09.1904., fu edito a Parigi, per l’Imprimerie Edouard De Lanchy. L’inno è stato ritrovato tra le carte sparse di Mons. D. IginoDe Simone di Greci. La musica ha un’introduzione col ritmo allegro guerresco eseguito dalle trombe, e nei versi con ritmi di marcia con trombe e tromboni e toni marziali.


47 sul Balcan spiega tu, e dimostrato il viso all’albana gioventÚ.

Foto

Battaglia di Skanderbeg


48 LIRICHE DI P. LEONARDO DE MARTINO13

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3.Per completezza si riportano alcune note storico-bibliografiche sugli uomini lllustri di Greci che hanno onorato Greci: 1 Abate Luigi Lauda () . Pioniere degli studi storici su Greci, è stato il primo a pubblicare opuscoli sulla religiosità e stria di Greci. Sacerdote di grande pietà ed impegno pastorale, ha sempre affiancato una viva sensibilità per i poveri ed i diseredati. Occupò insieme a 300 grecesi le terre del Duca di Bovino, fu anche perseguitato politico. Ha composto il notissimo dramma sacro-lirico del Martirio di S. Bartolomeo Apostolo, pubblicando ben 3 edizioni,la prima nel 1883, la seconda nel 1913 e l’ultima uscita postuma nel 1940 ad opera del Comitato di S. Bartolomeo Ap. ngli U.S.A. Benemerito è stato il suo impegno per la diffusione della cultura albanese e per l’indipendenza dell’Albania. Ha scritto su molti giornali dell’epoca, ha avuto corrispondenza con il primo ministro Francesco Crispi e la diplomazia europea. Appassionato studiso di Dante Alighieri ha lasciato un buon studio su Dante Alighieri, e fu proposto quale professore per l’istituenda cattedra di studi danteschi presso l’Università di Napoli. Per i meriti culturali fu insignito del titolo di Cavaliere del Regno. 2. Padre Leonardo De Martino (M.O.R.) (1840-1923). Padre Francescano, minore riformato fu ardente missionario apostolico in Albania, scrittore e poeta italo-albanese, fu il celebre cantore della letteratura cristiana scutarina (Albania) e maestro del padre della patria albanese Gjorghie Fistha. Dopo 37 anni di apostolato in Albania, rientrò in Italia e promosse il movimento per l’indipendenza della madre patria. Cantore appassionato della Madonna, ha svolto una intensa produzione letteraria bilingue, giornalistica e poetica. E’ conosciuto per aver scritto “L’Arpa di un Italo-albanese” edito a Venezia nel 1883. ll Maestro LORENZO Perosi ha composto anche alcuni inni alla Madonna, le parole sono del poeta italo-albanese P. Leonardo De Martino M.O.R. da Greci (1840-1923), missionario apostolico in Albania: La stella polare del secolo XX- Preludio della Gran Festa giubilare mondiale dell'8 dicembre 1904, cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione da celebrarsi dal Regnante Sommo Pontefice Leone XIII, INNO, Portici, 1904. INNO a Gesu' Redentore e Re dei secoli e al glorioso Pontefice Leone XIII, Montecalvo Irpino, 1901. 3 Jacopo Lusi (sec. XIX). Sacerdote e parroco di Greci nell’ottocento. Fu oratore sacro, putroppo le sue opere sono andate perdute. Per esser stato coinvolto nel movimento della repubblica partenopea e nei movimenti politici del 1848 fu inviso alle autorità borboniche. Fu eletto vescovo ma morì prima della consacrazione. 4. D. Michele De Majo, (sec. XIX) parroco di Greci dal 1840 al 1841, autore della celebre novena della Madonna del Caroseno, ripubblicata nel 1875 per cura di d. Luigi Lauda.


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AVE MARIA INNO

Batte a voi più sublime aurea più pura L’a farfalletta dell’ingegno mio

Ave Maria! Te invoco ognora Nel duro tramite di questo esiglio, Te quando luccica in ciel l’aurora, Te quando a l’espero balena il ciglio: E allor che vigilo a notte bruna O guardo estatico l’argentea luna, E allor che fulgido dipinge il Sole Di color vividi e viole, Si udrà ripetere l’alma mia: .Ave Maria! Ave Maria! O quell’istante sia benedetto Che venne l’angelo col tal saluto! E accolse trepide tuo vergin petto Colui che liberi n’ha poi renduto; Colui che adorano il mar, le sfere, La terra. Gli uomini, le amate schiere; D’un cenno onnipote placa ed arresta: Oh per quel giubilo ed allegria Ave Maria! Ave Maria! Salve, o Beata del ciel Regina, Ave Maria! Ave Maria! Soave e limpido fonte d’amore! Tu stella tremula della mattina, Tu sei di Gerico l’intatto fiore: Oh quanto amabile tu sei, oh come Dolce, ineffabile suona il tuo nome.ù Tu sei purissimo candido giglio, Degno abitacolo del divin Figlio; Del sommo Empireo sei tu la via. Ave Maria! Ave Maria! A te ne’ giorni del mio dolore, A te nel gaudio dell’esultanza Rivolgo i palpiti dell’ansio core E tu confortalo, dolce speranza Di noi che miseri su questa terra Viviam continuo tra pianti e guerra… Deh! Tu mi reghola gli affetti voti,


50 E sensi infondimi pure e devoti, Onde prorompere con alma pia: Ave Maria! Ave Maria! Gli erro depongo sotto il tuo manto, Mercede impetrami, Madre pietosa; Ognor mi agevola nel cammin santo Il piè che aggirasi per via ritrosa. Ma quando il demone, cinto di maglia, Darammi l’ultima fiera battaglia… Oh allor più tenera, mostragli come, Sia pur terribile quel tuo bel nome, E il mio novissimo accento sia: Ave Maria! Ave Maria! Nel sol più bello di primavera, Or che sorridono i fior più cari E al caro effluvio della preghiera I tuoi ne olezzano ben mille altari: Io pure, o Vergine tutto candore Umile e fervido ti offro un fiore, Leggero simbolo d’immenso affetto Che fin da parvolo ti nutro in petto: E un fior ch’io t’offero dall’Albania: Ave Maria! Ave Maria! Ahi! Questa un tempo tanto felice Madre d’indomiti figlie guerrieri, Che la terribile spada vittrice .Al sen vibrarono di rei stranieri; Ahi! dacché giacquero que’ forti eroi Com’essa è vedova de’ pregi suoi! … Spento il fulmineo Leon di guerra,14 I fior languirono di questa terra; La Fè, la Gloria, l’Amor languìa, il culto al tempio che l’alme indìa. Tacquesto i suoni e i patrii canti Che rallegrarono queste contrade; E sol fra i triboli, sospiri e canti, Ruggiti udivasi d’empie masnade. Di morte un baratro fu questo lido Poiché de’ barbari divenne il nido: Novella Solima nel suo dolore. Mancollo il gemito d’un pio Cantore Che in mesto e flebile suon d’elegìa Plorasse il fato che la colpìa. Oh Dio! varcarono omai tant’anni Ch’ella s’abbevera d’amaro duolo. E ancor, nel vortici dei crudi affanni 14

L’invitto glorioso Giorgio Castriota Shranderbegh, Principe d’Albania.


51 Non va chi rendale pace e cuonsolo… Tu pure o Vergine, l’abbandonasti E al cielo italico a vol migrasti: Fu quello il cumulo del suo periglio O santa Vergine del Buon Consiglio; Allor d’un lugubre vel si coprìa Rimasta orbata di te, o Maria! Deh! parla a Dio di tante pene Che ognor la opprimono; e voglia alfine Pietoso infrangerne l’aspre catene Onde l’avvinsero l’orde ferine. Se i Figli errano, ben caro il fìo Pagano in piangere pel suo natìo: Al suolo armigero de’ miei maggiori Oh fa che arridano giorni migliori; Fa tu sorgere la patria mia! Ave, Maria! Ave, Maria! E’ tale il grido, Vergine Bella, che misto ai cantici del suo paese Su i vanni ai zefiri di stella in stella T’innalzi supplice ogni Albanese Ve’ come Scutari, da te negletta, Ancor ti venera, ancor ti aspetta… Garzoni, vergini, madri dolenti Come richiamanti con caldi accenti: Torna, ripetono, ritorna o pia Unica speme de l’Albania! 15

Or vieni adunque, non più tardare La cara Immagine tra noi ritorni; E là sui ruderi del prisco altare - Sacra memoria dei lieti giorniUno più splendido t’innalzeremo; Più fidi e docili e a te verremo: E sveli ai posteri quel nuovo ostello Nota della Redazione della Rivista Francescana: “Alludesi ad una popolare e affettuosa Canzoncina, che in questo senso cantasi nella città di Scutari alla Vergine del buon Consiglio, protettrice dell’Albania. Nota. Con molto piacere abbiamo riportata questa vaga poesia del nostro P. Leonardo, che nello scriversi umilmente si appellava l’ultimo tra i figli di s. Francesco, e sentendo di sé bassamente chiamava montanina questa poesia. Eppure nol sappiamo ch’egli è bravo poeta in italiano e albanese, dalla quale ultima lingua testé leggevasi una poesia sull’Effemeridi Le Missioni Cattoliche di Milano, del 18 maggio; traduzione d’un inno latino all’Immacolata Concezione scritto da Mons. Marinoni. Circa la poesia italiana i nostri possono ammirarno nella presente i concetti, e dello stile, la chiarezza, l’armonia, la naturalezza d’unita alla divozione, alla pietà, e ad un santo patrio amore. Affinché poi i nostri si facciano una cognizione esatta di questo nostro confratello, stampiamo qui in nota alcuni versi che epr nulla adulatorii, fanno invece giustizia al merito . – Qual move di Troscian grato concento – che Scodra, a Presèren, a Ipek sorvola, - e con dolce ed armonica parola – Mi scende al core m’empie di contento! – L’albanico sermon negletto e spento- Chi l’adornò di così ricca stola? – All’onta e all’obblìo chi mai ne invola, - Oggi chi mai n’ha il prisco onor redento? – Tu, o Leonardo; il canto tuo risuona – come usignol che canta in primavera, - Cessato il gel, la neve e il verno austero. -Segui intanto la bella tua canzona, -Cigno novel: te onorerà l’intera – Epiro fra’ Cantor primiero. -Così a lui Antonio Bonucci prete di Scopia. A lui in Epiro noi dell’Eco di Sorrento mandiamo, un saluto su le ali dell’amor fraterno, augurandoci ch’Egli voglia regalarci altri suoi lavori. (La Direzione) 15


52 Del ver gli oracoli del Buon, del Bello Sia fonte altissima d’ogni armonia: Ave, Maria! Ave, Maria! Vieni!... e de’ prodi l’antica sede Ravvia al fascino dei tuoi portenti; In dolce vincolo d’Amor e di Fede Rannoda gli animi di queste genti. Cessino i vindici atti inumani, Cessino i luridi canti profani… Le Valli, i floridi campi, i burroni Soltanto echeggino di pie canzoni; Dal Drino ad Ocrida con melodia Solo ricantasi l’Ave Maria! Divina Musa, tu al cor m’ispira, E fa che innumeri ciechi fratelli Riscossi al sonito della mia lira Di Cristo al labaro non siano rubelli: Fa che rigettino l’orbo Corano E al sol ritornino del Vaticano Lume benefico del Redentore Che irradia i popoli del fosco errore, Che addita agli uomini la retta via. Ave, Maria! Ave, Maria. Dai monti dell’albania, 1 maggio 1878 Fr. Leonardo Martino da Greci M. O. Italo-Albanese Segretario del Vescovo di Sappa (Scoppa) 1. Cenni biografici P. LEONARDO DE MARTINO Missionario apostolico in Albania (Greci 1840-Sarno 1923) "Non mi arrise sorte più lieta a cantar più sublime canzone". II futuro cantore della letteratura scutarina, infaticabile missionario apostolico in Albania, nacque a Greci (Av) paese di antiche tradizioni arbreshe, da una distinta famiglia. La famiglia De Martino o Di Martino, attestata nel settecento con l’avo Giovanni Di Martino, era erario del Conte di Bovino e barone di Greci- Ferrara. Sottoscrive alcune atti per conto del Duca nel 1753. I suoi genitori Leopoldo ed Elisabetta Roberti di Castelfranco in Miscano accolsero la loro creatura che avevano dato alla luce il 5.3.18401,e, gli infusero quei valori culturali ed umani che sempre lo avrebbero accompagnato nella sua infaticabile attività pastorale e culturale. Scarse sono le date relative al periodo di infanzia trascorsa a Greci e a Bovino. La Famiglia francescana dai frati minori osservanti di S. Angelo in Puglia lo accolse nei conventi. E’ stato alunno di


53 Propagande Fide di Roma, e presto nasce il desiderio della missione in Albania. Il padre Schuler negli annali dell’ordine annota alcuni passi salienti la vestizione avvenne il 25.5.1858, la professione religiosa il 26.3.1859, La professione solenne avvenne il 22.9.1859 e consacrato sacerdote il 14.5-14.5.1865. I suoi studi teologici li completa presso 1'Istituto di Propaganda Fide di Roma. Prima di partire per la missione in Albania, torna a Greci per la festività di S. Bartolomeo Apostolo, come era suo costume indirizzo ai grecesi un sonetto caudato, datandolo 25 agosto 1865, e divulgandolo mediante fogli volanti stampati, nell’intento dell’autore voleva scuotere il torpore dei grecesi e di incoraggiare il clero locale per una maggiore presa di coscienza, la cosa dispiacque tanto al compatriota Prof. Sac. Luigi Lauda che rispose con veemenza con un opuscolo d’occasione. Si tratta di uno spiacevole episodio di poca eleganza. Il P. De Martino lasciò cadere il silenzio, per fortuna i vincoli amicali non si ruppero. Rinnovando le tradizioni patrie, il suo amore per 1'Albania lo porto a scegliere le missioni in questa nazione, spese circa un quarantennio (1865-1881) della propria esistenza nella diocesi di Sappa alb. Sape (Scutari nella Mailcija) - Albania del nord, tanto fu ferrato nella lirica bilingue che a buon diritto può considerarsi, un poeta ghego e tosco. Non e stata interamente recuperata e valorizzata 1'opera missionaria e poetica di questo solerte pioniere ed apostolo del risveglio albanese, anche in considerazione del periodo delicatissimo della ora dell'indipendenza albanese dal giogo ottomano che perdurava da ben 400 anni, a seguito della morte di Giorgio kastriota Scanderbeg (1406-1464). Infuse nella società albanese il germe della rinascita politica della sua terra avita, cosa che gli procura ostilità da parte delle autorità austriache che brigarono per il suo rientro forzato in Italia. Egli ebbe "oltre all'entusiasmo mistico del francescano ed all'amore sviscerato per il Paese delle Aquile, il dono della carità, la convinzione che la rinascita albanese fosse strettamente legata all'istruzione soprattutto femminili essendo la donna il pilastro della società albanese". Promosse in Albania le scuole di formazione femminili (1871). Fu convinto che la rinascita albanese fosse strettamente legata all'istruzione femminile", -essendo le donna il pilastro della società albanese. Sostenne con entusiasmo le famose "Missioni volanti" nei monti dello aquile albanesi, nella zona della Zadrima o nella regione della Mirdizia, sostenne le vocazioni religiose: tra le quali spiccava quella di Padre Giorgio Fishta (1871-1940) grande poeta lirico nazionale albanese. Fu Padre Fishta che scrisse del suo maestro De Martino: come il "Poeta che per primo scrisse e canto nella dolce lingua, albanese ed ebbe l'ardire di lanciare per iscritto l’allarme all'Europa contro le offese e I' ingratitudine che si perpetravano ai danni dell' Albania, lasciandole sotto il giogo del turco". L'infelice Albania, difatti, era diventata preda delle potenze occidentali e della Grecia che volevano farne una colonia: a sua difesa si elevò la poesia di De


54 Martino che rivendicava il diritto all'indipendenza nazionale, pertanto si rivolse agli italo-albanesi d'Italia. Fu parroco di Troshani (Zadrima), segretario del Vescovo di Sappa Mons. Pietro Severini, svolse anche ruoli di governatore , unendo doti di grande prudenza e fermezza contro le frequenti irruenze e violenza delle autorità turche che maltrattavano la gente e distruggevano i luoghi di culto, Le migliori composizioni e maggiormente ispirate nacquero in Albania e costituirono 1'opera maggiore di "L'Arpa d'un ItaloAIbanese" Venezia,1881, che ebbe una seconda edizione, (Sarno 1914). E’ una raccolta di liriche italiane ed albanesi di notevole lirismo dove campeggia 1'aspirazione di libertà, di fede e di indipendenza dell’Albania» . Degne di nota sono le mirabili traduzioni del "Natale" di Manzoni, 1'Ora pro nobis di Parzanese, gli inni del Marinoni, del Metastasio, 1'inno alla Madonna del Buon Consiglio, patrona dell'Albania, ecc. Con la pubblicazione dell'opera maggiore, P. Leonardo De Martino chiese 1'appoggio materiale e politico perchè 1'Albania potesse liberarsi dall'antica schiavitù ottomana: "Dell'Arpa al sonito, bardo Albanese donando l'obolo pel mio paese, ogni filantropo che me lo da, ei fa grand' opera di carità” Tornato in Italia, nel 1881, viene accolto a Greci con grandi onori dai suoi concittadini, il Municipio stampa nel 1882 "II leone dell'Albania a Greci", e, come segno tangibile degli antichi legami con la madre-patria offre alla sua città natale un celebre olio raffigurante e il "grande ed immortale Eroe albanese, difensore della cristianita G. K. Scanderbeg"3. Con i suoi proclami poetici promosse (insieme ai grecesi D, Gerardo Conforti, 1'abate Luigi Lauda) la costituzione dei comitati politici albanesi sia quello delle Calabrie che quello di Napoli, dove ricoperse la carica di vice-presidente delegato, presidente di quello di Corigliano Calabro; tenne importanti contatti con il celebre poeta Girolamo De Rada, furono questi anni intensi che portarono all'attenzione della diplomazia europea la questione albanese e balcanica». I contemporanei lo ricordarono come uomo dal carattere forte, ottimista e dal grande cuore,Egli si definiva "humilis servus" (umile servo). I conventi francescani fecero a gara nell1 accoglierlo, tanto da definirlo il "poeta di Maria", sempre faceva sentire la sua voce poetica. Fra i tanti si ricorda che fu rettore de Santuario della Madonna di Valleverde (1897- 1898) Nel celebre inno alla Madonna del Caroseno di Greci (1901) cosi poetava: "O Potentissima Nostra Patrona, cinta di triplice aurea corona; Vergine bellissima,quel Caro Seno De' figli ai gemiti non venga meno


55 Dal giogo barbaro della Turchia libera il popolo dell'Albania". Dalle colonne del giornale "LA NUOVA ALBANIA 1898), diretto Dal concittadino Avv. Gennaro Lusi così scriveva: "Oh all’or morrò contento Dopo oltre quattro secoli ch'e morta quando vedrolla in suo poter risorta”. Per le su alte benemerenze, fin dal 1897 gli fu conferito i titoli onorifici di Conte della Commenda della Corona d’Italia e di Conte di Petrella e Sfetigràdo. Il suo vecchio cuore si fermò nel Convento francescano di Sarno il 12-7-1923, prima di chiudere gli occhi, ricevette la visita del suo antico discepolo P. J. Fishta di ritorno da Parigi. II Comune di Greci gli ha intitolato la Biblioteca Civica. con delibera n.°57 del 30 maggio 1987. Scheda del Prof. Robert Elsie Tra i più raffinati del XIX secolo, il poeta della tradizione cattolica scutarina è Leonardo De Martino (1840-1923) dal villaggio di Greci in Campania (Alb. Greci) in provincia di Avellino. È stato inviato in missione apostolica nel 1865, come sacerdote francescano a Shkodėr. Consulta, dopo aver assicurato il sostegno del ministro italiano di istruzione, Francesco Crispi, anch’egli arbreshe di origine albanese ascendenza, De Martino ha preso parte attiva all'apertura della prima scuola italiana in Albania. Per la maggior parte dei suoi anni di servizio missionario nella complessa montagna del nord albanese, è assegnato alla diocesi di Zadrima e Lezhe (Ital. Alessio). Per un tempo, presta servizio come segretario di Prenk Pasha, principe di Mirdita, è stato tutore del suo figlio (1858-1920). È stato anche il mentore del giovane Gjergj Fishta (1871-1940), che è stato il poeta che ha raccolto le tradizioni della regione del nord albanese con una poesia di valore e incisività. Ha lasciato l'Albania alla fine del secolo, sia per la pensione o attivamente incoraggiato a farlo dalla ingerenza del austro-ungherese che voleva far rispettare il potere giurisdizionale imposto dal Kultusprotektorat, e morì a convento di Sarno in Italia il 12 luglio 1923 alla veneranda età di 93 anni. tre. Leonardo è stato un poeta nato il cui talento per il suo verseggiare ha sorpreso molti dei suoi contemporanei, in particolare in quanto egli non ha scritto nella sua lingua madre, ma nel dialetto Ghego del nord Albania, appreso durante la sua permanenza in Albania in quaranta anni come missionario. Egli è l'autore di traduzioni albanese italiano di letteratura religiosa e di poesia in primo luogo di ispirazione religiosa sia in albanese e italiano. Tra le sue traduzioni, che si collocano tra i migliori del periodo, sono Vaji i hapses, un versione albanese de Il Lamento della prigionera del poeta milanese e romanziere Tommaso Grossi (1790-1853), dedicandolo a Dora D'Istria nel


56 1868, e Munnimi i Jezu Krishtit, 1875, la traduzione della Passione di Cristo Gesù di Pietro Metastasio (1698-1782). La sua poesia, si inserisce nella tradizione della letteratura cattolica in Albania del XIX secolo. Col sostegno dell’abate Pjetėr Zarishi (1806-1866) dalla Zadrima; la sua diffusione,( tra le montagne albanesi e nei villaggi sperduti per anni, con fogli volanti con il contributo del suo amico, parroco Ndue o Bytyci (1847-1917) del Kosovo. Persuado dall’amico, De Martino alla pubblicazione in una sola opera. Il conseguente volume, intitolato L'Arpa di un italo-albanese, Venezia 1881. “L'arpa di un italo-albanese”, è un impressionante volume di 442-pagina, la raccolta di scritti di De Martino maturo con chiari versi in italiano e in albanese. La sua importanza come poeta non sta in qualsiasi insolita poetica fantasia o ispirazione, ma nella sua finezza di versi prosodici. E 'stato Leonardo che ha introdotto nuove metri come ad esempio i versi giambici in albanese e pubblicizzato i versi Saffici. È stato anche l'autore di una serie di altri opere religiose, tra le quali un breve natività dramma religioso Nata Kėshnellavet, Shkodėr 1880 (Notte di Natale), il primo del suo genere in albanese, e Arbenorve t'kersctén t'Grisciun Festuér, Shkodėr 1896 (festa appello ai cristiani albanese). (Nostra traduzione dall’Albanese)


57 APPENDICE II. Rassegna stampa l Papa incontra una delegazione albanese per il Giubileo di Scanderbeg L'udienza cade nel 550 anniversario della morte dell'eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg, difensore della cristianità durante l'invasione ottomana. Intervista col prof. Domenico Morelli Sergio Centofanti – Città del Vaticano Papa Francesco incontra oggi alle 17.00, nella Sala Clementina in Vaticano, una delegazione di oltre 200 albanesi, giunti a Roma in occasione del 550.mo anniversario dalla morte di Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, eroe della Nazione albanese. Fanno parte della delegazione il presidente del Parlamento dell’Albania, Gramoz Ruçi, il capo della comunità musulmana Skënder Bruçaj, il capo della comunità Bektaschi (musulmana) del mondo, Haxhi Dede Edmond Brahimaj, l’incaricata d’affari dell’Ambasciata albanese presso la Santa Sede, la signora Majlinda Dodaj, promotrice dell’incontro, il cardinale Ernest Simoni, il presidente della Conferenza episcopale del Paese, mons. George Frendo, arcivescovo di Tirana-Durazzo, mons. Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari-Pult, il vescovo della Diocesi italo-albanese (arbresh) di Lungro, in Calabria, mons. Oliverio Donato, il vescovo della Piana degli Albanesi in Sicilia (arbresh), mons. Giorgio Demetrio Gallaro, e un folto gruppo di artisti albanesi che terrà un concerto stasera al Teatro Argentina a Roma. Giorgio Castriota è stato difensore della libertà del suo popolo e della cristianità in Europa durante il periodo dell’Impero Ottomano e ha avuto rapporti con ben cinque Papi: Eugenio IV, Niccolò V, Callisto III, Pio II e Paolo II. A testimonianza di questo, ancora oggi in un palazzo vicino al Quirinale, una volta sede papale, esiste un affresco che ritrae lo Scanderbeg. Su questo incontro abbiamo sentito il prof. Italo-albanese Domenico Morelli, che partecipò anche all’udienza con San Paolo VI nel 1968 per i 500 anni della morte di Giorgio Castriota. R. - Vogliamo innanzitutto portare il nostro saluto al Santo Padre e soprattutto ascoltare da lui una parola di sostegno, di stimolo ad andare avanti, perché il ricordo di questa figura che è riuscita ad unire tutti i prìncipi di Albania, unisca ancora una volta tutti gli albanesi sparsi nel mondo, a mantenere la propria identità e allo stesso tempo a impegnarsi per i valori che sono propri di questa comunità. D. - Chi era Scanderbeg? R. - Scanderbeg è stato uno dei più grandi condottieri dell’epoca – senz’altro il più grande dell’Albania – che dal 1443 fino al 1468 è


58 riuscito, unendo le forze non solo degli albanesi ma anche con l’aiuto dell’Occidente e con il sostegno dei Papi - a fermare l’invasione turca in Occidente. Quindi viene ricordato per questa ragione ed è stato giustamente definito dai Papi “Athleta Christi”, cioè “Atleta di Cristo”, perché ha difeso in qualche modo la civiltà occidentale e soprattutto la fede dei cristiani in Europa. D. - Qual è oggi la situazione dell’Albania? R. - L’Albania sta lentamente, ma con una grande forza, cercando di entrare nell’Unione Europea e di superare quelle che sono le criticità tradizionali di una società post-comunista. D. - La situazione economica e sociale a che punto è? R. - È in sviluppo perché esistono molti emigranti albanesi in giro per il mondo - in Italia ce ne sono 500mila - i quali mandano qui molte risorse del loro lavoro che si cerca di investire in alcune fabbriche, ma soprattutto in alcune industrie moderne, come quelle dell’informatica. Da questo punto di vista bisogna dire che la Chiesa cattolica sta svolgendo un’opera molto importante per quanto riguarda la sanità e della formazione dei giovani, senza distinzioni di alcun tipo. Ci sono poi accordi con le università italiane, come l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Tor Vergata. D. - Qual è il ruolo della comunità cattolica in Albania? R. – E’ quella di testimoniare quelli che sono i valori cristiani, che sono parte inseparabile della storia e della cultura albanese e che lungo i secoli sono stati in qualche modo messi da parte a causa dell’invasione ottomana e della dittatura comunista dopo. Inoltre, la comunità cattolica promuove i valori del cristianesimo e la vocazione europea del Paese attraverso l’educazione nelle scuole cattoliche che sono molto seguite sia in Albania sia nel vicino Kosovo. Vuole essere una luce che possa spingere tutti gli albanesi a vivere sempre i valori della fraternità. Valori che anche durante le persecuzioni non si sono mai spenti, perché anche nel segreto, durante la dittatura comunista, si è continuato a credere, nelle famiglie si è continuato ad insegnare il catechismo, anche se ci sono stati tanti martiri. https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-11/papafrancesco-delegazione-albania-giorgio-castriota-scanderbeg.html KONFERENZA "RRËNJËT EVROPIANE TË SHQIPËRISË SË GJERGJ KASTRIOT SKËNDERBEUT". Më datë 26 janar 2018 Ambasada e RSh-së në Vatikan inauguroi “VITIN MBARËKOMBETARE TE SKENDERBEUT” me Konferencën “ RRËNJËT EVROPIANE TË SHQIPËRISË SË GJERGJ KASTRIOT SKËNDERBEUT” e cila u mbajt në prestigjozen “Sala Zuccari” të Senatit të Republikës Italiane.


59 Konferenca, e cila u zhvillua dhe nën Patronazhin e Senatit të Republikës, u inaugurua nga Shkëlqesia e Tij Imzot Francesco Canalini – Nunc Apostolik në Sekretarinë e Shtetit të Vatikanit,. si dhe nga Shkëlqesia e Nderuar Kardinali shqiptar Ernest Simoni. Imzot Francesco Canalini, si i deleguari i Sekretarit të Shtetit, Kardinalit Pietro Parolin, në emër të Tij e të Sekretarisë së Shtetit, falenderoi Ambasadën e Republikës së Shqipërisë pranë Selisë së Shenjtë për ftesën në këtë takim kaq domethënës. “ Kjo ditë e themelimit të figurës së Gjergj Kastriot Skënderbeut, mbrojtësit heroik të lirisë së Shqipërisë, - theksoi Imzot Canalini – ka si qëllim t’i nënvizoi sidomos rrënjët Evropiane të këtij vendi fisnik…Shën Nënë Tereza, së bashku me martirët që kanë dëshmuar heroikisht fenë e tyre, i ndimohtë burrat e gratë vullnet mirë për përparimin social e shpirtëror të shoqërisë e të Kishës në Shqipëri”. Në inagurimin e kësaj Konference i pranishëm dhe Kardinali shqiptar Ernest Simoni, i cili në përshendetjen e Tij theksoi se “ Gjergj Kastriot Skënderbeu është shprehje e madhështisë dhe thesar i kombit”. “Ai qe mbrojtës i vlerave të popullit e të vendit – vijoi Kardinal Simoni – ato i përhapi kudo te Papët e në botë…Sigurisht kur flitet për madhështinë e popullit dhe të kulturës dymijë vjeçare të krishtërimit i tregon gjithë Evropës që Skënderbeu ka qënë mbrojtës i tij dhe Evropës, i paqes dhe i gjithë Perëndimit, kjo është e shkruar dhe nga gjithë historianët…. Për këto vlerësime, vetë Papa e quajti mbrojtës i të drejtave fetare e përhapës i dashurisë së Krishtit, duke i dhënë dhe titullin Ushtar i Krishtit”. Më tej e Ngarkuara më Punë, Znj. Majlinda Dodaj , prezantoi kumtesën : “DOKUMENTE TË RËNDËSISHËM MIDIS SKËNDERBEUT DHE SELISË SË SHENJTË”. Ishin pikërisht gjashtë dokumente të Papa Kalistit III të cilët me ndihmën e Arkivit Sekret të Vatikanit u prezantuan për herë të parë për publikun. Këto dokumente dëshmojnë korispondencën e Papa Kalistit III drejtuar Skënderbeut. “Bir i dashur unë nuk do të them shumë, se sa e madhë do të jetë kjo betejë dhe sa me vështirësi do të vijosh të luftosh kundër këtyre të këqijave. Me atë që kemi parë, ne kemi kuptuar se ju keni bërë akte heroike për të mbrojtur tokën , për këtë të përgëzoj me hare e lumturi, për gjithçka që bëni… Perëndia ka mbrojtur besnikët e tu që lujtojnë…Ju keni forcën e një atleti, ju jeni një luftëtar për besimin , besoj se ju do të fitoni mbi barbarët”. Dokumente të tjerë të cilët u përkthyen nga latinishtja në italisht, bënë të kuptohej e të ndihej më afër dhe miqësia me të cilën Papa Kalisti III i drejtohet Skënderbeut. Më tej Imzot Donato Oliverio, Ipeshkvi i Eparkisë së Lungros, solli për të pranishmit temën : “SKËNDERBEU: SIMBOL I UNITETIT”. Profesoresha Lucia Nadin - Laurea Honoris Causa nderuar nga Universiteti i Tiranës për kërkimet shumëvjeçare që interesojnë Shqipërinë - u prezantua me kumtesën : “SHQIPËRIA DHE SKËNDERBEU NË VENECIA, NDËRTHURJE SHEKULLORE JETE, KULTURE, ARTI”. Studiuesi Aurel Plasari prezantoi në këtë Konferencë temën : “ SHQIPËRIA DHE SKËNDERBEU NË ‘DE EUROPA’ TE


60 PIUT TË DYTË”. Ndërsa Loris Castriota Skanderbeg me temën : “KUJTIME TË NJË PARAARDHËSI TË SHQUAR”. Në përfundim Profesoresha Maria Gabriella Belgiorno, nga Universiteti i Perugia-s, analizoi temën : “ SISTEMI ‘EUROPA’ NË IDETË E GJERGJ KASTRIOT SKËNDERBEUT”. Duke falenderuar të pranishmit për pjesëmarrjen në këtë Konferencë, në mbyllje znj. Dodaj u shpreh se “Ndoshta për herë të parë në historinë Evropiane një udhëheqës politik, ushtarak dhe diplomatik pati idenë e bashkimit të të gjitha kombeve dhe përballjen me një rrezik të përbashkët. Për herë të parë ekziston arsyeja për veprim të përbashkët”. Morën pjesë Trupi Diplomatik pranë Selisë së Shenjtë, nga Sekretaria e Shtetit të Vatikanit, Imzot Giovanni Gaspari – Përfaqësues për Ballkanin, akademikë nga universitete të ndryshme papnore dhe italiane, arbëresh dhe bashkëatdhetarë. ONFERENCA “TRASHËGIMIA KULTURORE, HISTORIKE DHE RELIGJOZE E SHQIPTARVE NGA EPOKA E SKËNDERBEUT” Më datë 9 tetor 2017, me iniciativën e të Ngarkuares me Punë, znj Majlinda Dodaj u zhvillua Konferenca “TRASHËGIMIA KULTURORE, HISTORIKE DHE RELIGJOZE E SHQIPTARVE NGA EPOKA E SKËNDERBEUT”. Kjo Konferencë, e cila u mbajt në Sallën prestigjoze Zuccari , në Senatin e Republikës së italisë , dhe nën kujdesjen e Këshillit Papnor për Kulturën, u inaugurua pikërisht nga Presidenti i Këshillit Papnor për Kulturën të Shtetit të Vatikanit, Hirësia e Tij Kardinal Gianfranco Ravasi, i cili vlerësoi kulturën arbëresh e cila përcillet nga brezi në brez gjatë shekujve . Relatorët, secili në zhvillimin e kumtesave të tyre në mënyra të ndryshme, u përqëndruan në trashëgimia e arbëreshve dhe në figurën e heroit kombëtar Skënderbeu . E Ngarkuara me Punë, znj Majlinda Dodaj mbajti kumtesën “Vallja: arbëreshët mes identitetit dhe historisë”, duke prezantuar edhe dokumentarin me të njëjtin titull, realizuar nga znj. Dodaj në vitin 2005 në qytetin arbëresh Civita në provincën e Kozencës, Kalabri. Më pas vijoj Ipeshkvi i Eparkis së Lungros, Mons. Donato Oliviero me temën "Kufitë historik dhe religjoz të Eparkis së Lungros" duke ju referuar në veçanti festave religjoze arbëresh "Kalimere" si dhe Ikonat "Bukuria e ngjyrave". E nderoi këtë Konferencë dhe pjesëmarrja e një prej trashëgimtarëve të Heroit tonë Kombëtar, Loris Kastriota Scanderbeg - gazetar dhe studiues, duke zhvilluar temën “Kontributi i shqiptarve në historinë e Italisë”. Relatorët e tjerë, si Profesori i të Drejtave Religjoze i Universitetit të Bolonjës, Giovanni Cimbalo u përqëndrua tek " Mbrojta e të drejtave e minoritetit arberësh në Kalabri dhe Siçili". Maria Gabriella Belgiorno – Profesore e Pluralizmit Religjoz dhe Sistemit Bashkohorë, zhvilloi temën “ Puglia dhe Shqiperia e Gjergj Kastriot Skënderbeut”.


61 Drejtori i Qëndrës së Enciklopedis Shqiptare “Akademia e Studimeve Albanologjike” - Prof. Aurel Plasari mbajti kumtesën “Skandebegu secum: Memoria Historike e Skëndërbeut e percjellur në Itali nga vet shqiptarët” . Në përfundim të Konferencës Profesori i Etnomuzikologjisë nga Universiteti i Studimeve të Milanos, Nicola Scarldaferri, prezantoi temën “Figura e Skenderbeut ne kenget tradicionale arberesh”. http://www.ambasadat.gov.al/vatican-city/sq/konferenca%E2%80%9Ctrash%C3%ABgimia-kulturore-historike-dhereligjoze-e-shqiptarve-nga-epoka-esk%C3%ABnderbeut%E2%80%9D Dott.ssa Majlinda Dodaj Incaricata Ambasciata Albanese presso la Sede -Roma Telefono: 0039 06 39730415 Fax: 06 39730415 Email: ambalbvatican@libero.it

Figura 3- Albania, 1527 , Geoweb Marciana Cartografia a Stampa. Ruscelli, Vincenzo <1583fl.>; Franco, Giacomo <ca. 1550-1620>; De Franceschi, Francesco <senese>


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Figura 4 Tabula Europae IIII Ruscelli, Girolamo, 'autore:' Ptolemaeus, Claudius1561: Biblioteca universitaria - Genova - IT-GE0038

Un posto per trovare la tua storia familiare Parte 5 - SPEDIZIONE SKANDERBEG IN ITALIA ........ Appena la tempesta cessò (m2) la flotta tornò di nuovo in rotta verso l'Italia. Un vento favorevole riempì le loro vele, e il giorno dopo ai primi raggi del sole apparve la costa della Puglia e una montagna molto alta. Era la parte dell'Italia che si estende lungo l'Adriatico. È la Puglia che la divide in due parti, una greca e l'altra italiana, e comprende anche il Monte Gargano. Skanderbeg, sapeva che il Monte Gargano (Monte S. Angelo) era noto per l'apparizione di San Michele che gridava "Dio sia lodato". Davanti a loro, l'Arcangelo bellicoso era in grande onore, che il principe (Skanderbeg) si inginocchiò, implorando la sua intercessione a Dio che avrebbe avuto successo nella sua impresa. Quando la flotta atterrò, Skanderbeg mandò degli uomini a esplorare la terra. Informato dai suoi corrieri che il nemico non era lontano, risistemarono le loro navi e salparono per Bari. Era appena in tempo perché Ferdinando era stato messo all'angolo dal duca di Angio e dal famoso conte Piccinino e non aveva altra alternativa che arrendersi o farsi prendere dalla spada della mano. Ma alla felice apparizione delle navi di Skanderbeg, lui e le sue forze si ritirarono in fretta dieci (leghe?). Poi libero, Ferdinando andò ad incontrare Skanderbeg. L'incontro fu piuttosto affettuoso e, dopo il primo effusione di mutuo riconoscimento, i due principi si misero insieme in direzione di Bari. Per tutto il tempo la gente si precipitò con impazienza a guardare l'eroe Skanderbeg il cui nome era così rinomato. L'aria risuonava con la loro acclamazione mista al ruggito dell'artiglieria che era stata allevata per formare un campo di operazioni. La questione era se installarla intorno a Bari o vicino all'Abruzzo dove avrebbero potuto aprire una via di passaggio in modo che i confederati Ferdinand potessero unirsi a loro, e che potessero avanzare a capo di una forza riunificata contro il nemico. Questo ultimo parere ha prevalso.


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Lasciando una guarnigione in città, il resto dell'esercito se ne andò con provviste per cinque giorni. Favorito dalla profonda oscurità, passando vicino al nemico, il nemico non li ha attaccati. Quando arrivarono in Abruzzo si gettarono inaspettatamente sui posti di guardia, che, dopo (di avere dispersi, si mise) in comunicazione con i generali alleati Frederico dOUrbino e Allesandro Sforza. Avendo riunito tutte le loro forze, si stabilirono vicino a Ursara, una piccola città in Puglia fedele a Ferdinando. Imparando che il conte Piccinino si stava dirigendo verso Bari, Skanderbeg ei suoi soldati albanesi si presero la responsabilità di questa spedizione. Erano appena arrivati là quando apparve il nemico, ma senza iniziare alcuna azione. I giorni passavano con le schermaglie e nonostante il fatto che gli albanesi fossero in inferiorità numerica, erano sempre vittoriosi. Una battaglia era inevitabile e, dubbioso sul risultato, Piccinino chiese di vedere Skanderbeg. Questo (non si fece) per aspettare, e separato dalle truppe, i due leader si incontrarono in un luogo che era aperto su tutti i lati. Quando Piccinino, che era piccolo e piccolo di statura, vide la figura atletica (fn3) del suo nemico Skanderbeg di fronte a lui, fu sconcertato e rimase in silenzio per qualche istante. Quando si riprese dalla sua eccitazione / emozione, il Conte scaltro entrò in una discussione della questione in questione. (Un sentirelo), grazie alle sue (di cui ??) abilità e misteriosi modi, il Regno di Napoli sarebbe presto assicurato a Ferdinando; e il Duca di Angio e i francesi avrebbero dovuto ritirarsi. E dal momento che sistemare una questione così importante come quella richiedeva molto tempo, fu deciso che si sarebbero incontrati di nuovo il giorno dopo, Piccinino, proponendo un rinvio temporaneo di combattimenti tra i due eserciti che presto sarebbero stati solo uno. Il giorno seguente Skanderbeg e l'onesto e onesto Abanesi partirono all'incontro con solo sette uomini di cavalleria. Lungo la strada incontrarono un soldato del campo nemico che, affascinato dall'ammirazione che Skanderbeg aveva ispirato in tutte le brave persone, rivelò che la strada davanti a loro era disseminata di trappole e che se continuassero sarebbero cadute nelle mani di il nemico. Skanderbeg ordinò a un plotone di cavalleria di fare una ricognizione e confermarono la storia del soldato. Indignato per tale tradimento, Skanderbeg decise di punire Piccinino il giorno dopo. I suoi ufficiali e soldati hanno condiviso il suo risentimento. Dopo questo, il Piccinino voleva meno che mai rischiare la battaglia con truppe così arrabbiate e fanatiche, così quella notte partì in direzione di Lucera. Calcolando il vantaggio che il nemico aveva su di lui, Skanderbeg decise di non inseguirlo. Invece, portò di nuovo il suo esercito a Ursara dove Ferdinando lo aspettava con la divisione italiana. Fu lì che la grande battaglia ebbe luogo il 18 agosto 1461. Sei leghe separarono Ursara da Lucera, e sebbene il monte Sejano (fn4) e la città di Troja (Troia) fossero tra di loro, gli eserciti presto si sarebbero ritrovati l'uno contro l'altro. La montagna divenne il punto strategico. Piccinino voleva impossessarsene, ma Skanderbeg


64 lo aveva già anticipato e ne prese il controllo. Piccinino posizionò tutta la sua artiglieria alla testa del corpo di battaglia che si estendeva su tre linee. Skanderbeg e Ferdin disegnarono il loro esercito, tutta la fanteria albanese e italiana, in due linee. L'esercito italo-albanese si scagliò contro il nemico e l'impeto del loro attacco fu tale che l'artiglieria di Piccinino non ebbe il tempo di sparare. Mentre iniziava a riprendersi dal primo attacco, una forte carica albanese lo disperse. Skanderbeg, il Duca di Angio e Piccinino combattevano ferocemente per la vittoria, e mentre l'artiglieria cercava di scappare si ritrovò attaccato da tutte le parti. Inseguito, il Duca di AngioO arrivò alle mura di Troja e sarebbe stato fatto prigioniero se gli abitanti non lo avessero trascinato dentro con l'aiuto di una corda. Dopo di che partì per Genova e si imbarcò per la Francia. Dopo la vittoria, Ferdinando, insieme a Skanderbeg, partì dritto per Napoli dove senza alcuna difficoltà fu proclamato re con il supporto entusiastico di tutte le città del Regno di Napoli. Solo una città in Puglia, Trani, ha continuato a resistere, perché il governatore, Fusiani, aveva approfittato dell'assenza di Ferdinando e non aveva rinunciato al suo potere. Ma fu alienato da Skanderbeg e perfino questa città venne a riconoscere Ferdinando come suo re. L'esercito albanese rimase in Italia per un anno. La guerra vinse e Ferdinando tornò al trono, Skanderbeg pensò di andarsene. La grande preda di Costantinopoli, o piuttosto il suo desiderio di placare la sete dell'insaziabile Sultan Maometto, lo aveva molto irritato. Maestro della Morea, il sultano turco aveva conquistato tutto il continente greco, da molte isole dell'arcipelago fino alla Serbia. Con tutte le sue lotte, l'Albania poteva ancora rispettare se stessa, contento che il suo eroe Skanderbeg vivesse per mantenere viva la fede dei suoi antenati e per rendere il paese libero. Quando Skanderbeg annunciò che voleva tornare in Albania, il re Ferdinando mostrò la sua profonda gratitudine in presenza di tutta la sua corte, e in seguito lo travolse con doni di terra tra cui le città di Trani, Monte Gargano e S. Giovanni Rotondo. Queste tre città della Puglia un giorno potrebbero diventare preziose come rifugio nel caso in cui Skanderbeg dovesse alla fine soccombere all'implacabile conflitto contro i turchi. (Fn5) 6 ************************** FOOTNOTES - Parte 5: (fnl) Questa intera parte 5 è stata originariamente scritta in francese da Pagnel, uno scrittore nel XV secolo nella sua pubblicazione dal titolo "I TURCHI E LA STORIA DI SKANDERBEG". [NOTA: è stato tradotto in italiano (forse da Conforti?) E poi ho tradotto questa bozza dall'italiano all'inglese. - Dick Vara, 1997] (fn2) Dopo la morte di Alfonso I d'Aragona, Ferdinando suo figlio naturale reclamò la corona in virtù di una volontà. Ma diversi principi ambiziosi formarono un'alleanza per cacciarlo dal trono, offrendo il Regno di Napoli al Duca di Angio. Invano papa Pio II cercò di convincerli ad abbandonare un'impresa così ingiusta.


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Ferdinando, vedendo che non era in grado di resistere alla furia dei suoi nemici con le sue stesse forze, decise di chiedere l'aiuto di un amico di suo padre, l'eroe albanese George Castriota Skanderbeg. Mandò una lettera in cui chiedeva aiuto il 31 ottobre 1450. Skanderbeg si mise subito d'accordo con i turchi per non lasciare il suo stato senza difesa e i suoi sudditi esposti a incursioni, saccheggi e saccheggi. Fingendo di essere infastidito dalla guerra, alla fine accettò la tregua che Maometto II (Murad II?) Gli aveva proposto per molti anni. Lasciata la principessa, sua consorte, come reggente di stato, scese a Ragusa dove con la marina napoletana (mise?) Marciava verso l'Italia. Secondo gli storici contemporanei, l'esercito che Skanderbeg condusse in Italia per aiutare Ferdinando d'Aragona, contava circa settantadue soldati di fanteria e un altro duemiladuecento cavalieri, formato da soldati scelti ed esperti che erano abituati alla vittoria. A riprova della scortesia nei cuori dei cospiratori baronali contro Skanderbeg e il suo Albanese, ecco una lettera piena di distorsioni che il Principe di Taranto scrisse a Skanderbeg; e la risposta dignitosa data dall'eroe albanese. La lettera a Skanderbeg: Giovanni Antonio, principe di Taranto, in Georgia Albanese, saluto. (Conveniva a te?), Che la fortuna che avevi mostrato nella guerra con i nemici della religione cristiana, che a volte aveva combattuto forzatamente, poi lasciando quel campo, sei venuto in Italia per guidare i tuoi eserciti contro i cristiani? Che causa hai contro di me? Che cosa ho fatto contro di te? Quali controversie fanno tra di noi? Hai rovinato i miei territori e stai dando sfogo ai miei sudditi, e prima hai (mosso?) La guerra che (proposta?). Ti vanti che sei un grande guerriero per la religione cristiana e (pur?), Ma tu perseguiti questo (geate?) Che per ogni ragione si chiama cristianesimo. Hai trasformato il tuo ferro contro i Francesi del Regno di Sicilia. Forse hai pensato di prendere l'esercito contro i turchi effeminati a cui sei abituato a ferire alle spalle. Troverai altri uomini che supportano tutti il tuo aspetto fiero (?) E nessuno ti eviterà la faccia. I nostri soldati italiani ti sfidano molto bene e non temono l'albanese. Conosciamo già la vostra generazione e rispettiamo le pecore albanesi, ed è imbarazzante avere un popolo così vigliacco per i nemici; (Ne?) avresti intrapreso un affare del genere se fossi rimasto a vivere in casa tua. Avete evitato l'assalto dei Turchi e non avendo il potere di difendere la vostra casa, avete pensato di invadere altri popoli. Sei ingannevole. Invece di una nuova casa stai cercando la tua tomba. Addio......


66 Lettera di Skanderbeg al Principe di Taranto: Giorgio, gentiluomo d'Albania, a Giovanni Antonio, principe di Taranto, saluto. Avendo fatto una tregua con il nemico della mia religione, non ho voluto che il mio amico rimanesse (frode) del mio aiuto. (Spesso) Tempi, Alfonso, suo padre, ha invitato il mio aiuto mentre io sono in guerra contro i turchi. Perciò sarei molto ingrato se non avessi resistito (l’istesso?) al servizio di suo figlio. Ricordo cosa ha fatto il tuo re perché ora (non deve vedere succedergli?) Questo che è suo figlio? Hai adorato suo padre, e perché ora cerchi di buttar fuori suo figlio? Da dove viene questo potere? Chi ha il potere di stabilire il Re di Sicilia, tu o il Romano Pontefice? Sono venuto ad aiutare Ferrante, figlio del re e sede degli Apostoli. Sono venuto contro la tua infedeltà e innumerevoli grandi tradimenti in questo regno. (Ned?) Sarai mai impunito per la tua falsa testimonianza. Questa è la ragione della mia guerra contro di te. Merito questo non meno di quanto meritassi di fare guerra ai turchi, né sei meno turco di loro. (Imperocche vi sono alcuni?) Che ti guida in linea retta per non essere di qualche setta. Voi miei avversari, i francesi e i nomi di quelle persone, e quelli per la religione conducono una grande guerra. Non voglio contestare questioni antiche con te, argomenti che forse erano molto meno di quanto è stato detto su di loro. Certamente ai nostri tempi le armate aragonesi hanno spesso corso nel Mar Egeo, hanno saccheggiato le coste turche, hanno (cron?) La preda dei nemici; e ancora oggi gli eserciti aragonesi difendono Troja dalle fauci del nemico. Perché ricordo le cose vecchie e lasciavo le nuove parti? Se cambiano i costumi di famiglia e gli aratori del regno, i re degli aratori tornano? (Neeremo nobilita più antica della virtù). Né posso negare che non sei con la odiosa nazione francese, (imperocche) sei principalmente in aiuto del re Alfonso, hai cacciato i francesi di questo regno. Non so ora quale nuova virtù risplenda in questo. Forse è una nuova stella che hai visto tra i francesi? Inoltre, hai disprezzato il nostro popolo e paragonato l'Albanese alle pecore, e secondo la tua abitudine pensa a noi con insulti. Né ti sei mai mostrato di avere alcuna conoscenza della mia razza. I miei antenati provenivano dall'Epiro, da cui proveniva questo Pirro, la cui forza non poteva certo sostenere i Romani. Questo Pirro, che Taranto e molti altri luoghi d'Italia hanno trattenuto con gli eserciti. Non devo parlare per gli Epiroti. Sono uomini molto più forti dei tuoi Tarantini, una specie di uomini bagnati che sono nati solo per pescare. Se vuoi dire che l'Albania fa parte della Macedonia, ammetterei che molti dei nostri antenati erano nobili che andarono fino in India sotto Alessandro Magno e sconfissero tutte quelle popolazioni con incredibile difficoltà. Da quegli uomini vengono questi che hai chiamato pecore. Ma la natura delle cose non è cambiata. Perché i tuoi uomini scappano in faccia alle pecore?


67 In passato gli Albanese hanno (fatto?) Esperienza se i Pugilesi erano armati; (neO) Vorrei trovare di nuovo qualcuno che sarebbe stato in grado di aspirare alla mia natura. Ho notato bene da dietro quanti dei tuoi soldati sono ben armati ma non sono mai stato in grado di vedere il loro elmetto o (tanpoco?) La faccia tranne quelli che sono diventati prigionieri. (NeO?) Cerco la tua casa (Bastandomi?) La mia. Inoltre, è risaputo che spesso avresti sparato ai tuoi vicini per le loro proprietà, dato che ora avresti forzato il re della tua casa e del tuo regno. (Che se?) Se cado nel difficile compito che ho intrapreso, sarò sepolto come (mivai?) Desiderando nella tua lettera, restituirà la mia anima come ricompensa dal Cancelliere dell'universo, di Dio. Non solo avrò perfezionato la mia intenzione, ma avrò anche programmato e tentato qualche atto distinto. Addio.... (fn3) - Il Piccinino era molto piccolo di statura, e quando si incontrarono, Skanderbeg lo prese per le braccia e lo sollevò in aria come un bambino. (fn4) - Con riferimento al luogo in cui avevano la suddetta battaglia, l'eminente (am?) Terlizzi mi diede il seguente: OReferring alle battaglie del 1461 in cui gli angioini stavano cercando di riconquistare il Regno di Napoli, io ho non è stato in grado di imparare se in (agro?) di Troja c'è un posto chiamato Monte Sejano, dove secondo Paganel (dal quale hai ricevuto l'informazione) ha avuto luogo la rotta degli Angioni; ma dovrei credere che si riferisse al monte Magliano o Montemaggiore che sono due vasti possedimenti nel territorio di Orsara, esattamente a metà strada sulla strada per Troja. Molto probabilmente era il monte Magliano perché ricordo di aver letto che uno degli eserciti era accampato sul Verditello, che è una montagna separata che domina la strada tra Orsara e Troja vicino a Magliano e Montemaggiore. Inoltre, il Lago di sangue, vicino a Terrastrutta (Ripalonga), come sappiamo, si trova sotto Crepacore all'inizio del fiume Sannoro. Il suo nome indica certamente che ci doveva essere qualche combattimento qui. Ma questo accadde nel 1461 e indicai lo sterminio degli angioini già battuti e messi in fuga. O forse si riferisce all'ennesima sconfitta degli angioini avvenuta vent'anni prima quando Alfonso I d'Aragona sconfisse l'ultima resistenza dei suoi avversari ad Orsara e assicurò la conquista del Regno di Napoli? O non riferendosi a questo, ma piuttosto ad un altro incontro ancora più antico tra gli eserciti? Il professor Flammia nella sua storia della città di Ariano, a pagina 117, dice che un luogo concavo vicino a Castiglione si chiama Lago di sangue perché nel 1461 Ferdinando d'Aragona venne a caccia di Giovanni d'Angiò d'Orsara, lo seguì e lo raggiunse qui, massacrato il suo nemico tanto che il sangue scorreva in un (fossatello?) e rimase a lungo come uno spettacolo orribile per i visitatori. Tuttavia questa versione registrata da Flammia è improbabile o quanto meno esagerata. Alla fine, ricordo che la prima battaglia in


68 cui gli angioini furono battuti principalmente dalle operazioni di Skanderbeg e Albanese, era avvenuta sul monte Arato che è una collina situata tra Lucera e Troja. (fn5) - Per onorare Skanderbeg, che restaurando il legittimo sovrano al trono, ripristinò la pace in tutta Italia, il Papa venne a Napoli accompagnato da vari principi e gli offrì ricchezze e grandi doni. Diversi paesi europei hanno promesso di cooperare con lui e inviare grandi eserciti per aiutarlo a combattere gli ottomani, ma sfortunatamente i popoli occidentali hanno avuto un debole entusiasmo per i crociati (prischi?) E dopo la morte del suo eroe Skanderbeg, l'Albania è ancora caduta sotto la sottomissione dei turchi. Ritornato a Roma, il Papa fu accompagnato da Skanderbeg a cui concesse in dono un palazzo sul lato del Quirinale sulla strada che ancora oggi porta il nome di Ovia Skanderbeg. Oggi tutti possono ammirare un magnifico ritratto dell'eroe albanese inciso e ben conservato sul frontone di questo palazzo, nel muro in cima all'ingresso. Allo stesso tempo, il suddetto pontefice, non potendo offrire altro, gli diede diecimila scudi per la causa del suo paese. Skanderbeg gliele restituì cortesemente, ringraziandolo e suggerendo che con i soldi avrebbe potuto dire una messa per l'Albanese murata. È anche documentato che quando Skanderbeg lasciò Napoli, lasciò lì la sua spada sull'impugnatura di cui è inscritto il suo ritratto. È ancora conservato nel palazzo reale di Capodimonte insieme alle spade di Carlo V ed Ettore Fieromosca. Skanderbeg morì nel 1467 e fu sepolto nella chiesa di S. Nicolò ad Alessio. Tuttavia, questa chiesa fu trasformata in una moschea dai turchi che, (per altro?) (Ne facero?) Del talismano, credono che nelle ossa di questo eroe, come nei capelli di Sansone, fu riposata una forza divina. Progetto di traduzione di Dick Vara - 4/12/97 Fonte: http://www.grecicousins.com/41.html

Giovanni Antonio, principe di Taranto, a Giorgio Albanese, saluto. (Conveniva a te?), Che la fortuna che avevi mostrato nella guerra con i nemici della religione cristiana, che a volte aveva combattuto


69 forzatamente, poi lasciando quel campo, sei venuto in Italia per guidare i tuoi eserciti contro i cristiani? Che causa hai contro di me? Che cosa ho fatto contro di te? Quali controversie fanno tra di noi? Hai rovinato i miei territori e stai dando sfogo ai miei sudditi, e prima hai (mosso?) la guerra che (proposta?). Ti vanti che sei un grande guerriero per la religione cristiana e (pur?), Ma tu perseguiti questo (gente?) Che per ogni ragione si chiama cristianesimo. Hai trasformato il tuo ferro contro i Francesi del Regno di Sicilia. Forse hai pensato di prendere l'esercito contro i turchi effeminati a cui sei abituato a ferire alle spalle. Troverai altri uomini che supportano tutti il tuo aspetto fiero (?) E nessuno ti eviterà la faccia. I nostri soldati italiani ti sfidano molto bene e non temono l'albanese. Conosciamo già la vostra generazione e rispettiamo le pecore albanesi, ed è imbarazzante avere un popolo così vigliacco per i nemici; (Ne?) avresti intrapreso un affare del genere se fossi rimasto a vivere in casa tua. Avete evitato l'assalto dei Turchi e non avendo il potere di difendere la vostra casa, avete pensato di invadere altri popoli. Sei ingannevole. Invece di una nuova casa stai cercando la tua tomba. Addio......

Lettera di Skanderbeg al Principe di Taranto: Giorgio, gentiluomo d'Albania, a Giovanni Antonio, principe di Taranto, saluto. Avendo fatto una tregua con il nemico della mia religione, non ho voluto che il mio amico rimanesse (frode) del mio aiuto. (Spesse?) Tempi, Alfonso, suo padre, ha invitato il mio aiuto mentre io sono in guerra contro i turchi. Perciò sarei molto ingrato se non avessi resistito (lo istesso?) Al servizio di suo figlio. Ricordo cosa ha fatto il tuo re perché ora (non deve vedere succedergli?) Questo che è suo figlio? Hai adorato suo padre, e perché ora cerchi di buttar fuori suo figlio? Da dove viene questo potere? Chi ha il potere di stabilire il Re di Sicilia, tu o il Romano Pontefice?


70 Sono venuto ad aiutare Ferrante, figlio del re e sede degli Apostolica. Sono venuto contro la tua infedeltà e innumerevoli grandi tradimenti in questo regno. (Ned?) Sarai mai impunito per la tuo falsa testimonianza. Questa è la ragione della mia guerra contro di te. Merito questo non meno di quanto meritassi di fare guerra ai turchi, né sei meno turco di loro. (Imperocché vi sono alcuni?) Che ti guida in linea retta per non essere di qualche setta. Voi miei avversari, i francesi e i nomi di quelle persone, e quelli per la religione conducono una grande guerra. Non voglio contestare questioni antiche con te, argomenti che forse erano molto meno di quanto è stato detto su di loro. Certamente ai nostri tempi le armate aragonesi hanno spesso corso nel Mar Egeo, hanno saccheggiato le coste turche, hanno (cron?) La preda dei nemici; e ancora oggi gli eserciti aragonesi difendono Troja dalle fauci del nemico. Perché ricordo le cose vecchie e lasciavo le nuove parti? Se cambiano i costumi di famiglia e gli aratori del regno, i re degli aratori tornano? (Vedremo nobilita più antica della virtù). Né posso negare che non sei con la odiosa nazione francese, (imperocche) sei principalmente in aiuto del re Alfonso, hai cacciato i francesi di questo regno. Non so ora quale nuova virtù risplenda in questo. Forse è una nuova stella che hai visto tra i francesi? Inoltre, hai disprezzato il nostro popolo e paragonato l'Albanese alle pecore, e secondo la tua abitudine pensa a noi con insulti. Né ti sei mai mostrato di avere alcuna conoscenza della mia razza. I miei antenati provenivano dall'Epiro, da cui proveniva questo Pirro, la cui forza non poteva certo sostenere i Romani. Questo Pirro, che Taranto e molti altri luoghi d'Italia hanno trattenuto con gli eserciti. Non devo parlare per gli Epiroti. Sono uomini molto più forti dei tuoi Tarantini, una specie di uomini bagnati che sono nati solo per pescare. Se vuoi dire che l'Albania fa parte della Macedonia, ammetterei che molti dei nostri antenati erano nobili che andarono fino in India sotto Alessandro Magno e sconfissero tutte quelle popolazioni con incredibile difficoltà. Da quegli uomini vengono questi che hai chiamato pecore. Ma la natura delle cose non è cambiata. Perché i tuoi uomini scappano in faccia alle pecore? In passato gli Albanesi hanno (fatto?) Esperienza se i Puglieesi erano armati; (ne) Vorrei trovare di nuovo qualcuno che sarebbe stato in grado di aspirare alla mia natura. Ho notato bene da dietro quanti dei tuoi soldati sono ben armati ma non sono mai stato in grado di vedere il loro elmetto o (tanpoco?) La faccia tranne quelli che sono diventati prigionieri. (Ne?) Cerco la tua casa (Bastandomi?) La mia. Inoltre, è risaputo che spesso avresti sparato ai tuoi vicini per le loro proprietà, dato che ora avresti forzato il re della tua casa e del tuo regno. (Che se?) Se cado nel difficile compito che ho intrapreso, sarò sepolto come (mi vai?) Desiderando nella tua lettera, restituirà la mia anima come ricompensa dal Cancelliere dell'universo, di Dio. Non solo avrò perfezionato la mia intenzione, ma avrò anche programmato e tentato qualche atto distinto. Addio....


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Giovanni Antonio Orsini Del Balzo Giovanni_Antonio_Orsini_de lGiovanni Antonio Orsini Del Balzo (1401–1463) Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, figlio di Raimondo Orsini Del Balzo, Principe di Taranto e Conte di Soleto, e di Maria d’Enghien, Contessa di Lecce, nacque nel 1401 a Lecce. Alla morte del padre Giovanni Antonio non ereditò subito il governo del Principato, in quanto la madre sposò Ladislao di Durazzo, Re di Napoli, che ne requisì i possedimenti. Insieme alla madre Giovanni Antonio si trasferì quindi a Napoli, dove restò anche a seguito della morte di Ladislao, in uno stato di semi prigionia voluto dalla regina Giovanna II, ostile a lui e alla madre. Solo nel 1417 furono liberati e poterono tornare a Lecce e nei loro possedimenti. Recentemente si è ipotizzato di identificare in un Giovanni Antonio ancora fanciullo, un personaggio rappresentano nella scena del “Battesimo di Gesù” a Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. Giovanni_Antonio_Orsini si riconciliò in seguito con Giovanna II che, il 4 maggio 1421, gli confermò, per meriti politici, il Principato di Taranto. Alla morte della madre, Maria d’Enghien, Giovanni ereditò la Contea di Lecce.Abile stratega e politico riuscì ad ingrandire i suoi possedimenti che costituivano quasi un regno all’interno del Regno di Napoli, di cui divenne uno dei signori più potenti, trasformando Lecce in una sorta di signoria rinascimentale. Egli fu infatti Principe di Taranto, Duca di Bari, Conte di Lecce, Conte di Acerra, Conte di Soleto e Conte di Conversano, Signore di Altamura, Conte di Matera e Conte di Ugento. Si diceva ai tempi che egli potesse cavalcare da Napoli fino a Taranto senza mai toccare terra altrui. Nel 1426 sposò una nipote di papa Martino V, Anna Colonna, donna che le cronache dell’epoca ci descrivono come, corpulenta oltre ogni immaginazione“. Durante le lotte dinastiche sorte alla morte senza eredi di Giovanna II, sorella maggiore di Ladislao, tra Renato d‘Angiò e Alfonso V d’Aragona, Giovanni si schierò con quest’ultimo. Dopo l’ascesa al trono di Alfonso venne nominato connestabile di Bari. Dopo la morte di Alfonso fu a capo di una ribellione di baroni schierati a favore di Giovanni d’Angiò ed ostili a Ferdinando d’Aragona, figlio illegittimo di Alfonso, nonostante questi fosse diventato suo nipote, avendo sposato Isabella di Chiaromonte, figlia della sorella Caterina Orsini Del Balzo. Per tutta la durata del conflitto l’atteggiamento di Giovanni Antonio fu sempre molto ambiguo, tanto che alla fine, seppur sconfitto, si riconciliò con Ferdinando e Giovanni Antonio morì nel 1463, per un grave attacco di malaria secondo alcuni, a causa di una congiura, strangolato da un sicario dallo stesso re per altri. Fu sepolto nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. L’improvvisa morte dell‘Orsini diede una svolta definitiva a favore di Ferdinando nella guerra di successione per il Regno di Napoli. Il Ferdinando permise che la moglie Anna Colonna mantenesse il feudo di Ceglie del Gualdo sino alla sua morte, avvenuta nel 1469. Non avendo figli legittimi, Giovanni Antonio aveva nominato del principato la nipote Isabella, figlia della sorella Caterina Orsini Del Balzo e di Tristano di Chiaromonte, moglie di Ferdinando, che sarà re di Napoli dal 1458 al 1494 col nome di Ferdinando I di Napoli. Il suo principato, e quindi la Contea di Lecce, furono così incamerati nel demanio regio.


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Figura 5Tomba di Giovanni Antonio Orsini

http://www.castellocarlov.it/giovanni-antonio-orsini-del-balzo/

CITTADINI ONORARI DI GRECI

Prof. Martin Camaj Martin Camaj (1925-1992) era un linguista, scrittore e folklorista albanese. È considerato uno dei principali autori della moderna prosa albanese. Il suo romanzo Rrathë è considerato il primo romanzo psicologico scritto in albanese. [1] Vita Martin Camaj è nato a Temal, nel distretto di Shkodër, nella contea di Shkodër, nell'Albania nordoccidentale il 21 luglio 1925. Ha studiato per la prima volta nel Collegio Saveriano dei Gesuiti di Scutari e in seguito nell'Università di Belgrado. [2] Più tardi Camaj lavorò come professore di albanese all'Università Sapienza di Roma, dove fece ricerca post-laurea e terminò gli studi di linguistica nel 1960. Nel 1957 divenne redattore capo della rivista albanese Shejzat pubblicata a Roma. Nel 1961 si stabilisce a Monaco e dapprima lavora come lettore presso l'Università Ludwig Maximilian di Monaco, mentre nel 1964 diventa Privatdozent. [2] Nel 1970 ha conseguito la cattedra e fino al 1990 è stato professore di Albanologia presso la stessa università. Residente a Lenggries, in Baviera dagli anni '70, Camaj è morto lì il 12 marzo 1992. [1]


73 Studi Le opere di Camaj ruotano attorno a temi come la perdita e la ricerca della tradizione e la solitudine causata dai cambiamenti futuri. Le sue prime raccolte di versi Nji fyell ndër male (Un flauto in montagna) e Kanga e Vërrinit (Canzone dei pascoli di pianura) furono pubblicate a Pristina rispettivamente nel 1953 e nel 1954. Il suo primo grande lavoro in prosa fu Djella, pubblicato a Roma nel 1958. Il suo prossimo romanzo Rrathë (Circles) fu pubblicato a Monaco nel 1978. Rrathë, che è la più grande opera di Camaj, gli ci vollero quindici anni per essere considerato il primo romanzo psicologico scritto in albanese. Il romanzo è diviso in tre cicli di acqua, fuoco e sangue, che simboleggiano temi ricorrenti metafisici e sociali. Nel 1981 fu pubblicata una raccolta intitolata Shkundullima (Quaking) che includeva cinque racconti e un'opera teatrale di Camaj. Il suo ultimo romanzo Karpa, pubblicato nel 1987 a Roma, è un'opera distopica ambientata nel 2238. [1]

fonti Elsie, Robert; Inghilterra), Centre for Albanian Studies (London, 2005), letteratura albanese: una breve storia I.B.Tauris, pp. 185-6 ISBN 978-1-84511-031-4, ritirato il 1 ° luglio 2011. Demiraj, Bardhyl (2010). Wir sind die Deinen: Studien zur albanischen Sprache, Literatur und Kulturgeschichte, dem Gedenken e Martin Camaj (1925-1992) gewidmet. Otto Harrassowitz Verlag. ISBN 978-3-447-06221-3. Estratto il 7 luglio 2011.

Cordoglio per la scomparsa del Prof. Sen. Giuseppe Vedovato Cittadino onoraio di Greci

E' tornato alla casa del Padre il Prof. Sen. Giuseppe Vedovato, si è spento il giorno 18 gennaio 2012 presso il Policlinico Gemelli di Roma, ,la ferale notizia è giunta anche nella sua comunità arbreshe di origine di Greci, una esistenza vissuta con grande impegno civico, culturale, cristiano , politico . Alla sua venrenda età di 99 anni,


74 generazioni di giovani e di uomini si inchinano davanti alla sua grande personalità di uomo esemplare, di professore e politico integerrimo. Benefattore insigne ed presidente emerito del Consiglio di Europa, si può dire che la legislazione europea e la giurisprudenza è passata tra le sue sapienti mani ed intelligenza acuta. Esprimiamo il nostro vivo cordoglio alla sua diletta sposa, alla faniglia la nostra vicinanza nella preghiera e nella gratitrudine per l'operato del prof. Vedovato e alle sue molteplici attività editoriali, niobchè il suo alto magistero. Grazie Prof. Giuseppe Vedovato per la testimonianza cristiana. Restano le molteplici fondazioni, gli studi e la lezione di vita di un Padre dell'Europa, la donazioni del Museo e della Biblioteca Vedovato a Greci, suo paese natale e degli Istituti universitari quali la Pontificia Università Gregoriana e di altre realtà. Il Comune di Greci ha conferito la Cittadinanza onoraria al Prof. Vedovato per alti meriri scientifici e culturali nonché per il dono al suo comune di nascita della sua collezione di manufatti artistici dell’oriente , costituendo ilMuseo Vedovato e per la cospicua donazione della Biblioteca Vedovato.

Il Prof. Sen. Giuseppe Vedovato, inaugura il Museo-Biblioteca Giuseppe Vedovato nel suo paese natale Greci I funerali si terranno il giorno 20 gennaio a Roma. Giovanni Orsogna Fonti bioblibliografiche Fonte: Wikipedia Giuseppe Vedovato (Greci, 13 marzo 1912 – Roma, 18 gennaio 2012) è stato un politico italiano di etnia arbëreshë.

Cenni biografici Vedovato approdò a Firenze nel 1930 per iscriversi al Regio istituto superiore di scienze sociali e politiche "Cesare Alfieri", allora il massimo luogo italiano di formazione politica, economica e sociale. Essendo rimasto orfano di guerra dal 1916 e di madre dal 1924 e non avendo beni di fortuna familiari, si mantenne durante gli studi facendo l'impiegato a Teti. Nel 1937 fu nominato redattore capo della Rivista di studi politici internazionali fondata tre anni prima come organo dello "Studio fiorentino di politica estera". Tuttavia Vedovato non fu presente solamente nell'ambiente universitario ma, in una Firenze tanto vivace culturalmente, frequentò salotti e circoli. L'appartenenza al laicato cattolico gli aprirono le porte dei palazzi ecclesiali e della politica. Così il 7 dicembre 1952 entrò a far parte della Giunta centrale dell'Azione cattolica fiorentina. Nel frattempo fu eletto per la Democrazia Cristiana consigliere provinciale nel 1951 e nel 1953 deputato, fino a diventare senatore, carica che mantenne sino al 1976. Presidente eletto dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa dal 1972 al 1975, è anche stato Presidente dell'Associazione Nazionale degli ex-Parlamentari della Repubblica. Professore emerito di storia dei trattati dell'Università di


75 Roma. È autore di moltissimi contributi di politica internazionale. Ha guidato missioni diplomatiche in molti paesi africani, asiatici e dell'America Latina. Rimasero famose le sue dimissioni da sottosegretario alla giustizia nel governo Leone II dopo pochi giorni dalla nomina, perché uno dei pochissimi casi di rifiuto di una poltrona molto ambita dagli altri parlamentari. Cittadino onorario di Greci suo paese natale, al comune ha donato una preziosa Biblioteca e Museo "Vedovato" che è stato inaugurato nell'estate del 2011. Si è spento all'età di 99 anni nel Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" di Roma il 18 gennaio 2012. Bibliografia • Andrea Francioni, Memoria, storia e storiografia: Giuseppe Vedovato, il suo tempo, il suo impegno politico-culturale, in "Rivista di Studi Politici Internazionali", vol. 77, fasc. 306, aprile-giugno 2010, pp. 298-303. • Giulio Cipollone, Guido Ravasi, "Giuseppe Vedovato costruttore d'Europa", Milano, Nagard, 2011

Greci. Conferita la cittadinanza onoraria al prof. Giuseppe Vedovato... un tuffo nelle radici di Greci "A voi, giovani e non meno giovani irpini, l'augurio di tendere con impegno, con entusiasmo e con fede a seguire gli esempi che vi sono stati consegnati da Italiani ed Europei eminenti."


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Greci, 28 dicembre 2009. La suggestiva e rara cerimonia dell'incontro dopo 92 anni del Prof. Giuseppe Vedovato con il paese di Greci, in modo straordinario si è consolidato un legame mai disgiunto dalle origini, il paessato è diventato presente e con l'impegno civile e morale ne ha fatto una grande lezione di etica . Greci-Katundi per un giorno è andata alla ribalta, con la venuta del presidente onorario dell'Assemblea Europea di Strasburgo, nella persona adamantina, forte della voce inmponente di questo padre dell'Europa, associato a Churchill, De Gasperi, unico nella storia che ha avuto il meritato onore di un busto bronzeo a Strasburgo e che per volere del nostro caro Prof. Sen. Vedovato, una copia da questo giorno sarà di monito alle future generazioni, si ammira nell'atrio del palazzo comunale Lusi di Greci. La prolusione di ringraziamento che qui si pubblica è divenuta una lectio magistralis di alto valore e suscita forti interrogativi, oltre all'impegno di un uomo, di un cristiano fedele ai valori della pace, della giustizia e dei diritti civile del mondo. Si ricorda la cospicua donazione di 30.000 volumi al Consiglio d'Europa, i 4500 volumi alla Pontificia Facoltà Gregoriana, il dono prestigioso di una cospicua dotazione libraria alla costituenda Fondazione "Giuseppe Vedovato" nel comune natale di Greci. E' stato molto bello che la giornata è iniziativa con la celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Renato Raffaele Martino, venuto a Greci per onorare l'amico fraterno e il benefattore, il giurista, ma soprattutto l'umile operario della Vigna del Signore che nella sua lunga vita è stato il testimone fedele dei valori cristiani e culturali a difesa dei poveri tra i poveri. L'annuncio della costituzione del Centro Studi Europeo "Giuseppe Vedovato" per i valori etici e culturali dell'Europa Unita. Da questo blog esprimo al Prof. Giuseppe Vedovato, la più sincera gratitudine della nostrra terra dell'Irpinia, con il pungolo e la forza dirompente di quest'uomo stacanovista, si faranno cose belle per Greci, l'Irpinia, il Mezzogiorno e l'area mediterranea. Molto apprezzato è stato l'intervento di S. E. Vitaliano Esposito, Procuratore Generale della Corte di Cassazione, nel passaggio quando ha affermato: " Vedovato non è stato solo il precursore della legge italiana, ma anche quelle europea in materia di rispetto della dignità umana". Il Sen. Ortenzio Zecchino ha ricordato l'eminente personalità, condividendo l'impegno e i valori comuni. Lo stesso On. Walter Ganapini, assessore regionale all'ambiente, nella sua riflessione puntuale, ha espresso la volontà di candidare Greci quale realtà d'eccellenza nei valori dell'ambiente, per la sua posizione dominante la valle del Cervaro, per i valori connessi all'accoglienza, sono note le tradizione storiche di prima comunità ecumenica di rito greco-ortodosso , perchè ha condiviso nell'unica chiesa parrocchiale con quello cattolico. Il comune per la tradizionale accoglienza agli ospiti potrà essere in futuro un centro di irradiazione dei valori etici-culturali dell'Europa Unita. Spetta alla comunità di Greci farne tesoro ed impegnarsi perche il passato con l'impegno civile diventi unita e fortemente motivata in questa missiona culturale e sociale che il Sen. Giuseppe Vedovato è diventato il testimonial ed il Maestro di cui seguire l'esempio di vita attiva.


77 Intervento. Lectio del Prof. Sen. Giuseppe Vedovato.

GUSEPPE VEDOVATO Greci, 28 dicembre 2009

1. Spigolando, nella bella pubblicazione bilingue "Greci ieri e oggi" tra i tanti proverbi che ne arricchiscono le pagine, mi ha colpito il proverbio che dice: "Chi non è nato in casa non deve entrare". Io sono nato a Greci e posso quindi entrarvi fisicamente, anche se vi entro a distanza di quasi un secolo, per testimoniare e raccogliere un ambito riconoscimento. L'attuale prossimità fisica è stata attivata recentemente con la coincidenza dell'amicizia dei Professori Giovanni Di Minno e Giulio Cipollone. Comunque, in questo ampio frattempo, ho avuto contatti con vari cittadini operanti a Greci, e ricevuto negli anni '60 una delegazione di Grecesi, con l'allora Sindaco Nicola Meola, che mi chiedeva sussidio e interventi per la comunità albanese della Città. È superfluo dire che ho fatto il massimo di quanto fosse nelle mie possibilità in favore delle richieste pervenutemi.

2. Honor (honos) - onus. Uno storico francese, Lucien Fèbvre, ha discettato recentemente sull'onore, quale peso nel quale si riflette l’ethos dei singoli, dei gruppi, dei popoli. Honos era la divinità che aveva un tempio accanto a quello delle Virtù. Nell'onore che mi viene reso, Signor Sindaco, Signori componenti della Giunta comunale, considero l'onore come principio identitario, che si sostanzia non soltanto nell'accettazione di sfide fondamentali, nella capacità di scelte difficili, nell'attitudine al sacrificio, ma soprattutto nella fedeltà a determinati valori da attivare continuamente sia sul piano di cultura alta, sia sul piano di cultura vissuta. Per questa fedeltà, alla quale non ho mai rinunciato, l'onore non è un peso, ma speranza di vita: speranza che mi è gradito parteciparvi - beneaugurante - con un sentimento di amicizia e di gratitudine per tutti, cari Cardinale, Sua Em.za Renato Raffaele Martino, Sua Ecc.za Giovanni D'Alise, vescovo di Ariano Irpino e Lacedonia, Sua Eccellenza, il procuratore generale di Cassazione, Dr. Vitaliano Esposito e colleghi professori Giovanni Di Minno e Giulio Cipollone.

3. Il sindaco Dr. Zoccano, echeggiato dal vicesindaco Dr. Di Minno, ha evidenziato la tenace e dinamica attenzione da me portata verso i giovani. Hanno colto nel segno. Nelle mie varie pubblicazioni ho avuto sempre nella mente e nel cuore le sorti dell'avvenire dei giovani, che sono il futuro della società, fin dal 1935.


78 Più recentemente ancora, mi rivolgevo sempre ai giovani in un altro ponderoso volume intitolato Per il bene comune europeo ed internazionale in cui raccoglievo, vari editoriali, commenti, saggi e memorie dal 1953 al 1991. Così come, del resto, avevo fatto per altri cinque volumi della mia produzione prevalentemente politico-parlamentare, intitolati: Per il bene comune nella libertà, nella giustizia, nella pace. Il conseguimento del bene comune è elaborazione continua di una forma politica di ordine superiore, ed è il frutto degli sforzi di uomini e donne, giovani e non giovanihe indirizzano i loro sforzi non ad affermare maschere false di verità, ma ideali concreti, saldi, storicamente possibili.

4. E fondamentale è l'ausilio della cultura, dappoiché essa offre oggetti portatori di veri valori e da contestualmente criteri di scelta tra gli innumerevoli messaggi di diversa natura. Uno di questi messaggi è quello espresso dai patrimoni linguistici. E qui, nel libro delle memorie, vi sono pagine dedicate al patrimonio linguistico albanese di cui la città di Greci è ricca. Nel gennaio 1986 una delegazione del Comune di Greci, insieme ad altre delegazioni di minoranze linguistiche italiane, fu ricevuta dal Presidente della Camera dei deputati, Nilde lotti, alla quale venne sottoposta la questione della tutela delle minoranze linguistiche e del ritardo di adozione di norme che assicurassero tale tutela. L'allora assessore Bartolomeo Nicola Zoccano, attuale Sindaco di Greci, fece osservare che il rinvio della discussione e dell'approvazione di uno specifico progetto di legge costituiva una grave lesione allo spirito pluralistico e democratico della nostra Costituzione, aggiungendo che "se non si rispettano e valorizzano gli usi, i costumi, il folklore delle minoranze etniche si viene meno anche ai principi della Dichiarazione dei diritti dell'uomo". In Parlamento erano giacenti ben 29 progetti di legge sulla tutela delle minoranze linguistiche, presentati rispettivamente da deputati e da senatori, a nome di gruppi politici o singolarmente. Per la comunità di origine albanese un disegno di legge d'iniziativa senatoriale (Sen. Zito Sinisio, calabrese), presentato il 5 agosto 1983 e titolato "Tutela della lingua e della cultura della popolazione calabrese di origine albanese". La relazione accompagnatrice dell'atto rilevava che "sono Considerati mistilingui venticinque comuni delle province di Cosenza e di Catanzaro, diciannove nella provincia di Cosenza e sei nella provincia di Catanzaro, per una popolazione complessiva di circa 70.000 unità". Nella diffusa illustrazione ed analisi, che feci, negli anni 1986 e 1989, di tutte queste iniziative legislative, denunciai che esse "giacevano in una sorta di parcheggio legislativo prolungato"; e sollecitai il Legislatore di dare risposte, concrete ed adeguate,


79 alle attese delle minoranze linguistiche non ancora soddisfatte di alcuni riconoscimenti parziali di vario grado e con strumenti di tutela molto differenziati, già adottati in materia.

5. Mi confortavano in questa ripetuta sollecitazione anche la Raccomandazione ufficiale n. 928, 1981, con la quale il Consiglio d'Europa "ritiene che gli Stati membri debbano dare attuazione alle relative misure di tutela delle lingue locali a livello sia scientifico che umano, culturale e politico", e la Risoluzione del Parlamento europeo n. 150, 1987, sulle lingue e le culture delle minoranze etniche regionali nella comunità europea, che "sollecita gli Stati membri, che abbiano già previsto nella loro Costituzione principi generali di tutela delle minoranze, a provvedere tempestivamente, con norme organiche, all'attuazione concreta di tali principi. Finalmente, dopo quasi due decenni di parcheggio legislativo, con la Legge del 15 dicembre 1999, n.482, venivano emanate "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche". L'articolo 2 di detta Legge recita: "In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei ed internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo". La lingua e la cultura delle popolazioni albanesi occupano (e non per ragioni alfabetiche) il primo posto. L'articolo 3, n. 3 aggiunge: "Quando le minoranze linguistiche di cui all'articolo 2 si trovano distribuite su tenitori provinciali o regionali diversi, esse possono costituire organismi di coordinamento e di proposta, che gli enti locali interessati hanno facoltà di riconoscere". 6. Per la tutela e la cultura delle popolazioni albanesi nasceva in Roma, nel 2000, l'Accademia culturale ILIRIA con lo scopo statutario di stimolare la conoscenza della cultura albanese in Italia e di quella italiana in Albania, ma anche nel contesto europeo, promuovendo manifestazioni di carattere scientifico, artistico, letterario, figurativo ed audiovisivo; incoraggiando ricerche storiche e linguistiche; e favorendo la conoscenza del patrimonio artistico, archeologico e naturale. Eletto presidente onorario di questa Accademia, nel corso della solenne cerimonia inaugurale delle sue attività, tenni la prolusione intitolata: "Dall'etnocentrismo al pluralismo culturale" elaborando il concetto che "percorrendo il cammino storiografico e letterario è possibile evidenziare come la dimensione multiculturale dell'identità personale, nazionale e continentale stia crescendo nella coscienza degli scrittori, e come si vada delineando un legame sottile, ma non tenue, tra l'Europa di oggi, caratterizzata da un pluralismo culturale, e quella del passato".


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7. Siamo di fronte all'avvenire del passato. Il sindaco Zoccano ha fatto cenno di una iniziativa volta al futuro, iniziativa ribadita dal vicesindaco Di Minno. Riguarda un progetto di istituzione in Greci di un Centro europeo Giuseppe Vedovato di studi su una tematica generale che potrebbe essere "Valori etici e patrimoni culturali". Il Centro (Fondazione) che sarebbe da strutturare attraverso una Dichiarazione di intenti e un Protocollo esecutivo, avrebbe le finalità qui appresso prospettate, unitamente alla promozione di Incontri scientifici con cadenza biennale, da celebrarsi nella prima settimana di luglio e in occasione delle festività di San Bartolomeo, patrono della Città. Per il primo di questi Incontri, le cui risultanze potrebbero essere pubblicate in un Quaderno in lingua italiana, albanese e inglese, sembra suggestivo il tema: "Le minoranze nell'Europa unità". Finalità ambiziose, ma ritengo perseguibili: - Trasformare la protesione passiva del patrimonio culturale in una conservazione attiva con ritorno a livello comunale regionale;

- Orientare l'educazione scolastica a tutti i livelli verso lo studio e la conoscenza del patrimonio culturale, così da arrivare ad una più vasta e profonda coscienza culturale. - Incentivare la formazione del pubblico all'utilizzazione razionale ed etica del complesso ereditario culturale in tutte le sue espressioni. - Assicurare la difesa e la messa in valore delle località di interesse storico ed artistico, coinvolgendo i vari mezzi di comunicazione. Si tratta, nei limiti del possibile, di mantenere, e se necessario creare, le condizioni di un nuovo umanesimo, completando e rafforzando i valori tradizionali sui quali si fonda il nostro sviluppo, nella convinzione che il sacrificare i valori culturali non concorre ad assicurare a tutti, uomini e donne, la piena realizzazione di loro stessi. Dinanzi alla mondializzazione dei problemi economici e sociali, in una società 'disattenta' ai valori di fondo e alle virtù ad essi collegate, vive con fatica persino il dono della libertà, l'Europa deve impegnarsi, anche dopo il varo del Trattato di Lisbona, per la rinascita dei valori spirituali ed umani, che sono anche una ragione politica. E nel corso di questo nuovo millennio dobbiamo impegnarci tutti, anche su percorsi nuovi ed inesplorati.


81 8. Ho iniziato il mio dire considerando l'onore conferitomi come principio identitario. Concludo affermando che abbiamo letto insieme il libro di una vita in questa accogliente Aula, nella quale mi sono sentito di essere in mezzo a voi - cittadino tra concittadini - piÚ che quale protagonista, come egregi personaggi hanno voluto presentarmi, piuttosto quale spettatore, preferendo, come alcuni pittori rinascimentali, dipingermi in un angolo dell'affresco. Mi sono raffigurato dinanzi a voi, cari concittadini, come un lavoratore, se volete uno stacanovista, con coerenza intellettuale pari alla costanza operativa sempre al servizio del bene comune. Ed è con lo sguardo rivolto a questo affresco-visione, che rinnovo i piÚ vivi ringraziamenti a quanti hanno voluto per me questa iniziativa estremamente commovente, e alle Autorità che, con i loro discorsi, hanno decodificato un poco i 'segni' di Vedovato; e per formulare a voi, giovani e non meno giovani irpini, l'augurio di tendere con impegno, con entusiasmo e con fede a seguire gli esempi che vi sono stati consegnati da Italiani ed Europei eminenti. GRAZIE Giuseppe Vedovato

http://hirpusmephitis.blogspot.com/2009/12/greci-conferita-lacittadinanza.html?q=SKANDERBEG


82 APPENDICE III. LETTERE DI SKABNDERBEG E DI ALTRE PERSONALITA’

Nel 1461, Scanderbeg benché impegna o in guerre di tanta mole venne a difendere il trono vacillando Ferdinando d'Aragona contro Giovani d'Angiò che glielo contendeva. Scanderbeg era legato da solida amicizia agli Aragonesi dai quali aveva avuto anche aiuti, per la guerra a contr o i Turchi . Egli si segnalò per eroiche gesta sotto Bari, Orsara, Irpinia , Trani. A tale proposito Ludovico Muratori(* ) così si esprime : «Coll'esercito suo uscì bensì in campagna (il Re Ferdinando ) ma no n avrebbe potuto resistere al Duca D'Angi o e al Principe d i Taranto, che con la giunta di Piccinino gli erano superiori i forze e i l tennero. anche come colla sua gente a rinforzarlo assediato in Barletta per alcuni giorni, se Alessandro Sforza non fosse anch'egli arrivato. « In oltre eccoti all'improvviso sbarcare a Trani, e impadronirsi d i quella città Giorgio Castriota appellato Scanderbech, potente Signore in Albania e celebre per le vittori e contro i Turchi , che con circa ottocento bravi cavalieri, venne in aiuto al Re Ferdinando ».

* * Il Papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini 1458-1464) aveva indetto fra i principi cristiani una Crociata contr o i Turchi. Scanderbeg fu tra g i aderenti, e fu il primo a romperla co n il Sultano, co l quale era i n tregua. Per la sopravenuta morte de l Pontefice, la Crociata non si effettuò, e lo Scanderbeg rimase solo contro tanto nemico .16 Maometto II in persona gli mosse contro, con u n esercito d i 200.000 uomini. Fu per la minacci a del Sultano, che Scanderbeg mandò un'ambasceria a Roma , presso il Papa Paolo II, (Pietro Barbo 1467-1471) sucessore di Papa Pi o II, in cerca di aiuti Togliamo dal processo di nobiltà, che abbiamo fra le mani , di Fra Don Giuseppe Antonio Felice Castriota, per i l suo ingresso nell’«Ordine Sovrano e Militare di Malta» di cui parliamo appresso, il documento importantissimo che trascriviamo , e che riguarda precisamente tale ambasceria, e che i l Fra don Giuseppe , alliga al processo per dimostrar e la sua discendenza dallo Scanderbeg. E' il salvacondotto che il Re d i Napoli rilasciava all'Ambasciatore del Principe Giorgio Castriota, suo alleato ed amico . (Vedi testo i n Appendice ) « Ferdinand o etc. « A tutti i custodi de i passaggi e de i passeggier i « delle piazze e delle cose proibit e esistenti nei con« fin i d i questo Nostr o Regno d i Sicilia, ed altr i a « cui spetta ed a cui saranno pervenut e ed in qual « siasi mod o presentate le presenti ; la grazia e la « Nostr a buon a volontà. « L'Illustrissimo e Magnanimo Gentiluom o Giorgio « Castriota detto Staiinaliberto (sic.) come nostro Pa« dre Carissimo, Principe Albanese , manda a Roma , « con Nostra licenza, il Magnanim o e Dilett o Nostro 16

Ludovico Muratori-Annali d'Italia-Milano 1744, a spese di Giovanni iiutJsta Pasquali, Librari o Veneziano (Tomo I X pag. 479)-


83 « Francesco de Maremonte, Soldato, e del medesimo « Giorgio Castriota Ambasciator e in una ad altri « quindici Cavalieri. E quindi vogliamo i n virtù delle « presenti, diciamo , ordiniamo ed espressamente co« mandiamo , che il detto Franceesco, c n i detti Cava« lieri, i loro carri, bagagli e coi custodi delle lor o « cose e delle (loro) provigioni d i uscire dal Nostro « Regno e quando vogliano ritornare, permettiate che « lo facciano senza pagamento , senza ostacolo, senza « impedimento alcuno , per quanto teniate cara la « Nostra Graz a e desideriate d i evitare il Nostr o « giusto e certo castigo. « Le presenti sono munite del Nostro Sigillo . « Dato a Castelnuovo di Napoli per il Magnifico Nostro Consigliere ill.m o Dottor e Vito De Taxzanlis « della Città Nostro Luogotenente . Etc. « Addì 25 aprite 1466 « Re Ferdinando ». « Il Re Nostro Signor e comandò a me Antonello « De Petruzzi.(*) « La presente copia fu estratta dal suo originale« intitolato Commentari o del Serenissimo Re Ferrante« dell'anno 1465-1466 esistente in archivio del Real« Monastero d i Santa Maria di Monte Oliveto, con il« quale fatto il riscontro concorda salva sempre una « cop a migliore . « In fede di che io Giuseppe Aniello Porello di« Napoli o scritto la presente e la ho sigillata : « N . I. A. ». Documento , come si vede, di primari a importanza Quell'Antonello Petrucci, che coinvolto nella congiura dei Baroni, fu giustiziato, e del quale fu riconosciuta l'innocenza, stante la sua data che c i fa precisare l'invio della ambasceria ed il nome dello Ambasciatore . N o n sappiamo qual i siano state le ragioni che indussero lo Scanderbeg a nominar e il Maremonte , non albanese, come vedremo , a suo Ambasciatore . Certo che tra Scanderbeg ed il Maremonte vi i una grande amicizia ; amicizia che durò per moltissimo tempo fra le due famigli e tanto che troveremo una Maremont e sposata ad un Castriota da cui nacque il Fra Don Giuseppe Antoni o Felice, di cui parliamo appresso.

N o n sappiamo se la visita fatta dallo Scanderbeg a Roma fosse stata anteriore o posteriore a questa ambasceria. Indubbiamente Egli stesso fu nella Eterna Città, ed abitò nella via che ne porta ancora il nome «Vicolo Scanderbeg», che dalla «Vi a della Dateria» sbocca nella « Via del Levatore ». presso i1 Quirinale, allora residenza dei Papi. Egli alloggiò nel palazzetto che sta quasi a mezza via sulla cui port a d'ingresso è effigiato lo stesso Scanderbeg, in un bel medaglione in affresco. Propendiamo a credere che lo Scanderbeg fosse stato a Roma dopo la ambasceria del Maremonte . Egli ottenne dal Pontefice degli aiuti,


84 se non molto, come avrebbe desiderato e come le gravi circostanze e le più gravi minacce d i Maometto II richiedevano , pur tuttavia tali che, uniti ad altri aiuti ottenuti dalla Repubblica Veneta, gli permiser o di affrontare la spedizione de l Gran Sultano, e sconfiggere il rinnegato Albanese Balabàn Pascià, al soldo de i nemici della propri a patria. Il Gran Sultano dovette abbandonar e per una volta ancora l'idea della riconquista dell'Albania , rimettendola ad altra epoca. Ciò avvenne nel 1478, undici anni dopo la morte dell'Ero e albanese il quale mancò ai vivi il 17 gennai o del 1467, in Alessio, ove fu sepolto, nella chiesa d i San Nicola . Aveva 64 anni, perchè nato nel 1403. A Costantinopoli non si volle credere neanche alla morte dello Scanderbeg : si suppose che fosse una notizia divulgata ad arte e che fosse un o degli stratagemmi dello scaltro Principe albanese, per tirare in nuove imboscate gli eserciti turcheschi. Quando questi invasero l'Albania, e per conseguenza anche Alessio, la tomba del Castriota fu devastata e le sue spogli e mortali andarono a ruba fra i soldati, i quali portando addosso frammenti d i quelle ossa, come talismano , supponevano d i rendersi in - vulnerabili in guerra come invulnerabile avevano creduto lo Scanderbeg . L'Anonimo autore de i «Ritratti et elogi di Capitani lllustri»(*) includendo Scanderbeg fra i grandi Capitan i e portandone la effigie conchiude ; «Era questo valorosissimo Capitan o d i persona grande et- di forza quasi incredibile ; carnagione haveva rubiconda ; occhi, barba e cappelli castagnicci». Si r Williams Temple. Statista insigne, diplomatico e scrittore inglese (1628-16Q9), per il quale la memoria dello Scanderbe g era quasi ancor fresca, scrisse: « Egli fu uno dei sette Comandanti (Chiefs), che avrebbero meritato una corona reale per quanto non l'avesse portata ». (*) Ritratti et elogi di Capitani Illustri, dedicati all'Altezza Serenissima di Francesco D'Este, Duca di Mantova. In Roma, alle spese di Pompilio Totti , Libraio . MDCXXXV . (pag. 105). e**) Encyclopaedia Britannica—Fourteenth Edition - London-NewYork, 1929. Skanderbeg. Il General e James Wolfe,(*) il grande eroe canadese (1727-1759), si espresse i n questi termini riguardo al Nostro : « Egli supera tutti i Capitani antichi e moderni nel condurre un piccolo esercito difensivo». Quali fossero poi i sentimenti religiosi, cavallereschi e diplomatici dello Scanderbeg, si rileva da una sua lettera che trascriviamo , fra le tante, dal Sansovino(* ) a pagina 288 della edizione del 1654. Il Castriota risponde ad una lettera e ad un'ambasceria che Maometto II gli mandava l2 maggio1461. In quella lettera i l Sultano gli offriva a la pace a condizione che desse libero passaggio alle proprie


85 truppe che avrebbero marciato contr o i Veneziani ; Maometto lo avrebbe riconosciuto definitivamente Principe di Albania ; che però il Castriota gli avrebbe dovuto mandar e in ostaggio i l suo figliuol o Giovanni che il Sultano... avrebbe trattato come figlio proprio, (quasi al Castriota non fosse bastata la lezione del padre che aveva ceduto a simili lusinghe, mandando ad Amurat i suoi quattro figli , Giorgi o compreso , con l'esito da noi accennato più sopra). Un'altra condizione della pace era: che i commercianti turchi avessero libero accesso in Albania come quelli albanesi lo avrebbero avuto nei possedimenti del Gran Sultano, L a risposta a quella ambasceria fu : “L'Athleta di Giesù Christo Giorgio Castrioth. « altre volte Sanderbegh, Princip e degli Epiroti et« Albanesi al Principe de i Turcci Serenissimo Moameth, dice molta salute. Per l'Ambasciatore con la lettera Tua, ho inteso la mente di Tua Eccellentia, alla qual e per satisfare rispondo et dico prima : Che gl i Incliti Venetiani oltra ogni amicitia , che sia tra noi , per la quale riputiamo qui gli stati« nostri, una cosa medesima. Sono tanto da bene, buon i Christiani et osservator i della fede promessa, che quanto bene non fusse altro obiigo alla Fede Cattolica, sotto pena d i escomunicatione maggiore, che Christian i non permettano li pagani far danno alli Christiani , io per l'antedette bontà et virtù sue, ma i potria dar luogo a questo primo capitolo . « Già che non sono ritornato alla Fede vera nostra, per entrar in censura, e per nuocer e a chi è fedele. Quanto a quello che Tua Altezza dice volermi da qui innanzi chiamar Principe dell'Epiro , quello non m i fa noia, perchè farai ragione nominarmi di quel titolo che Di o m i ha dato, per Sua Grafia, et per honore de i suoi battezzati. « Quant o che la Tu a Sublimità domanda Juan figliolo mio unico , et solazzo della sua madre, che questa cosa no n può udire . Io no n havend o altro germe fino ad hor a m'intenerisco , nè ti so dar alcuna risposta. « A quell o che Tu a Serenità dice, che desidera vedermi corporalmente , per l'amor e già lungo tempo« contratto , dico ancor'io , che se fusse cosa che fare si potesse senza pericolo , farla subito certamente; ma già la Maestà di Dio ! ï così ordinato , farmi essere assente talmente , io stimo , che cosi come basta a me così basterà all'Altezza Tu a di vedermi et contemplar i con gli occhi mentali. « Quella in ultimo dice, saria contenta che li mercanti di qua et di là potessero passare per tutto securi,. Sono contento farti la pace, et concluderla con quest’ultimo, e mi offerisco ad ogni cosa giusta, et honesta sempre alli comandi di quella alla quale sempre mi raccomando. L’Ambasciatore supplirà per bocca, quello che manco col scrivere. Dal Nostro Campo a’ 30 maggio MDCCCCXLI .

DOC . I. Ferdinandus etc.


86 Quibusvis passageris pasuum scafarum platearum et rerum prohibitarum ac ultimo existente huius Nostri Regni Siciliae custodibus ac aliis ad quos spectet et presentes pervenerint seu fuerint quomodolibet presentatae fidelibus Nostris dilectis, gratiam et bonam voluntatem. lllustrissimus et Magnanimus Vir Georgius Castriotus dictus Skaniialibertims tamquam pater Noster carissimus Albanus Dominus mittit in presentiam nostram, Magnificum et Dilectum Nostrum Franciscum de Maremonte Militem et eiusdem Georgii Castriota oratorem Roman cum equis quindecim. Nostra cum licentia et propterea volumus eorum tenorem presentium Nobis et volumus dicimus precipimus et expresse comandamus quatenus dictum Franciscum cum dictis equitaturis, carriagum baiigiis cunctibus rebus prò penuriis et prò expensis necessariis exire dictum Nostrum Regnium ; dumquae redire stimatis et permittatis absque aliqua solutione obstaculo et impedimento et contrarium non faciatis per quantum gratiam Nostram caram tenetis et penam ultiarum certim cupitis evitare. Presentibus Nostro sigillo munitis. Datum in Castello Novo Neapoli per Magnificum & DOC. II . Ferdinandus etc. Quibusvis passageris pasuum scafarum platearum et rerum prohibitarum ac ultimo existente huius Nostri Regni Siciliae custodibus ac aliis ad quos spectet et presentes pervenerint seu fuerint quomodolibet presentatae fidelibus Nostris dilectis, gratiam et bonam voluntatem. lllustrissimus et Magnanimus Vir Georgius Castriotus dictus Skannaliberthus tamquam pater Noster carissimus Albanus Dominus mittit in presentiam nostram, Magnificum et Dilectum Nostrum Franciscum de Maremonte Militem et eiusdem Georgii Castriota oratorem Roman cum equis quindecim. Nostra cum licentia et propterea volumus eorum tenorem presentium Nobis et volumus dicimus precipimus et expresse comandamus quatenus dictum Franciscum cum dictis equitaturis, carriagum baiigiis cunctibus rebus prò penuriis et prò expensis necessariis exire dictum Nostrum Regnium; dumquae redire stimatis et permittatis absque aliqua solutione obstaculo et impedimento et contrarium non faciatis per quantum gratiam Nostram caram tenetis et penam ultiarum certim cupitis evitare. Presentibus Nostro sigillo munitis. Datum in Castello Novo Neapoli per Magnificum et Dilectum Nostrum lllustrissimum Doctorem Vitum De Taxzalibus de Urbe Locumtenentem etc. Die XXV Aprilis MCCCCLXVI.

Dominus Rex mandavit mihi Antonello De Petrutiis.


87 Extracta est copia presens a suo originali intitulato Commentario del Serenissimo Re Ferrante dell'anno 1465 et 1466 sistente in Archivio Regalis Monasterii Sanctae Mariae A'iontis Oliveti cum quo facta collatione concordai et meliori semper salva et in fidem. Ego losephus Anelius Porrellus de Neapoli presentem scripsi subscripsi et signavi (L. L.) N.I.A. Fonte: Papas Francesco Chetta -Schirò, I Castriota principi d’Albania, nell’Ordine Sovrano e militare di Malta, origine della Famiglia Castriota, Valletta, 1929, Tip. Del Malta, o.c., 99-1000

Fonte: Francesco Sansovino—Historia universale dell'origine guerre et imperio dei Turchi—Venezia - Presso Alessandro de Vecchi. 16oo—Seconda edizione [presso Sebastiano Combi e Giov. La Noù-1654..


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MISCELLANEA

ABATE LUIDI LAUDA D. MICHELE DE MAJO NOVENA IN ONORE A MARIA SS. DEL

CAROSENO DATO ALLA LUCE DAL REV. SACERDOTE D. MICHELE DE MAJO DELLA TERRA DI GRECI E RISTAMPATA CON AGGIUNTE Per cura DI LUIGI LAUDA SAC. DELLA MEDESIMA TERRA

NAPOLI TIPOGRAFIA TRANI 1865


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INTRODUZIONE Il presente libretto che si ripubblica,dopo due secoli, scritto a due mani da Mons. Michele De Majo ebbe una fortuna editoriale, tanto che a richiesta di popolo, venne ristampato per cura del Sacerdote, abate prof. Luigi Lauda ( ), conosciuto dai grecesi per essere lo scrittore del celebre dramma di S. Bartolomeo. Il fortunato ritrovamento del testo, grazie anche alla sensibilità del Sig. Finelli di Faeto, il quale lo conservava gelosamente, tra le carte di famiglia, viene ridonato alla comunità di Greci. Di Mons. Michele de Majo (sec. XIX) , sacerdote dotto e parroco di Geci dal 1840 al 1841, ci sono scarne notizie, salvo che è stato tra i sacerdoti grecesi a scrivere la celebre novena alla Madonna del Caroseno, tutt’ora recitata dai fedeli grecesi, fu un sacerdote dal grane cuore e versato nelle lettere latine, amico sincero dell’abate Luigi Lauda. Per rispetto alla storia si trascrive in versione originale con opportune note per far comprendere il testo. Ringrazio il Sig. Finelli di Faeto, che ha ereditato il libretto, molto raro e che conserva alcune foto e documenti di famiglia, perché imparentato con Luisa Martino, nipote di d. Geardo Conforti e di P. Leonardo De Martino di Greci, che mi ha consentito di fotografare l’opuscolo. D. Luigi si firma con il cognome de Landa, parchè vantava titoli nobiliari dei Signori di Greci, attestati nel XIII, successivamente trasformato i Lauda. La novena si teneva nel mese di giugno epoca della Festa e della solennità della Madonna del Caroseno, merito va dato al compianto Mons. Adolfo Colasanto che ha tenacemente trasmesso alle nuove generazioni la novena al Caroseno. Per completezza d’informazione vengono pubblicati per la prima volta gli inni in onore della Madonna protettrice di Greci.


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A VOI DISPERSA GENTE DI EPIRO PERCHÉ LE MEMORIE DELLA VOSTRA PATRIA E LA TENERA RELIGIONE DEGLI AVI RICORDIATE.

CENNO STORICO Della origine degli Albanesi in Italia e particolarmente di quella degli Albanesi della Terra di Greci e loro culto speciale per-Maria Vergine del Caroseno. Al cominciar del Vallo di Bovino, lungo la via delle Puglie , vi giace a manca un villaggio, che forse, a causa de’ primi suoi abitatori, viene oggidì comunemente chiamato - terra de' Greci. Campato su di una amena collina, cui fan corona altre più elevate, e guardando a mezzodì, giù per le sottostanti sue valli , e pel clima delizioso offre nell' assieme una vista incantevole. La vera sua origine, come quella di tanti altri paesi d'Italia, si perde nella notte di antichi tempi : e né dalla storia si può ritrarre sillaba, che getti un pò di luce intorno alla sua antichità. Congetturando però noi possiamo, a via di opinioni, ricavare almeno un pò di vero su la origine di tal villaggio. È fama - come si legge nel Vocabolario de' paesi del già reame di Napoli - compilato per cura del Cav. Carta,- che Greci fosse stato, ab antico, città: e che poi fosse stata distrutta da' Saraceni nelle loro invasioni d'Italia: e riedificata da Potone duca di Benevento, cui fu data in dono a tale scopo, verso il 902 , da Landolfo e Pandolfo — padre e figlio - ambedue principi Longobardi. Vero è, che per opera di quel prefato Duca, appena riacquistava in parte il suo lustro antico17 (1). Una tale opinione ben si può pure confermare da' monumenti, che si trovano sparsi, or qua, or là per le sue campagne: ed anche le popolari tradizioni concorrono alla lor volta a darle tutto il peso, che si desidera. E di vero: è unanime la credenza degl'indigeni di questo paese , che 1' antico abitato fosse partito in vari rioni o parrocchie, che voglian dire; di cui, due si ripetono tuttavia, una col nome di San Pietro posta allo stremo del paese: e l'altra di S. Angelo che rimane ad un tiro dalla parte di oriente. Ma , di questi rioni o parrocchie non se ne serba oggi alcun vestigia. Un' altra opinione, forse ancor più verosimile, afferma, Greci essere stata anticamente la metropoli degli Albanesi abitanti delle Puglie. E per questo ebbe sin dall'origine il nome di Greci. Allorché gli Arabi , capitanati da Maometto , irruppero nell'Europa, e vi stabiliron signoria ed imperi nelle sue più belle province, i prodi Albanesi gli tennero testa animosi, e lì conquisero in molte battaglie , non tanto per numero di combattenti , quanto per valore del loro duce Giorgio Castriota— soprannominato Scanderbegh — che vale nella vera lingua pelasga — uomo divenuto terrore — : e ragionevolmente; poiché in vari anni di vita, egli fu il terrore de' Turchi, massime per la sua spada, o tyrbyrdana, dette così dagli Albanesi.

Ved. Corte voc: de’ com: Napoli: e le memorie a Stampa per l’Università de Greci per gli Avv. Tanari e Ganofilo an. 1807. 17


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Quest' eroe dell' Albania ebbe in quei tempi più volte ajuti da Alfonso 1° di Aragona , re di Napoli, con cui strinse pure intima alleanza. Ondecchè, quando al di lui figlio Ferdinando, dopo la sua morte, veniva conteso il trono da' congiurati Baroni delle Calabrie, e dagli Angioini, che lor davano appoggio , Giorgio , memore de' ricevuti benefici, accorse a difenderlo e a salvarlo dall' imminente pericolo, che gli sovrastava. Sconfisse i nemici del giovine re: gli restituì il regno, e ne ebbe da lui. in compenso le Puglie; le quali l'orse , sin da quel tempo , costituivano un patrimonio diviso, che seguito prese nome di Tavoliere. Il Castriota approdò ne' lidi di Manfredonia, verso il 1461, a capo di circa 10 mila de' suoi soldati 18(l). Le battaglie tra loro e le schiere de' congiurati ebber termine presso Taranto, dove fu decisa la definitiva vittoria, e dichiarata legittima la stirpe degli Aragonesi. Allora, Greci, siccome sedeva quasi a cavaliere delle Puglie , dicono , sia stata prescelta a capitale dei nuovi abitanti Albanesi. Il Porzio , nell' aurea sua operetta - Congiura de'Baroni - pare, che accenni non dubiamente a quanto qui si è esposto19 (2). Da quel che si è dunque toccato leggermente , pare, che senza temer di errare, l'origine degli Albanesi in questa parte d'Italia si debba precipuamente ripetere dalla venuta di Scanderbegh. Onesta nostra idea, pare, vien confermata anche dalla Iscrizione in lingua pelasga , che si legge , incisa su pietra , al sommo della porta del Castel nuovo di Napoli 20

— Nondimeno, vi è ancora chi opina, che—Greci— città, è vero, distrutta e quindi riedificata — non fosse abitata dagli Albanesi se non dopo parecchi anni appresso. Poiché, essendosi non so come e perché distrutta, rimase feudo devoluto al Fisco nel 902, sotto gli anzidetti principi Longobardi — Landolfo e Pandolfo: e come feudo ne fu dato poi a Carlo Sotone. Da Sotone passò a Carlo I. verso il 1273. Da Carlo I. a Guglielmo de Lauda con queste espressioni : Quae de demanio in demanium , et quae de servitio in servitium, et habeat ipsa castra......et nihil aliud habere debeat

de Baronia 21(1). Quindi, di nuovo passò al Fisco nel 1317, sotto re Roberto, che lo concesse con le debite riserve ad Ingresia de Lindo vedova di Raibaldo de Medillione, da cui pare che per linea femminile sia in seguito venuto nelle mani di Berrevaimo e Trojano Spinelli, i quali, verso l'anno 1445, ne cedettero una parte ad Innico Guevara conte di Ariano — progenitore degli attuali Guevara—Stuard duchi di Bovino,— che la pagò con pubblico istrumento per ducati 1600, compreso il feudo — la Ferrara l'agro finitimo di Savignano. Per il qual titolo i duchi Guevara — Stuard di Bovino, discendenti di Innico, ne ritraggono anche oggidì un tributo, che forse di poco sottosta’ al tributo prediale dello stato. Secondo dunque siffatta cennata opinione —Greci qual feudo incolto —venne abitato dagli Albanesi sotto l'Imperator Carlo V.° l'anno 1534, allorché essi, dalla città di Coróne, nella Morea, per la pressura de' Turchi emigrarono in Italia. Questo è almeno il parere di Giustiniani Regio Bibliotecario, il quale, per incarico del ministro segretario di stato, e ministro di grazia e giustizia, e degli affari Ecclesiastici di re Ferdinando I. dei Borboni ne scrisse una dotta ed erudita relazione circa l'origine e le diverse emigrazioni degli Albanesi in Italia. Ma, oltre di queste notizie su la esistenza del comune di Greci , sonvi pure delle altre, che confermano sempre più la sua antichità, per la grande estensione del suo territorio. Poiché, è pure fama, che, sebbene sieno ora di molto ristretti, non dimeno anticamente i suoi veri confini giungevano da una parte sino alla Torre Guevara dirimpetto la città di Troja: e dall'altra sino alla — Sprinia estendendosi al nord –ovest sino verso la fiumana di Castelfranco. Prima a Bari, e poi a Siponto: Ved: Pappad: Ved: Angelo Masci : Gli Alb: in It. Pappadopulo – compendio Storia di Schanderberg. 20 Altri in lingua Spagnola. Ved: Pappad: cit: 21 Cioè possesso di demanio in demanio e di servizio in servizio e nient’altro diritto abbia in tal Baronia. 18 19


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E vuolsi che gli appartenesser pure due sobborghi - denominati tuttodì Terre distrutte- e- Lago di sangue - i quali, distrutti non so come, restano giù nelle valli verso Orsara, e formano ancora parte del suo tenimento. Or, questo intorno all'origine ed antichità del comune di Greci. - Parliamo ora ancor brevemente del culto verso la Vergine, venerata quivi sotto il titolo del Caroseno. Singolare è in genere, il culto degli Albanesi verso la madre di Gesù. Per gli antichi Albanesi, Maria era la stella polare in lutti i loro bisogni; sicché mai si decidevano a fare alcuna cosa senza pria radunarsi in comune in qualche chiesetta a lei dedicata. E tanto nell'intraprender guerra coi Turchi, eterni loro nemici, quanto ancor dopo, era sempre lor costume riunirsi per rendere a lei i dovuti ringraziamenti. Per convincersene, basta leggere i canti di Milosao - figlio del despota di Scutari - pieni di orientale semplicità. Quanta non è viva la espressione: quanta non è pur tenera l'effusione di questi figli di Albania nel lor natio linguaggio per Maria di Mesòsponte! ! 22 Or, costumi di semplici, l'indole, la lingua. La religion de' padri loro, non poteano non trasfondersi in quegli Albanesi divèlti dalla patria comune. E tra questi, meritano particolare attenzione gli Albanesi della terra di Greci , massime pel loro culto a Maria. Da tempo immemorabile , è quivi venerata una Immagine di Maria, bellissima sotto tutti i riguardi ; non pure pel titolo nuovo , che vanta , quanto per la sua artistica struttura. L' artefice la ideava in quella età giovinetta , in cui, quest'Opera stupenda della creazione fu degnata concepire nel suo casto seno un Dio fatt' uomo. E da qui forse il suo titolo nuovo del Caroseno. Di greca struttura. Essa è veramente inapprezzabile pel suo disegno: e a chi la riguarda , non può non destare tenerezza ed ammirazione. Tutto in Essa è bello: e l’Opera, a giudizio degl'intendenti, corrisponde mirabilmente al tipo ideato dall' artefice. Bella nelle sue proposizioni : bella nelle sue movènze: e bella, sorprendente nel suo colorito. Sovrattutto poi le accresce grazia il Bambinello, che, posandosi mollemente nella sinistra, nel mentre invoglia il popolo ad accorrerci, pare accenni pure, che traggano ad ammirarla. Una solitària chiesetta, a pochi passi dall'abilità dalla pietà de' fedeli - demolita poi per la non fermezza delle sue basi, e - più volle riedificata - questa Diva Immagine non manca di esser continuamente, da mane a sera, visitata da' suoi divoti. I quali, nel giorno dopo Pentecoste di ogni anno — giorno di sua festività— con ogni pompa e solennità la onorano. E i forestieri, che in gran numero v' intervengono , restano il più delle volte edificati ed ammirati, non pur dalla maestà singolare di questa Vergine, quanto dalla squisita pietà degli Albanesi di questa parte. Bello è il sentirli nel lor pietoso entusiasmo salutare la Vergine dei loro pensieri; e con un linguaggio tutto nuovo ed originale chiamarla enfaticamente. Ghi’ imàd ibecùare, o Mare i gh^irit idèmpsciure : Seno grande

benedetto, o Maria del Caroseno. Or, questa Immagine sì degna, si è voluta onorare con la presente Novena. Greci, il settembre, del 1865. L. SAC: LAUDA

22

Vedi: Poesie Albanesi del Sec: XV Canti di Milosao per de Rada-Napoli.


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Figura 1 Giorgio Kastriota Skanderbeg


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NOVENA DI MARIA SS.a DEL CAROSENO

Comincia nove giorni prima Pentecoste Deus in adjutorium ec. Gloria Patri ec. PREGHIERA PRIMA. Vergine SS.a del Caroseno , siete così gradita presso Dio, che, sin dall'eternità vi scelse per Madre dell' Unigenito suo Figliuolo. Questa gran dignità, che Voi godete, è tanto eccelsa, che attoniti rende i medesimi Serafini; e fa sì, che le generazioni tutte , contemplandola , vi chiamino Beatissima. Ammiro, o gran Signora, la sovranità del vostro posto; ed umilmente adorando que' favori celesti , che la SS.a Triade degnavasi di compartirvi ; Vi prego di non permettere, che io mi allontani da voi: e di farmi la bella grazia di esser vostro servo fedele ; acciocché , chiudendo il breve corso e giorni miei sotto gli occhi vostri pietosi, io giunga un di .felice ad ammirare le vostre grandezze paradiso. Amen.

Pater, Ave, Gloria. STROFE DA CANTARSI DOPO CIASCUNA PREGHIERA. Salve, o Vergine divina Salve, o fonte di pietà ! Poiché, Madre, e sei Regina Dell'afflitta umanità ; POPOLO.

Deh! ci ascolta tu dal cielo O Maria del Carosen ! PREGHIERA SECONDA. Vergine SS.a del Caroseno, Voi sola costituite un Coro sopra a tutti gli altri congiunti insieme: e possedete maggiore bellezza e maggior sublimità che tutti i celesti comprensori: Voi fate , che più bella risplenda la celeste Gerusalemme. Per formarvi scelse la Grazia tutto il più nobile delle virtù; perché si trattava di apparecchiar nel vostro Seno una reggia, proporzionata alla grandezza del Figliuol di Dio.


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Umilmente dunque vi venero o bella Madre Maria: e giacché i peccati dame commessi mi han l'atto perdere la candida stola dell' innocenza, e la grazia del Signore , deh! voi fate che acquistar le possa 1' anima mia con le lagrime di una sincera penitenza. Amen.

Pater, Ave, Gloria. Di Èva noi traligni figli, Ma, pietosi nel dolor, T' invochiamo ne' perigli Perché Madre sei ancor ; Deh ! ci ascolta - ec. PREGHIERA TERZA. Vergine SS.a del Caroseno, lo scintillare de vostri occhi sereni , e lo splendore di quelle tante prerogative, doni, e grazie, di cui foste adorna innamorò 1' istesso Dio , che ve l’aveva con ferito. Onde, l' Eterno Verbo, generato dall’amore del Padre pria di cominciare i secoli, volle prender carne umana nel vostro puro Seno: e, come tenero amante, volle aspettare, che Voi gliene deste pria il consenso, quasi volendo ottenere da Voi ciò, che voi dovevate per grazia somma ottenere da Lui. Mi riempio dunque di allegrezza , o gran Signora, nel considerare, che la bellezza dell'anima vostra fu così grande , che vi rese degna di ricevere nel vostro Seno un Dio, che comprendere non può tutto il creato: ed umilmente venerandovi, deh! ve n 2 prego di sgombrar le tenebre della mia ignoranza; perché possa ben capire le verità importanti della mia salute eterna. E così spero. Amen.

Pater, Ave, Gloria.

Quel tuo Seno caro a Dio, Che fu degno del suo amor; Ah! qui in terra non finio Di esser caro a' nostri cuor; Deh ! ci ascolta ec. PREGHIERA QUARTA. Vergine SS.a del Caroseno, che foste qui in terra Trono, IL Tempio eletto di Gesù Cristo, Re de’ Re, sommo Sacerdote, vero Dio, ah resto sorpreso di meraviglia, o Maria, nel pensare alla vostra altezza, che supera ogni creatura; e che ha, non so che di


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infinito e di divino. Sì , il bellissimo vostro Seno fu il Trono, fu il Tempio, ove si vide compreso l'Incomprensibile e l' Immenso: e vesti umana carne quel verbo, per cui furon fatte le cose tutte. Profondamente dunque vi venero, o gran Signora: e vi prego di assistermi in tutta la mia vita; affinchè possa con insuperabil fortezza vincer tutte le diaboliche tentazioni; e prestar cos'i lode, ubbidienza, e adorazione al vostro Figliuolo, Signor de" Signori, Sommo Sacerdote e Dio. Amen.

Paler, Ave, Gloria. Come l'alba del mattino Sorridesti a Dio nel ciel, Ed il Figlio suo divino Tu ci desti in uman vel; Deh ! ci ascolta ec.

PREGHIERA QUINTA Vergine SS.a del Caroseno , e qual fu la yista del vostro gran cuore, allorché miravate nel bellissimo vostro Seno il verbo Eterno? Ah ! tuttavia non cessavate di benedire la bontà di Dio, e ringraziarlo delle grazie segnalate, che a larga mano compartite vi aveva. Or, siccome mi congratulo in vedervi tanto su-blimala, che apparite bella come Luna, posta a riverbero del Sole eterno; così caldamente vi prego di farmi conoscere e stimare la dignità di cristiano; e tutti que'benefici, che, con tanta clemenza il Signore sempre mi dona; perché possa incessantemente benedirlo in questa vita, e poi goderlo in paradiso. Come spero. Amen.

Pater, Ave, Gloria. Fosti l'alba annunziatrice Dì celeste carità; Da quel giorno ognun ti dice Fonte immensa di pietà; Deh ! ci ascolta ec.


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PREGHIERA SESTA. Vergine SS.a del Caroseno, fu sì grande 1' altezza del vostro cuore, che brillante vi apparia nel volto; allorché tenendo il tenero Figliuolo Gesù lo abbracciavate, e nutrivate col latte; e tuttor tenerello gli’insegnavate a snodare la lingua, ad articolare le prime voci, e sciogliere i primi passi. Vi venero dunque, o gran Madre di Dio, ed umilmente vi prego di tutto cuore a tenere una cura particolare di me: guidare e custodire l'anima mia nella strada del santo timore, ed amor di Dio, insino al punto dell'ultimo mio respiro. E così spero. Amen.

Pater, Ave, Gloria. Era notte: e buio eterno Ricopriva questo suoi, Apparisti: e il crudo Averno Si mordéo nel suo duol; Deh! ci ascolta ec. PREGHIERA SETTIMA. Vergine SS.a del Caroseno, ah! non può dirsi il contento, che sentivate; quando il diletto vostro Figliuolo, riposandovi nel seno, con balbettanti voci – Madre -vi chiamava: vi vezzeggiava con occhio di amore; e baciandovi, con ossequi di Figlio vi si mostrava in tutto ubbidiente. Umilmente dunque vi venero, o gran Madre Dio; e vi prego per questa vostra grandezza di. esatta osservanza della santa divina ,legge a grazia della perseveranza finale. Così sia.

Pater, Ave, Gloria.

Sì, tu simile a Giuditta Trionfasti pure un di ; e, per te, la stirpe - invitta Del novello Adamo, uscì: Deh! ci ascolta cc.


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PREGHIERA OTTAVA. Vergine SS." del Caroseno , quel Dio , che chiamavasi Dio degli eserciti, e Leone di Giuda , perché nutrito era di giustizia: concepitosi nel Vostro seno per opera dello Spirito di amore; e nutrendolo voi col latte verginale, placido si rese e mansueto Agnello. Ah! madre pietosa! Pe’ miei peccati commessi contro la Maestà divina, ho sdegnato assai la giustizia tizia: deh ! voi fate che si plachi la sua collera e faccia pompa verso di me della sua misericordia affinché mi siano perdonate perdonale le colpe; e libero sia pur fatte dalle pene eterne dell' inferno.

Pater, Ave, Gloria. Salve o dunque o Caroseno, O sorriso de' mortal ' Tu conforti ogni alma appieno Quando guerra a noi ci assale Deh ! ci ascolta ec. PREGHIERA NONA.

Vergine SS. del Caroseno, voi, per intima unione, che ci aveste con quell'Oceano da cui derivano le grazie, sino ad averlo in seno, siete piena di quella grazia corrispondente alla dignità immensa della vostra Maternità divina, e di questa grazia la sovrabbondanza datavi si rifonde a pro’ degli altri. Questa grazia dandovi il privilegio di mediatrice tra l'uomo o Dio, fa esservi ristoratrice de' nostri mali, e dispensatrice immediata di que’ tesori, che a noi vengono dalle mani di Dio. Io non cesserò mai , o Maria SS.a di ringraziare la somma bontà divina, che tanto degnavasi di ingrandirvi per la gloria sua e pel vantaggio degli uomini. E se giacché siete sì ricca, liberale, e potente vi raccomando dunque la pace tra i principi cristiani, l'estirpazione delle eresie, l’esaltazione della santa madre Chiesa cattolica: i miei amici e nemici; I benefattori spirituali e temporali. Vi raccomando gli eretici, e gli infedeli, impetratili – lume perché vengano alla nostra santa fede perché vengano alla nostra santa fede: i poveri peccatori ; ottenetegli la sincera conversione. Vi raccomando gli agonizzanti e i bisognosi; assisteteli in quel punto estremo della loro vita. E deh! non obbliar pure quanti qui ti venerano, o cara Madre! Si, queste grazie noi le attendiamo; perché avete viscere di misericordia. E cosi sia.


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Pater, Ave, Gloria. Ecco, al Trono tuo si appressa Una stirpe cara a te, Che, dal Turco fiero oppressa Trovò scampo ne' tuoi pie; Deh ! ci ascolta ec.

Salve Regina, e Litanie ec.

y. Ora prò nobis S. Maria de Carosinu. R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi. OREMUS

Qui salutis aeternae, beatae Mariae Virgine Ju'.M.-iuida, humano generi praemia praestitisti, tribue, quaesumus: ut ipsam prò nobis intercedere sentiamus, per quam meruimus auctorem vita e suscipere Dominum nostrum Jesum Christum ec. Amen.

Prega per noi S. Maria del Caroseno F I N E.


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Greci, paese dalla magia arbrëshe. “Duhemi mirë nde Katund“ »Uh ce te piksin atà màla E te me shinhgna hòren t’imme » Oh! che si appianassero quei monti Per rivedere il bel paese mio!


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(Novantenne grecese)

Venire a Greci non è la stessa cosa che visitare un paese arroccato con lo stesso campanile, la stessa gente, la stessa noia, qui vi trovi gente cordialissima che ha nel sangue arbrëshe l’accoglienza come cosa sacra. Inoltre, si sente una parlata a la Katundsha, nella versione albanese. Qui si scopre tra il fascino delle viuzze centro storico, la bellezza dei tramonti dal mitico Breggo o i mirabili tramonti con lo sfondo della mitica dormiente del Taburno. Si ammira da questo Tetto dell’Appennino irpino-Dauno un vasto paesaggio che associa l’apertura e l’intelligenza del grecese dal forte carattere e dalla profonda fede religiosa nei santi patroni S. Bartolomeo Apostolo o nella Madre di Dio Maria SS.ma venerata col titolo del Caroseno (del Golfo D’Oro). Nelle feste religiose si possono ascoltare celebri inni religiosi in arbreshe sussurrare dai devoti “Ghiir imath ibecuare, She Marii e Zinnit” (“Seno Grande benedetto o Maria del Caroseno”). Degli antichi epiroti che vennero nel sec. XV in Italia, restano solo delle reliquie religiose, il titolo alla Vergine del Caroseno, e la celebre kalimera, canto della passione di Gesù Cristo in albanese, che si può ascoltare con devozione, durante il venerdì Santo, con struggenti note che richiamano il rito greco-ortodosso. Questo rito introdotto in Greci nel sec. VI si è conservato intatto sino al secolo XVII.. Solo nel 1698 i grecesi liberamente rinunziarono all’antico rito greco-ortodosso. Nё gjuhёn shqipe ekziston nje fjalё qё quhet BESE, pёr tё cilёn nuk gjendet njё fjalё e vetme pёr ta pёrkthyer nё italiasht. BESE ёshtё diçka e ngjashme me “njё lloj betimi solemn”, ёshtё mbatja e fjalёs sё dhёnё deri nё vdekje. Ti japёsh “BESEN” dikujt, ёshtё ti japёsh njё fjalё kaq tё rёndёsishme, e cila duhet mbajtur me çdo kusht. Jo shumё kohё mё parё, kur njё udhёtar kalonte nёpёr zonat malore shqiptare, kalonte nga “BESA” nё “BESE”, shoqёrohej i pacёnuar deri nё destinacion. Pёr njё qё nuk i njeh kёto tradita ёshtё e vёshtirё ta kuptoj qё, ai i cili jepte kёtё lloj premtimi, pёrgjigjej me jetёn e tij. Mosmbajtja e fjalёs sё dhёnё, do tё thoshte tradhёti e lartё, njёsoj sikur ky “njeri” tё mos meritonte tё quhej i tillё.


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Nё kohёrat moderne i kthehemi gjithnjё tё kaluarёs pёr tё rigjetur vlerat, ato vlera tё humbura tё dashurisё e besnikёrisё qё sot bёhen gjithnjё e mё tё rralla nё shumё shoqёri nё tё gjitha kontinentet. Nuk e di pёrse, por prej disa kohёsh, mё vjen nё mendje njё balladё shqiptare, kaq antike por edhe moderne nё tё njejtёn kohё. Titullohet “BESA E KOSTANDINIT”. Bёhet fjalё pёr historinё e njё vajze shumё tё bukur, motra mё e vogёl e dymbedhjete vёllezёrve. Ishte aq e bukur, plot virtute qё nuk e kishte shoqen e asnjё nga djemtё nuk guxonte ta kёrkonte pёr nuse. Njё ditё prezantohet dhe kёrkon dorёn e saj njё luftёtar i huaj, i bukur e i forte, por vinte nga njё tokё e largёt. Nёna me njёmbёdhjetё vёllezёrit ishin kundёr, por Kostandini, i dymbёdhjeti, duke parё dёshirёn e motrёs, i kёrkoi nёnёs qё ta pranonte. Por nёna tha “si tё bёj unё ta kem afёr vajzen time tё vetme nё ditё gёzimi e si tё bёj unё ta kem afёr nё ditё hidhёrimi?” Por Kostandini i premtoi, i dha BESEN nёnёs sё tij qё, sa herё qё ajo do tё donte ta shikonte, ai do t’ja sillte. Pas dhjetё ditё festimesh, Doruntina, kёshtu quhej vajza, u nis drej vendit tё huaj. Vitet shkonin, dhe lufta morri me vete njёri pas tjetrit tё dymbёdhjetё vёllezёrit e Doruntinёs. Nёna e mjerё qantё, e njё natё ndezi nga njё qiri mbi varret e tё njёmbёdhjetё djemve. Kur shkoi tek Kostandini ndezi dy qirinj. Me dhimbje i thirri djalit tё vdekur “Ku ёshtё BESA jote, tani kush do tё ma sjellё Doruntinёn!” Kur u errёsua Kostandini u çua nga varri i tij. Pllaka e bardhё ju bё kal i zi, e ai fluturoi, fluturoi me erёn e kapёrxeu vende qё nuk i kishte parё kurrё. Mё sё fundi arriti nё fshatin ku jetonte motra e tij e dashur. Pa fёmijёt e saj tek loznin e i pyeti ku ishte “zonja mёmё”. Ajo ishte nё njё festё, e gjitha e veshush me kadife qё kёrcente me gratё e fshatit. U çudit kur e pa tё vёllain dhe e pёrqafoi fort. Ai i kёrkoi tё hypte nё kal bashkё me tё qё ta çonte tek nёna, e veshur ashtu siç ishte. Gjatё udhёtimit zogjtё ju shkonin rrotull e pёshpёrisnin “kalёrojnё i vdekuri me tё gjallin”. Doruntina i beri shumё pyetje vёllait, pёrse rrobat e tij ishin plot me myk, pёrse flokёt e tij ishin me pluhur, e pёrse ishte kaq i zbehtё…. Por ai i pёrgjigjej qё ishte udhёtimi qё i kishte bёrё ashtu. Kur ju afruan kishёs sё fshatit, Kostandini i kёrkoi Doruntinёs tё vazhdonte nё kёmbё drejt shtёpisё pasi ai donte tё ndalonte njё çast pёr t’u lutur, kёshtu gjeti njё preteks pёr tu kthyer nё varrin e tij. Kur ju afrua shtёpisё i pa tё gjitha dritat e fikura, trokiti nё derё por nёna e saj pyeti kush ёshtё qё troket nё kёtё orё tё vonё. “Doruntina jam, vajza jote!” Gruaja e pyeti bijёn “kush tё ka sjellё kёtu”, e ajo ju pёrgjigj Kostandini! Oh, çfarё dhimbje e madhe kur morri vesh qё vёllai i saj u çua nga varri pёr tё mbajtur “Besёn”. Nga dhimbja kur mёsoi pёr vdekjen e tё gjithё vёllezёrve, tek pёrqafoheshin nёnё e bijё, vdiqёn tё dyja nё derё tё shtёpisё. Kjo legjendё e vjetёr shqiptare, tregon se si bota dhe dashuria nuk i njihte kufijtё. Ku lufta merrte jetё njerёzish, ashtu siç ndodh edhe sot, shfaros familje tё tёra, i bёn tё mёrgojnё larg e tё vuajnё nga malli pёr tokёn e tyre. Legjenda tregon se si pёr tё mbajtur fjalёn e dhёnё, edhe tё vdekurit ringjallen, kapёrxejnё kufirin e tё pamundurёs pёr tё bёrё tё mundur atё qё shumё njerёz tё kohёve moderne nuk janё nё gjendje tё mbajnё. Duhet kujtuar se vetёm dashuria mund tё ushqej paqen e paqja tё bёj tё jetoj dashurinё. Atёherё, pёrse tё mos duhemi mes qeniesh njerёzore?!!! In albanese esiste una parola chiamata BESE alla quale non si trova una singola parola per tradurla in italiano. BESE è qualcosa di simile con “fare un giuramento solenne”, è mantenere la parola data fino alla morte.


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Dare “BESE” a qualcuno, è dare una parola così importante, che va mantenuta costi quel che costi. In tempi non lontani, quanto il viaggiatore attraversava le montagne albanesi passava da “BESE” in “BESE” e veniva consegnato sanno e salvo alla destinazione. Per uno che non conosce questa tradizione è difficile a capire che, colui che prestava questo tipo di giuramento, rispondeva con la propria vita. Non mantenere la parola data, significava un alto tradimento, pari a considerare questa persona non più “uomo” da meritare di chiamarsi tale. Cosa dire ai tempi moderni che sempre richiamano il passato per ritrovare i valori, quei valori perduti di amore e fedeltà che oggi scarseggia in molte società sparsi per tutti i continenti. Non so perché, ma da un po’, mi viene in mente una ballata albanese, così antica ma moderna nello stesso tempo. Si chiama “BESA DI COSTANTINO”. Si tratta della storia di una bellissima ragazza, l’ultima nata dopo dodici fratelli, talmente bella, piena di virtù che non trovava paragone tra i ragazzi del suo paese. Nessuno azzardava di chiederla in sposa. Un giorno si presentò e chiese la sua mano un guerriero straniero, bravo e bello, ma di terre molto lontane. La mamma e gli undici fratelli dissero sempre di no, ma Costantino, l’ultimo, il dodicesimo, visto l’interessamento della sorella, chiese alla mamma di darla in sposa. La mamma chiese: “come faccio io ad avere vicino la mia unica figlia nei giorni di festa e di gioia, e come faccio io averla vicina nei giorni di dolore?” E Costantino promise, ha dato BESE alla sua mamma che, qualora lei volesse vederla lui gliel’avrebbe portata. E così, dopo dieci giorni di festeggiamenti, Doruntina, così si chiamava la ragazza, parte per le terre straniere. Passano gli anni, e la guerra portò via uno dietro l’altro tutti i dodici fratelli di Doruntina. La mamma pianse e acese un cero su tutte le undici tombe. Sulla tomba di Costantino ne acese due e chiese al figlio morto “Dov’è la tua BESE, adesso chi mi porta la mia Doruntina!” Con il calar del buio Costantino risorse dalla sua tomba. La lapide bianca si trasformò in un cavallo nero e lui corse, corse con il vento attraversando terre mai viste e finalmente arrivò nel villaggio dove viveva la sua amata sorella. Vide i suoi figli e chiese dalla loro mamma. Lei era in una festa tutta vestita di velluto che ballava con le donne del paese. Stupita nel vedere suo fratello, lo abbracciò. Lui le chiese di salire sul cavallo con lui, per portarla dalla loro mamma, vestita così com’era. Durante il viaggio gli uccelli gironzolavano e sussurravano “viaggiano i vivi con i morti”. Doruntina fece molte domande al fratello, di perché i suoi vestiti erano piena di muffa, perché i suoi capelli erano pieno di polvere e perché lui era così pallido…Ma lui rispondeva sempre dicendo che era il viaggio che li aveva fatto diventare tali. Arrivati vicino alla chiesa del paese loro, Costantino chiese a Doruntina di proseguire a piedi verso casa che lui voleva fermarsi un attimo per pregare, e così fece ritorno alla sua tomba. Avvicinandosi alla propria casa vide le luci spente, bussò alla porta ma la vecchia mamma chiese chi era a quell’ora. “Doruntina sono, tua figlia!”. La donna chiese alla figlia “chi ti ha portato qui”, e lei rispose Costantino! Ma quale dolore nell’apprendere che il fratello morto da tempo fu risuscitato per mantenere la “Bese”. Dal forte dolore per la morte dei fratelli, mischiato con il terrore dato dalla rivelazione, madre e figlia gettandosi nelle braccia una dell’altra, muoiono insieme alla porta di casa. Una legenda lontana questa albanese, che richiama come il mondo e l’amore non conosceva confini. Dove la guerra poteva portare via le vite umane, come succede


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ancora oggi. Dove la guerra stermina intere famiglie, li fa migrare lontano e li fa soffrire d’amore per la propria terra. La legenda vuole che pur per mantenere la parola data, anche il morto viene resuscitato, attraversa i confini dell’impossibile per fare possibile quello che tanti umani dei tempi moderni non sono in grado a mantenere. Bisogna capire che solo l’amore nutre la pace e la pace fa vivere l’amore. Allora perché non amarci tra esseri umani?!!! Giovanni Orsogna

BELLIRPINIA..., GRECI-KATUNDI, MADONNA DEL CAROSENO

LA MADONNA DEL CAROSENO A GRECI

Il Domenicale: Greci-Katundi

Un invito a visitare uno stupendo centro irpino dal fascino esotico, isola alloglotta albanese, unica nella nostra regione della Campania. Una cittadina viva ed ospitale,


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famosa anche per essere il balcone della Puglia, a cavallo della Valle del Mescano e del vallo di Bovino. Un centro storico tra i più invidiabili, con la sua lussureggiante villa-comunale Breggo, doce si può ammirare nei tramonti la Bella dormiente del Taburno che si è rifatta il look. Dal Breggo “Bregu’”, monte, dove si può ammirare il paesaggio circostante che sovrasta Svignano, sullo sfondo la piana di Camporeale, la Valle del Miscano e il Vallo di Bovino. Questa villa è il luogo di incontro per l’aria salubre, in via di ultimazione dei lavori di rifacimento, con vialetti in pietra, una piccola e decorosa fontana, dal punto più alto si ammira il paese di Greci. E’ intrigante avventurarsi per i suoi vicoli, i palazzi: il palazzo Lusi sede del municipio, attraente e interessante esempio di restauro e recupero del patrimonio comunale. Dopo decenni di interventi di restauro finalmente sta assumendo la fisionomia di un centro turistico di buon livello. Ciò va a merito dell’impegno amministrativo delle amministrazioni comunali decorse e attuali ( Matteo Martino, Donatella Martino e di Bartolomeo Nicola Zoccano, quest’ultima da poco insediata).Una volta terminata la fase di restauro urbanistico del paese dai mille volti e dalla tipica lingua albanese nella versione arbreshe, con la ultimazione della toponomastica, potrà assurgere a polo attrattore di questa singolare isola linguistica, che comprende i comuni franco-provenzali di Celle e Feto (Fg). Si scoprono angoli suggestivi con una esplosione di fiori dai balconi, il corso Skanderbeg, Via Roma, già via Pietro Paolo Parzanese, dove sono nati D. Gerardo Conforti, teologo e primo storico grecese, la casa natale del patriota D. Giovanni De Majo… per chi ha buone gambe non può tralasciare le passeggiate lungo la via nazionale di Faeto o fare una capatina sopra il Monte Calvario, dove vi sono gli impianti sportivi e il parco eolico. Dall’alto del Monte Calvario si ogde di uno splendido panorama mozzafiato.


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La Pro Loco di Greci offre le guide ed alcune pubblicazioni che il turista non può non acquistare. Il mese di agosto con la sua offerta turistica e culturale dell’Agosto grecese, oltre alle tradizionali feste e sagre, riserva per il 24 e 25 agosto il tradizionale dramma di rappresentazione sacra del Dramma di S. Bartolomeo Apostolo, opera dell’Abate Luigi Lauda da non perdere. Gli attori sono tutti di Greci e che fanno a gara per la riuscita del dramma tragico lirico. Le scenografie, i costumi sono sempre della Ditta Maurizio Iannino di Lapio, che per tre generazioni assicura la sua presenza.

*********************** Per contatti ed informazioni: http://www.greci.org/ Pro-loco: prolocoarbereshe@greci.org pro-loco arbereshe

E’ tornata di attualità anche la plurisecolare devozione alla Madonna del Caroseno, venerata nella chiesa parrocchiale, collocata a guisa di una chioccia, sull’altura massima del paese, quasi a proteggere la fede e a indicare le vette del cielo e del progresso civile e culturale. La chiesa matrice di impianto settecentesco a capanna, ad unica navata, con l’imponente altare in marmi policromi del settecento, attende con ansia il ritorno del celebre quadro della Madonna degli Angeli tra i santi, opera di scuola del Guido Reni. Ciò che colpisce di più è la statua della Madonna del Caroseno, oggi in grave pericolo, per essere attaccata da microbatteri, tarme e altri malanni. Il Sindaco Zoccano, ci accoglie con la sua consueta gentilezza, e assicura di un prossimo e celere interessamento. La Statua e la Chiesa del Caroseno, dichiarate monumento


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nazionale, per l’antichità del culto già nel 1901, presenta nella testa vistosi buchi, scollature delle sopracciglie, e rischio di distacco degli occhi, come si osserva nel particolare della foto. Proprio per documentare la grande devozione dei grecesi alla Madonna dai dolci richiami orientali, ciò che resta dell’antico affresco cinquecentesco collocato nella sua primitiva chiesa all’inizio del paese, oggi ne resta un nuovo edificio anonimo e non completato, si dà la voce a Mons. Angelo Acocella, (1866-1966) sacerdote, forbito oratore di Calitri e arciprete di Andretta, e direttore del giornale cattolico “La Gazzetta Popolare”,organo di Avellino, che invitato per tessere il panegirico alle festa della Madonna del Caroseno, ha voluto ricordare e perpetuare nella storia un evento che si ripete, in misura minore ogni anno.

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Greci è un paese della nostra provincia, situato in aprica ed incantevole posizione, a cavaliere di un monte lussureggiante coltura, lungo la linea ferrata BeneventoFoggia.

Dalla stazione ferroviaria vi si accede per una spaziosa via rotabile e con un’ora di lenta salita si è in paese. Il popolo di Greci, discendenza non degenere dell’antica e forte razza Albanese, è un popolo pieno di educazione e di urbanità; tutta gente sagace, intelligente, laboriosa e, sopra tutto, corretta massime coi forestieri. L'ospitalità vi è mantenuta costantemente come una religione ereditaria. Il paese è pulito, perché puliti al massimo grado ne sono gli abitanti, i quali, se tra loro parlano ordinariamente nel difficile dialetto


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albanese, parlano pure, e tutti, dal gentiluomo al contadino, nel pretto idioma italiano. A Greci vi sono distinte famiglie di veri signori, ottimi professionisti, bravi operai, onesti commercianti e contadini faticatori di buona volontà. Vi potrà essere qualche insignificante disparità di vedute in fatti di politica e di amministrazione ma, sostanzialmente, tutti sono di accordo e si vogliono bene. A dir corto, Greci è da considerarsi come una delle così poche mosche bianche nel ceto di tanti paesi di questo mondo, perché vi si vive tranquillamente, onoratamente ed anche perché i tempi nuovi nulla hanno alterato o menomato in materia di fede religiosa. La cittadinanza di Greci è fervida credente e conserva inviolata ed inviolabile la pietà dei suoi antenati. Ci credono, e ci tengono a dimostrarlo; vanno alla Chiesa, e vi ci sanno stare; sono dei buoni cattolici, e ne adempiono i doveri, senza paura e senza vergogna. Protettore del paese è S. Bartolomeo; ma la corde, più tenera del cuore dei Grecesi batte vibratamente per la Madonna del Caroseno. Questa Madonna è la gloria più bella per Greci. Che culto affettuoso, che entusiasmo di devozione! la Madonna del Caroseno, opera di greca struttura, è una statua stupenda, di grandezza naturale, il cui artefice la ebbe a raffigurare in quell'età giovinetta, in cui nel casto Seno di Lei avveniva il miracolo della Incarnazione del Verbo, e di qui, forse, il suo bel titolo del Caroseno. All’entrata del paese, a mano sinistra, vi è una bella Chiesetta, monumento nazionale, ove è venerata la Madonna del Caroseno e dico venerata, poiché i Grecesi in tutti i giorni dell'anno non la lasciano mai deserta, quella chiesetta. La festa del Caroseno cade, ordinariamente, ai principii di giugno; ed è festa solenne, magnifica, imponentissima. Quest'anno ho avuto il piacere di godermela, questa


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festa, ospitato gentilmente in casa, di quel zelante ed operosissimo arciprete, che è D. Francesco Lauda; e la impressione, che ne ho riportata, è stata delle più gradite. Sempre valente la banda musicale di Roseto, graziosa la illuminazione, imponenti le funzioni religiose, belle la processione, svariati ed artisti, ci i fuochi pirotecnici ed, a giudizio dei competenti, soddisfacente il sacro oratore. La festa ebbe un’ottima riuscita; ma molti dei Grecesi erano assenti, perché andati in Puglia per i lavori della, mietitura. Ecco perone il 26 corrente, trovandosi essi già tornati al paese, si farà un'altra festa in onore della Madonna del Caroseno. E sarà, ne son sicuro, una seconda edizione di spontaneo entusiasmo popolare.

(1) Mons, Angelo Acocella, La Madonna del Garoseno a Greci, IN LA GAZZETTA POPOLARE organo degli interessi cattolici nella provinciadi Avelline, Anno I., num. 17, Avellino, 28.7.1898.


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INDICE

Bibliografia 1- ANONIMO, (1882), Il Leone dell’Albania, festeggiato in Greci, Edito a spese del Municipio, Prato, Tip. Giacchetti e Figli, 37 pp. 2- GROPPA Lucia – DE FEO, Francesca Maria, Inno Albanese, s.a., Parigi, Imprimerie Edouard Delanchy, spartito musicale. 3- Mons, Angelo Acocella,(1898) La Madonna del Garoseno a Greci, IN 4- LA GAZZETTA POPOLARE organo degli interessi cattolici nella provinciadi Avellino, Anno I., num. 17, Avellino, 28.7.1898.

SITOGRAFIA http://grecikatundi.blogspot.com/ http://hirpusmephitis.blogspot.com/

BOZZA DI STAMPA GRECI, 2018


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