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PAPA FRANCESCO, VICARIO E PROFETA

di Francesca Oriti

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Dal 5 all’8 marzo 2021 Papa Francesco è stato in viaggio apostolico in Iraq, nella terra in cui il Cristianesimo e le altre due religioni monoteiste affondano le loro radici più profonde (Abramo proveniva da Ur, in Caldea). Da vent’anni ormai l’Iraq è tristemente salito agli onori di cronaca per i vari conflitti che hanno martoriato il Paese: le due guerre del golfo, l’attacco angloamericano e la guerra a Daesh. Data la terribile situazione, il viaggio è stato spesso considerato pericoloso, ma lo stesso papa, sul volo di ritorno da Baghdad, ha spiegato Papa Francesco e il presidente Barham Salih Baghdad, Iraq, 5 marzo. Foto da Vatican Media/LaPresse che le decisioni di intraprendere viaggi come questo sono maturate durante la preghiera e pertanto costituiscono una missione a cui è impossibile sottrarsi. Inoltre il viaggio assume particolare valore in quanto Francesco non è l’unico successore di Pietro ad averlo auspicato: all’inizio del nuovo millennio infatti Papa Giovanni Paolo II aveva tentato di intraprendere lo stesso percorso, ma fu fortemente osteggiato dal regime di Saddam Hussein e dagli USA. Ma qual è stato il significato di questo viaggio? L’interesse dell’attuale pontefice per questa regione non è recente: nel 2007 infatti l’allora cardinale Bergoglio aveva rilasciato un’intervista in cui rifletteva sull’episodio Papa Francesco e il presidente Barham Salih Baghdad, Iraq, 5 marzo. Foto da AP Photo/Andrew Medichini biblico del poeta Giona, che viene inviato da Dio a Ninive, la città degli emarginati,

con l’incarico di “dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio erano ancora aperte, che la pazienza di Dio era lì e attendeva, per guarirli con il Suo perdono e nutrirli con la Sua tenerezza”. Il compito affidato da Dio al suo profeta viene pertanto assolto dal suo vicario in terra, che nel 2021 si reca proprio nella piana di Ninive, a Mosul. La tappa forse più simbolica del viaggio è proprio questa città e in particolare Hosh al-Bieaa, la piazza delle quattro chiese, dove il papa si è fermato a pregare per la convivenza pacifica dei credi religiosi degli iracheni. Le parole del pontefice sono state molto forti, ma per capirne il peso è necessario ricordare che la piazza non è particolarmente pregna di significato solo perché ospita i luoghi di culto di religioni diverse, ma anche perché è stato lì che Daesh ha dichiarato l’instaurazione del califfato. In risposta alla memoria orrenda che questo episodio porta con sé, il papa ha mandato un messaggio di grande speranza, elogiando gli iracheni per “il Cristianesimo vivo” che coltivano. A Najaf inoltre il pontefice ha incontrato l’ayatollah Ali al Sistani, la massima autorità religiosa irachena, che ha avuto un peso determinante anche nella storia politica del suo Paese. A questo proposito un esempio fondamentale è la fatwa (responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico) emanata nel 2014 per chiedere a tutti gli uomini di arruolarsi per combattere Daesh. Al Sistani infatti si è sempre opposto all’estremismo e all’assolutismo teocratico, come denota il suo rifiuto di intrattenere rapporti con l’Iran. L’influenza dell’incontro tra i due capi religiosi su quest’ultimo Stato è ingente: infatti di recente l’ayatollah iracheno ha negato un incontro a Ebrahim Raisi, possibile successore della Guida suprema iraniana, preferendo quindi incontrare un cristiano cattolico piuttosto che un suo fratello di fede; a sua volta il papa ha mandato un forte messaggio scegliendo Al Sistani e non Alì Khamenei, la massima autorità politica e religiosa iraniana, come suo interlocutore in rappresentanza dell’islam sciita. Il significato profondo dell’incontro tra i due religiosi è pertanto un inno alla pace e al dialogo interreligioso, punti programmatici già espressi dal Concilio Vaticano II.

Papa Francesco e l’ayatollah Ali al Sistani. Foto da ANSA

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