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I GIORNI CHE MANCANO ALLA MATURITÀ
di Matilde Mazzotta e illustrazione di Francesca Tirinnanzi
Cosa significa essere una ragazza che frequenta la quinta superiore durante una pandemia globale? Difficile a dirsi. Da sempre, o perlomeno negli ultimi 40 anni, la quinta liceo, l’ultimo anno delle superiori è stato visto come un traguardo e la maturità il premio finale dopo l’ultimo scatto. La scuola dopotutto è una corsa e al diavolo chi dice che studiare non è uno sport, non che sia mai stata un asso nelle discipline sportive, ma sono certa che la scuola possa essere definita come una maratona. Bisogna fare attenzione alle buche, alle sorprese dietro l’angolo; ci sono persone che hanno la fortuna di avere qualcuno che fa il tifo per loro, che gli porge una bottiglia d’acqua nel momento del bisogno o che addirittura li spinge, c’è chi purtroppo non ha l’aiuto di nessuno e c’è chi nemmeno lo raggiunge il traguardo. Ma una cosa è certa, prima o poi questo percorso finirà, prima o poi arriverà quell’ultimo scatto, quegli ultimi 80 metri dove già s’intravede la fine e tra la stanchezza, il fiatone, l’adrenalina e quell’atmosfera che pare quasi irreale uno dovrà affrontare se stesso per raggiungere finalmente il meritatissimo riposo. Come nelle maratone, del resto, non è importante arrivare primi, certo sarebbe una bella soddisfazione, ma non è questo il punto: il punto è arrivare alla fine sapendo di essersi impegnati al massimo, sapendo di aver dato il tutto per tutto e di aver raggiunto quel risultato, quel premio con le proprie forze. E alla fine, nonostante la fatica, sono quegli ultimi attimi, poco prima dell’arrivo, ad essere i più significativi. La quinta superiore, la coronazione di una vita passata tra i banchi, notti insonni e preghiere dietro ai libri durante l’ora di quell’odiata materia, sancisce la fine dell’adolescenza e l’entrata nel mondo reale, quello degli adulti dove improvvisamente devi diventare una persona responsabile, fare delle scelte che avranno delle effettive conseguenze. La quinta superiore, in sostanza, è l’anno del “ora o mai più”. È quel periodo della vita di uno studente dove sì, ci dev’essere la serietà dello studio, ma c’è anche quella fierezza nel sentirsi i veterani della scuola, attraversare i corridoi sapendo di aver già vissuto tutto quello che gli altri ragazzi stanno vivendo. È l’ultimo anno nel quale ti sarà possibile scherzare con un bidello, con un insegnate, dove farai follie e penserai “al diavolo, se non adesso, quando?”, è l’anno in cui ti fermerai a pensare “mi ricapiterà mai più un’occasione del genere?”, “è l’ultima volta che aprirò questo libro, per questa lezione, per questo giorno della settimana?” e così via…
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L’anno delle ultime occasioni. 14
Sì, senz’altro dopo c’è chi sceglierà l’università, chi magari avrà il fegato di studiare medicina e potrà stare tranquillo, il mondo del lavoro lo incontrerà tra una decina d’anni. Eppure non è la stessa cosa, all’università, come sempre ripetono tutti gli insegnanti delle superiori, sei solo. Sei un adulto. Le scelte che prenderai avranno delle conseguenze, delle ripercussioni e d’accordo, magari avrai la fortuna di poter contare su dei genitori celestiali che si faranno carico dei tuoi danni e che riusciranno a rimediare ai tuoi errori. Ma tu sarai comunque un adulto, non più un ragazzo, che tu te ne accorga subito o meno. Quindi ora o mai più, no? Sentirsi il re dei corridoi, fare scherzi agli insegnanti, sperando che non abbia ripercussione sull’esame, il ballo finale, la complicità con i compagni, quella vita come ce la insegna la televisione italiana degli anni novanta. Che una vita del genere, o anche soltanto che il sogno di una vita del genere esista o meno, non è “affare” della classe 2020-2021. Sappiamo tutti che la pandemia ha cambiato ognuno di noi, ci ha privato del contatto con le realtà e allo stesso tempo non è mai stata tanto vivida davanti ai nostri occhi e proprio per questo, irraggiungibile. Come se fosse costantemente ad un passo da noi, abbastanza vicina da poterla sfiorare, non abbastanza da poterla toccare, farla nostra. E’ questo l'obiettivo della quarantena, giusto? Il distanziamento fisico e, non volontariamente, mentale. Ironicamente, l’unica azione effettiva che possiamo fare per evitare l’avanzamento di questo mostro immateriale, il virus, è isolarci, non fare niente. Rimanere nel nostro. Ci dicono di “unirci nello spirito”, di “stare lontani oggi per abbracciarci domani”, ma quando arriva questo domani? Quando potremo smettere di rimandare e quando, soprattutto, saremo in grado di riprendere in mano le nostre vite? In questo contesto sembra impossibile non sentire il desiderio di evadere, di andare oltre, scavalcare la realtà per vivere in una dimensione lontana, sognare e perderci. Quindi noi adolescenti, diciassettenni, diciottenni, diciannovenni, ventenni, qualsiasi sia la nostra età, quest’anno dovremo affrontare un esame di stato che definirà, in parte, la persona che potremo diventare. Noi, individui a metà tra l’essere bambini e adulti dobbiamo scegliere CHI diventare in questo presente in cui il domani non esiste. In un presente che cambia costantemente: “oggi zona rossa, domani si vedrà”. Ci chiedono di concentrarci sulla consegna di lunedì, sulla verifica che ci sarà quando torneremo in presenza, sulla maturità a giugno e sul percorso che vorremmo intraprendere come adulti. Così tanti futuri diversi, più vicini e più lontani e nessuno che sembra avvicinarsi veramente. Forse ci chiedono cosa vogliamo fare un domani per farci scordare quello che abbiamo perso oggi, quello che siamo costretti a rimandare. Un giorno ritornerò a scuola, un giorno potrò riabbracciare gli amici, tornare a chiacchierare normalmente coi compagni, fare il galletto veterano che si aggira per i corridoi squadrando i primini. La possibilità di sognare, talvolta, sembra essere l’unica cosa rimasta. Sarà perché, fin da piccoli, viviamo in questo assurdo sogno della gioventù che non tornerà mai
più. Aspettative, riposte nell’adolescenza e in particolare racchiuse in quest’ultimo anno di superiori, che rimarranno tali e che continueremo a portarci dietro sperando che un giorno si avvereranno. Esperienze, all’apparenza banali, tradizioni infantili che però ci sono sempre state definite come necessarie per la crescita. Ricominciamo col circolo vizioso. Sogniamo, ci perdiamo, ci dissociamo dalla realtà e ci concentriamo sul domani, ma non quello che gli adulti vorrebbero per noi, piuttosto quello che non possiamo vivere oggi. Stiamo lontani oggi e domani chissà. Questo dovrebbe essere il motto perché ormai l’hanno capito pure i pesci rossi: nessuno può definire il futuro, non possono i medici, gli scienziati, i politici e di certo non i negazionisti, quindi come potremmo mai noi? Il nostro futuro un giorno arriverà, volendo o non volendo il liceo arriverà alla fine e noi ci ritroveremo soli. Ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, no? Sarebbe bello poter pensare che non tutto il male vien per nuocere e questa esperienza non è da buttare, né da dimenticare. Indubbiamente è un anno diverso, gli ottimisti direbbero che è unico, considerando tutto però sappiamo già di non avere le facoltà di fare previsioni sul futuro. Non possiamo sapere se occasioni del genere ricapiteranno, ma non riguarderà noi. La nostra maturità è quest’anno, tra sei mesi, non tra sei anni. Questa è la nostra coronazione di una vita passata tra i banchi, dell’adolescenza, della nostra infanzia. Questa è la nostra quinta superiore e di nessun altro. Nemmeno del virus. Non voglio ripetere le classiche perle filosofiche, profetiche, non sono il messia di nessuno, ma è un dato di fatto che il mondo sta cambiando, noi stiamo cambiando, la scuola sta cambiando. Da luogo di crescita, socializzazione e apprendimento, dove dovrebbero nascere le curiosità, svilupparsi gli interessi, in modo da facilitarci la scelta della carriera lavorativa, è diventata un fine, non uno strumento. L’ansia della consegna, la paura della scritta “mancante” su Classroom, l’assenza di umanità e la consapevolezza che non c’è lo spazio per le distrazioni, per staccare un attimo, ogni lezione è essenziale, il programma va rispettato e siamo tutti terribilmente in ritardo. Una macchina priva di interessi. Non è colpa degli insegnanti, non è colpa degli studenti, è colpa di una situazione in cui se un’istituzione ha delle falle queste vengono a galla. Dove o si trova il modo di sfruttare al meglio le potenzialità o si cala a picco. Più che un film italiano degli anni novanta, sembra un apocalittico. Ma su con lo spirito, siamo in quinta superiore, durante una pandemia globale, isolati nelle nostre case, ad affrontare le aspettative che i nostri insegnanti e parenti ripongono in noi, cercando di rimanere in pari con le scadenze del programma scolastico attraverso collegamenti in cui a malapena riesce ad essere trasmessa una lezione, in un momento della nostra vita in cui dovremmo concentrarci sul percorso che vorremmo affrontare nella vita e senza che nessuno si preoccupi di indicarci una strada, sempre che comunque università e lavoro rimangano gli stessi. Ma siamo giovani. Possiamo affrontare tutto. Questa situazione già sembra una barzelletta, una storiella che tra qualche anno racconteremo ai nostri figli, o ai figli di amici, e riceveremo sguardi meravigliati pieni di ammirazione. Sarebbe bello pensarla così, la verità è che non abbiamo la più pallida idea delle sorprese che il futuro ha in serbo per noi. Chissà cos’altro dovremmo sopportare e cos’altro in passato le persone hanno già affrontato. La storia del resto è piena di pandemie e di anni sfortunati che non sembrano finire mai, eppure in qualche modo siamo andati avanti. I nostri nonni e bisnonni hanno affrontato la guerra contro popoli nemici, noi ne stiamo affrontando una contro la volontà di crollare, dobbiamo solo resistere un altro po’ e poi un altro po’ ancora. Per quanto possa sembrare una frase uscita da un biscotto della fortuna è la vita ad essere una maratona. Saremmo in quinta superiore, ma siamo soltanto i primini della vita. Pandemia o meno, adolescenza o meno, non saranno nove mesi a definire le persone che diventeremo, temo sia arrivato il momento di sfatare il mito della quinta superiore. Uno può essere giovane quando vuole.
La libera informazione finisce in galera
di Alessia Muça e Diego Braschi
Un rapporto del Committee to Protect Journalists (CPJ), che viene stilato ogni anno, rivela che in questo 2020 sono stati incarcerati 380 giornalisti (senza contare coloro che sono stati successivamente scarcerati). Due terzi dei giornalisti sono stati accusati di crimini anti-statali come il terrorismo o l’appartenenza a gruppi vietati, mentre circa il 20% dei restanti, è stato incarcerato senza un'accusa pubblica. Julian Assange è un giornalista australiano nonché il più importante fondatore di WikiLeaks, famosa organizzazione che si occupa di pubblicare documenti in diversi formati denuncianti varî crimini di governi o personaggi di rilievo. La vicenda inizia il 18 Novembre del 2010, quando il tribunale di Stoccolma emette un mandato europeo di arresto successivamente alla denuncia di molestie da parte di due donne (una delle quali si rifiuterà poi di firmare le sue stesse dichiarazioni) rivolto al giornalista; così, il 7 Dicembre, egli si presenta spontaneamente a Scotland Yard venendo quindi arrestato, mentre la Svezia ne richiede alla Gran Bretagna l’estradizione, che verrà approvata nel Novembre 2011. Tuttavia, data la coincidenza temporale tra l’emissione del mandato di arresto e la pubblicazione su WikiLeaks di alcuni documenti diplomatici statunitensi e la preoccupazione che dalla Svezia potesse poi essere estradato negli Stati Uniti (dove potrebbe essere condannato a 175 anni di prigione o addirittura alla pena capitale con un processo per spionaggio), nel Giugno 2012 chiede asilo politico all’ambasciata dell’Ecuador, che verrà concesso in Agosto; rimarrà nell’ambasciata per sette anni, nei quali, durante le elezioni USA del 2016, diffonderà posta elettronica privata di Hillary Clinton (di quando era in carica come Segretario di Stato) confermando la partecipazione di Arabia Saudita e Qatar alla formazione e al sostegno dell’ISIS e ponendo forti sospetti sulla collaborazione degli stessi Stati Uniti. Nel 2017 dichiarò di potersi consegnare alle autorità statunitensi se queste avessero liberato Chelsea Manning, exmilitare accusata di aver consegnato a WikiLeaks documenti tra i quali un video riguardante l’uccisione, durante la guerra in Iraq, da parte di due elicotteri militari USA di diciotto civili disarmati a Baghdad, e perciò condannata sette anni prima a 35 anni di prigionia (in condizioni non augurabili): fortunatamente l’autoconsegna non fu
necessaria, giacché il governo americano le concesse la scarcerazione. L’11 Gennaio 2018 l’Ecuador concesse a Julian la cittadinanza del Paese. Nel 2019 tuttavia il paese dell’America latina, con il nuovo presidente eletto due anni prima, dà alla polizia londinese il permesso di prelevare il giornalista (dichiarando poi che la cittadinanza gli era stata “sospesa”), che viene condannato il 1 Maggio ad una pena di 25 settimane nella famigerata prigione di Sua
Maestà Belmarsh (HM Prison Belmarsh) e 25 in libertà condizionata; immediatamente gli Stati Uniti riaprono l’inchiesta sul legame tra Manning e WikiLeaks e la Svezia riapre il caso sulle molestie (lo chiuderà a Novembre per mancanza di prove). Si scoprì poi che Assange era stato sottoposto a spionaggio durante gli anni di permanenza nell’ambasciata, all’insaputa del governo Ecuadoregno. Il 30 Maggio non compare all’udienza in videolink poiché troppo malato, quando la settimana prima Nils Melzer, relatore all’ONU sulla tortura e i trattamenti inumani, aveva esortato i governi coinvolti a fornire un risarcimento e una riabilitazione a Julian e aveva espresso preoccupazione nel caso di estradizione negli Stati Uniti. Il 31 Luglio il Comitato nazionale democratico, principale organizzazione di governo dell’omonimo partito statunitense, perse una causa con cui accusava WikiLeaks di collaborare col governo della Federazione Russa, venendo così messa a tacere una considerevole parte di coloro che sospettavano tale sinergia. Si giunge al Settembre 2019, finalmente sta per essere concessa al giornalista la scarcerazione, ma questa gli viene negata. Nel Dicembre di quell’anno viene creata da un numeroso gruppo di giornalisti di moltissimi Paesi la petizione Speak up for Assange con l’intento di ottenerne la liberazione. Il 27 Gennaio 2020, in Belgio, viene fatto a gran voce un appello da importanti personalità ed associazioni al governo Belga per riconoscere lo status di rifugiato politico a Julian, ed una cosa simile viene organizzata anche in Germania a Febbraio. Il 28 Gennaio l’Assemblea parlamentare del consiglio d’Europa approva unanimemente un emendamento col quale si unisce a Melzer nel richiedere il rilascio di Assange e il divieto di estradizione negli USA. A Febbraio iniziano le udienze, alle quali Julian partecipa in condizioni di condizionamento, in quanto esse si svolgono in un tribunale per crimini terroristici, lui è costretto in un box isolato dai suoi avvocati (un’udienza è stata interrotta solo perché si è avvicinato al vetro separatore), ma anche per via dei trattamenti subiti in prigione. L’ultima fase del processo è cominciata a inizio autunno: Julian non può vedere nessuno (ha visto la compagna poche settimane fa dopo mesi), nemmeno i suoi avvocati; ancora l’esito non è sicuro, ma è probabile che Assange verrà estradato negli Stati Uniti dove, è bene ribadirlo, lo aspetta una condanna di 175 anni o a morte. Ciò che dobbiamo capire noi, leggendo e seguendo la vicenda di questo giornalista (uno dei pochi che si merita ancora tale qualificazione) è che, se andasse in porto il progetto di distruggere Assange, saremo tutti in pericolo: sarà il segnale chiaro, come se la sua storia non lo fosse già, che la libertà di stampa è in un momento buio, e con essa varie altre cose che diamo per scontate. Per proseguire, uno degli autori più noti della Turchia, Ahmet Altan, incarcerato dal 2016, con l'accusa di aver appoggiato il Colpo di Stato (fallito) finalizzato al rovesciamento del regime di Erdoğan avvenuto lo stesso anno, dovrà scontare altri 6 anni di prigionia a Istanbul.
Non si tratta di semplici casi isolati, i giornalisti sono da sempre soggetti ad accuse (si parla di "infondate") da parte delle autorità; il problema quindi sorge quando ci troviamo di fronte a queste ingiustizie senza poter fare nulla, o ancora peggio, come sta succedendo, durante il periodo di emergenza, sanitaria e politica, senza neanche poterne venire a conoscenza (poiché come è avvenuto quest'anno 130 di loro sono stati incarcerati con la sola accusa di aver comunicato informazioni sulla crisi). Volendo riportare alcuni dati, in Cina sono stati incarcerati 117 giornalisti, in Arabia Saudita 34, in Egitto 30, in Vietnam 28 e in Siria 27.