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Le categorie sotto pressione in tempo di pandemia
Lockdown e riaperture.
La ristorazione tra i settori più colpiti
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Non l’unico, ma fra i più colpiti. Il settore della ristorazione, e tutto ciò che gira attorno, è stato uno di quelli che ha maggiormente risentito dell’emergenza sanitaria. Il lockdown dello scorso anno, durato 2 lunghissimi mesi, ha fermato tutto, comportando la chiusura totale di tutte le attività come bar, ristoranti, dove il distanziamento sociale sembrava in conflitto con l’idea di convivialità. Finchè non si è dovuto fare i conti con i protocolli di sicurezza e capire che, per andare avanti, bisognava che il concetto di contatto sociale venisse ribaltato. I locali si sono allora dotati di un protocollo di protezione che potesse garantire lo svolgimento dell’attività in totale sicurezza per tutti, evitando i contagi. I cittadini hanno fatto i conti con un nuovo modo di vivere l’esperienza del
SOS LAVORO, cosa dicono i dati
Covid e lavoro. Questo binomio è tra i più cercati e cliccati sul web, alla luce della crisi dell’occupazione, una delle conseguenze più pesanti della pandemia. Non vale per tutti, ma una buona parte delle categorie di lavoratori sta vivendo una crisi senza precedenti. Dagli ultimi dati Istat sulle Forze Lavoro relativi al secondo semestre del 2020, è emerso che il settore che ha retto meglio è quello dell’industria. In calo, il commercio all’ingrosso e al dettaglio e i servizi alle imprese, soprattutto dovuti alla chiusura di molte attività a causa del lockdown e al ricorso allo smart working. Il turismo rileva una grandissima perdita occupazionale, di 246 mila unità, di cui 158mila nei servizi di ristorazione e 88mila negli alloggi. Tra giugno 2019 e giugno 2020 il mercato del lavoro italiano ha registrato un crollo di 841mila occupati (-3,6%). Tra i settori dell’economia dei servizi in maggiore crisi ci sono, dopo i servizi ricettivi (-28,3%), le attività di ricerca, selezione e fornitura di personale (-18,6%); le attività domestiche (-16,7%), amministrative e di supporto alle imprese (-15,7%); noleggio e leasing (-15,2%); produzione cinematografica (-14,9%); ristorazione (-13%). Seguono le attività immobiliari, i servizi per edifici e paesaggio, pubblicità e ricerche di mercato, le telecomunicazioni, commercio al dettaglio e le attività legate all’industria dell’intrattenimento.
ristorante, ma la voglia di ricominciare è stata tale da abbattere qualsiasi barriera. Il modo di fare ristorazione è inevitabilmente cambiato: i ristoranti hanno dovuto, per mantenere viva l’attività, fare i conti con il servizio d’asporto ed entrare nel circuito del food delivery, per portare a casa delle persone il gusto di un pranzo e una cena diversi. Molti hanno ‘resistito’ in questo modo, alcuni evitando la chiusura della loro attività, ma siamo tutti d’accordo nel riconoscere che l’asporto non equivale all’esperienza che si vive all’interno di un locale. Igiene e sicurezza hanno poi caratterizzato la nuova esperienza del cliente e hanno influenzato il modo di fare ristorazione: mascherine, guanti, dispenser di gel igienizzante, procedure di sanificazione delle superfici, riorganizzazione degli spazi, dei tavoli, per rispettare quelle norme di distanziamento sociale da parte dei gestori. Il che ha comportato anche una evidente gestione più intima nel rapporto con il cliente, e una sala inevitabilmente meno affollata. Un altro aspetto modificatosi a causa del Covid, è il concetto di ‘monouso’,
GLI EFFETTI DEL CONTINUO ‘APRI-CHIUDI’ SU MOLTE ATTIVITÀ SONO STATI NEGATIVI. TRA CHIUSURE E LICENZIAMENTI, COME È CAMBIATO INEVITABILMENTE IL MONDO DELLA RISTORAZIONE E COME POTRÀ RIPRENDERE VITA IL PRIMA POSSIBILE?
inserito all’interno della mise en place, per garantire la sicurezza di tutti. A partire dalla scelta, per esempio, del tovagliato tessile riutilizzabile, che rappresenta una valida alternativa di igiene, perché viene sanificato dopo ogni utilizzo. Per molti, questo nuovo modo di lavorare ha significato rinunce e comportato tanto sacrificio, ma chi ha scelto di investire in un nuovo modo di rapportarsi al cliente, lo ha fatto in primis per sopravvivere e per tentare di non vanificare il lavoro di molti anni, nella speranza che si possa tornare a godere di momenti felici e alla tanto agognata normalità. di Felicia Vinciguerra
LA RABBIA DEI RISTORATORI
NIZZI: “NON VOGLIAMO AIUTI. VOGLIAMO LAVORARE”
“Oggi lavori, domani forse, poi vedremo.” Sono queste le parole che colpiscono duramente un settore già in ginocchio dalla pandemia e dal continuo ‘apri-chiudi’ di questi ultimi mesi. Lo chef Andrea Nizzi, presidente del Parma Quality Restaurants esprime l’indignazione e la rabbia di un’intera categoria, la cui unica, legittima, richiesta è quella di lavorare e poterlo fare in estrema sicurezza e nel totale rispetto delle regole. «Il nostro lavoro si basa sulla progettazione- dice Nizzi-, dagli eventi da preparare alle proposte per i nostri clienti. E in questo momento non possiamo fare progetti perché non sappiamo quando e come riaprire. A livello mentale è massacrante.» L’incertezza è l’aspetto che più si fa fatica ad accettare, soprattutto ad un anno dall’inizio della pandemia e l’animo rabbioso è comprensibile alla luce dei continui decreti di chiusura ‘a singhiozzo’, non compatibili con la gestione di un’attività. «Non ci siamo solo noi ristoratori- continua lo chef-, ma anche i dipendenti, i fornitori, che completano la macchina organizzativa per la gestione di un locale. E poi non va trascurata la cultura del cibo, che da anni cerchiamo di diffondere e trasmettere ai nostri clienti. Quando potremo continuare a riprendere questo discorso?» È il grande interrogativo che tutti si pongono, che genera destabilizzazione in un momento in cui gli equilibri cambiano repentinamente. «Non i soldi, non gli aiuti, noi vogliamo lavorare. Ci sono delle nuove regole da rispettare e va benissimo, ma non ci chiedano di chiudere ancora perché non è soluzione. La gente si è riversata nei ristoranti, in zona gialla, e quando ci hanno comunicato una nuova chiusura io avevo già le tre domeniche successive prenotate. Non se ne può più di questa situazione, c’è tanta rabbia.» Queste le parole dello chef Nizzi, che rivendica il diritto di un’intera categoria, che versa nell’incertezza più assoluta di quello che sarà domani. Non trova un senso alla chiusura totale, perché pensa che si possano trovare delle soluzioni alternative, e che non si debba rinunciare ai momenti felici che l’esperienza del ristorante regala alla gente. La chiusura di Pasqua? «L’ennesimo schiaffo», dice.