Tina Modotti. Photographie, liberté et révolution

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Tina Modotti, scoperta continua Riccardo Costantini

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L’opera di Tina Modotti continua ad affascinare e a rapire gli sguardi. Se fino alle fine degli anni ’70 il suo nome era quasi sconosciuto al largo pubblico, oggi, con buona costanza, mostre, omaggi, spettacoli, eventi vengono realizzati per ricordare la sua opera. Purtroppo, spesso, è più il personaggio a prevalere nel racconto della sua figura artistica. Di certo, non si può fare a meno di subire il fascino di questa donna, sia in termini fisici (di una bellezza che come scrive giustamente Pino Cacucci non può che essere condensata dal termine spagnolo “hermosura”, che include sensualità, grazia, stato d’animo “lieve”...) sia – soprattuto – per gli aspetti biografici. Nata a Udine (Italia) nel 1896, emigrante, prima in Austria poi negli USA, con la famiglia, di povera estrazione e scarsa educazione scolastica, dal suo ingresso negli States nel 1913 la ritroviamo in pochi anni attrice teatrale, poi a Hollywood negli anni ’20, compagna di artisti, frequentatrice di salotti altolocati. Poi, accanto a un gigante della fotografia, come Edward Weston, in Messico, con davanti una carriera intensa di fotografa impegnata, ma “irregolare”, come la definisce correttamente Elisa Paltrinieri, scostante e spesso ripiegata su se stessa, fra incertezze, piccoli e grandi drammi (su tutti la morte violenta dell’amato Juan Antonio Mella). O, ancora, al fianco di esponenti politici importanti, coinvolta (davvero?) nelle trame staliniste internazionali, in fuga dal Messico, poi in Germania, infine impegnata socialmente nella Guerra Civile in Spagna... Quasi sempre in questi due paesi senza macchina fotografica. Per poi andarsene, d’improvviso (congestione ufficialmente, ma molti dubitano...), a quarantasei anni, quando è ancora compagna del controverso Vittorio Vidali. Materiale per romanzi, per film, per – appunto – concentrarsi su una vita davvero intrigante. Ma anche per dimenticare l’opera: di donna, di fotografa, di artista, di attenta documentatrice di usi e costumi sociali, di attivista politica... Opera che invece merita attenzioni e approfondimenti costanti. Cinemazero, dai cui archivi provengono le foto di questa

mostra, da quasi tre decenni si interessa e dedica risorse ed energie per documentare e valorizzare culturalmente la produzione della Modotti. Questo si deve in particolare all’opera di Piero Colussi e Gianni Pignat, che, in collaborazione con i principali studiosi e biografi mondiali di Tina Modotti, hanno raccolto il corpus originale del fondo Modotti di Cinemazero, a cui hanno aggiunto materiali inediti e meno conosciuti (frutto di ricerche in Italia, Russia, Germania, Cuba, Messico, Spagna e Francia, e negli ultimi tempi, con chi scrive, perfino India). Principalmente tratti da internegativi di prima generazione e ottima qualità, gli scatti costituiscono probabilmente l’archivio più ricco al mondo che documenti la produzione della fotografa. Il fondo, nella sua completezza, rappresenta un autentico tesoro per gli studiosi, gli appassionati, gli amanti dell’opera della Modotti, proprio per la sua ricchezza e completezza: infatti a tutt’oggi, il patrimonio della fotografa è frammentato, dislocato in diversi luoghi del pianeta, fra istituzioni, musei e collezioni private che, sul versante dei pochissimi vintage esistenti, custodiscono la maggior parte degli scatti originali. Chissà se in questo, mancando una collocazione anche museale efficace dell’artista e della sua opera, ha nuociuto ulteriormente il concentrarsi sempre sulla sua biografia... A conferma di questo, potrebbe venire il fatto che – grazie alle ricerche di Cinemazero – si è potuto solo in tempi recentissimi ricostruire come l’opera fotografica della Modotti arrivi a oltre seicento scatti. Un numero quasi triplo, rispetto al conosciuto e a quanto usualmente creduto. La maggior parte dei volumi finora editi e delle mostre realizzate ha bene o male sempre mostrato gli stessi scatti, consegnando al pubblico in genere un’idea molto limitata dell’opera della fotografa udinese. Ecco perché in questa mostra parigina si vuole da una parte poter consegnare al pubblico largo la possibilità di vedere (o rivedere) alcune delle opere più famose – immancabili per bellezza, forza e popolarità – ma dall’altra approfondire alcuni temi, creare interconnessioni fra le opere e – auspicabilmente – riflessioni ampie, alcune anche di attualità. Così, nella prima parte della mostra, il percorso più ampio è dedicato


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