Emilio De Marchi: «Il cappello del prete», edizioni ikonaLíber

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nimo dei singoli protagonisti: ecco la formula che l’autore escogita, con innegabile maestria, per creare il noir di stampo italiano. Il cappello del prete è la felice realizzazione di questo “programma” letterario e sociale, consono al retroterra culturale cattolico dell’autore, ed ebbe, al tempo suo, un lusinghiero e meritato successo, che tutt’oggi non accenna a scemare. Anzi, la critica piú recente ne mette in risalto, con ragione, la freschezza, la costruzione semplice ma sapiente, la capacità di mantenere vivo l’interesse per gli sviluppi della vicenda, di rendere il lettore partecipe dei tormenti del protagonista ma anche di strappare qua e là un sorriso o magari una franca risata. Che sia, questo breve romanzo, il primo “giallo” italiano è affermazione corrente e che può condividersi. Che lo si possa ascrivere al piú ristretto e specifico genere noir è piú discutibile (dello stesso De Marchi, un altro libro, Redivivo, del 1894, meriterebbe forse di piú questa qualifica). Vi ostano, direi, quegli stessi elementi che ne assicurano l’innegabile godibilità. L’atmosfera in cui è ambientato, di una Napoli vista con occhi milanesi, forse un poco oleografica, ma viva e movimentata, il linguaggio prevalentemente misurato dei personaggi, quello stesso pudore espressivo che lascia trasparire il torbido senza mai scoperchiarlo (come non ripensare alla maestria manzoniana, cui il De Marchi non nega di ispirare il suo stile, compendiata nel famoso «La sventurata rispose»?), la sottile ironia con cui sono descritti i personaggi principali e, in fin dei conti, la scelta iconoclasta di un cappello, cui affidare il ruolo di deus ex machina che darà la svolta decisiva alla vicenda. Perché, in effetti, i protagonisti del romanzo sono tre: un nobile squattrinato che, da vittima predestinata di una truffa, si trasforma nell’ideatore ed esecutore di un efferato delitto; uno squallido prete, usuraio e imbroglione, che paga a caro prezzo la sua cupidigia; e un cappello, che con la sua serafica inconsapevolezza di oggetto inanimato, scatena la sequenza di eventi, tormenti e contrastanti pulsioni che condurrà all’epilogo.

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