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il N° 6 - NOVEMBRE 2016

Guitto

Rivista dell’Associazione Culturale Il Guitto

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L’Oriente è sempre più vicino

Piglio, paese DiVino

Omaggio a Umberto Fiorani

Fumone 1 settembre 1966 - 2016 Il ricordo della visita storica di papa Paolo VI nel 50° anniversario EDITORIALE

Una lunga estate caldissima Prove generali per il rilancio di un turismo culturale a Fumone di Elisa Potenziani L’estate fumonese è lunga e calda, ma non soltanto per le alte temperature. Lo è soprattutto per il turismo e le iniziative culturali. L’Associazione “Il Guitto” ha organizzato varie passeggiate culturali nel centro storico durante le quali sono stati aperti, purtroppo solo occasionalmente, grazie alla collaborazione con l’Amministrazione Comunale e con privati cittadini, luoghi come l’antica spezieria e un poderoso frantoio dalle cui ruote, per molti secoli, è uscito l’olio destinato agli abitanti del borgo. - Pag. 2

di Alessandro Potenziani

È trascorso mezzo secolo da quel pomeriggio di giovedì 1 settembre 1966 quando S.S. Paolo VI, in una delle sue visite pastorali, si recò in Ciociaria, per omaggiare la figura di san Pietro Celestino V. A distanza di cinquant’anni è ancora molto vivo il ricordo di quella visita storica “non ufficiale” alle località legate indissolubilmente alla figura del papa del “gran rifiuto”: Anagni, città nella quale Celestino V fu “ospite” del successore Bonifacio VIII, nell’attesa che la tetra rocca di Fumone fosse pronta ad accoglierlo; Fumone, appunto, dove nella cella del castello egli visse i suoi ultimi nove mesi, a detta di molti in “honesta custodia”, e vi morì il 19 maggio 1296; infine Ferentino, dove fu in un primo tempo sepolto nell’eremo celestiniano di S. Antonio Abate, ma da dove, poi, il corpo del defunto papa molisano venne traslato nella chiesa urbana di S. Agata per essere successivamente trafugato dagli aquilani, in accordo con i monaci celestini di S. Antonio, che il 15 febbraio 1327 lo riportarono nella basilica di S. Maria di Collemaggio a L’Aquila, nota fondazione celestiniana, teatro della sua incoronazione a pontefice. Erano trascorsi ben centotré anni dall’ultima visita di un papa in terra ciociara o, per meglio dire, nelle province di “Campagna e Marittima”: era il maggio del 1863 quando Pio IX visitò molti centri di quelle province e quindi si spiega il notevole entusiasmo tributato a Paolo VI dalle popolazioni dei luoghi visitati. Per ricordare, invece, la presenza di un papa a Fumone, bisogna risalire appunto alla drammatica vicenda celestiniana. - Pag. 2


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segue da pag. 1 - Ha collaborato con altre Associazioni, come l’A.C.T.A di Alatri i cui componenti, tutti artisti, nell’evento “En plein Air”, hanno curato una bella esposizione di opere d’arte lungo il percorso principale che conduce alla Rocca e tutt’attorno alle sue mura. Hanno partecipato anche Andrea Calvano, Alfredo Miccoli e Damiano Potenziani in qualità di musicisti, creando un meraviglioso connubio tra musica, pittura e storia. I componenti de “Il Guitto” hanno anche ideato e sperimentato, per la prima volta, un trekking in notturna nel centro storico seguendo il filo rosso tracciato dagli «Statuta et Ordinamenta Castri Fumonis», riscoperti nell’Archivio storico del Comune di Fumone negli anni Ottanta del secolo scorso dall’allora Sindaco Umberto Caponera e restituiti alla comunità attraverso una pubblicazione, corredata dalla traduzione del prof. Cesare Bianchi. Tali Statuta, di una preziosità documentaria inestimabile, sono datati al 1536 e hanno regolamentato la vita degli abitanti di Fumone per secoli. Affronteremo però l’argomento, nei modi e nei tempi che merita, in un altro momento. Con la visita esclusiva, sempre in notturna, al giardino pensile del Castello di Fumone si è pure ammirata la Ciociaria da una terrazza inusuale che rievoca suggestioni ed emozioni da viaggiatori del Grand Tour. La “Pro Loco Fumone degli Ernici”, con vari appuntamenti, ha valorizzato l’enogastronomia e l’artigianato locale, puntando dunque a diffondere la conoscenza dello storico borgo di Fumone attraverso eventi che hanno registrato una notevole partecipazione. Prova schiacciante del fatto che Fumone possa attrarre l’attenzione di molti, italiani e non, è la visita della delegazione cinese interessata a gettare le basi per un futuro dialogo economico-commerciale, e per collaborare in ambiti quali cultura, turismo e industria. Anche settembre è stato un mese molto intenso. Il 1 settembre, in occasione del 50esimo anniversario della visita del S.S. Paolo VI a Fumone, il sindaco di Fumone, Cav. Uff. Maurizio Padovano, ha accolto il prefetto della provincia di Frosinone, Dott.ssa Emilia Zarrilli, il vescovo della diocesi di Anagni - Alatri, Mons. Lorenzo Loppa e il Capitano dei Carabinieri della stazione di Alatri, Antonio Contente. Al beato Paolo VI è stata intitolata, alla presenza dei cittadini di Fumone, l’area antistante al Castello dopo che le autorità presenti hanno ricordato l’avvenimento storico, la personalità del pontefice e il motivo del suo viaggio nel piccolo paese ciociaro: rendere omaggio a Celestino V, morto nel 1296 in un’angusta cella del Castello di Fumone, del quale Paolo VI voleva rilanciare l’alta spiritualità, modello per la Chiesa di tutti i tempi. La giornata si è conclusa con il concerto serale “Il barocco e la musica strumentale italiana”, svoltosi nel giardino pensile del Castello di Fumone, durante il quale l’orchestra da camera Daniele Paris ha suonato A. Vivaldi. All’evento erano presenti molte autorità della Provincia e della Regione; inoltre il concerto è stato inserito nel programma della 36^ edizione

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della “Stagione concertistica delle città medievali”, appuntamento di rilevante significato culturale per il territorio della provincia di Frosinone. Proprio grazie alla proficua collaborazione tra il maestro Vincenzo Mariozzi, Dir. Art. “Ass. Musicale Ernico Simbruina”, il Sindaco Cav. Uff. Maurizio Padovano e i proprietari del Castello, Fabio e Stefano De Paolis, è nata l’idea, per la prossima estate, di un festival musicale nel centro storico di Fumone della durata di un’intera settimana. Presso i grottoni della Residenza Municipale si è svolta poi, tra il 1 e il 4 settembre, la mostra documentaria a cura di Alessandro Potenziani: sono state esposte una trentina di foto storiche che commemorano i momenti salienti della visita del Santo Padre a Fumone; la produzione filatelica, tra cui francobolli e buste primo giorno; il francobollo e le medaglie commemorative prodotte in occasione del VII centenario della morte di Celestino V e la rassegna stampa dei giorni successivi al 1 settembre 1966 tra cui figurano le testate più importanti come L’Osservatore Romano, Il Messaggero, Il Tempo. L’estate si è chiusa il 23 settembre, nelle sale nobiliari del Castello di Fumone, dove è stato presentato il libro “La Costituzione e la Bellezza” scritto a quattro mani dal prof. Michele Ainis e dal prof. Vittorio Sgarbi, entrambi presenti all’evento organizzato dall’Associazione culturale “Castello di Fumone”. La stagione termina, dunque, con una riflessione sulla grande quantità di “bellezza” di cui è intriso tutto il territorio nazionale: tale patrimonio culturale dovrebbe (e il condizionale è d’obbligo) plasmare, fin dall’età scolare, l’identità collettiva della popolazione (italiana) che lo possiede. Le riflessioni scaturite dall’aver posato lo sguardo su questa “grande bellezza”, dovrebbero costituire per tutti un incentivo a puntare di più sul turismo, possibilmente lento e culturalmente rilevante, senza demonizzare la ricchezza responsabile – cosa ben diversa dalla speculazione – che tale circuito potrebbe garantire, mettendo al primo posto sempre la tutela dei beni di interesse culturale, la cui valorizzazione è conseguenza della prima e “conditio sine qua non” per uno sviluppo, sicuramente duraturo, dell’economia locale.

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segue da pag. 1 - Ora, per mezzo delle cronache dell’epoca, le quali ci restituiscono in modo dettagliato lo svolgimento di quel pomeriggio, tenteremo di rivivere i momenti salienti e l’atmosfera di quella storica giornata. Il papa partì intorno alle 15.00 dalla residenza estiva di Castel Gandolfo: il corteo pontificio, composto soltanto da tre vetture scortate da una pattuglia di quattro motociclisti della Polizia, percorse L’Autostrada del Sole e giunse a Frosinone poco prima delle 16.00. Una breve sosta nella chiesa della Madonna della Neve permise al papa di salutare il vescovo della diocesi di Veroli-Frosinone, mons. Giuseppe Marafini, e le autorità civili e militari del capoluogo ciociaro, con uno scambio di doni. Lungo la strada da Frosinone ad Alatri la folla esultante accoglieva il Vicario di Cristo. Grandi lettere sulle mura megalitiche dell’acropoli di Alatri salutavano il pontefice con un “Viva il Papa!”. Da Alatri il corteo proseguì verso la meta principale della visita, Fumone, dove Paolo VI giunse intorno alle ore 16.30, fermandosi nell’assolata piazza di Porta Romana: ad accogliere il papa c’erano le autorità civili e religiose, il sindaco dott. Eugenio Genesio Del Monte con gli amministratori, il vescovo di Alatri mons. Vittorio Ottaviani, l’arciprete di Fumone don Enrico Stirpe e una folla esultante di persone accorse anche dai paesi circostanti.Varcata Porta Romana, il pontefice si ritrovò sotto una pioggia di piccoli foglietti recanti scritte osannanti e ovunque bandiere italiane si confondevano con quelle vaticane mentre bandiere più piccole e colorate sventolavano sui fili sospesi tra le mura delle case, le cui finestre erano adorne di coperte variopinte, altane e angoli fioriti che impreziosivano il percorso dell’illustre ospite. Terminata la salita erta e selciata che da Porta Romana giunge all’ingresso della rocca, ricalcando il medesimo percorso del suo prede-


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cessore Celestino V il quale, certamente, non ricevette lo stesso entusiasmo, il papa fu accolto dai proprietari del castello, le famiglie dei marchesi Marchetti-Longhi e ServentiLonghi. Esse discendono dai Longhi oriundi di Bergamo i quali, in virtù di un loro familiare eletto cardinale proprio da Celestino V, Guglielmo de Longis, vantano da sempre nelle loro tradizioni familiari il culto del santo eremita del Morrone. Questo il motivo per cui Giovanni Longhi acquisì, sul finire del Cinquecento, i caseggiati dell’antica rocca dove visse e morì il pontefice dimissionario. L’angusta cella, fulcro principale del viaggio di Paolo VI, era finalmente raggiunta. Qui si raccolse in intima meditazione sull’umile altare marmoreo che racchiude, secondo la tradizione, quello ligneo dove pregava il Santo: in quella preghiera si celava l’essenza della sua visita. Nell’attigua cappella dedicata a Celestino V il papa lasciò in dono una croce astile metallica fissata a una base in pregevole marmo africano, opera di Enrico Manfrini, detto lo “scultore dei papi” per via delle numerose committenze pontificie. Paolo VI in quell’occasione definì il sacello e la cappella familiare dei Longhi “Piccolo Santuario”, appellativo di eccezionale importanza in quanto elevò l’oratorio domestico di carattere gentilizio

dei Longhi a santuario di pubblica venerazione. Dai marchesi Longhi, per mano della piccola Roberta Pia De Paolis-Celani, figlia di Giovanni e Patrizia Serventi-Longhi, il papa ricevette in dono un reliquiario contenente una falange di Celestino V, il pontefice ricambiò con un prezioso rosario. Successivamente Paolo VI, accompagnato dal cardinale Amleto Giovanni Cicognani, Segretario di Stato Vaticano e mons. Mario Nasalli-Rocca, Mae-

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stro di Camera del pontefice, si intrattenne in alcune sale con le famiglie proprietarie del castello e poi con le massime autorità civili e militari della provincia, interessandosi alle problematiche del Frusinate. Una vivace salva di “mortaretti”, tipica espressione di festosità ciociara, allietò il percorso dal castello alla gremita chiesa collegiata della SS. Maria Annunziata; dall’altare, impreziosito del tronetto dorato recante l’icona della

Paolo VI saluta la folla al suo arrivo a Fumone (Fotografia Pontificia Felici, collezione A. Potenziani)

il Guitto - Rivista di cultura fumonese e ciociara Direttore: Elisa Potenziani - Direttore artistico: Francesco Caponera Hanno collaborato a questo numero: Alberto Bevere, Chiara Capomaggi, Umberto Caponera, Caterina De Santis, Francesca Di Vincenzo, Giuseppe Gatta, Giorgio Alessandro Pacetti, Matteo Petitti, Federico Pica, Alessandro Potenziani.

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Paolo VI depone in dono la croce votiva nella cappella di S. Celestino, all’interno del castello (Fotografia Pontificia Felici, collezione A. Potenziani)

Madonna del Perpetuo Soccorso ricorrendone proprio in quei giorni i festeggiamenti, il papa esordì dicendo: «La prima parola che ci trabocca dal cuore è quella di un senti-

mento di grande commozione per il tributo di affetto di queste popolazioni ciociare». Ai ringraziamenti di rito seguì il suo discorso, i cui aspetti cercheremo ora di focalizzare.

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Confidò ai presenti come la sua presenza avesse anche il carattere di un “viaggio sentimentale”, ricordando una precedente visita a Fumone e alla zona circostante, diciotto anni prima. Non mancò di notare i progressi fatti in quel lasso di tempo perché trovò strade più comode, una maggiore disponibilità di acqua, una campagna che gli sembrò più rigogliosa e non mancò di ricordare alla popolazione di vivere sempre secondo gli insegnamenti cristiani, solleciti al bene altrui. Lo scopo principale del suo viaggio fu «quello di rendere onore a san Pietro Celestino» suo predecessore che lì morì. Dalla vita di Celestino V, Paolo VI trasse due insegnamenti. Il primo dato dalla storia: la sofferta elezione al pontificato di Pietro da Morrone richiama alle origini della Chiesa, all’investitura data da Cristo a san Pietro, una continuità apostolica che si realizza anche nelle situazioni e periodi storici più avversi come fu appunto in quell’epoca. Ciò si perpetua perché nella Chiesa «c’è la promessa e la presenza divina: io sarò con voi fino alla fine dei secoli. Questo è il miracolo vivente del cattolicesimo». Il secondo insegnamento è dato dalla santità: dopo pochi mesi di pontificato Celestino V, accortosi degli inganni di chi lo circondava allo scopo di trarne vantaggi, con lo stesso dovere con cui accettò l’alto incarico, egli vi rinunciò e non per viltà, come alcuni sostengono, ma per eroismo di virtù e «la morte per Celestino V fu principio di gloria». Invocando la protezione del santo, esortando tutti alla sua devozione, il papa si congedò da Fumone rinnovando la sua benedizione. Il Santo Padre lasciò in dono due preziosi calici, uno alla collegiata, l’altro alla chiesa di S. Michele Arcangelo e una medaglia d’oro del Pontificato al Comune consegnandola nelle


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mani del sindaco; in cambio ricevette da alcuni fanciulli l’offerta simbolica di fiori, alcune colombe e cinque pianete dai colori liturgici. Lasciata Fumone, il papa visitò le città di Ferentino e Anagni dove l’accolsero il medesimo entusiasmo. A Ferentino il Santo Padre incentrò il suo discorso sull’equilibrio, come obiettivo, fra la tradizione e l’innovazione per raggiungere una sempre maggiore elevazione sociale, civile e morale. Ad Anagni, invece, ribadì l’importanza dei valori cristiani che stanno alla base della continuità della Chiesa. Infine, esaltò le grandi capacità di Bonifacio VIII nel guidare la Chiesa in quei tempi difficili. Tralasciamo volutamente la cronaca dettagliata di ciò che avvenne nelle due importanti città storiche della Ciociaria per soffermarci, invece, sul valore delle parole pronunciate da Paolo VI e puntualmente registrate dai quotidiani dell’epoca, le quali contribuirono senza dubbio a una grande rivalutazione delle figure dei suoi due predecessori. Il papa «ha storicamente e religiosamente corretto qualsiasi avverso e negativo giudizio espresso su Celestino V» del quale ha messo in risalto che

I discendenti dei marchesi Longhi accolgono il pontefice all’ingresso del castello (Fotografia Pontificia Giordani, collezione A. Potenziani)

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Il corteo pontificio lascia Fumone alla volta di Ferentino e di Anagni (cartolina commemorativa, ediz. Paolo del Monte, fotografia Luciano Collalti, collezione A. Potenziani).

la sua accettazione e successiva rinuncia al Papato deve considerarsi «atto di coraggioso e cosciente senso di responsabilità» annullando dunque qualsiasi giudizio di “viltà” nei confronti dell’umile figura dell’eremita del Morrone. Diversa invece la storia del suo predecessore Bonifacio VIII, diversa la sua indole, la sua politica ma, con la sua formidabile azione per la Chiesa, riuscì ad affermare nella formula più piena e solenne l’autorità del Romano Pontefice. La gerarchia, affermò il Santo Padre, «è la causa efficiente, il principio di vita della Chiesa». Paolo VI lasciò a Fumone un segno tangibile della sua venerazione per san Pietro Celestino V, con l’edificazione, l’anno seguente alla sua visita, di una chiesa dedicata al Santo, in contrada Pozzi, che fu consacrata dal vescovo diocesano Vittorio Ottaviani il 19 maggio 1968 e inaugurata il 26 dello stesso mese dal cardinale Carlo Confalonieri, prefetto della Congregazione per i vescovi. A perenne ricordo della visita del pontefice, a un lato del portone d’ingresso del castello, fu affissa la lapide commemorativa voluta dall’esimio Giuseppe Marchetti-Longhi, il quale aveva anche ideato di realizzare una mostra

permanente attigua al “Piccolo Santuario celestiniano” ma circostanze sfavorevoli non glielo permisero.

Fonti e riferimenti bibliografici: E. Biondi, I Papi in terra ciociara, in «Terra Nostra», rivista mensile dell’Associazione fra i Ciociari, 5 (1966), n. 9, pp. 6-8. G.B. Forcina, Pellegrinaggio di S. Pietro Celestino V in Ciociaria, L’Aquila 1969. R. Guarini, Il Pontefice a Fumone e Ferentino salutato dalla gente di Ciociaria, “Il Messaggero”, 2 settembre 1966. Hernicus, Castel Fumone ed il suo “Piccolo Santuario” celestiniano, a cura dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale, Anagni 1968. G. Marchetti-Longhi, “Fu viltade il gran rifiuto”?, Archivio della Società Romana di Storia Patria, Roma 1969. A. Sarra, Il viaggio di Pio VI in Ciociaria, 11-20 maggio 1863, Casamari 1963. Esaltata dal Pontefice Paolo VI la figura del Papa Celestino V, “Il Messaggero di Frosinone”, 3 settembre 1966. Insegnamenti di Paolo VI, 1963-1973, vol. IV, Città del vaticano 1966, pp. 1078-1083. La sosta nell’eremo di Celestino V, “L’Osservatore Romano”, 3 settembre 1966. La visita dei pontefici ad Alatri, edito in occasione della visita di S.S. Giovanni Paolo II, Alatri 2 settembre 1984, a cura della Pro-loco, Alatri 1984. Tutta la Ciociaria attorno al Papa, “Il Tempo”, 2 settembre 1966. Visita di Paolo VI a Fumone, in Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale, 4 (1966), pp. 287-289.


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L’Oriente è sempre più vicino Lo scorso agosto una delegazione cinese ha visitato Fumone di Umberto Caponera

Percorrendo le stradine selciate di Fumone, non di rado si ha l’impressione di camminare tra sentieri del passato. Complici di tali sensazioni sono le viuzze strette e ripide, le vive rocce che sorreggono le case, il grigiore dei muri. Quasi ci si aspetta che sbuchi da dietro qualche spigolo una pattuglia con le alabarde o una fiera donna col corpetto e la “tina” in testa. Ci si mette anche l’immancabile brezza tipica fumonese che, svolazzando tra i vicoli, pare trasportare rumori e suoni d’altri tempi. Viene da chiedersi: “prima” qui, come parlavano? Ma prima quando? Al tempo dei romani? Ovviamente dalle finestrelle o dalle feritoie dei muri fuoriuscivano frammenti di latino. Osservando meglio il contesto, però, quest’immagine scompare perché non vi sono tracce di romanità: qua è tutto medioevo. Certo, nel medioevo persisteva ancora il latino, ma già avanzava il volgare che poi sarebbe diventato l’italiano. Proprio qui vicino, nella biblioteca di Montecassino, è conservata la prova, risalente al X secolo, di uno dei primi “lieviti” della lingua italiana: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti(1)». Però, a pensarci bene, poteva capitare di ascoltare anche l’arabo dei saraceni (IX sec.), il tedesco dei soldati di Enrico VI (XII sec.) o il recente francese dei soldati papalini (XIX sec.). Mai e poi mai verrebbe in mente che tra le viuzze fumonesi si parlasse il cinese. Invece è successo di recente! Una delegazione di personalità cinesi, dopo essere stata in Germania, ha fatto una puntatina in Italia, ma dove esattamente? A Fumone! Lo scopo della visita era quello di avviare un processo di relazioni con finalità economico-commerciali. Ovviamente, nulla accade per caso: nostro intermediario è stato Ennio Buccitti, nome noto ai fumonesi per il suo impegno politico, il quale, essendo venuto a conoscenza di tale possibilità attraverso contatti personali, ha in-

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formato il Sindaco Cav. Uff. Maurizio Padovano dell’opportunità, prontamente colta. Gli ospiti cinesi, giunti di buon mattino, sono stati ricevuti nella sala consiliare del Municipio dove il Sindaco, con le insegne formali, ha salutato a nome della cittadinanza ed ha illustrato una sintetica immagine storica di Fumone. Ha fatto seguito l’intervento del capo-delegazione DUAN JINGHUA, capo sezione del Dipartimento del commercio che, dopo aver ricambiato il saluto, ha presentato gli aspetti salienti della loro provincia e la specificità di ogni componente della delegazione. In sintesi egli ha detto che la provincia di provenienza si chiama YUNNAN che significa: “a sud delle nuvole” ed è situata nella parte sud-ovest della Cina. Il territorio è molto simile al nostro, ha come capitale la città di Kunming ed una popolazione di circa 47 milioni di abitanti (2/3 dell’Italia). Tra le varie e importanti attività economiche spiccano per consistenza la produzione industriale, agricola e la vocazione turistica. I colleghi della delegazione rappresentavano rispettivamente: ZHANG YANFANG: impiegato capo del Dipartimento del commercio; XIAOJUN: manager nell’ambito del Parco della scienza e della Tecnologia; YANG HONG: referente articoli tradizionali e di artigianato; YUHUA: vice manager generale e FAN LIYUN: manager di divisione per la TV digitale mobile. Dopo un reciproco scambio simbolico di doni, sono stati illustrati gli aspetti salienti della nostra provincia partendo dalle tracce rinvenute della prima forma di antropizzazione (Homo cepranensis – Ceprano 1994) risalenti a circa mezzo milione di anni fa. Quindi, è stato illustrato sinteticamente l’assetto economico-produttivo che


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vede tra le principali attività quella industriale, quella agricola e zootecnica, trasporti, turismo e servizi. Non poteva essere sottaciuto, ovviamente, l’aspetto culturale e artistico che polarizza fortemente la nostra provincia. L’ultimo tema è stato quello del sistema televisivo italiano trattato sapientemente da Vincent Tatangelo, titolare di una emittente televisiva. A conclusione della cerimonia ufficiale presso il Municipio, la delegazione, dopo aver gustato e apprezzato un aromatico caffè, è stata accompagnata lungo le stradine interne del centro storico lasciando come ultima tappa una doverosa visita al Castello.

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Potrebbe sembrare una considerazione ridondante, ma dal nostro punto di vista possiamo sottoscrivere che la “Cina è sempre più vicina”. I contatti presi potranno produrre ulteriori sviluppi incoraggiati anche da un ruolo di intermediazione che il Comune di Fumone potrebbe svolgere favorendo le relazioni tra la realtà produttiva della nostra provincia e quella cinese di Yunnan. (1) “So che quelle terre, entro i confini che sono indicati, per trent’anni le ha possedute il monastero di San Benedetto”. Da uno dei quattro placiti cassinesi (capuano) conservati nella biblioteca di Montecassino.


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Viaggiare in Ciociaria:

Piglio, paese DiVino di Chiara Capomaggi con foto di Alberto Bevere

Piglio è situato su uno sperone del Monte Scalabra, a forma di ferro di cavallo e proteso verso la piana anagnina, limitato da due canaloni ai lati, che isolandolo, rendevano il borgo medievale inespugnabile. Dominato dall’alto torrione del castello Colonna e della strada che risale all’Altopiano di Arcinazzo, Piglio è uno dei 91 comuni della provincia di Frosinone, con 4.720 abitanti in 35 km di estensione, a 620 m sul livello del mare. Il paese è raggiungibile dall’Autostrada del Sole (A1), uscendo al casello Anagni-Fiuggi Terme e procedendo lungo la via Anticolana (SR155racc) in direzione Fiuggi; è inoltre attraversato dalla via Prenestina (SR155). L’asse viario principale dell’abitato è rappresentato dalla Via Maggiore che prosegue fino alla strada che collega il paese con gli Altipiani di Arcinazzo e con il Comune di Serrone in direzione opposta. Quattro erano in origine le porte d’accesso al borgo:“Porta da Capo”, sostituita da un grande arco (Arco della Fontana),“Porta dell’Arringo” in cui anticamente si allestiva il mercato,“Porta del Capitano” e “Porta da Pei”. Si presenta come un centro di epoca medievale, famoso per il suo vino Cesanese, l’olio e la cucina casereccia. Un tempo, infatti, il sostentamento del paese era rappresentato dall’agricoltura e dall’allevamento mentre oggi buona parte dell’economia locale è sostenuta dalla viticoltura. È nota la leggenda che spiega il nome di Piglio, attribuendolo ad un episodio accaduto al passaggio del generale romano Fabio Massimo il Temporeggiatore che perdendo il suo elmo gridò “Pileum”. Al di là del mito, tale nome non appare nell’antichità in quanto troviamo invece quello di “Capitulum Hernicorum” (lega sacro-politica degli Ernici che aveva il suo centro ad Anagni).

Piglio merita di essere ricordato anche il per il suo patrimonio storico-archeologico, come ad esempio l’antico complesso medievale dei suoi castelli, inferiore e superiore. Il castello Colonna In generale la parola castello si associa da subito a quella di medioevo, periodo d’oro per la costruzione di fortificazioni realizzate per paura di guerre, razzie e per fronteggiare i nemici che prima dell’anno Mille hanno invaso la nostra penisola. Naturalmente tutto il contado beneficiava della protezione della corte, in cambio di servizi e favori. Come castello Piglio viene nominato tra i possessi dell’Episcopio di Anagni, documentato in una Bolla di Papa Urbano II del 1088. Documenti storici attestano il feudo a varie famiglie tra cui gli Orsini, i De Antiochia e infine i Colonna, ma soprattutto ad una famiglia baronale anagnina, i De Pileo, da cui prese il nome il paese. Dopo anni di degrado finalmente, intorno al 1962, iniziarono i primi restauri, ad opera dell’amministrazione comunale, dell’antico torrione che sovrasta la parte alta del castello e negli anni ’70 la Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio avviò restauri che permisero l’apertura al pubblico. Il complesso del castello di Piglio si compone di due parti differenti costruite in epoche diverse, “Palatium Superior” e “Palatium Inferior” se-

parate da un dislivello di 25 metri. Del palazzo superiore si riconosce una piazza d’armi, una cisterna e una sala baronale mentre nel palazzo inferiore si trovano sale di rappresentanza con i soffitti decorati a grottesche, derivanti dalle influenze romane e napoletane. Ad oggi i due edifici sono collegati da una scala a gradoni. La religiosità di Piglio Anche se è un piccolo borgo, nel paese si trovano varie chiese, a dimostrazione della grande devozione del popolo pigliese salvato dalla peste grazie ad un miracolo della Madonna. Si narra che, nel 1656, a Piglio infierì la peste che causò la morte di metà della popolazione; gli scampati che pregavano davanti ad un’immagine della Vergine (dalle caratteristiche tipiche dell’arte bizantina), il 30 ottobre si accorsero che le rose appassite ripresero vigore, segno che l’infezione era stata sconfitta. Da quel giorno, nel punto in cui era collocata l’icona, sorse la chiesa della Madonna delle Rose. Una devozione questa che viene paragonata alla stessa fede che si ha in san Lorenzo, patrono di Piglio e a cui è dedicato lo splendido convento francescano fondato da san Francesco in viaggio verso Subiaco. La chiesa principale è la Collegiata di Santa Maria Assunta in cielo, ristrutturata dopo il bombardamento aereo alleato del 1944 in cui persero la vita in molti, come testimonia la la-


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pide commemorativa all’interno. Proseguendo, all’interno dei vicoli, troviamo la chiesa di Santa Lucia e la chiesa dell’Oratorio, dove un tempo si inumavano i defunti; come anche nella chiesa di San Rocco che venne usata come lazzaretto nel Seicento. Dirigendoci verso la scorciatoia che porta agli Altipiani di Arcinazzo (Bianova), s’incontra la piccola chiesa di Sant’Antonio Abate, nell’omonimo vicolo, dove si benedicono gli animali nel giorno dedicato al santo. Risalita la via si trova la chiesa della Madonna del Monte, utilizzata un tempo come ricovero per il bestiame. In direzione opposta, dunque verso la strada per Acuto, è collocato il Convento di San Giovanni, con i resti di un tempio pagano e il cimitero comunale.

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sono infatti compresi tra i 220 e i 980 m s.l.m., con pendenza variabile, ma spesso superiore al 10%. L’esposizione generale è verso ovest e sud-ovest, restando esclusi dalla produzione i

Il cesanese D.O.C.G. La maggiore produzione che fa parlare di Piglio è sicuramente il suo vino Cesanese, prodotto anche nelle campagne di alcuni comuni limitrofi come Affile, Anagni, Acuto, Serrone e Paliano.Tutte zone dalle terre rosse a causa dell’erosione calcarea dei Monti Simbruini. I vigneti

Ristorante del Pescatore ...da più di cento anni semplicità e tradizione a due passi dal lago di Canterno...

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terreni a quote troppo basse. La combinazione tra le caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, determina vini con elevata struttura e grande equilibrio. Grazie ad alcuni documenti gregoriani, si è potuta ricostruire la storia della coltivazione del vino Cesanese, appartenuta ai monasteri della zona. La denominazione di origine “Cesanese del Piglio o Piglio DOCG” è una delle più importanti DOCG della regione Lazio, per le province di Frosinone; esiste dal 1973 (DOC) ed è passata a DOCG dal 2008. La tipologia “Cesanese del Piglio” o “Piglio Superiore” è data quando il vino viene sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore a 20 mesi, di cui 6 mesi di affinamento in bottiglia. Da circa dieci anni l’Associazione Strada del vino Cesanese si occupa della promozione dei territori e della valorizzazione del nostro vino. Numerose sono le aziende, a gestione familiare e non, che producono Cesanese, o nei modi di un tempo o con tecnologie più avanzate, nell’unico intento veramente riuscito di realizzare un Cesanese D.O.C.G. Piglio e i paesi vicini Da Piglio si arriva facilmente a centri turistici vicini, come la Piana di Arcinazzo da cui si possono facilmente raggiungere le vicine stazioni sciistiche di Monte Livata, Campo Staffi e Campo Catino. Si può visitare Trevi nel Lazio, l’antica Treba Augusta degli Equi; ancora Guarcino con il suo suggestivo centro storico; Filettino;Vallepietra, celebre per il santuario della SS. Trinità e Subiaco, terra benedettina racchiusa tra i monti e dimora di san Benedetto stesso. Sul versante opposto invece, quello occidentale, si giunge a Serrone da cui si può accedere al Monte Scalambra e vedere la famosa Madonna Nera; proseguendo verso Colleferro si arriva a Paliano, ultimo comune a nord della Ciociaria, residenza scelta dai Colonna e sito del Carcere. Altre località note vicino al territorio di Piglio sono poi Anagni, terra dei Papi e Frosinone, capoluogo di provincia.


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PIGLIO: il convento di San Lorenzo di Giorgio Alessandro Pacetti

Adagiato sul monte, tra il verde di alberi secolari, immerso in un’atmosfera di pace silente, cullata dal fruscio delle foglie, illuminato da tenui aurore e rossi tramonti estivi, imbiancato dalle nevi invernali, il convento di San Lorenzo in Piglio si è popolato nei mesi scorsi di persone, per ricordare il Beato Andrea Conti, san Massimiliano Kolbe e il venerabile Padre Quirico Pignalberi. Questo angolo di Paradiso dà un’impressione sublime e dolce che sfida il tempo dal lontano 1200, allorchè san Francesco d’Assisi pose la prima pietra per fondare un romitorio. Pace, silenzio, verde circondano questo luogo di preghiera a cui si accede attraverso una strada di collina tra siepi vive ed alte, bianche di brina e di neve in inverno, bianche di fiori in primavera, nere di more alla fine dell’estate. È in questo luogo (caro a san Giovanni Paolo II, ai due santi Francesco e Massimiliano e al Beato Andrea il quale visse per quaranta anni in preghiera e penitenza nel dialogo sublime di amore per la natura e per il suo Creatore) dove nel tramonto, colori e linee si fondono senza scomparire in una lenta oscillazione di luce e d’ombre, dove il tempo si annulla e un attimo vale un secolo. Quì arrivò Padre Massimiliano Kolbe dal 4 al 6 febbraio del 1937 (quattro anni prima di morire) a trovare l’amico Maestro Quirico Pignalberi, confondatore della Milizia della Immacolata, morto nel 1982 all’età di 91 anni, anche questo ultimo un santo uomo che visse nel convento di San Lorenzo per circa 60 anni tra preghiera e penitenza. Non c’è cuore umano che

non ritrovi pace e serenità raccogliendosi in preghiera innanzi alle ceneri del Beato Andrea Conti, gelosamente conservate nella chiesa del convento come un tesoro di grazia che infonde atmosfera sublime di quiete, serenità e santità. Un po’ più in là si può visitare una grotta che si addentra nella viva roccia del monte Scalambra vicinissima al convento dove il Beato Andrea pregava e il presepe che è stato ristrutturato ed è ospitato in uno scantinato del convento di San Lorenzo. Si tratta di quel presepio computerizzato costruito con mezzi di fortuna da Padre Quirico Pignalberi alla fine degli anni ‘50. Dopo aver ammirato nella cornice di squisita povertà francescana gli eventi che si riferiscono alla nascita del Salvatore e le diverse attività umane che si avvicendano alla sua presenza nell’arco della giornata dall’alba al tramonto (allevamento animali, trasporti, artigianato) i visitatori potranno sostare davanti al sepolcro del Suo ideatore presso la Cappella del Sacro Cuore all’estremità orientale del complesso francescano. Questa figura di santo

religioso nobilita ulteriormente il Sacro Colle che vide nel 1200 i prodigi di santità di san Francesco d’Assisi e del Beato Andrea Conti; che nel 1400 accolse i resti di Benedetto da Piglio, il più insigne tra gli umanisti laziali e che nel 1700 fu scelto dal popolo pigliese come luogo dove elevare uno stupendo tempio barocco alla memoria dello stesso Beato e del martire san Lorenzo. La comunità francescana è pronta ad accogliere, come sempre, i numerosi visitatori per far gustare loro un angolo di Paradiso e il conforto di una parola di pace e bene. Ma c’è di più. Il convento di San Lorenzo, nell’ambito dell’accorpamento delle Province francescane nell’Italia Centrale, assumerà un ruolo molto ambizioso: ne “diventerà la sede spirituale”, per incontri, ritiri, esercizi spirituali, manifestazioni religiose e culturali e quanto altro di analogo. La notizia è stata data dal Ministro Provinciale Padre Vittorio Trani al Sindaco Avv. Mario Felli e al popolo pigliese al termine dei festeggiamenti estivi in onore del Beato Andrea Conti. I frati P. Angelo Di Giorgio, superiore del convento e Rettore della chiesa di San Lorenzo, e il diacono frate Lazzaro resteranno fino al 24 aprile 2017, giorno in cui sarà costituita giuridicamente la nascente Provincia francescana.


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Il “cammino contemplativo Karol Wojtyla” a Piglio La natura, pillola per la cura dello spirito di Matteo Petitti

Associare la figura del papa alla Ciociaria, quasi sempre ha obbligato il cronista al racconto di eventi risonanti che le popolazioni dei nostri paesi hanno vissuto con grande trasporto emotivo e coinvolgimento organizzativo. Fa eccezione la visita privata, nel non lontano 2004, dell’allora papa e oggi santo Giovanni Paolo II ai prati di San Biagio in località “Inzuglio”, sita nel comune di Piglio lungo la strada provinciale Piglio-Altipiani di Arcinazzo (SP20). Un evento molto significativo per i nostri territori se si pensa che il “papa dei grandi viaggi” scelse, su suggerimento del suo autista personale di origini pigliesi, il luogo suddetto per trascorrere una giornata di ritiro spirituale immerso nella natura incontaminata. Era la tarda mattinata del 15 aprile 2004 quando il Santo padre lasciò il Vaticano per spostarsi a Piglio, accompagnato da un limitato gruppo di agenti di scorta, dal suo segretario Stanislao Dzwisz e dal medico personale Renato Buzzonetti. Da qualche giorno in paese si vociferava che qualcuno di importante sarebbe arrivato per trascorrere una giornata entro i confini comunali, ma le notizie erano confuse e poco chiare; ciò permise al Papa di attraversare il borgo, lungo la strada provinciale che lo avrebbe condotto alla destinazione prescelta, in quasi totale anonimato. Arrivato in località “Inzuglio” il Papa, dopo una breve passeggiata nel bosco e uno spuntino in compagnia dei sui collaboratori, raggiunse i prati di San Biagio, dove si ritirò in preghiera in una piccola tenda verde che aveva fatto allestire per trascorrere qualche ora in assoluta tranquillità. Con il passare delle ore la notizia della presenza del Papa a Piglio si diffuse tanto da indurre giornalisti, autorità e fedeli ad occupare in massa la strada provinciale, opportunamente presidiata da pattuglie di poliziotti. Alla sera la notizia del viaggio privato del Papa a Piglio venne diffusa dalle principali testate giornalistiche nazionali che vi diedero grande risonanza, per via soprattutto dello stupore che il Papa polacco, con i suoi gesti, riusciva ancora a suscitare nel cuore delle persone nonostante fosse prossimo a vivere gli ultimi mesi della sua vita, fortemente provato dalla lunga malattia: morirà infatti il 3 aprile dell’anno seguente. Il legame che si creò quel giorno tra il Papa e i boschi pigliesi sarà grande motivo di orgoglio per tutti i cittadini del piccolo borgo medievale degli Ernici, tanto che negli anni a venire

le diverse amministrazioni comunali, sull’onda emotiva di quella storica visita, iniziarono a riflettere sul patrimonio naturalistico del territorio comunale, cercando di sviluppare progetti tesi alla valorizzazione del luogo. Le idee e le iniziative che a cascata confluirono nel progetto di valorizzazione trovando espressione concreta nel 2011 quando l’allora giunta comunale capeggiata dal dott. Cittadini deliberò la realizzazione del “Cammino Contemplativo di Karol Wojtyla”, a ricordo della visita e in occasione della beatificazione del Papa polacco: un sentiero lungo 1,5 km che, a partire dall’area adiacente la dolina dell’“Inzuglio” presso la quale è stata posta una statua in resina del Papa, attraversa il bosco alle pendici del Monte Ratafani per concludersi presso i suggestivi prati di San Biagio, in cui è stata posta una stele in marmo e, nel luogo in cui il Papa recitò l’Angelus, una croce, anch’essa in marmo, entrambe opere del maestro scultore anagnino Egidio Ambrosetti. A segnare e a scandire l’andamento del sentiero vi sono alcune rocce sulle quali sono riportate frasi famose di Giovanni Paolo II. Nell’aprile 2013 il sentiero è stato, inoltre, arricchito dal percorso della Via crucis attraverso l’istallazione di sacre immagini in ferro battuto realizzate dallo scultore Adamo Dell’Orco, grazie alle offerte dei cittadini dei paesi di Piglio, Trevi nel Lazio, Jenne e Arcinazzo Romano.

La visita del Papa ha saputo ispirare idee e progetti di valorizzazione di un luogo di indiscusso valore naturalistico, ma sconosciuto a molti e di cui oggi chiunque può fare diretta esperienza. La bellezza è sotto i nostri occhi, bisogna solo saperla notare.

Si ringraziano la sig.ra Stefania Bedetti e la dott.ssa Sabrina Atturo per la preziosa collaborazione.


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Novembre 2016

Usanze legate alla morte: la pratica del “mortorio” in alcuni paesi ciociari di Federico Pica

Solo a sentir parlare di morte o di fatti attinenti ad essa, suona una nota dolente che rievoca lutti personali, ma è in queste tristi situazioni che il calore umano delle persone care può alleviare un po’ di sofferenza. È il profondo sentimento di solidarietà che spinge i membri di una società a partecipare al dolore di un singolo individuo: presentarsi nella casa del defunto per visitare la sua famiglia è un modo per dimostrare affetto e dare conforto, per cercare di alleviare la tristezza del lutto. Soprattutto nei secoli passati la morte era un evento che riguardava l’intera comunità: non solo, dunque, i familiari più prossimi al defunto partecipavano alle esequie, ma ogni lutto era vissuto con coinvolgimento da ogni individuo. La partecipazione era sentita in modo particolare nei piccoli paesi, nelle civiltà contadine e pastorali e, in alcuni casi, era stabilita dalle leggi come atto dovuto: se non veniva effettuata la visita o non si partecipava ai funerali, si riceveva persino il biasimo generale. L’evoluzione dei tempi, degli stili di vita, lo sviluppo delle città hanno portato profondi cambiamenti: nei grandi centri si registra un minore coinvolgimento in eventi di questo genere e la morte viene vissuta soprattutto dalla famiglia e dalla cerchia ristretta di amici e parenti, mentre nelle realtà più piccole la partecipazione dell’intera comunità è ancora forte. A Fumone ed in qualche paese vicino, ad esempio, ancora oggi si portano i pasti nell’abitazione dove il defunto risiedeva: è il cosiddetto “mortorio”. L’usanza prevede che tutti coloro che vogliono portare “il mortorio” si accordino preventivamente per evitare, come a volte è accaduto, che giungano più pasti contemporaneamente. Gli amici si organizzano affinché nella casa del defunto ci sia sempre qualcuno che pos-

sa consolare la famiglia ed accade che i pranzi e le cene vengano portati anche per una settimana. A ridosso della sepoltura è consuetudine utilizzare stoviglie che non siano quelle della casa ospitante in modo da non sporcare o lasciare la cucina non in perfette condizioni. In questo modo i familiari potranno sentire l’affetto che il continuo avvicendarsi di amici e parenti porta loro e ricordare insieme la persona non più presente in casa. Non tutti, però, hanno la possibilità di preparare un pasto completo con il quale omaggiare il defunto e stare vicino agli amici perciò, una volta avuta la certezza che più nessuno porti il “mortorio”, è consuetudine regalare una busta di spesa con degli alimenti che possano consentire di preparare un pasto completo. Le usanze legate al mistero della morte sono molte e ogni paese d’Italia e del mondo possiede le sue.

Via Provinciale d’Accesso n.61 Fumone


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Ciociaria gourmet L’eterna giovinezza dei piatti della tradizione contadina di Giuseppe Gatta

La Ciociaria, si sa, è una terra di viandanti e mercanti, di artisti, poeti e letterati. È un ventaglio di paesi a sud-est di Roma senza confini ben delineati geograficamente. Nel mondo la Ciociaria è identificata come un crogiolo d’arte, di cultura e tradizioni.Tanti i personaggi del mondo dello spettacolo che hanno reso omaggio alla terra ciociara. Come dimenticare l’incredibile interpretazione di Sofia Loren nel film “La Ciociara”? Ma non esiste buona terra senza buon cibo e buon cibo senza buona cucina. La tradizione culinaria in Ciociaria è a dir poco strabiliante: potrebbero essere scritti libri e libri di ricette, dai primi piatti, realizzati con prodotti di riciclo, ai dolci, al pesce, ai legumi e alle carni “povere”, ora quasi piatti gourmet servite dai migliori ristoranti. Procediamo con ordine e analizziamo quelli che sono i veri cavalli di battaglia della tradizione culinaria ciociara. La fanno da padrone i primi piatti come la famosa minestra di pane, realizzata dai nostri nonni con verdure e legu-

to servito nelle sagre di paese e nei ristoranti, anche in versione rivisitata. È però la pasta fatta in casa, tirata e tagliata a mano la vera regina della tavola. Un esempio cardine possono essere le fettuccine alle rigaglie (ovvero

mi rimasti dai giorni precedenti che, scaldati, erano uniti al pane raffermo anche di una settimana prima (ricordiamo ai nostri lettori che il pane fatto in casa dai nostri antenati era impastato, oltre che con farina e lievito madre, con patate lesse e “squagliate” che permettevano una conservazione del prodotto più lunga): la minestra di pane era dunque un piatto sostanzioso e ben equilibrato, e, come la polenta, veniva portata nelle campagne nei giorni di mietitura o di raccolta delle olive. Anche la polenta appunto, che i componenti di una stessa famiglia mangiavano tutti insieme nella “scifa”, adesso è diventato un piatto rinoma-

cuore, polmone e fegato) di pollo: il piatto, dopo un periodo di stasi, è tornato prepotentemente alla ribalta, finendo per essere uno dei più esclusivi della cucina ciociara. Non sono mai passati di moda invece quei tagli di carne definiti come “il quinto”, ovvero fegato, trippa e cuore di suino e bovino. Una trippetta al sugo è il

piatto più richiesto dai turisti durante le visite in Ciociaria, soprattutto ad Alatri, Fumone, Ferentino, Anagni e Veroli. Ancora il pesce, in particolare il baccalà, le acciughe e le aringhe, acquistato per di più presso i venditori ambulanti del mercato settimanale e una volta considerato il cibo dei contadini, riveste un posto fondamentale sulla tavola ciociara. Il baccalà, da pesce poco costoso è divenuto nel corso degli anni un piatto rinomatissimo, servito spesso con ceci o patate, oppure fritto. Stessa sorte hanno avuto le alici e le aringhe: da piatti poveri sono diventati piatti esclusivi, quasi gourmet. Non resta ora che fare una breve parentesi sui dolci. Crostate, amaretti, ciambelle e ciambelloni non hanno mai avuto periodo di

crisi… una crostata con una buona marmellata di frutta fatta in casa non manca mai nel pomeriggio di una domenica ciociara.


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Coronare il proprio sogno d’amore a Fumone Il racconto di Riccardo e Caterina di Caterina De Santis

Fumone è un luogo affascinante dalla cui rocca è possibile ammirare un panorama mozzafiato e abbracciare, in un solo colpo d’occhio, le vallate ciociare che lo circondano. Gli scorci incantevoli e i vicoli suggestivi del borgo medioevale, celano storie di esìli, combattimenti e leggende macabre. È proprio tra le mura fortificate del castrum che io e Riccardo, esattamente un anno fa, abbiamo coronato il nostro sogno d’amore. Tuttora siamo convinti che non esista luogo migliore per rendere indimenticabile il giorno del fatidico sì. La scelta di celebrare il nostro matrimonio a Fumone non è stata casuale. Residenti a Terracina, visitammo il paese per la prima volta sette anni fa, durante la rievocazione storica “Castri Fumonis Ludi” attraverso la quale si commemorava un fatto storico molto importante ovvero l’assedio di EnricoVI alla rocca. L’idea di matrimonio che ci balenò nella testa fu quella di un evento informale, al di fuori dei canoni tradizionali, durante il quale gli ospiti potessero trovarsi a loro agio in un’ambientazione rustica, non elegante, ma che nonostante tutto elevasse l’avvenimento ad una situazione fiabesca e ne mantenesse la sacralità. All’interno del centro storico di Fumone avevamo tutto ciò che ci serviva: la chiesa per il rito religioso, gli alloggi per gli invitati, la genuinità dei prodotti locali per i festeggiamenti, lo spazio necessario per spettacoli e balli, la disponibilità di tante persone che lavorano per valorizzare il posto in cui vivono. Un borgo così bello e caratteristico non necessita neppure di troppe decorazioni: è già un’ottima cornice di per sé! Il rito si è svolto presso l’imponente chiesa collegiata di Santa Maria Annunziata, raggiunta a piedi con il corteo nuziale accompagnato dai Templari. La festa è andata avanti con estrema naturalezza: il rinfresco in piazza, la trampoliera e i giochi con il fuoco, le performance degli artisti di strada, i balli del gruppo folkloristico di Fumone, le bomboniere fatte di ciambelle e confetti, la cena alla “Taverna del Barone” e il buffet di dolci allestito dal Bar del Castello nella piazza adiacente. Tutto ciò ha contribuito a creare un’atmosfera magica e fantastica, quasi irreale, nella quale gli invitati si sono immersi con meraviglia e sorpresa. A distanza di un anno è ancora forte l’emozione e cogliamo l’occasione per ringraziare tutte le persone che hanno contribuito a rendere speciale il nostro giorno: dal prete al sacrestano, dalla fioraia alla parrucchiera, all’estetista, al vigile urbano, dall’albergatore ai ristoratori. Tutti loro hanno concorso alla riuscita dell’evento, possibile anche grazie all’accoglienza e all’entusiasmo che gli abitanti di Fumone ci hanno sempre dimostrato. Foto: http://www.mariannacarolinasale.it/


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Il profumo del gesso Omaggio a Umberto Fiorani, scultore a Fumone di Francesca Di Vincenzo

«Franci, Franci» così mi chiamava il mio bisnonno, Umberto Fiorani.

Lo ricordo con il suo cappello e il suo bastone di legno, seduto su una sedia davanti al portone di casa, ad osservare il paese animarsi di persone, di grida di bambini, di signori giocare a briscola, di camion della frutta annunciati da canzoni popolari come la storica “Marina, Marina, Marina..”. Nei suoi occhi ho sempre percepito una grande dignità, il suo sentire con tenerezza la profon-

dità di una vita vissuta infatti, a soli 17 anni, fu tra i giovanissimi chiamati alle armi durante la prima guerra mondiale, tanto da essere poi insignito dell’onorificenza dei “Cavalieri diVittorio Veneto”. A Fumone viene però ricordato per le sue opere in gesso. Nato nel settembre del 1900 a Villa San Giovanni in Tuscia (VT), interessatosi sin da piccolo alla scultura probabilmente per le sue origini

etrusche, imparò presto a modellare e a cesellare il gesso. Lavorò inizialmente a Genova, dove andò, diceva sempre, «spendendo solo due soldi per il viaggio» e poi a Roma, dove realizzò i suoi primi interventi di rifacimento di vecchie facciate ornamentali e stucchi decorativi in gesso. Nei primi anni Venti fu chiamato a Fumone per la realizzazione del villino della famiglia De Carolis, in piazza Marconi (c.d. “Portella”) e così, come soleva ironicamente ripetere spesso, «dall’alto Lazio discese nel basso Lazio». Del suo primo periodo fumonese soleva spesso ricordare la fatica e le difficoltà incontrate per recarsi a lavorare ad Anagni percorrendo quotidianamente il tragitto in bicicletta lungo la tortuosa e polverosa via Casilina e, la soddisfazione (e la fame!) al suo rientro serale a Fumone. Qui il mio bisnonno Umberto conobbe e sposò Maria Cecchetti.Visse ed operò ininterrottamente per i suoi restanti settant’anni, tanto da ritenersi sempre ed a tutti gli effetti un vero “fumonese” e partecipare attivamente alla vita sociale del paese: fu anche amministratore negli anni ‘50-‘60. Tra le sue opere realizzate per Fumone ricordo: la fontana in via della Croce, la balaustra a colonnine decorate lungo via Roma, gli altarini di sant’Antonio e san Giuseppe nella chiesa SS. Annunziata, l’altare della Madonna di Pompei nella chiesa di San Michele, le decorazioni nella chiesetta della Madonna degli Angeli di proprietà della famiglia Cocchi, decorazioni varie in gesso e statue, diverse tombe nel cimitero di Fumone e, soprattutto, l’altare di san Pietro Celestino nella chiesa SS. Annunziata e l’adiacente medaglione di commemorazione della venuta di papa PaoloVI a Fumone il 1° settembre 1966. A tal riguardo era solito raccontare che il medaglione raffigurante Paolo VI lo aveva scolpito avendo come modello la sola raffigurazione del pontefice incisa su una moneta coniata dal

Vaticano, quindi con pochissimi dettagli e difficile da tradurre in una raffigurazione molto più grande. Nelle sue opere in gesso Umberto Fiorani sem-

bra svelare la sua forza di ricerca, la sua disciplina, la sua volontà di comunicare con gli altri attraverso la bellezza, assimilata a uno spiraglio di luce e redenzione. Conchiglie in stucco, di tendenza barocca, decorazioni floreali, simili a un ricamo della bisnonna Maria, ornano anche le colonne austere di monumenti funebri, oltre che fontane, statue, e balaustre lungo le vie di Fumone. Non ho avuto modo di apprendere la sua arte, anche se la sua impronta artistica ha segnato la mia indole e determinato le scelte che da grande avrei fatto. Ero piccola quando è venuto a mancare, nel luglio del 1992, ma in me è vivo il suo ricordo a cui dedico, per l’amore che mi ha dato, una poesia di Cesare Pavese: “Anche tu sei l’amore. Sei di sangue e di terra come gli altri. Cammini come chi non si stacca dalla porta di casa. Guardi come chi attende e non vede. Sei terra che dolora e che tace. Hai sussulti e stanchezze, hai parole – cammini in attesa. L’amore è il tuo sangue – non altro”. Con affetto, la pronipote Francesca


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